Certificati medici via Web dal 13 settembre

Ecco gli oneri per le aziende, la normativa di riferimento e la procedura che deve seguire il lavoratore

Tra pochi giorni, a partire dal 13 settembre 2011, diventerà attivo il nuovo sistema di gestione online dei certificati medici di malattia: i datori di lavoro non avranno più il potere di chiedere ai loro dipendenti l’attestazione della malattia tramite certificato cartaceo, ma peserà sulle loro spalle l’onere di procedere alla consultazione del documento via Web, grazie agli strumenti informatici messi loro a disposizione dall’INPS.

Cerchiamo innanzitutto di definire il quadro generale della legislazione sulla materia.

La Legge 4 novembre 2010, n.183 – comunemente denominata “Collegato lavoro” e contenente “Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro” – all’art. 25, “Certificati di malattia”, prevede che “al fine di assicurare un quadro completo delle assenze per malattia nei settori pubblico e privato, nonché un efficace sistema di controllo delle stesse, a decorrere dal 1° gennaio 2010, in tutti i casi di assenza per malattia dei dipendenti di datori di lavoro privati, per il rilascio e la trasmissione della attestazione di malattia si applicano le disposizioni di cui all’art. 55 septies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.

L’iter di approvazione della legge è stato piuttosto travagliato, poiché la legge è stata promulgata in seguito ad un rinvio al Parlamento da parte del Capo dello Stato ed è stata accompagnata dalle dure contestazioni delle parti sociali coinvolte; per questo motivo la norma porta una data di riferimento notevolmente anteriore all’entrata in vigore della stessa legge (il 24 novembre 2010, poiché pubblicata in G.U. n. 262 del 9 novembre 2010), cosa che comporterà – sostengono in molti – non pochi problemi in sede di interpretazione applicativa.

L’articolo 55 septies (“Controlli sulle assenze”) del d.lgs. 165/2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”), cui fa riferimento la L. 183/10, è stato introdotto dall’art. 69 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e prevede che il certificato medico, attestante l’assenza per malattia del dipendete pubblico, sia inviato per via telematica, direttamente all’INPS dal medico o dalla struttura sanitaria pubblica che lo rilascia, secondo le modalità stabilite dalla normativa vigente “per la trasmissione telematica dei certificati medici nel settore privato”. Una volta ricevuto il certificato, l’INPS lo invia all’amministrazione di appartenenza del lavoratore. Si precisa, inoltre, che l’inosservanza dell’obbligho di trasmissione telematica da parte del medico costituisce illecito disciplinare e, nel caso di reiterazione, comporta il licenziamento o, per i medici convenzionati, la decadenza della convenzione.

Sostanzialmente, quindi, con l’art. 25 della L. 183/2010, si è scelto di applicare il regime previsto per i lavoratori presso la P.A. nel rilascio e nella trasmissione degli attestati di malattia ai lavoratori del settore privato.

L’ultima pronuncia ufficiale sulla materia si è avuta con la circolare n. 4 del 18 marzo 2011, emanata congiuntamente dal dipartimento della Funzione Pubblica, dal dipartimento per la Digitalizzazione della PA e l’Innovazione tecnologica e dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 13 giugno 2011. Essa quale ha inteso “dare informazione ai lavoratori dipendenti (del settore pubblico e privato) circa gli oneri e i vantaggi della nuova procedura” e “descrivere gli adempimenti a carico dei datori di lavoro (del settore pubblico e privato) per la corretta ricezione delle attestazioni di malattia trasmesse per via telematica”. Per consentire i necessari adattamenti all’art. 25 della L. 183/2010, la circolare ha previsto un periodo transitorio della durata di tre mesi, a partire dalla sua data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta, appunto, lo scorso 13 giugno.

Cerchiamo ora di concentrare l’attenzione sui contenuti e il processo di trasmissione del certificato. Per prima cosa esso contiene i dati della diagnosi e/o il codice nosologico, poi il codice fiscale del lavoratore, la residenza o il domicilio abituale, l’eventuale domicilio di reperibilità durante la malattia, la data di inizio malattia, la data di rilascio del certificato, la data presunta di fine della malattia e la modalità ambulatoriale o domiciliare della visita eseguita.

La procedura su cui fondamentalmente si baserà il sistema prevede innanzitutto che il certificato venga inviato per via telematica, dal medico certificatore o dalla struttura sanitaria pubblica che l’abbia rilasciato, al SAC, Sistema di Accoglienza Centrale (curato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze), e, tramite questo, all’INPS. In seguito il SAC restituisce al medico il numero di identificazione del certificato, il medico stampa certificato e attestato di malattia e li consegna al lavoratore. L’INPS, che ha ricevuto i dati del certificato dal SAC, individua il datore di lavoro riferito all’intestatario del certificato e mette a sua disposizione il certificato stesso.

Il lavoratore potrà, così, accedere al sito dell’INPS e consultare o stampare i propri certificati, attraverso l’inserimento del codice fiscale o del numero di certificato, o, se ne ha ottenuto accreditamento tramite PIN, entrando nell’apposita area dedicata.

Nonostante gli aspetti relativi alle procedure telematiche siano stati chiariti, mancano regole certe nella gestione del rapporto di lavoro tra dipendente e impresa in caso di assenza per malattia. In assenza di tali regole e in attesa dell’adeguamento dei diversi contratti collettivi con le nuove previsioni di legge, è stato sottoscritto, il 20 luglio, l’accordo interconfederale tra Confindustria e sindacati (Cgil, Cisl e Uil), grazie al quale si è cercato di chiarire quali siano i comportamenti da adottare e gli oneri richiesti ai dipendenti che realizzino delle assenze e ai loro datori di lavoro. Esso, pur limitato al comparto industriale, offre delle istruzioni utili anche agli altri settori (un accordo analogo è stato, inoltre, sottoscritto il 26 luglio 2011 da Confapi con i sindacati suindicati).

Secondo quanto si legge, restano invariate e sono pienamente efficaci le disposizioni contenute nei contratti collettivi che disciplinano il trattamento economico e quello normativo da applicare in caso di malattia del lavoratore, compresi gli obblighi, in capo al lavoratore stesso, di dare tempestiva comunicazione dell’assenza e di fornire indicazione circa qualsiasi variazione dell’indirizzo di reperibilità, dove potrà essere realizzata l’eventuale visita di controllo.

L’accordo introduce, poi, un ulteriore onere a carico del lavoratore, quello, cioè, di comunicare all’azienda, “nei tempi previsti per l’invio del certificato cartaceo dal contratto collettivo nazionale di lavoro che disciplina il suo rapporto”, il numero di protocollo identificativo del certificato inviato dal medico in forma telematica, onere che sembra sostituirsi alla previgente richiesta di consegna del certificato medico cartaceo.

Il datore di lavoro avrà, così, a disposizione diverse alternative per recuperare le informazioni circa gli attestati di malattia dei suoi dipendenti: la prima è, appunto, quella delineata nell’accordo del 20 luglio, cioè la comunicazione, secondo modalità predefinite, del numero identificativo, grazie al quale il datore potrà collegarsi al sito dell’INPS e proseguire con la consultazione.

Diversamente è possibile chiedere all’INPS il PIN per consultare gli attestati in un’area Web dedicata all’azienda, dove la ricerca può avvenire in base al codice fiscale o altri dati anagrafici relativi al dipendente coinvolto, o in riferimento ad un preciso intervallo temporale.

