Internazionalizzazione: sempre più indispensabile per le PMI

Dalle indiscrezioni sui risultati del primo studio “Focus PMI”, pare che vi sia una certa dipendenza dalla domanda estera per incrementare il volume d’affari aziendale

Sono state diffuse, in questi giorni, alcune significative anticipazioni riguardanti i risultati del primo studio avviato da Focus PMI, l’Osservatorio di analisi permanente sul sistema delle Piccole e Medie Imprese italiane, frutto della collaborazione tra LS Lexjus Sinacta (gruppo indipendente di oltre 150 avvocati e commercialisti associati) e Istituto Guglielmo Tagliacarne (Fondazione di Unioncamere che “promuove la cultura economica, realizza analisi e studi economico-statistici sulle piccole e medie imprese e sull’economia territoriale”).

Focus PMI si propone, in particolare, di analizzare i temi economici di più forte attualità, attraverso un’attività di ricerca i cui risultati verranno presentati ogni anno nel corso di una convention, alla quale parteciperanno noti esponenti del mondo politico-economico: la prima edizione dell’evento è in programma per venerdì 13 maggio a Bologna e riguarderà le reti per l’internazionalizzazione delle PMI. Lo scopo è quello di monitorare costantemente la situazione imprenditoriale italiana, potendo contare su dati sicuramente aggiornati e su analisi di approfondimento, con l’intenzione di stimolare il dibattito, il confronto attorno alle questioni di maggior rilevanza per le piccole e medie realtà aziendali.

Stando alle prime indiscrezioni su quanto emerso dall’indagine, pare che vi sia un’elevata dipendenza del volume d’affari aziendale complessivo dalla domanda estera e questo sarebbe vero tanto per le imprese coinvolte in processi di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in entrata (per loro il 55,5% del fatturato totale deriva dall’estero), quanto per le aziende promotrici di Investimenti Diretti Esteri in uscita (la quota a loro riferita è di 46,2 punti percentuali). La metà delle imprese coinvolte in tali processi, inoltre, avrebbe dichiarato di aver accresciuto il proprio volume d’affari nel corso del 2010, puntando su miglioramenti nella produzione, in termini di qualità dell’offerta e di efficienza nei processi, e rendendo, di conseguenza, più competitivi i prezzi.

L’analisi ha coinvolto, poi, anche il profilo strutturale delle Reti Internazionali tra imprese, arrivando a sottolineare come i tre quarti delle imprese intervistate operino in una Rete di questo tipo da quasi dieci anni e come il 44,3% si relazioni con più di dieci imprese estere. Anche dal far parte di simili reti deriverebbe, allora, un certo vantaggio competitivo, capace di supplire alle ridotte capacità di tipo dimensionale. La creazione di queste reti sembra essere, quindi, necessaria per poter affrontare un processo di internazionalizzazione, processo visto sempre più come indispensabile per le piccole e medie realtà.

Le criticità legislative derivanti dai processi di internazionalizzazione, infine, sarebbero in parte superate grazie all’intervento di supporto ad opera di specifiche società di consulenza legale e fiscale: il 65% delle imprese si dichiara soddisfatto di aver affidato tali competenze in outsourcing.

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Hyper approfondisce “Le novità sulla Gestione dei rifiuti”

Il 9 marzo a Como e il 15 marzo a Roma: due incontri per illustrate nel dettaglio le modifiche introdotte dal d.lgs. 205/10, cd. Corretivo-quater, alla Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, cd. Testo Unico Ambientale

Sfruttando la propria specifica esperienza nel campo dell’editoria giuridico-ambientale rivolta alle imprese e alle amministrazioni pubbliche, Hyper ha scelto di predisporre due seminari allo scopo di approfondire le novità introdotte dal D.Lgs. 205/10 e di offrire indicazioni operative sul SISTRI .

Il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, recante “Disposizioni di attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive”, ha imposto numerose modifiche alla disciplina relativa alla gestione dei rifiuti, prevista dalla Parte IV (“Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale” e noto agli addetti del settore come “Testo Unico Ambientale”. Entrato in vigore il 25 dicembre 2010 e composto da 39 articoli e 5 allegati, il cosiddetto “Correttivo-quater” ha, in particolare, fornito nuove indicazioni circa il sistema per il controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) e ha introdotto numerose modifiche ed integrazioni in materia di: responsabilità estesa del produttore, gerarchia dei rifiuti, programma prevenzione rifiuti, obiettivi di recupero e riciclaggio, deposito temporaneo, combustibile da rifiuti, classificazione dei rifiuti, sottoprodotto, esclusioni dall’applicazione della disciplina dei rifiuti, terre e rocce da scavo, Albo Gestori Ambientali.

Il primo dei due incontri, predisposto in collaborazione con Sviluppo Impresa (Azienda Speciale della Camera di Commercio di Como), si terrà il 9 marzo, dalle ore 10.00 alle ore 17.30, presso l’Aula Magna del Polo territoriale di Como del Politecnico di Milano; il secondo, realizzato in convenzione con Federambiente, avrà luogo il 15 marzo, sempre dalle ore 10.00 alle ore 17.30, presso la Sala Convegni della Fondazione Rubes Triva a Roma. Ad illustrare nel dettaglio le tematiche oggetto del seminario saranno alcuni degli autori di Hyper: è previsto l’intervento della d.ssa Elena Bonafè, del dott. Marcello Franco e del dott. Luca Passadore (in attesa di conferma dott. Daniele Bagon).

Per ulteriori informazioni circa il programma, le modalità e la quota di iscrizione, consigliamo di visitare il sito di Hyper o di rivolgersi direttamente alle segreteria organizzativa.

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
HYPER S.r.l.
Via Degan 12 – 30172 Mestre Venezia
Numero Verde 800 939492  – tel.041/976896 – fax 041/985730
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La ripresa potrebbe passare per la percezione?

Coldiretti sottolinea come il 71% degli italiani ritenga fondamentale il contributo della piccola e media impresa nel superare la crisi nazionale, con una particolare attenzione data al settore agricolo

Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Qualora il “teorema” enunciato nel 1928 dal sociologo americano William Thomas si rivelasse corretto, potremmo vedere lo scenario economico italiano del più prossimo futuro risollevato e dominato in modo indiscusso dalla piccola e media imprenditoria.

Pare infatti – lo rivela un’indagine condotta da Coldiretti in collaborazione con Swg – che il 71% degli italiani ritenga determinante il contributo dell’imprenditoria locale per la ripresa del Paese, contro un minoritario 45% che, invece, riserva il ruolo di protagonista ai grandi gruppi imprenditoriali.

Entrando un po’ più nel dettaglio, apprendiamo che i centri economici propulsori della spinta al superamento della crisi saranno, nelle percezioni, soprattutto a carattere locale (42%), piuttosto che nazionale (14%), anche se il 21% degli italiani ritiene fondamentali entrambi i livelli e 13%, al contrario, considera irrilevanti tali differenze dimensionali.