L’ultima opzione a disposizione è quella dettata dalla circolare INPS n. 119 del 7 settembre 2010, avente ad oggetto la “trasmissione telematica delle certificazioni di malattia all’Inps” e le “nuove modalità di invio degli attestati ai datori di lavoro pubblici e privati tramite PEC”. Stando a questa circolare, il datore può inviare, alle caselle PEC delle strutture territoriali dell’INPS competenti, la richiesta di vedersi recapitare nella propria PEC gli attestati di malattia.

Ad ogni modo, il datore di lavoro può fare riferimento alla disposizione contenuta nella circolare ministeriale 4/2011 che impone al dipendente di fornire il numero di protocollo, qualora ve ne sia stata esplicita richiesta da parte dell’azienda (tale richiesta dovrebbe essere opportunamente comunicata in forma scritta, magari aggiornando i regolamenti aziendali). Tale disposizione consente di superare le critiche che hanno visto nella nuova procedura un eccesso di oneri a carico dei datori di lavoro, i quali potrebbero non avere un direttore del personale che si occupi della faccenda o potrebbero non avere la giusta alfabetizzazione informatica.

Permane comunque, anche dopo il termine del 13 settembre, l’obbligo per il lavoratore di esibire la copia cartacea del certificato all’INPS e al datore di lavoro nei casi di ricovero ospedaliero, degenza in strutture di pronto soccorso e nel caso in cui il certificato sia stato emesso da una struttura privata non ancora abilitata alla procedura telematica, così come specificato nel messaggio dell’INPS n. 9197 del 20 aprile 2011 (“Certificazione di malattia in modalità cartacea”). Lo stesso obbligo persiste nel momento in cui il medico sia impossibilitato – ad esempio per malfunzionamenti nel sistema di trasmissione – a procedere all’invio digitale del certificato medico.

Il sistema telematico, per ora, sembra aver funzionato: come si legge in una notizia apparsa pochi giorni fa sul sito del ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e basata su dati forniti dall’INPS, nel mese di agosto sono stati trasmessi online all’Istituto 759.552 certificati di malattia (122.785 in Lombardia, 91.273 nel Lazio, 68.546 in Sicilia, 66.250 in Veneto, 63.980 in Emilia Romagna, 54.126 in Campania, 51.789 in Piemonte, 41.848 in Toscana, 40.501 in Puglia, 28.289 in Calabria, 22.792 in Liguria, 19.991 in Sardegna, 16.787 in Friuli Venezia Giulia, 16.676 nelle Marche, 15.739 in Abruzzo, 10.086 in Umbria, 9.587 in Provincia di Trento, 7.858 in Provincia di Bolzano, 5.888 in Basilicata, 2.769 in Molise e 1.992 in Valle d’Aosta).

Nel complesso il totale dei certificati trasmessi a partire dalla data di attivazione della nuova procedura è pari a 14.365.917 unità. Stando sempre ad alcune informazioni riportate sul sito del ministero ed elaborate dall’INPS, i mesi in cui si sono registrati più certificati di malattia sono stati febbraio (ca. 2 milioni 143 mila) e marzo (ca. 2 milioni 10 mila) 2011; seguono maggio (ca. 1 milione 739 mila) e aprile (ca. 1 milione 516 mila) 2011. La settimana in cui sono stati trasmessi più certificati è stata quella che andava da sabato 5 a venerdì 11 febbraio 2011, quando sono stati inviati all’Inps oltre 575 mila certificati; hanno superato il mezzo milione anche le altre settimane di febbraio e la prima di marzo. Martedì 8 febbraio, infine, i medici hanno inviato all’INPS più di 148 mila documenti, stabilendo una sorta di record numerico.

I numeri relativi al periodo di test del sistema sembrano essere positivi, resta perciò da augurarsi che, con lo scattare dell’obbligo, permanga una spinta propositiva, che si riesca a minimizzare le problematiche organizzativo-burocratiche e ad uniformare le procedure.

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Banda larga: emergenza contesto italiano

Tramite la Relazione 2011, Calabrò presidente Agcom, lancia l’allarme sulla necessità di potenziamento della banda larga italiana e delinea l’attuale situazione della società dell’informazione

Presentando al Parlamento, martedì 14 giugno, la Relazione annuale Agcom sull’attività svolta e su quella in programma, Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha evidenziato le carenze di un Paese che, nell’attuale situazione, rischia di rimanere irrimediabilmente indietro nella rapida corsa mondiale allo sviluppo della banda larga.

La rete – sottolinea il presidente – “è la spina dorsale della moderna intelligenza collettiva, della nuova economia; è il tessuto connettivo della società non localizzata d’oggi, dell’ecosistema digitale”. Tuttavia, prosegue, “c’è scarsa consapevolezza delle potenzialità delle tecnologie della società dell’informazione; il che relega queste ultime a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece dare una spallata a un sistema imballato”.

In particolare, sarebbe il settore delle Tlc la possibile “chiave di volta della rivoluzione digitale”, poiché tale settore, “abilitando l’innovazione”, può giungere a “cambiare radicalmente i paradigmi dell’economia e della società. Al giorno d’oggi nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui ne abbiamo assoluto bisogno. Soprattutto per le generazioni future”.

La forza di tali polemiche dichiarazioni risiede soprattutto nei numeri presentati: una percentuale di abitazioni italiane connesse alla banda larga (connessioni fisse e mobili) inferiore al 50%, contro una media europea del 61%; un 18% della popolazione servita da ADSL sotto i 2 Mbit al secondo; un 4% di digital divide ancora da colmare. “Siamo sull’orlo della retrocessione in serie B. E questo potrebbe precludere all’Italia la possibilità di estendere il servizio universale alla banda larga”.

Il quadro di sintesi realizzato non trascura alcuni aspetti dal segno positivo. Buoni, ad esempio, i dati relativi alla penetrazione della telefonia mobile, visto il numero crescente di utenti per la banda larga in mobilità: con la media di una sim e mezza per abitante, si contano 12 milioni di italiani che navigano dal cellulare e il valore complessivo di Internet in mobilità ha conosciuto nel 2010 un incremento del 7% rispetto al 2009, attestandosi a oltre 1.100 milioni di euro. Nel primo trimestre 2011, inoltre, erano ben 6 milioni le chiavette Internet utilizzate.

Calabrò ha parlato anche di una crescita italiana nella penetrazione della banda larga fissa, con un passaggio dal 20,6% dello scorso anno, al 22% di quest’anno; si tratta di un segnale certamente positivo, tuttavia non sufficiente a colmare lo scarto nei confronti del contesto europeo, dove la percentuale di penetrazione è del 26%. Rispetto al mobile, “nella rete fissa la situazione è più stagnante, sebbene oltre 5 milioni di linee siano attive in unbundling e nonostante il miglioramento della qualità della rete”. Il problema non sarebbe soltanto di natura infrastrutturale, ma anche e soprattutto culturale: “Il modello della connessione dal computer fisso ancora non si afferma: non ci si abbona alla banda larga anche quando è disponibile e spesso anche con tariffe promozionali convenienti”.

Doppio è stato, poi, l’appello per il potenziamento, da una parte, della rete cellulare e, dall’altra, del network a banda larga.
L’ipertrofia di dati rischia di generare un collasso della rete mobile; da qui la richiesta di liberare le frequenze destinate alla banda larga mobile, chiedendo uno sforzo al governo nell’offrire incentivi alle emittenti private: “più che mai necessaria, più che mai indifferibile, è dunque la gara per l’assegnazione di ulteriori frequenze alle telecomunicazioni mobili prevista dalla Legge di Stabilità 2011”. “Condizione fondamentale per il successo della gara è però la disponibilità in tempi ravvicinati di frequenze da assegnare, liberando senza indugi quelle ancora occupate dal Ministero della Difesa e dalle televisioni private, e prevedendo anche degli incentivi per la liberazione anticipata”.

Con riferimento alla rete di nuova generazione a banda larga, Calabrò ha spinto per una soluzione al tavolo Romani, sottolineando il ruolo determinante della Cassa depositi e prestiti e i limiti eccessivi del quadro regolatore europeo per gli interventi pubblici sull’Ngn. A tal proposito, la situazione sembra essere anche penalizzata dalla presenza dei cosiddetti “over the top” (Google e Facebook tra tutti), i quali “sviluppano servizi ad alto margine e non pagano agli operatori di telecomunicazione un pedaggio proporzionato al valore che estraggono dalla rete, proprio nel momento in cui gli operatori avrebbero maggior bisogno di risorse per investire nelle reti di nuova generazione”.

Esploso e consolidato ormai il fenomeno dei social network: 19 milioni sono gli italiani iscritti a Facebook (siamo al settimo posto) e 200 milioni sono i frequentatori di Twitter. Tale fenomeno “sta cambiando la società, il costume, le forme di democrazia, l’uso dei diritti”; “i social network si rivelano ineguagliabili per fare degli individui gruppo” e, di conseguenza, “anche i comportamenti personali ne risultano fortemente influenzati: alla riservatezza è subentrata l’ostensione, e talora l’ostentazione, dell’intimità”. La sfera privata diventa “di dominio pubblico”.

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Italia digitale tesa tra decrescita e opportunità emergenti

Il Rapporto Assinform 2011 delude le previsioni di crescita e delinea una situazione di reale incertezza circa il futuro del mercato ICT italiano, anche se non mancano i segnali positivi. Ecco un’analisi dettagliata

I dati emersi dal Rapporto Assinform 2011, e presentati a Milano il 20 giugno 2011 sembrano confermare un quadro di forte incertezza per il settore ICT italiano, tra delusione delle previsioni di crescita e nuove opportunità emergenti: ripercorrere i punti principali della “fotografia piuttosto dettagliata” (come l’ha definita il direttore Federico Barilli) fatta da Assinform ci aiuterà sicuramente a comprendere meglio i pregi, le carenze e le contraddizioni del nostro contesto nazionale.

Assinform è una delle associazioni più numerose di Confindustria, inquadrando oltre 500 imprese (tra dirette e territoriali), sintomo del fatto che “l’IT è un settore estremamente importante in Italia”: in particolare esso risulta il quarto per importanza, con 390 mila addetti e quasi 100 mila imprese.

Come sottolinea innanzitutto il presidente Paolo Angelucci in una delle slide di presentazione, il Rapporto Assinform, “giunto alla sua 42esima edizione”, “rappresenta un punto di riferimento consolidato ed esaustivo per l’analisi del settore ICT in Italia, a confronto con le principali economie mondiali: abbiamo cercato di dare al rapporto oltre che al classico ruolo di enumeratore dei risultati, anche un ruolo di momento di discussione sulle prospettive future”.

Il quadro del mercato italiano ICT è stato interpretato alla luce di alcuni risultati dell’andamento congiunturale: ogni tre mesi Assinform realizza una survey sui propri associati, basandosi su un campione significativo dell’industria italiana; la composizione dell’ultimo panel era di 43 aziende (su circa 180,) equamente distribuite tra piccole, medie e grandi imprese, e il mercato rappresentato da questo panel era di 4,423 miliardi di Euro: si tratta delle risposte di circa il 20% del mercato italiano, quindi una percentuale piuttosto significativa. Con riferimento a tale analisi, si è in primo luogo cercato di cogliere il confronto tra l’andamento globale degli ordini nella rilevazione di febbraio, relativa al 31 dicembre dell’anno scorso, e l’andamento della rilevazione di aprile, relativa al 31 marzo: “da una grandissima positività […], la migliore da quando è partito il panel (attualmente noi siamo alla decima rilevazione), si è passati sempre ad un un ottimismo, perché siamo passati dall’82% di aumento di ordini al 53% di aumento degli ordini”, però le imprese che giudicano come “molto migliorato” l’andamento degli ordinativi, è passata dal 64,7% al 7,3%. Quindi “mentre a dicembre c’era una grande euforia sull’andamento degli ordini, adesso a marzo si è ridimensionata”, e questo anche in relazione alle dimensioni dell’azienda: “c’è un ottimismo meno forte nelle piccole, buono nelle medie e migliore nelle grandi; però mentre a febbraio il 100% delle grandi imprese prevedeva un aumento degli ordinativi, attualmente solo il 58%” lo prevede. “Non sono dati negativi – continua Angelucci – ma c’è sicuramente un ridimensionamento delle aspettative”.

L’analisi è stata estesa anche alla valutazione del sentiment sul budget e sulle previsioni di spesa dei clienti Assinform (“ciò che noi associati Assinform pensiamo che i nostri clienti siano disposti a spendere”), dividendo tale valutazione in due parti: spesa corrente e nuovi progetti o investimenti. Con riferimento alla prima parte, si nota un andamento costante da circa un anno e mezzo, nel senso che il 40% delle imprese continua a dichiarare di voler risparmiare sulla spesa corrente. Con riferimento, invece, alla seconda parte, si è toccato il massimo dell’ottimismo nel febbraio 2011, quando si pensava che il 65% dei clienti Assinform “volesse investire o spendere di più in nuovi progetti; questo dato purtroppo si è ridimensionato e siamo tornati indietro esattamente di 15 mesi”. “È come se – commenta Angelucci – il clima […] non [di] pessimismo, ma di nebulosità del futuro (sia quello economico, che quello finanziario, che quello politico), faccia sì che le imprese […] abbiano ridimensionato le prospettive di investimento”. Tutto questo con inevitabili e pesanti ripercussioni nel futuro e nella vitalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Sono stati poi ripercorsi gli elementi fondamentali del piano digitale nazionale, dell’“Agenda digitale per l’Italia”, ricordando l’importanza della cosiddetta “Agenda UE 2020”, quella serie di “obiettivi comuni a tutta Europa, che noi dobbiamo porci”, punto di riferimento per tutti gli stati membri. Tuttavia, uno dei limiti di tali obiettivi – evidenzia Angelucci – è che essi sono quasi tutti di natura quantitativa; secondo Assinform, invece, ci si dovrebbe porre anche degli obiettivi di natura qualitativa e uno dei mezzi con i quali l’associazione pensa di poter incidere in tal senso è la neonata “Confindustria digitale”: si tratta di una nuova Federazione ICT, creata da quattro associazioni (Assotelecomunicazioni-Asstel, Anitec, Aiip e Assinform) con l’appoggio di Confindustria e “chiamata a elaborare e proporre un progetto di digitalizzazione del Paese”, portando all’attenzione di tutti gli stakeholder, sia quelli centrali sia quelli periferici, i diversi problemi e le numerose opportunità che derivano dall’adozione di un’agenda digitale.