A guidare la risalita sarebbero, poi, i settori maggiormente radicati sul territorio, dunque quelli che più difficilmente potrebbero subire un processo di delocalizzazione: in primis il turismo (70%), subito seguito da agricoltura (56%), artigianato (52%), industria (49%), servizi (47%), commercio (46%) e finanza (31%).

Concentrando poi, ovviamente, la propria attenzione sul settore agricolo, Coldiretti sottolinea come esso venga considerato importante soprattutto con riferimento alla produzione di alimenti utili per l’immagine dell’Italia al di fuori dei propri confini territoriali, opzione che ha ottenuto il 45% dei consensi; per il 40% degli italiani la rilevanza del settore deriva, invece, dal suo essere garanzia di sicurezza e qualità, contro un 35% che lo considera necessario alla salvaguardia delle tradizioni locali e un 27% che ne vede le forti possibilità in termini di difesa del territorio e dell’ambiente.

Ecco allora che, per garantire la salubrità e la sicurezza dei prodotti alimentari, forte sembra essere soprattutto, secondo gli italiani, il peso dei produttori agricoli (56%), contro un residuale 11% riferito alle industrie alimentari e contro un 9% attribuito alla grande distribuzione.

L’indagine è stata predisposta in occasione dell’“accordo post-moratoria per il credito alle Piccole e Medie Imprese (PMI)” ed è stata presentata nel corso dell’incontro tra i Presidenti della Coldiretti, convocato dal Presidente Sergio Marini per il 15 e 16 febbraio a Roma, nelle sede di Palazzo Rospigliosi.

Come preannunciato nelle scorse settimane, infatti, l’intesa raggiunta il 16 febbraio a Palazzo Chigi ha allungato di altri sei mesi, fino al 31 luglio 2011, la possibilità – prevista dall’Accordo Comune siglato il 3 agosto 2009, quindi nel pieno della crisi – di accedere alla moratoria di un anno sui debiti maturati. Confermata anche la possibilità, per le imprese che hanno già usufruito della moratoria, di allungare a due anni la durata dei crediti chirografari e a tre anni la durata di quelli ipotecari, purché riferiti ad aziende sane. Le imprese potranno, infine, coprirsi dal possibile rischio tassi: «è molto semplice e il tasso rimane lo stesso se c’è una copertura del fondo di garanzia», ha detto la numero uno degli industriali, Emma Marcegaglia, sottolineando, inoltre, come la mortoria – alla quale «hanno aderito 190mila imprese per un controvalore di 56 miliardi» – abbia «permesso alle aziende con difficoltà finanziarie di andare avanti e di non avere crisi di liquidità» e come il nuovo accordo rappresenti «uno strumento importante che aiuterà le imprese in un momento ancora complicato. Ci aspettiamo un’ulteriore, massiccia adesione a questo strumento».

Anche Giorgio Guerrini, presidente di Rete imprese Italia, ha espresso «soddisfazione per interventi che accompagnano le imprese fuori dalla crisi», mentre Giuseppe Politi, Presidente di CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), spiega come «con la nuova moratoria dei debiti si evita il crac per 25mila piccole e medie imprese agricole»: «l’allungamento da due a tre anni dei tempi di ammortamento del debito per le imprese che hanno avuto accesso alla precedente moratoria fornisce ulteriore ossigeno finanziario a chi è ancora in difficoltà. Mentre la proroga di sei mesi per i nuovi finanziamenti è destinato alle Pmi che non hanno richiesto in passato le agevolazioni, [tale allungamento] è un aiuto importante per quelle aziende che hanno superato la fase più acuta della crisi e ora vogliono riprendere il percorso di sviluppo, agganciando la ripresa».

In una nota ufficiale sul sito di Coldiretti si apprende, a tal proposito, che ben il 14% delle 190 mila imprese che hanno ottenuto la moratoria nel periodo compreso tra il 3 agosto 2009 e il 31 dicembre 2010 sono di tipo agricolo. Stando ad un’analisi approfondita della confederazione, sarebbero, dunque, oltre 26 mila le aziende agricole interessate da tale istituto giuridico, riflettendo un buon livello generale di crescita negli investimenti e impieghi bancari in questo settore (aumento di 4,8 punti percentuali nel 2010, contro una contrazione dello 0,8% negli investimenti relativi al settore commercio-servizi e contro una riduzione del 4,9% in quelli riferiti all’industria). Complessivamente considerate, pare che le risorse bancarie a favore delle piccole e medie imprese in Italia siano state, nell’ultimo anno, superiori rispetto agli anni precedenti, con aumento attestato intorno al 4%, di poco inferiore a quello rilevato per Francia (5,4%), ma decisamente al di sopra di quello 0,3% riferito al tasso di riduzione degli investimenti in Germania (malgrado il PIL in forte crescita).

Oltre alle dinamiche, ricorda ancora Coldiretti, “sono mutate le durate delle consistenze, ovvero il trend di crescita dei finanziamenti con durata superiore ai 5 anni”, i quali hanno registrato aumenti attorno ai 4 punti percentuali, “mentre gli affidamenti con durata inferiore ai 5 anni d’ammortamento hanno drasticamente subito una frenata”, con cali del 4.4%.
Coldiretti ha segnalato, inoltre, con toni entusiastici, un’inversione di rotta per il valore aggiunto in agricoltura, il quale torna a salire e chiude il 2010 con segno positivo, dopo il crollo del 3,1 per cento dell’anno precedente. Secondo i dati Istat, infatti, il Pil, espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2000, è aumentato dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1,3% rispetto al quarto trimestre del 2009 e questo aumento congiunturale sarebbe proprio “il risultato di un aumento del valore aggiunto dell’agricoltura e dei servizi e di una diminuzione del valore aggiunto dell’industria”. Per l’agricoltura nel 2010 si è verificato, sottolinea la Coldiretti, “un leggero recupero dei prezzi alla produzione che in media hanno fatto registrare un aumento del 3,7 per cento nel 2010 per effetto soprattutto del recupero negli ultimi mesi dell’anno”. Reazione più cauta, tuttavia, quella di Cia (Confederazione Italiana Agricoltori), che ricorda come “il settore, pur in presenza di una crescita del valore aggiunto”, debba ancora fare i conti “con aziende oberate da onerosi costi produttivi, contributivi e burocratici; da prezzi sui campi non remunerativi e da redditi sempre più falcidiati”. Anche secondo Confagricoltura è presto per parlare di pieno recupero, visto che “l’ultimo trimestre del 2010 ha segnato una variazione positiva dopo due trimestri caratterizzati da variazioni congiunturali negative: -3,1% nel secondo rispetto al primo trimestre del 2010 e -1,2% nel terzo rispetto a quello precedente”.

La Coldiretti – non nuoce ricordarlo – con un milione e mezzo di associati, è “la principale Organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale e a livello europeo”: “una forza sociale che rappresenta le imprese agricole, radicata sul territorio, con 19 Federazioni regionali, 97 Federazioni provinciali e interprovinciali, oltre 724 uffici di zona e 5.668 sezioni periferiche con oltre ventimila dirigenti territoriali. La presenza sul territorio è accompagnata dalla crescente rappresentatività”, poiché “alla Coldiretti fanno capo il 69 per cento delle imprese agricole iscritte alle Camere di Commercio”.