Si è posto, inoltre, l’accento sulla diffusione definita “carsica” dell’ICT nel Paese, intendendo, con tale definizione, il fatto che imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini hanno adottato in modo pervasivo e spontaneo le tecnologie ICT.
Sulla base degli elementi sin d’ora rilevati, Angelucci si è interrogato sulle strade da percorrere, giungendo alla conclusione che sia necessario innanzitutto assumere la consapevolezza della situazione e dell’uso delle tecnologie e subito dopo passare all’azione concreta, dando delle regole ben precise. In particolare, tre sono i filoni di interventi necessario, diretti al raggiungimento di tre specifici obiettivi.

Il primo riguarda l’efficienza dei servizi pubblici, il che significa: servizi condivisi e cooperazione applicativa tra le PA, accesso semplificato ai servizi (anche a pagamento), attivare un processo di switch-off (cioè di passaggio “forzato” ai servizi on-line) per le imprese e per i cittadini, che riduca  drasticamente il cartaceo; semplificazione, digitalizzazione e sburocratizzazione sono le tre parole d’ordine.

Il secondo obiettivo è rappresentato dall’innovazione nelle imprese: Assinform chiede “che venga rafforzato il concetto di utilizzo del credito d’imposta come misura coerente e costante, perché il credito d’imposta automatico è l’unica cosa che ci consente di rispettare i tempi dell’innovazione”. L’associazione, dal canto suo, deve “avere più stretti contatti e fare più sistema con le grandi filiere produttive” del Made in Italy (moda-tessile, alimentare, legno-arredo…), partendo dall’esperienza dei distretti e delle reti; questo perché lo sviluppo dell’economia italiana sarà legata principalmente all’expert, possibile solo attraverso un sistema di reti integrato, nel quale l’IT potrebbe fungere da “collante”. Assinform si dovrà, quindi, adoperare per attivare progetti basati sull’ICT, allo scopo di facilitare l’aggregazione per contesto produttivi tra grandi medie e piccole imprese.

Terzo e ultimo canale d’intervento coinvolge l’infrastrutturazione avanzata: la banda larga attualmente disponibile è sufficiente solamente per uso privato, per le imprese non sembra esserci abbastanza banda, soprattutto con riferimento ai distretti, dove “è indispensabile avere reti ad alta velocità, cioè reti ottiche”.

Allo scopo ottenere una reale integrazione, sarà necessario uno sforzo comune per combattere la disomogeneità nell’elaborazione e attuazione delle agende digitali da parte delle varie regioni italiane, con l’intento ultimo di giungere ad un allineamento delle agende digitali regionali all’agenda nazionale; questo sarà possibile, ovviamente, solo attraverso l’utilizzo di piani condivisi e tra loro coerenti e con lo sfruttamento delle best practices: “io credo – rivela Angleucci – che copiare in questo settore non sia mai un male, anzi un bene, e possibilmente […] copiare migliorando”.

Utilizzando un’azzeccatissima metafora, Giancarlo Capitani (amministratore delegato NetConsulting, che ha illustrato nel dettaglio i risultati del rapporto Assinform) descrive la situazione attuale del mercato ICT utilizzando “l’immagine del baco da seta che diventa farfalla: […] il baco a farfalla non perde la natura del baco, ma è un’evoluzione del baco”. Mentre, tuttavia, in natura questa metamorfosi avviene in quattro giorni, nel settore considerato questo processo di cambiamento è molto più faticoso e lento: nella fase attuale si assiste al passaggio dall’ICT tradizionale, come lo conosciamo, ad un’era digitale, quindi, rimanendo nella metafora, “dalla solidità un po’ vintage del baco, alla leggerezza e alla velocità della farfalla”. Vediamo, allora, un mercato fatto “a macchie”, con punti di crescita e di rallentamento, anche se una simile disomogeneità non rappresenta una prerogativa italiana, ma rappresenta un andamento generalizzato.

Il mercato mondiale dell’ICT nel 2010 è tornato ai livelli di crescita pre-crisi, ma anche in questo caso ragioniamo “a macchie”, a diverse velocità di sviluppo, con la zona Asia-Pacifico che ha quasi raggiunto l’Europa per dimensioni del mercato ICT, grazie alla presenza, in molti Paesi, di una classe media sempre più consistente e in grado di imporre un simile indice di sviluppo. Con riferimento alla crescita in volumi, complessivamente gli acquisti di tecnologie sono stati molto massicci: nel 2010 sono stati venduti quasi 1,5 miliardi di telefoni cellulari, 300 milioni di smartphone, 340 milioni di IPC; questo si è ripercosso nell’aumento del parco utenza legato alle nuove tecnologie: 2 miliardi di utenti internet (450 milioni solo in Cina), 537 milioni di utenti per la banda larga, quasi 5,3 miliardi gli utenti di cellulari (su una popolazione di 6,5 miliardi), 500 milioni gli utenti Facebook (ca. 18 milioni in Italia), 175 milioni gli utenti Twitter (1,3 in Italia). Questo indica che “siamo entrati nella fase di digitalizzazione di massa a livello mondiale”, ricorda Capitani.

Con riferimento non tanto alla penetrazione, ma soprattutto all’uso e al consumo delle nuove tecnologie, nel 2010 ci si è trovati di fronte ad una popolazione digitale ormai dipendente da tali tecnologie, costantemente connessa e, per questo, sempre più in grado di interagire e influenzare le scelte delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e delle banche. Per questo motivo le nuove strategie di convergenza al digitale non sono più disegnate dai grandi strateghi dell’ICT, dai vendor ICT, ma sono le stesse modalità, gli stessi stili di utilizzo innovativo che impongono una ridefinizione dell’innovazione tecnologica e della formazione dell’ecosistema digitale.

Limitando la prospettiva al solo mercato italiano, è ovvio che la realtà delineata si ridimensioni e i tassi di sviluppo si appiattiscano: nel 2010 l’andamento di crescita ha conosciuto un segno negativo, con un – 2,5% rilevato, e all’interno di tale andamento, il settore dell’IT è decresciuto dell’1,4% e quello delle TLC del 3% (rispetto al -2,3% evidenziato nel 2009). A tal proposito si rileva un fenomeno in parte nuovo, secondo il quale a pagare il prezzo della decrescita sarebbero soprattutto le TLC mobili, con un -3,2%, rispetto al -2,6% riportato dal segmento del fisso. A nulla sembra servire, allora, il recupero di quasi dieci punti percentuali da parte dell’IT (“non è stato un anno bello – ha sottolineato Angelucci – anche se è stato un forte recupero rispetto all’anno precedente che vedeva un -8 addirittura”), visto che i tassi di crescita italiana non reggono il confronto con quelli registrati dagli altri grandi Paesi del mondo (che pure, lo abbiamo detto, sono legati a logiche definite “a macchia”, dunque non uniformi).

Si registrano degli andamenti costantemente negativi, in primis per il settore dei servizi, dovuti innanzitutto alla mancanza di nuovi progetti innovativi che diano un impulso significativo alla domanda e anche al permanere del processo vizioso di down pricing delle tariffe professionali, processo che sta rendendo il nostro Paese protagonista di un fenomeno di nearshoring, tale per cui numerose aziende straniere cominciano a trovar economicamente conveniente spostare in Italia, dove i costi sono convenienti, i propri processi di produzione. Non sembra essere sufficiente, per supplire le carenze in tal senso, il miglior andamento registrato nell’ambito del software e la tenuta di quello dell’hardware (grazie anche ai nuovi tablet pc).

Accanto a quelli che Capitani ha definito dei “bachi”, troviamo – è bene sottolinearlo – pure qualche “farfalla”. Ecco allora che un andamento positivo si riscontra in quei 13 milioni di accessi a banda larga, in crescita di quasi il 7%, ma anche nel numero di Sim che, nel nostro Paese hanno superato quota 95 milioni, a fronte di 46 milioni di utenti. Gli operatori virtuali di telefonia mobile (Mvno) hanno raggiunto, poi, i 3,7 milioni di utenti, anche se l’unico interlocutore realmente importante sembra essere Poste Italiane.

Con riferimento, poi, all’ultimo trimestre del 2011, la tendenza del mercato italiano continua a deludere le aspettative, disattendendo il segno positivo, nonostante la crescita dell’economia italiana, ma in linea con l’andamento di alcuni fondamentali indicatori rilevati dall’Istat: i consumi e la spesa corrente della Pubblica amministrazione sono fermi rispettivamente allo 0,7% e allo 0,1%, con investimenti fissi lordi in crescita di un solo punto e mezzo percentuale.
Più in particolare, il settore dell’Information Technology ha subito una nuova battuta d’arresto in questo intervallo di tempo, con un -1,3% registrato (contro il -2,9% nel primo trimestre 2010). La scomposizione della domanda rivela, in realtà, andamenti diversi: cresce dello 0,4% (contro un -1,5% del 2010) la parte software, dove la componente middleware si conferma la più dinamica, poiché di supporto a iniziative di datacenter trasformation e implementazione di architetture cloud; come nel primo trimestre del 2010, la parte hardware decresce (-2,1%, contro un -2,3% del 2010), evidenziando livelli di vendite superiori al milione di pezzi per tutto il 2011 ma solo per i tablet pc. I servizi it si attestano a -1,5% (-3,8% nel 2010) e l’assistenza tecnica a -2,9% (-4,9% nel 2010).

Il calo più forte, comunque, si è registrato nel settore delle TLC, con un -4,2%.
Con riferimento alle imprese che utilizzano la banda larga, la media italiana si attesta all’83%, definendo il nostro Paese a metà nella classifica europea: più precisamente, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia, Molise e Trentino, con 77%, si collocano in posizioni inferiori (affiancandosi a Rep.Ceca, Irlanda, Ungheria), mentre Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con oltre l’86%, si collocano nella parte alta (confrontandosi con Paesi come la Germania, la Gran Bretagna e la Svezia).
Complessivamente considerata, comunque, l’Italia digitale si situa al di sotto delle medie raggiunte dai 27 paesi Ue: le Pmi che vendono online sono il 3,8%, contro la media europea del 13,4%; le imprese che acquistano online sono il 16,5%, contro 26,4%; la popolazione che usa frequentemente Internet è il 45,7%, contro 53,1%; la popolazione che usa servizi di online banking è il 17,6%, contro 36%; i cittadini che usano servizi di eGovernment sono il 17,4%, contro 31,7%; le famiglie con accesso a banda larga sono il 48,9%, contro 60,8%; le famiglie con accesso a Internet sono il 59%, contro 70,1%; la popolazione che acquista online è il 14,7%, contro 40,4%; il fatturato delle imprese attraverso eCommerce rappresenta il 5,4%, contro 13,9%.

Bisogna quindi essere ottimisti o pessimisti per il futuro? Partendo dal presupposto che l’imprenditore deve, per definizione, essere ottimista, ci dice Angelucci, l’analisi di alcuni ulteriori dati impone una riflessione sulle prospettive future.

Tali dati mostrano un Paese che, malgrado tutto “si sta strutturando”: gli accessi broadband si sono attesti nel 2010 intorno ai 13,2 milioni, con una crescita quasi del 10% in un anno; gli utenti internet mobili (6,2 milioni) sono aumentati di 44,4 punti percentuali in un anno; il numero di app medio per ogni utente smartphone è stato di 30; l’e-commerce, dove le carenze del contesto italiano sono piuttosto accentuate, è cresciuto del 14%; l’advertising del +15%; 1,3 milioni sono stati gli account su Twitter e 17,8 milioni gli utenti di Facebook, dei quali 4 miloni hanno preferito la soluzione mobile; l’anno scorso sono stati venduti circa 430.000 di tablet, mentre quest’anno tra gli 800mila e gli 1,2 milioni. Tutti questi dati sottolineano il fatto che “gli italiani sono più veloci di chi dovrebbe fare la politica industriale: noi abbiamo le infrastrutture, allora dobbiamo utilizzarle”. Il valore del cloud computing in Italia è stato stimato l’anno scorso in 130 milioni di Euro e si prevede che nel 2013 tale cifra possa salire a 410 milioni, con una crescita annuale di quasi 50 punti percentuali: “è un nuovo modo di fare informatica, è un nuovo modo di fruire, soprattutto, informatica e quindi c’è tutta un’opportunità di crescita” (Angleucci).

Si è cercato anche di capire quale percentuale della domanda ICT provenga da componenti classiche e quale da componenti innovative. Nei servizi di telecomunicazioni, la componente innovativa dal 2009 al 2010 è aumenta del 4,7%, quindi, mentre nel 2009 la componente innovativa occupava il 27,7% (pari a 9.475 milioni di Euro) della totalità dei servizi telco, nel 2010 ha raggiunto il 30% (pari a 33.070 milioni); di conseguenza, la componente cosiddetta “classica” è diminuita del 6,4% (da un valore di 24.740 milioni di Euro, ad un valore di 23.145 milioni). Il valore complessivo stimato per il settore telecomunicazioni era di 34.215 milioni nel 2009 e di 33.070 nel 2011, con una diminuzione del 3,3%. “Vuol dire che è un Paese che è pronto per fare un salto di qualità”.

Tuttavia le incertezza in merito alle previsioni sul 2011 non cadono, oscillando tra una prospettiva pessimistica ed una ottimistica: nel primo caso, di sostanziale conferma del quadro attuale, il mercato ICT continuerà a scendere di circa 4,5 punti percentuali, con il settore delle TLC in maggior spinta verso il basso (-5,8%) e il settore IT in discesa attenuata (-0,8%). Nel caso, invece, in cui l’economia nazionale migliorasse e si attivassero fruttuose politiche di innovazione, la crescita del mercato ICT si potrebbe attestare ad un -0,1%, con un -0,6% per le TLC e un +1,3% per il mercato IT.
Il problema centrale – suggerisce sapientemente Angelucci – non è tanto capire se sia meglio essere ottimisti o pessimisti nei confronti della situazione presente e futura del mercato ICT italiano: “bisogna essere semplicemente innovatori”!

 

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Agenzia delle Entrate: spinta all’informatizzazione e calo dei rimborsi e delle compensazioni

Complessivamente considerati ammontano a 39,5 miliardi i rimborsi e le compensazioni erogati nel 2010, con una riduzione, rispetto al 2009, del 20% e con un risparmio di 6,6 miliardi dalle compensazioni indebite

Circa 39,5 miliardi nel 2010, contro i 49,4 miliardi nel 2009: sono queste le cifre riferite all’ammontare complessivo dei rimborsi e delle compensazioni erogati dall’Agenzia delle Entrate.

Registrato, quindi, un calo pari a circa 20 punti percentuali in un solo anno, fenomeno legato, da una parte, alla riduzione nell’ammontare dei crediti da rimborsare, dall’altro, alle misure poste in essere per contrastare le compensazioni illecite, grazie alle quali sono stati risparmiati ben 6,6 miliardi di euro.