È sua iniziativa particolare la realizzazione di una “Filiera agricola tutta italiana”, capace di valorizzare le identità locali, di dare dignità e titolarità sociale alle imprese agricole, generando, per questa via, un reale sviluppo economico, accompagnato da un miglioramento del benessere generale. L’obiettivo sembra essere quello di eliminare la rete d’intermediazione, per arrivare ad offrire – “attraverso la rete di Consorzi Agrari, cooperative, mercati di Campagna Amica, agriturismi e imprese agricole” – dei prodotti alimentari completamente italiani, “firmati dagli agricoltori al giusto prezzo”, i quali “ci mettono la faccia in modo che il consumatore possa conoscere chi produce ciò che mangia”.

«Nel territorio ci sono le leve competitive del Paese», sottolinea il Presidente della Coldiretti Sergio Marini, commentando i risultati dell’indagine riportata, e da più parti ci si è soffermati sull’importanza simbolica, ma non solo, di quando rilevato, possibile preludio di uno sviluppo economico nel settore agricolo particolarmente attento alla qualità, alla salute e alla sostenibilità. «Siamo fieri dei risultati che mostrano come i consumatori comprendano lo sforzo dei produttori per garantire alimenti sicuri, che è la priorità di tutti gli operatori del settore», commenta Luigi Radaelli, Presidente di Agrofarma, l’Associazione di Federchimica che riunisce “le imprese del comparto degli agrofarmaci […], prodotti chimici per la difesa delle colture dai parassiti animali e vegetali”. Egli sottolinea come un uso corretto degli agrofarmaci rappresenti oggi «l’unico modo di raggiungere questo obiettivo, in quanto sono lo strumento per proteggere le colture dalle malattie e dai parassiti che colpiscono i raccolti» e per «garantire la qualità degli alimenti e mantenere una corretta igiene alimentare».

Che si tratti di realtà o di semplice supposizione, la strada verso la ripresa sembra percorrere anche questa direzione, quella della percezione, e noi siamo pronti a scommettere che, da più parti, si stia sperando in una sorta di “profezia che si autoadempie” – per dirla nuovamente in termini sociologici, rubando questa volta la terminologia di Robert Merton – quindi “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”.

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Aumento delle imprese estere partecipate da quelle italiane

I dati elaborati dal Centro Studi Sintesi mostrano come le realtà aziendali italiane abbiano sfruttato i segnali di ripresa dei mercati internazionali, attraverso acquisizioni all’estero

I dati riportati sono quelli elaborati dal Centro Studi Sintesi, “centro di ricerca che si dedica da anni allo studio dei principali fenomeni di natura sociale ed economica, locali e nazionali”. L’intervallo temporale considerato è quello che va dal 2007 al 2009, quindi un periodo di piena, manifesta e generalizzata crisi economica. Ciò che stupisce è la fiducia dimostrata dalle piccole e medie imprese italiane nei confronti dei mercati esteri e delle possibilità che essi sembrano offrire.

Quasi duemila imprese straniere in più avrebbero aperto la propria realtà all’ingresso d’imprenditori italiani: cifre non eclatanti, ma comunque significative, segnale certo di un’evidente intraprendenza nella cultura aziendale medio-piccola. Stando ai risultati delle elaborazioni, infatti, le imprese estere partecipate da quelle italiane sarebbero diventate più di ventiduemila (22.715), con un incremento, rispetto al 2007 quando erano 20.896, di 8,7 punti percentuali. A trainare tale crescita è stata la Spagna, con aumenti intorno al 19%, seguita dal Sudamerica (+12,7%) e dai Bric (+11,7%), soprattutto India e Cina.

Rovesciando la prospettiva, ci si accorge, poi, che, nello stesso periodo, le imprese italiane a partecipazione estera hanno conosciuto un aumento di circa un centinaio di entità, pari all’1,2%. In questo caso sono i Bric, in particolare Brasile e India, i Paesi che maggiormente hanno contribuito a dettare il segno positivo, nonostante il fatto che l’80% delle 7.608 imprese italiane a partecipazione estera faccia capo a investitori provenienti da UE e Stati Uniti.

Elaborando i dati Reprint-Politecnico di Milano e Ice, il Centro Studi Sintesi ha, inoltre, evidenziato le dinamiche a livello regionale nel grado di internazionalizzazione delle imprese italiane: nel 2009 l’incidenza maggiore di realtà estere partecipate da imprese italiane continua a registrarsi in Lombardia, dove si nota, nell’intervallo 2007-2009, un incremento del 4,1%, tuttavia la regione più vivace pare essere il Lazio, con una curva in salita del 18,5%.

«Rispetto all’universo delle imprese italiane i numeri sono ancora infinitesimali – sottolinea Catia Ventura, direttore del Centro studi Sintesima registrano una modalità organizzativa nuova, che vede protagoniste le medie e le piccole imprese che guardano alle medie. Si fa strada una modalità di fare export con intelligenza, si va all’estero non tanto e non solo per vendere ma soprattutto per presidiare mercati in crescita. È il caso della Cina: laggiù si va a produrre a costi minori ma si può diventare anche fornitori di imprese internazionali presenti in quel paese». Sempre secondo Ventura, si tratterebbe di un’«eccellenza organizzativa ancora circoscritta», nata dall’esigenza delle imprese, colte dalla crisi, di «intraprendere nuovi percorsi, anche se l’Italia è ancora indietro rispetto ad altri paesi». A tal proposito, osservando il tasso di internazionalizzazione nazionale – cioè il numero di imprese estere a partecipazione italiana ogni 100 imprese italiane con fatturato superiore a 2,5 milioni di euro – si è registrato dal 2007 al 2009 un certo decremento, fatta eccezione per il centro Italia, seppur la tendenza sia ora in risalita rispetto al 2008, quando si è toccato il punto più basso degli ultimi cinque anni. «Centro e sud Italia – sottolinea ancora Ventura – partono sì da valori più piccoli, ma la vivacità è evidente. In queste aree, in difficoltà anche dal punto di vista del contesto sociale, non sono mancate le aziende che hanno deciso di allinearsi a territori più votati all’internazionalizzazione, come nord-ovest e nord-est, dove il tasso di imprese estere partecipate da imprese italiane è salito di oltre il 3%». «Al sud – conclude Ventura – vanno destinate risorse e le ultime misure proposte dal governo possono andare in questa direzione. Bisogna utilizzarle per far crescere i veri germogli e non disperderle a pioggia. Al nord, invece, il sostegno più che finanziario deve essere di valore aggiunto: più servizi, più logistica, più infrastrutture immateriali. Perché per queste imprese proiettate verso la globalizzazione vanno garantite le stesse condizioni di partenza delle aziende tedesche».