A tutto questo si aggiunga il fatto che l’Agenzia segnala di aver portato nelle casse dell’Erario più di 10,6 miliardi di euro nel 2010, contro i 9,1 miliardi del 2009. In un comunicato ufficiale si parla, in particolare, di “strategia vincente del Fisco sulla strada del recupero dell’evasione” e si sottolinea come, aggiungendo ai soli “incassi derivanti direttamente dall’attività di accertamento e di liquidazione delle dichiarazioni, anche i 480 milioni di riscossioni da ruolo relative a interessi di mora e maggiori rateazioni”, l’importo complessivo delle somme rese disponibili ai conti pubblici e sottratte all’evasione raggiunge gli oltre 11 miliardi di euro.

Si è dimostrato particolarmente fiducioso Attilio Befera, direttore dell’Agenzia delle Entrate, nel corso della puntata di ieri di Sky Tg 24 Economia, evidenziando come nel 2011 i risultati della lotta all’evasione fiscale potrebbero essere addirittura migliori di quelli ottenuti con riferimento al 2010. «Più che una previsione – ha spiegato – è un augurio perché siamo all’inizio dell’anno. Ma i segnali sono positivi». «Nei primi due mesi e mezzo stiamo confermando i risultati del 2010 e forse riusciremo a fare qualcosa di più».

Nei giorni scorsi Befera, con riferimento al risultato ottenuto sulle compensazioni, aveva sottolineato, inoltre, come esso fosse «frutto del grande lavoro condotto dalla task force dell’Agenzia che ha potuto contare anche sul contributo dei professionisti». Pure Claudio Siciliotti, Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Cndcec) sottolineava la rilevanza del contributo di natura professionale: «C’è stata una vera e propria cooptazione dei commercialisti, affinché attestino nell’interesse dello Stato la conformità delle dichiarazioni Iva dei contribuenti che chiudono a credito con la sottostante documentazione. I risultati evidenziati da Befera testimoniano la validità della scelta operata dall’amministrazione».

Un altro elemento di grande novità, che emerge dai dati rilevati dall’Agenzia, riguarda lo slancio verso l’informatizzazione nel rapporto tra l’Agenzia stessa e i contribuenti. Nel 2010 sono state circa 43 milioni le dichiarazioni fiscali inviate online, 2,5 le cosiddette “altre comunicazioni telematiche”, 2,8 milioni gli atti pubblici registrati digitalmente, e 172 mila i contratti di locazioni che hanno viaggiato nel web.

Con riferimento, poi, ai versamenti eseguiti tramite modello F24, si rileva come, ad usare il cartaceo, siano state 36,6 milioni di unità a fine dello scorso anno, contro gli 85 milioni del 2001; i modelli inviati telematicamente sono stati, invece, nel 2010, 87,2 milioni, contro l’1,3 milioni del 2001. In particolare è a partire dal 2006 – quando è diventato obbligatorio per alcune categorie di contribuenti (come le società di capitali, gli enti pubblici e privati che esercitino attività commerciali) l’utilizzo del modello F24 telematico – che si è registrato un forte incremento nell’utilizzo della forma digitale, passando da 6,1 milioni di unità nel 2005, ai 14,3 milioni. Successivamente, nel 2007, quando l’obbligo dell’F24 telematico è stato esteso a tutti i contribuenti titolari di partita Iva, si è passati a ben 71,7 milioni unità, e nel 2008, quando l’estensione ha coinvolto le PA titolari di conti di tesoreria presso la Banca d’Italia, si sono raggiunti gli 84,2 milioni. Parallelamente è cresciuto anche il numero di utenti abilitati ai servizi telematici Fisconline, dedicato alle persone fisiche e alle piccole imprese, ed Entratel, cui si rivolgono i professionisti e le medie e grandi imprese: mentre nel 2001 gli iscritti ai due canali erano poco meno di 87 mila, nel 2010 si è passati a ben 1,5 milioni.

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Il DPCM 2 marzo 2011 e la conservazione sostitutiva di documenti con rilevanza fiscale

Il provvedimento attuativo del CAD prevede che si continuino a far valere le indicazioni previste dal DM 23 gennaio 2004

 

Attraverso il D.P.C.M. 2 marzo 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 marzo, si precisa il fatto che, per la conservazione sostitutiva dei documenti con rilevanza tributaria, continuano a valere le regole previste dal D.M. 23 gennaio 2004.

Questo nonostante la previsione dell’articolo 20, comma 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, Codice delle amministrazioni digitali (CAD) – recentemente modificato dal decreto legislativo 30 dicembre 2010 , n. 235 – secondo il quale “gli obblighi di conservazione e di esibizione di documenti previsti dalla legislazione vigente si intendono soddisfatti a tutti gli effetti di legge a mezzo di documenti informatici, se le procedure utilizzate sono conformi alle regole tecniche dettate ai sensi dell’articolo 71”.

Il D.P.C.M. in questione rappresenta il primo provvedimento attuativo per la disciplina di casi particolari, così come previsto dall’articolo 2, comma 6 del CAD: “[…] con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, tenuto conto delle esigenze derivanti dalla natura delle proprie particolari funzioni, sono stabiliti le modalità, i limiti ed i tempi di applicazione delle disposizioni del presente Codice alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché all’Amministrazione economico-finanziaria”.

Per la conservazione dei documenti informatici di natura tributaria si parte, allora, dalla loro memorizzazione e si arriva alla sottoscrizione elettronica e all’apposizione della marca temporale, diversamente dal riferimento temporale richiesto dalle regole tecniche DigitPa, Ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione (prima Cnipa, Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione).

Per quanto riguarda, invece, la conservazione informatica di documenti analogici rilevanti ai fini fiscali, si procede con la digitalizzazione di tali documenti tramite scanner e il risultato di tale operazione sarà un’immagine che seguirà un processo identico a quello usato per i documenti informatici.

Il processo di conservazione deve essere realizzato almeno ogni quindici giorni, con riferimento alle fatture di tipo elettronico, o annualmente, con riferimento, invece, a tutti gli altri documenti. Il responsabile della conservazione o il soggetto eventualmente interessato ad estendere la validità dei documenti conservati in via sostitutiva deve dare comunicazione, attraverso la rete, all’Agenzia delle Entrate circa l’impronta dell’archivio informatico conservato, la relativa sottoscrizione elettronica e la marca temporale, il tutto entro il quarto mese successivo alla scadenza dei termini stabiliti per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all’Irap e all’Iva.

In ambito tributario, inoltre, continueranno ad essere usate delle logiche autonome nella gestione delle dinamiche connesse alla sicurezza informatica, alla privacy e allo scambio comunicativo (l’utilizzo di PEC rimane obbligatoria per tutte le PA ma non per l’ambito in questione, anche se l’amministrazione finanziaria potrà notificare propri atti impositivi, quali avvisi di accertamento e di rettifica o liquidazione, alla casella di PEC conosciuta): Fisconline e Entratel saranno ancora canali privilegiati di dialogo tra Fisco e contribuenti od intermediari abilitati.

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Le novità del 730 contenute nella circolare 14/E

Rimborso relativo alle somme erogate negli anni 2008 e 2009 a titolo di incremento della produttività e assoggettate a tassazione ordinaria, presentazione telematica del 730 al proprio sostituto d’imposta, istruzioni sulla trasmissione del risultato contabile contenuto nei mod. 730-4

Con l’intenzione di dettagliare tutte le novità introdotte nelle procedure di adempimento agli obblighi di dichiarazione dei redditi 2011, l’Agenzia delle Entrate ha emesso, lo scorso 14 marzo, la circolare n. 14/E, avente, appunto, ad oggetto “Modello 730/2011 – Redditi 2010 – Assistenza fiscale prestata dai sostituti di imposta, dai Centri di assistenza fiscale per lavoratori dipendenti e dai professionisti abilitati”.