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Nielsen: investimenti pubblicitari in aumento

Stando ad un’analisi di The Nielsen Company, nel 2010 si sarebbe verificato un generale incremento, rispetto al 2009, nel livello di pubblicità realizzato in Italia

Gli investimenti pubblicitari in Italia hanno chiuso il 2010 con un segno positivo. A rivelarlo sono le stime elaborate da The Nielsen Company, l’azienda con sede a New York, diffusa in oltre 100 Paesi e leader mondiale nell’offerta di misurazioni e informazioni marketing relative a consumer, retail, advertising, televisione, internet, mobile e altri media.

Ultimo trimestre brillante e l’anno chiude meglio del previsto” si legge in una nota ufficiale, dalla quale si apprende, in particolare, che nel 2010 l’aumento del livello di pubblicità nazionale è stato pari al 4,7%, dato ridimensionato ad un buon 3,8% se si considera anche la pubblicità locale e tutti gli altri veicoli utilizzati.

A crescere è stato principalmente l’advertising delle aziende che si occupano di largo consumo e distribuzione: tra i primi dieci settori in termini di spesa pubblicitaria, si è registrato un tasso di crescita del 14,0% per gli investimenti riferiti al settore della cura alla persona, un +13,6% per la distribuzione e un +10,4% per bevande e alcolici. Ritmi meno incalzanti, ma comunque positivi, nell’aumento del mercato pubblicitario di tutti gli altri settori principali: alimentari +5,3%, toiletries +4,7%, abbigliamento +4,4%. Aumenti molto lievi, infine, per l’ambito automobilistico (+3,0%), per quello dei media e dell’editoria (+1,4%), per quello finanziario-assicurativo (+0,6%). L’unico a chiudere in leggero calo è stato il settore delle telecomunicazioni (-1,1%).

Sono cambiate, poi, le scelte aziendali relative alla pianificazione pubblicitaria; le aziende dell’abbigliamento, ad esempio, hanno diminuito del 4,3% la propria spesa sui periodici e del 12,1% la spesa nelle affissione, in un 2010 nel quale l’abbigliamento è diventato il primo settore per i quotidiani, con un aumento del 13,2% rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda il mondo delle automobili, si è assistito ad una forte riduzione della spesa su quotidiani (-12,7%) e periodici (-12,0%), alla quale ha fatto da contraltare l’incremento della spesa su internet (+16,5%) e tv (+7,6%), con un forte impatto, in particolare, della tv satellitare. Quello dei media e dell’editoria è diventato il primo settore per l’advertising in rete, scavalcando, grazie ad un aumento del 44,5%, quello finanziario-assicurativo.

Dal punto di vista dei mezzi utilizzati, le crescite maggiori rispetto al 2009 si sono viste nella pubblicità su internet (+20,1%), appunto, sul cinema (+12,2%), tramite direct mail (+10,3%), sulle emittenti radiofoniche (+7,7) e sulla tv via etere e satellitare (+6,0%); con riferimento a quest’ultima, l’andamento è stato particolarmente favorevole nel periodo compreso tra giugno e luglio grazie ai mondiali di calcio. La stampa, pur chiudendo l’anno in negativo (-4,3%) – soprattutto a causa della contrazione degli investimenti su periodici e free press – ha registrato dei segnali di ripresa nell’ultimo trimestre dell’anno. Fondamentalmente stabili le stime per affissione, cards e transit.

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Attività di coaching in crescita nel contesto italiano

Una ricerca ICF-Pwc dimostra come tale professione sia cambiata nella forma, orientandosi più al business, e presenti un potenziale di espansione del 28%

Vengono salutati con particolare favore i risultati di una ricerca indetta dall’International Coach Federation (ICF) e diffusi proprio nel corso della Coaching Week (dal 7 al 13 febbraio), la settimana dedicata a far conoscere le potenzialità offerte in tutto il mondo da questa professione. Il programma in Italia comprende 80 eventi – tra seminari, workshop, conferenze, sessioni – realizzati in nove regioni tra cui Lazio, Puglia, Abruzzo, Sicilia, Sardegna, Lombardia e Campania, grazie anche alla collaborazione di 60 coach e di 35 partner (istituzioni, enti, associazioni, università).

ICF – che rappresenta “la più grande associazione professionale al mondo di coach, con 18.000 membri 104 nazioni” – opera con l’obiettivo primario di “sviluppare, sostenere e preservare l’integrità della professione nel mondo e di accrescere la fiducia del pubblico in questa professione”. Tale associazione, in collaborazione con Pricewaterhousecoopers – network internazionale operante in 151 Paesi con oltre 163.000 professionisti e “leader nel settore dei servizi professionali alle imprese con particolare riferimento alla revisione ed organizzazione contabile, ai servizi di consulenza direzionale e di supporto alle operazioni di finanza straordinaria, alla consulenza fiscale e legale – ha coinvolto 15 mila persone di 20 Paesi (tra Africa, Asia, Europa, Nord America e Sud America) in un’indagine approfondita sull’evoluzione mondiale del coaching.

Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di dare un confine semantico a tale attività professionale, grazie alla definizione che di essa è data da ICF: “un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita”. Stando ai risultati della ricerca, pare che oltre la metà dei partecipanti abbia conoscenza e sappia definire correttamente tale attività e in particolare l’Italia (dove l’indagine ha coinvolto 750 persone) sarebbe “uno dei paesi dove sono state registrate percentuali significative e dove viene attribuito un ruolo molto importante alle certificazioni e alle credenziali dei coach professionisti”, come spiega Giovanna D’Alessio, immediate past president dell’ICF. Il 34% degli italiani intervistati ha dichiarato di avere una conoscenza buona (8%) o discreta (26%) del business coaching. Il giro d’affari, che, a livello globale, “negli ultimi due anni aveva rallentato la sua crescita”, sembra quest’anno in aumento del 20% e nel contesto italiano pare attestarsi stabilmente intorno ai 15 milioni di Euro. Aumentano poi, sempre in Italia, i professionisti iscritti a ICF, i quali passano dai 250 del 2008 ai 400 di oggi, anche se a fare concretamente questo lavoro sarebbero almeno 800, con un livello di crescita costante: il 28% degli intervistati italiani ha dichiarato di voler fare coaching, seppur, a livello globale, la percentuale salga fino al 33%.

Esistono numerose scuole abilitate a fornire la formazione adatta a svolgere la professione; l’elenco completo delle stesse è disponibile sul sito di ICF (alla quale viene attribuito un ruolo fondamentale nel controllare l’accesso alla professione), tuttavia non bisogna dimenticare che a fare coaching godendo di reale credibilità sono prevalentemente top manager con alle spalle un’esperienza lunga e ad altissimo livello.

L’attività di ICF viene considerata fondamentale nello stabilire e mantenere standard professionali elevati (20%), nel fornire credenziali ai coasch professionisti (20%) e nello sviluppo di modelli guida per il coaching professionale. Ricorda Daniele Bevilacqua, Presidente di ICF Italia, come in Italia sia stato fatto “un percorso molto importante con l’elaborazione e il rispetto di un codice etico che garantisce gli alti standard dei professionisti e con una serie di credenziali di ICF che oggi sono diventate motivo di credibilità. Esite un training costruito ad hoc e fatto attraverso corsi in scuole che collaborano con diverse università, come per esempio quella di Castellanza o la Luiss, così come è necessario di aver fatto un numero di ore di coaching a clienti paganti prima di poter crescere nelle certificazioni.

L’83% dei coachee (colui che in un processo di coaching viene “allenato” al fine di migliorare le proprie performance) si dice contento del lavoro svolto, il 36% ne è rimasto molto soddisfatto e la percentuale sale velocissima al 92% quando il coach è certificato.

Sempre più usato e diffuso, quindi, il coaching pare aver cambiato pure la propria forma, orientandosi maggiormente verso il business: la ricerca di un miglioramento nelle strategie di business management rappresenterebbe, infatti, l’obiettivo considerato primario, nella cornice italiana (35%), per improntare un’attività di coaching. Allo stesso modo essa sarebbe importante per aumentare l’autostima e la fiducia in sé stessi (35%), per espandere le opportunità di carriera (34%) per gestire in modo equilibrato lavoro e vita privata (22%) e per ottimizzare le prestazioni individuali e di gruppo (17%).

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Riforma della disciplina condominiale

Il testo della proposta di legge approvata al Senato e in esame alla Camera intende colmare le lacune dell’attuale disciplina condominiale, inserendo numerose novità che di seguito vi elencheremo

Nella mattinata di mercoledì 26 gennaio è stato approvato al Senato il disegno di legge che, proposto dalla seconda Commissione permanente (giustizia) a firma di Franco Mugnai (Pdl), rinnova in 32 articoli la disciplina sul condominio: l’assemblea di Palazzo Madama ha dato il via libera al testo, con voto favorevole, per alzata di mano e in prima lettura, di Pdl, Lega e Pd, mentre i senatori dell’Idv e del Terzo polo (Fli, Udc, Api e Mpa) si sono astenuti. Affinché diventi legge a tutti gli effetti il testo dovrà superare, ovviamente, anche l’esame e l’approvazione da parte della Camera, dove, peraltro, è presente un altro disegno di legge presentato dalle file del Partito Democratico – più precisamente dall’onorevole Lino Duilio – disegno che, come vedremo, si allontana da quello approvato al Senato in pochi ma non trascurabili punti.

Tuttavia, cercando di ragionare in prospettiva, possiamo provare a cogliere gli aspetti più significativi della riforma, che “interessa oltre 40 milioni di italiani” (come si legge in una nota ufficiale) e che intende offrire un vero e proprio punto di svolta alle regole che sovrastano il vivere condominiale. Basti pensare al potenziamento dato al ruolo dell’amministratore, al quale corrisponde, per una sorta di moderna attuazione della teoria dei pesi e contrappesi, un parallelo rafforzamento del potere di controllo da parte dei condomini; si pensi, ancora, all’obbligo, previsto per gli amministratori, di iscriversi ad uno specifico elenco presso le Camere di commercio; si pensi, infine, all’importanza delle misure volte a “rendere più snella e trasparente la gestione condominiale” e a ridurre l’elevato grado di litigiosità presente attualmente tra condomini: le liti di questo tipo rappresentano, infatti, una delle principali fonti di contenzioso civile, perciò la riforma interviene proprio laddove è presente una reale e contingente esigenza.

Una disciplina più completa e analitica dei supercondomini e delle parti comuni”, stando alle parole di Elio Vito, Ministro per i Rapporti con il Parlamento, e certo, al di là di qualsiasi giudizio e di qualsiasi valutazione, la portata e la rilevanza del nuovo testo sono facilmente intuibili se si considera il fatto che esso, nel caso in cui diventasse concreto, andrebbe a riscrivere buona parte dei 22 articoli dedicati alla materia del condominio all’interno del Codice Civile (artt. 1117-1139, Capo II “Del condominio negli edifici”, Titolo VII “Della comunione”, Libro Terzo “Della proprietà”).

È stata sottolineata, in particolare, la volontà di porre rimedio alle numerose lacune o imprecisioni presenti nelle disposizioni del lontano 1942. Giusto per fare un esempio, ricordiamo come le eventuali infrazioni alle norme poste nel regolamento di condominio possano essere oggi sanzionate con il pagamento di una somma di denaro solitamente stabilita nel regolamento stesso, il cui importo, secondo l’art.70 del Regio Decreto 30/03/1942, N. 318 (Disposizioni per l`attuazione del Codice Civile e disposizioni transitorie), deve essere al massimo “fino a cento lire”, una misura decisamente obsoleta, sia nella forma, sia nella sostanza. Certo è lecito concludere che questo importo possa essere messo in discussione, stando al successivo art. 72 – che non include l’art. 70 tra gli articoli inderogabili – e che un regolamento di tipo contrattuale (approvato da tutti o predisposto dal costruttore del palazzo) possa, di conseguenza, prevedere sanzioni più alte; tuttavia i giudici si sono dimostrati incerti in merito a tale possibilità e una sentenza della Cassazione ha ribadito il principio secondo cui “il regolamento di condominio non può prevedere, per l’infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di importo superiore a lire cento” (Cass. Civ. 948/1995).Un intervento chiarificatore e di adeguamento all’attuale situazione italiana non può che essere, allora, salutato con favore: con le nuove regole la multa base salirebbe fino a 100 euro, che potrebbero arrivare ai 1.000 in caso di recidiva, ed è prevista l’eventualità di procedere con decreto ingiuntivo al fine della riscossione. A tal proposito, un’altra rinnovata disposizione sembra aver ricevuto apprezzamenti da più parti: stiamo parlando dell’obbligo di comunicare all’amministratore qualsiasi variazione dei dati anagrafici, di recapito o catastali, entro 60 giorni e in forma scritta, pena un’esposizione economica diretta da parte del condomino coinvolto, per il recupero delle informazioni. Tale procedura porrebbe rimedio alle difficoltà, spesso incontrate dall’amministratore, nel sapere con precisione chi sono i veri proprietari degli appartamenti ed eviterebbe di indirizzare eventuali decreti ingiuntivi contro le persone sbagliate.

Cerchiamo di entrare un po’ più nel dettaglio della questione per cercare di cogliere gli elementi di maggiore novità introdotti dal nuovo sistema.

Cambia innanzitutto l’ambito d’applicazione delle norme sul condominio (ad opera dell’art. 2, comma 1), attraverso l’introduzione dell’art. 1117-bis del Cod. Civ., il quale chiarisce come queste non si applichino esclusivamente in senso “verticale”, ma trovino applicazione “in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni”.

I compiti dell’amministratore, il cui periodo d’incarico si allunga da uno a due anni, sono specificati agli articoli 9, 10, 20, 26, 27, i quali prevedono una serie di dati e strumenti di conoscenza e di pubblicità che l’amministratore deve mettere a disposizione dei condomini, per consentire loro una reale valutazione delle sue qualifiche e del suo operato.