La prima di tali novità riguarda le modalità usate per calcolare il rimborso delle imposte pagate in relazione a delle somme erogate nel 2008 e nel 2009 a titolo di incremento della produttività e assoggettate a tassazione ordinaria invece che ad imposta sostitutiva; il contribuente può – precisa la circolare –  chiedere il rimborso, nell’ambito dell’assistenza fiscale, presentando il 730/2011 “a un CAF o a un professionista abilitato nonché al sostituto d’imposta in determinati casi”, purché sia in possesso di “un CUD che ne certifica la corresponsione”. Chi è chiamato a prestare assistenza fiscale avrà, allora, l’importante compito di ricalcolare il reddito di lavoro dipendente per gli anni in questione, le detrazioni legate al reddito complessivo e l’importo da rimborsare.

La circolare, addentrandosi nell’ambito dei compensi, sottolinea anche come il contribuente che abbia presentato “una dichiarazione modello 730 debitamente e correttamente compilata in tutti i campi relativi alla documentazione prodotta e a quelli riferiti alle proprie condizioni familiari e comunque rilevanti ai fini fiscali” non sia tenuto a corrispondere alcun corrispettivo al centro di assistenza fiscale o al professionista abilitato (assistenza fiscale indiretta). Un corrispettivo può essere, invece, richiesto al contribuente “nelle ipotesi di prestazioni di altre attività quali, ad esempio, la richiesta da parte del contribuente di essere informato direttamente dal CAF o dal professionista su eventuali comunicazioni provenienti dall’Agenzia delle entrate”; oppure nel caso in cui “il contribuente, con la compilazione del rigo 13 del quadro F del modello 730/2011, abbia richiesto il rimborso per somme erogate a titolo di incremento della produttività negli anni 2008 e/o 2009 assoggettate a tassazione ordinaria”, poiché, “per il calcolo del rimborso richiesto, il soggetto che presta l’assistenza deve effettuare una nuova liquidazione per ognuna delle pregresse annualità interessate”. In caso di assistenza fiscale diretta (svolta cioè da un proprio sostituto di imposta), la richiesta di rimborso delle imposte relative a somme erogate per incremento della produttività potrà essere effettuata solo se lo stesso sostituto ha fornito l’assistenza fiscale per l’anno o gli anni cui si riferiscono le somme erogate, o se, per gli stessi anni, il dipendente non ha presentato la dichiarazione dei redditi, poiché esonerato, e ha un solo CUD rilasciato dallo stesso sostituto.

Il contribuente dovrà consegnare il modello 730 compilato e sottoscritto – “unitamente al modello 730-1 per la scelta della destinazione dell’8 per mille dell’Irpef e del 5 per mille dell’Irpef, anche se non compilato, nell’apposita busta chiusa” – entro sabato 30 aprile 2011, se è destintato al proprio sostituto d’imposta, entro martedì 31 maggio 2011, se il è destinato a un CAF o a un professionista abilitato.

Altro elemento di forte innovazione è rappresentato, con riferimento all’assistenza diretta prestata dal sostituto d’imposta, dalla possibilità di “utilizzare i sistemi informatici per la presentazione del 730 da parte del dipendente e per la consegna da parte del sostituto della dichiarazione elaborata, nel rispetto delle regole di sicurezza e di agibilità per garantire nell’utilizzo di tale procedura sia il dipendente che il sostituto”. Il contribuente potrà quindi presentare telematicamente la dichiarazione al proprio sostituto d’imposta, “purché il sostituto abbia provveduto all’istituzione di un sito internet dedicato e abbia fornito i dipendenti di utenza e password personali” e ferma restando la consegna “in forma cartacea per mezzo di apposita busta chiusa” del modello 730-1. A sua volta il sostituto potrà utilizzare la modalità telematica per consegnare ai sostituiti, entro il 31 maggio, la copia della dichiarazione elaborata e il prospetto di liquidazione (730-3). In questo caso, oltre ad essere in possesso dei codici personali, i contribuenti devono essere avvisati in merito alla disponibilità della dichiarazione elaborata sul sito dedicato, poter stampare il modello e “ricevere apposita informazione della necessità di stampare e sottoscrivere la dichiarazione e conservarla”.

Ultimo punto di novità è costituito dalle “istruzioni relative alla trasmissione telematica del risultato contabile contenuto nei mod. 730-4”. Nella circolare si sottolinea, infatti, che il risultato finale delle dichiarazioni è reso disponibile, in via telematica, “ai sostituti d’imposta dall’Agenzia delle entrate a seguito della trasmissione telematica effettuata dai CAF ai sensi dell’16 del decreto ministeriale n. 164 del 31 maggio 1999”; si fa poi riferimento ad un modello (“Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai mod. 730-4 resi disponibili dall’Agenzia delle Entrate”) approvato da un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 25 febbraio 2011 e che dev’essere compilato dai sostituti d’imposta e trasmesso entro il 31 marzo. Si precisa, infine, che “poiché il modello di comunicazione […] richiede l’indicazione di nuovi dati per l’identificazione del sostituto d’imposta deve essere presentato anche da chi negli anni scorsi ha già partecipato al flusso telematico dei modelli 730-4”.

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La rivoluzione del digitale: un nuovo paradigma sociale ed economico

I dati emersi dalla seconda edizione dell’Osservatorio Smau-School of management Politecnico di Milano rivelano una crescita del 13% del mercato digitale consumer, imponendo una riflessione sull’importanza dell’esperienza digitale

Arrivati a questo punto, forse Nicholas Negroponte direbbe che lui già l’aveva detto e in tempi sicuramente tutt’altro che sospetti. Con la minuziosa attenzione dello scienziato e con la sapiente carica dirompente del visionario, egli descriveva “l’essere digitali” come un modo di vivere, come un qualcosa che è ormai inevitabilmente parte della nostra realtà, come una rivoluzione che assume le caratteristiche dell’ossimoro, nel momento in cui implica un abbandono della realtà fisica fatta di cose palpabili e l’adesione ad un mondo senza confini, globale, simile a quello esperito dal bambino. Dall’atomo al bit, che “non ha colore, dimensione o peso”, che “può viaggiare alla velocità della luce”, che rappresenta “il più piccolo elemento atomico del DNA dell’informazione” e che, infine “è un modo di essere” [N. Negroponte, Essere digitali, Sperling & Kupfer, 1995].

Certo a distanza di dieci anni di cose ne sono cambiate molte, ma sicuramente le teorie di Negroponte trovano, ancora oggi, piena applicazione e anzi, a quella grande “rivoluzione” che è il passaggio al digitale, si accompagnano tante “microrivoluzioni”. Come sottolinea, ad esempio, Matteo Discardi con riferimento alle modalità sensoriali di approccio al nuovo dispositivo iPad, dove “la sola interazione eseguibile con un doppio tap su di un punto nel display, che permette di ingrandire o rimpicciolire parte della visualizzazione”, “diviene irrinunciabile dopo il primo tentativo, una interazione naturale ma estremamente importante” [M. Discardi, iPad, Mondadori 2010].