Egli è obbligato “ove richiesto” all’atto dell’accettazione della nomina, a presentare “una polizza di assicurazione a garanzia degli atti compiuti nell’espletamento del mandato”, “sotto pena di nullità della nomina stessa” (art. 9); certo l’inciso “ove richiesto” introduce in tal senso una deroga della quale si farà presumibilmente un vastissimo uso, visti i costi elevati delle polizze assicurative.

È stabilito l’obbligo (art. 9) per l’amministratore di agire, salvo espressa dispensa da parte dell’assemblea, per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro quattro mesi (un termine giudicato da molti troppo breve) dalla data in cui esse diventano esigibili, rispondendo dei danni a lui imputabili per il ritardo.

Se l’amministratore ora può, di fatto, scegliere come elaborare la contabilità, la nuova disciplina prevede (art. 11 che introduce l’art. 1130-bis del Cod. Civ.) che questa venga elaborata per cassa (somme incassate e pagate nell’anno) e per competenza (debiti e crediti maturati), che siano istituiti un registro con i movimenti, un riepilogo finanziario e una nota esplicativa e che i condòmini e gli inquilini abbiano diritto di vedere e fotocopiare (a proprie spese) tutti i relativi documenti, ricevute e fatture (da conservare “per dieci anni dalla data della relativa registrazione”). L’amministratore dovrà usare un conto corrente postale o bancario intestato al condominio (art. 9) e, a pena di revoca, dovrà convocare l’assemblea per l’approvazione del rendiconto entro 180 giorni dalla fine dell’esercizio (art. 10).

Per le deliberazioni ordinarie oggi, in seconda convocazione, serve la maggioranza dei presenti, che rappresenti almeno un terzo dei condomini e un terzo dei millesimi, mentre con la riforma sarà sufficiente avere gli stessi millesimi, anche se la maggioranza dei votanti corrisponde a meno di un terzo di tutti i condomini.

Stando all’art. 5, per le innovazioni (come l’installazione dell’ascensore), che vanno ora votate da metà +1 dei condomini e da due terzi dei millesimi, sarà previsto un quorum di metà +1 dei partecipanti all’assemblea e di metà del valore dell’edificio. Basterà poi la maggioranza dei presenti e un terzo dei millesimi per opere di sicurezza impianti e «salubrità» (termine considerato “ambiguo”) degli edifici, per eliminare le barriere architettoniche, per il risparmio energetico, per i parcheggi pertinenziali (cala la maggioranza richiesta), le antenne centralizzate (anche paraboliche) e le fibre ottiche.

Gli interventi per il risparmio energetico e le fonti rinnovabili potranno poi essere approvati con la metà +1 degli intervenuti in assemblea e almeno un terzo dei millesimi, senza ulteriori indicazioni: ora sono approvati a maggioranza semplice delle quote millesimali, con certificazione o diagnosi energetica, mentre quelli per la contabilizzazione del calore e la relativa ripartizione delle spese si votano “a maggioranza”, senza bisogno di documentazione.

Si potrà “sostituire” o “modificare la destinazione d’uso” delle parti comuni con il voto di metà +1 degli intervenuti in assemblea e di almeno due terzi dei millesimi, l’assemblea andrà convocata 30 giorni prima e la delibera sarà redatta con atto pubblico. Ora è necessaria l’unanimità (quasi mai raggiungibile) per disporre delle parti comuni e tale unanimità sarà ancora prevista per la vendita delle parti comuni.

L’inquilino voterà poi, salvo patto contrario, su tutto (non come ora solo sulle spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento), tranne manutenzione straordinaria e innovazioni. Diversamente da ora, sia a lui che al proprietario potrà essere richiesto per intero il saldo delle spese relative all’ordinaria amministrazione, in un regime di crescita delle garanzie per il condominio (art. 22).

Aumentano anche le tutele in materia di sicurezza: nel caso in cui vi fosse il ragionevole sospetto che strutture o impianti di un alloggio non rispettino le norme di sicurezza, l’amministratore, anche su ricorso di un solo condomino o inquilino, può chiedere un’ispezione nell’alloggio da parte di un tecnico nominato, in accordo con l’ispezionato (art. 7). I dubbi infondati vengono risarciti da chi ha chiesto l’ispezione: “in tal caso, se vi è stato accesso a proprietà individuali, il medesimo richiedente è tenuto, oltre che al risarcimento del danno, a versare al proprietario che ha subito l’accesso un’indennità di ammontare pari al 50 per cento della quota condominiale ordinaria dovuta dallo stesso proprietario in base all’ultimo rendiconto approvato dall’assemblea”. Si precisa inoltre che l’esibizione di documenti che provano la sicurezza delle opere o degli impianti non potrà salvare il proprietario dall’ispezione.

Non sono stati solo toni entusiastici quelli che hanno accolto il testo. Nel corso delle dichiarazioni di voto, tiepidi sono stati gli stessi commenti di Giovanni Legnini, senatore del Pd e primo firmatario del ddl, secondo il quale, pur trattandosi di «un significativo passo avanti», ci sarebbe voluto più coraggio introducendo «la capacità giuridica del condominio e le semplificazioni per l’istallazione di impianti di energie alternative sulle parti comuni degli edifici». «Il condominio – ha detto Legnini – è uno specchio delle virtù e al contempo dei vizi degli italiani e per questo serviva una seria riforma delle regole».

Particolarmente duro, invece, il giudizio di Giovanni De Pasquale, Presidente nazionale dell’Anaip (Associazione nazionale amministratori immobiliari professionisti): egli parla di una riforma «solo confusa nei principi e nella sostanza giuridica, un testo che crea solo più problemi e costi ai proprietari, agli inquilini e maggiori difficoltà agli amministratori».

Secondo, poi, Confedilizia – l’Associazione di secondo grado costituita nel 1945 da tutte le Associazioni territoriali dei proprietari di casa – si tratta di “una riforma di basso profilo, per nulla ambiziosa, di fatto inutile, ma che – foriera di nuovo contenzioso e sovraccarica di adempimenti cartacei – provocherà maggiori costi per i condòmini senza alcun beneficio per gli stessi”; “la fideiussione che potrà essere richiesta agli amministratori non è – ricordano i responsabili dell’associazione – una scoperta della riforma, che solo la ‘burocratizza’, tant’è che già esiste in molti condominii”. La riforma sarebbe, allora, “non al passo coi tempi”, soprattutto perché non è stata capace di recepisce la proposta, condivisa da diverse organizzazioni della proprietà e degli amministratori condominiali (tra cui Confedilizia ovviamente), “per l’attribuzione al condominio della capacità giuridica, proposta finalizzata a valorizzare l’amministratore di condominio e a facilitare i rapporti in ambito condominiale e con i terzi”.

In particolare viene lamentata la non chiara distinzione tra capacità giuridica e personalità giuridica, che avrebbe “indotto qualcuno a sostenere che, con l’introduzione di quest’ultima, si vorrebbe fare del condomino una società di capitali”: al contrario “attribuire al condominio la capacità giuridica per determinati atti vuol dire, semplicemente, riconoscere allo stesso la possibilità, per specifiche materie, di essere titolare di diritti ed obblighi”.

Tale distinzione sembrerebbe, invece, “ben chiara nella proposta di legge on. Duilio (ed altri) presentata alla Camera dei Deputati, la quale contiene appunto il riconoscimento al condominio della capacità giuridica, come previsto nella maggior parte dei Paesi europei”.

Anche su altri punti si gioca il possibile scontro tra i testi facenti capo ai due diversi rami del Parlamento: l’on. Duilio ha previsto, ad esempio, l’istituzione di un fondo di garanzia “al fine di assicurare un indennizzo ai condomini vittime di ammanchi o di irregolarità gestionali posti in essere dall’amministratore” e alimentato con una percentuale (pari al 4%) sulle loro parcelle; egli ha inteso, inoltre, offrire all’assemblea la possibilità di disporre delle parti comuni, deliberando non solo la permuta o il cambio di destinazione d’uso, ma anche la vendita delle parti comuni “a maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti i tre quarti del valore dell’edificio”.

Da entrambe le parti, tuttavia, si sottolinea l’imminente attuazione della riforma: «È un testo su cui lavoriamo da nove anni, contando anche le legislature precedenti. L’ampia condivisione ottenuta in aula al Senato mi fa sperare che i tempi possano essere brevi», sottolinea Mugnai; «si dovrà decidere se partire dal testo che arriva dall’altro ramo del Parlamento o costituire un comitato ristretto che tenga conto dell’uno e dell’altro testo», spiega ancora Duilio, ma «nel giro di un mese o un mese e mezzo la Camera potrebbe completare l’esame».

Entro breve, quindi, potremmo essere in grado di vedere implementato un intero nuovo sistema che cerca di adeguare la disciplina in materia di condominio alla nuova realtà economico-sociale, profondamente differente rispetto al periodo in cui furono varate le disposizioni ora vigenti. L’esito di un simile adeguamento non potrà che dipendere dalla “forma” definitiva che verrà data alla riforma e dalla contingenza delle diverse situazioni che di volta in volta necessiteranno di una sua messa in pratica.

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Istituito il Registro nazionale delle Imprese Storiche

Le imprese che operano nello stesso settore merceologico e ininterrottamente da più di 100 anni, possono chiedere l’iscrizione nel registro che sarà reso disponibile sul sito di Unioncamere

“Incoraggiare e premiare quelle imprese che, nel tempo, hanno trasmesso alle generazioni successive il loro patrimonio di esperienze e valori imprenditoriali”: questo lo scopo dichiarato, in una nota della Camera di Commercio di Ravenna, nell’istituzione e promozione, da parte di Unioncamere, del Registro Nazionale delle Imprese Storiche.

Il sistema camerale ha scelto, non a caso, di implementare un simile programma di valorizzazione in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, rivolgendosi, in particolare, a tutte le imprese di qualsiasi forma giuridica e operanti in qualsiasi settore economico, purché iscritte nel Registro delle imprese e attive da non meno di 100 anni, in modo ininterrotto, nell’ambito dello stesso settore merceologico. Si precisa poi che tale requisito temporale viene maturato al 31 dicembre di ciascun anno.

Le imprese che soddisfino i requisiti appena elencati e che siano interessate all’iscrizione al Registro nazionale – che sarà reso disponibile sul sito istituzionale di Unioncamere – devono presentare, alla Camera della provincia in cui hanno sede legale, la domanda d’iscrizione, utilizzando l’apposita modulistica, disponibile sul sito web della Camera di Commercio www.ra.camcom.it o presso l’ufficio Promozione e comunicazione della stessa Camera (Viale Farini 14, dal lunedì al venerdì dalle 8:30 alle 12:00).

Le domande dovranno essere presentate direttamente (o inviate a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento) a tale ufficio, oppure potranno essere inviate dalla casella di posta elettronica certificata dell’impresa alla casella protocollo@ra.legalmail.camcom.it.

Si sottolinea, inoltre, che tali domande potranno essere inviate entro e non oltre il 28 febbraio 2011 (per le raccomandate farà fede il timbro postale).

L’iscrizione, completamente gratuita, comporta l’invio, assieme al modulo, di una “breve relazione sulla vita dell’azienda dalla costituzione ad oggi, dalla quale si evinca, in particolare, la continuità storica dell’impresa”; di “copia della documentazione storica utile a dimostrare la data di avvio dell’attività o della costituzione, qualora queste non coincidano con quelle risultanti dalla visura camerale”; infine di “eventuale copia di pubblicazioni e/o documentazione storica, sulle origini e sulla storia dell’impresa”. Qualsiasi ulteriore materiale documentale di tipo storico o di rilevanza artistica (fotografie, disegni, rappresentazioni grafiche di marchi…) sarà considerato particolarmente importante ai fini dell’iscrizione.

L’iniziativa ha certo un intento prevalentemente celebrativo, ma non meno importante è, ciononostante, la sua valenza sociale nel promuovere una speciale e utilissima riflessione sui caratteri storici, culturali, politici e antropologici che denotano e connotano il sistema produttivo e imprenditoriale del nostro Paese. Un momento di approfondimento, quindi, in merito ai casi di successo del cosiddetto “made in Italy”, divenuto ormai simbolo di qualità, pregio e creatività.

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5 miliardi di finanziamenti dall’accordo R.ETE. Imprese Italia e Gruppo Intesa Sanpaolo

Lo scopo è di garantire il sostegno alle piccole imprese associate nella corsa verso la ripresa, puntando su flessibilità e valorizzazione delle specificità territoriali

Siglato l’accordo tra R.ETE. Imprese Italia – il soggetto unico di rappresentanza del mondo dell’imprenditoria diffusa nato “dall’unione delle cinque maggiori associazioni dell’artigianato, del commercio, dei servizi e del turismo” (Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confcommercio, Confesercenti) – e Gruppo Intesa Sanpaolo, per mettere a disposizione delle piccole e medie imprese un plafond di finanziamenti pari a 5 miliardi di Euro. Lo scopo, si legge in una nota ufficiale, è di “garantire pieno sostegno alle piccole imprese associate che, in un momento congiunturale ancora difficile, devono rafforzarsi ed essere pronte a cogliere i segnali di ripresa”.

A presentare gli estremi dell’intesa – che coinvolge 2,6 milioni di imprese, oltre 11 milioni di addetti e il 60% della forza lavoro italiana – sono stati Giorgio Guerrini, Presidente di R.ETE. Imprese Italia, Corrado Passera, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo e Marco Morelli, direttore generale vicario della banca, presso la sede di Intesa Sanpaolo a Roma, il 25 febbraio scorso.