Ciò che, tuttavia, ci preme sottolineare in questa sede è non solo la portata sociale e culturale del fenomeno di convergenza al digitale, ma anche la sua portata economica.

La nostra testata telematica vi ha già dato brevemente notizia della sorprendente fotografia dei mercati digitali italiani che emerge dalla seconda edizione dell’Osservatorio Smau – School of Management del Politecnico di Milano. La ricerca è stata illustrata a Milano, nell’ambito della conferenza stampa di presentazione di Smau 2010 (acronimo di Salone Macchine e Attrezzature per l’Ufficio), la 47ª edizione dell’esposizione internazionale di Information and Communication Technology, un “appuntamento di riferimento per imprenditori, decisori aziendali, dirigenti delle Pubbliche Amministrazioni e operatori del settore interessati a sviluppare il proprio business attraverso le soluzioni tecnologiche più avanzate, i migliori partner e i casi di successo più significativi”, come si legge nel sito dedicato. Aprendo una piccola parentesi, le stime parlano di oltre 46 mila visitatori per quest’evento della durata di tre giorni, dal 20 al 22 ottobre, che si comporrà di una parte espositiva e un’articolata offerta di convegni e incontri (workshop).

Nonostante Smau sia una fiera pensata principalmente per un approccio di tipo business to business, la ricerca presentata ieri ha inteso analizzare la dinamica dei mercati digitali consumer, cioè l’insieme di quei mercati rivolti al consumatore finale e basati su piattaforme digitali: Internet (non solo navigazione, ma anche servizi di e-mail e instant messaging), Sofa-Tv (intendendo, con questo termine, tutte le televisioni digitali che vengono fruite tipicamente tramite lo schermo televisivo, per così dire, “tradizionale”) e Mobile. Nel 2010 tali mercati hanno registrato un tasso di crescita pari a 13 punti percentuali, rispetto al 2009, generando, di conseguenza, un giro d’affari complessivo di 11,5 miliardi di Euro. Precisiamo che la ricerca ha indagato su: vendite di prodotti e servizi non digitali tramite canali digitali; vendite di contenuti e servizi digitali a pagamento tramite canali digitali; advertising realizzato in qualsiasi forma, purché veicolata da canali digitali. Esclusi, invece, sono stati i ricavi derivanti dall’accesso e dal traffico dati, dalla vendita di device hardware ed, infine, dalla vendita di contenuti digitali (ad esempio giochi) su supporti fisici.

Date queste premesse, cerchiamo di comprendere più da vicino i risultati dell’analisi. Vediamo subito che quasi la metà del mercato (più precisamente il 47%, corrispondente a 5.420 milioni) deriva dalla vendita di prodotti e servizi non digitali su Internet: stiamo parlando del cosiddetto e-commerce Business to Consumer, in crescita del 15% rispetto al 2009. L’analisi si spinge a rilevare come viaggi, elettronica di consumo, assicurazioni, editoria, musica e abbigliamento rappresentino l’ambito d’acquisto prediletto dagli italiani, nel periodo preso a riferimento. Un accenno di crescita anche per le transazioni realizzate tramite dispositivi cellulari (si parla, a tal proposito, di m-commerce), che raggiungono un valore di “qualche milione di Euro, grazie soprattutto alla vendita di biglietti da parte di Trenitalia”.

Il 39% del mercato, pari a 4.564 milioni, è rappresentato dai contenuti digitali (e-content) e dai servizi a pagamento, in crescita del 7% rispetto all’anno scorso. A spingere sono state soprattutto le vendite di abbonamenti premium sulle tv digitali (con un incremento del 6%) e l’esplosione di giochi e scommesse nel Web, cresciuti di oltre il 30%. In calo, invece, sembra essere l’acquisto di contenuti e servizi – come suonerie, giochi e musiche – sul cellulare…con una battuta, potremmo dire che, forse, il gattino Virgola non sarà più la “stella del telefonino”, ma al suo posto sarà il nuovo paradigma delle applicazioni a dettare la dinamica della fruizione.

Il restante 14% del mercato (1.587 milioni) è costituito dalla pubblicità veicolata da piattaforme digitali, cresciuta del 20% rispetto al 2009. Più precisamente, ha registrato l’aumento maggiore (+30%) la pubblicità sulla tv digitale, seguita, con un +18%, da quella effettuata in Internet. Stabile il valore riferito per le piattaforme Mobile.

I diversi siti che nelle scorse ore hanno riportato la notizia, pongono l’accento sulla controtendenza, rispetto ad una crisi generalizzata, di un mercato che sappia puntare sul digitale. Ecco allora che, quelli che in apparenza sembrano essere solo dei numeri, potrebbero in realtà rivelare alle imprese la chiave di volta per le loro attività. Prendere coscienza dell’enorme portata del cambiamento in atto ed immergersi nel flusso da esso generato: questo sembra essere il suggerimento.

Come sottolinea Raffaello Balocco, responsabile scientifico dell’Osservatorio, «la digitalizzazione è forse il fenomeno che – più di ogni altro – sta cambiando radicalmente il modo di vivere degli italiani: a livello di acquisti, di intrattenimento e di accesso ai media. Avere un quadro chiaro dei mercati digitali e delle loro interconnessioni sempre più spinte è una necessità per riuscire a cogliere con successo la sfida della digitalizzazione».

Evidenzia, ancora, Pierantonio Macola, amministratore delegato Smau, come i canali digitali siano, appunto, i più pervasivi nel mondo business e, ancor più, in quello consumer: «forte di questa consapevolezza, abbiamo potenziato gli eventi e le iniziative formative e informative in questo ambito. In particolare […] SMAU proporrà un laboratorio di Marketing Digitale, curato dalla stessa School of Management del Politecnico di Milano, che focalizzerà l’attenzione sul ruolo dei social media come strumento a supporto di tutto il processo di marketing. Infine, un’arena dedicata al Marketing Digitale e all’e-Commerce vedrà il susseguirsi, nei tre giorni di evento, di 50 tra i massimi esperti del settore, che parleranno delle potenzialità di Facebook, Youtube e Twitter per il business e degli strumenti di advertising online, sempre più diffusi ed efficaci».

Certo la grossa fetta di mercato conquistata dal commercio elettronico e dalla pubblicità in rete si posizionano ancora sul piano della similitudine – per usare una terminologia letteraria – non su quello tipico della metafora, o, ancor meno, della sinestesia: l’esperienza realizzata dall’utente che acquista tramite la rete sembra, in buona misura, imitare la realtà fisica e, se da una parte implica una certa alfabetizzazione al mezzo digitale, dall’altra rivela un certo attaccamento alle strutture logiche della materialità.

Tuttavia, quel 39 % riferito al mercato dei contenuti digitali, credo possa farci riflettere su come le nuove tecnologie non abbiano semplicemente condizionato la vita dell’uomo, ma costituiscano una parte integrante della realtà da lui esperita, evolvendosi ovviamente in rapporto dialettico con essa. In tal senso, i dati emersi sembrano confermare quanto i cosiddetti “nuovi media” digitali rappresentino degli strumenti in continua trasformazione, che si fanno “attori principali di una complessiva rielaborazione delle risorse culturali: su di essi si incrociano le variabili sociali, economiche e ideali di una società in trasformazione che vanno a definire progressivamente nuove pratiche comunicative, nuovi linguaggi e nuove forme di gestione e distribuzione della conoscenza” [U. Guidolin, Pensare digitale, McGraw-Hill, 2005].

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