Le parole chiave dell’intesa sono, stando alle parole dei suoi stessi promotori, flessibilità e, di conseguenza, rafforzamento dei legami con il territorio: “è un’intesa che si distingue per la valorizzazione delle specificità territoriali delle piccole imprese e per la flessibilità di risposta alle loro peculiari esigenze creditizie”, sottolinea Guerrini.

Si tratta, infatti, di un documento che definisce le sole linee guida, al quale dovranno fare seguito degli ulteriori accordi a livello locale, capaci di dare risposte concrete, contestuali e puntuali a realtà imprenditoriali spesso molto differenti tra loro. Si cercherà di orientare in modo efficace le imprese che si muovono nel microcontesto, mettendo loro a disposizione una rete di referenti locali, uno per ogni Provincia, che garantiranno la necessaria vicinanza alle imprese del territorio e un flusso costante di informazione circa le opportunità di lavoro e di crescita. Le strutture di area di Intesa Sanpaolo possiedono, infatti, ampia autonomia in merito alla possibilità di individuare soluzioni ritagliate su misura, su particolari esigenze; le oltre 5.700 filiali del gruppo sono, inoltre, dotate di un applicativo informatico che fornisce dati economici su ciascun contesto territoriale.

L’accordo rappresenta – interviene ancora Guerriniun segnale concreto di attenzione ai nostri imprenditori i quali, nonostante la crisi, non hanno perso la voglia di investire e di reagire alla congiuntura negativa. La strada per agganciare la ripresa passa da un impegno comune che deve vedere le banche impegnate a dare fiducia alla piccola impresa, a considerarla decisive per creare reddito, occupazione, nuova imprenditorialità“.

Con l’intento di migliorare la trasparenza nel processo di valutazione del credito e la conoscenza condivisa del business aziendale, Intesa Sanpaolo ha predisposto, poi, due semplici modelli di autovalutazione, che consentano alle imprese di valutare la propria situazione economico-finanziara e la sostenibilità delle proprie scelte imprenditoriali, e che aiutino loro ad avere maggiore consapevolezza circa le informazioni di potenziale interesse per i diversi soggetti che interagiscono con l’azienda (fornitori, clienti, consulenti); tali modelli di autovalutazione sono messi a disposizione delle imprese associate sui siti internet delle Associazioni di categoria che hanno sottoscritto l’accordo.

La volontà sembra essere, quindi, quella di migliorare il dialogo tra banca e impresa: “abbiamo costruito un’intesa fondata sulla collaborazione tra banca e impresa – sottolinea Morellidove i meccanismi di funzionamento di entrambe sono trasparenti e condivisi. Mettiamo certamente a disposizione di imprenditori e professionisti importanti risorse, ma soprattutto il nostro patrimonio umano e tecnico. Vogliamo individuare con le aziende reali obiettivi di crescita e raggiungerli grazie al lavoro comune sul territorio”.

Determinante, inutile dirlo, il coinvolgimento di Confidi: è stato creato un Portale Confidi, un’interfaccia web che consente ai Confidi convenzionati di monitorare l’andamento delle operazioni di finanziamento garantite.

R.ETE. Imprese Italia ha, infine, definito le priorità da dare, in questa fase congiunturale, alle azioni in capo alle imprese associate: sostegno al capitale circolante e a breve termine, ricapitalizzazione delle imprese, ristrutturazione del debito, sostegno alla liquidità. Un’opportunità, quindi, pensata in particolare per le piccole e piccolissime strutture il cui ruolo è fondamentale nel tessuto imprenditoriale del nostro Paese. “Non siamo fuori dalla crisi ma ci sono segnali positivi da cogliere e da valorizzare” ha detto Passera. “La crisi è stata drammatica e oltre ogni aspettativa, non era ovvio passarla e in Italia è andata meglio che altrove perché hanno tenuto le imprese, naturalmente con una forte selezione, e ha tenuto il sistema bancario”. “Siamo stati al fianco delle imprese italiane quando la crisi ha fatto sentire i suoi effetti più pesanti. Ci fa particolarmente piacere firmare un accordo che diventerà operativo in un contesto migliore rispetto a quello dei mesi passati. Oggi più che mai mondo del credito e mondo dell’impresa devono unire le forze per imprimere una svolta positiva al ciclo economico. Tutti sanno quanto le piccole e piccolissime imprese siano determinati per la crescita e l’occupazione nel Paese: Intesa Sanpaolo non farà mai mancare loro il necessario sostegno”. Occorre “lavorare sulla competitività delle imprese e sul sistema paese, tenere forte la coesione sociale e fare la riforma delle riforme: quella del processo decisionale”.

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Moratoria: le nuove misure anti-crisi

Proroga dei termini per accedere alla moratoria prevista dall’Avviso Comune, allungamento nella durata del mutuo, rinegoziazione dei tassi e spinta per la capitalizzazione aziendale

Mancano gli ultimi dettagli da definire, manca una concreta formalizzazione, manca una sigla ufficiale da parte dei promotori, tuttavia pare ugualmente considerevole la portata del nuovo accordo di massima raggiunto lo scorso 31 gennaio nel corso del tavolo tecnico convocato presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e coordinato da Andrea Montanino, dirigente generale del Dipartimento del Tesoro. La Marcegaglia lo aveva rivelato a margine dell’assemblea generale di Confindustria a Padova: «siamo molto vicini al nuovo accordo sulla moratoria dei debiti delle Pmi. È importante. Abbiamo avuto oggi una riunione e stiamo andando nella direzione appunto di avere una proroga di sei mesi della moratoria e anche verso la possibilità di allungare di ulteriori 2-3 anni i debiti su cui si è fatta la moratoria».

Un accordo “importante”, dunque, che ha inteso introdurre e definire delle ulteriori procedure e modalità di sostegno alle piccole e medie imprese, ancora ben lontane dallo sconfiggere la lunga scia della crisi internazionale. Ad essere coinvolte, oltre a Confindustria e Ministero dell’Economia, sono state anche Abi (associazione bancaria italiana) e tutte le associazioni produttive che rappresentano l’universo delle imprese e che fanno parte dell’Osservatorio permanente sui rapporti banche-imprese, quindi gli originali firmatari del cosiddetto “Avviso Comune” del 3 agosto 2009per la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio”.

Quattro, in particolare, sarebbero le novità introdotte dall’intesa.

Innanzitutto pare verrà prorogata di ulteriori sei mesi la possibilità – prevista dall’Accordo Comune per le piccole e medie aziende – di accedere alla moratoria di un anno, la cui scadenza era prevista in origine per il 31 gennaio 2011; in altri termini, le Pmi che non ne hanno ancora usufruito, avranno la possibilità, fino al 31 luglio 2011, di chiedere una moratoria di un anno sui debiti maturati. Già in precedenza (a inizio luglio 2010) era stata spostata di 7 mesi la scadenza del termine per chiedere la sospensione, passando, quindi, dal 30 giugno 2010 previsto nell’Avviso originario, al 31 gennaio 2011; tale scelta era stata a suo tempo salutata con particolare favore dal Presidente dell’ABI, Corrado Faissola, secondo il quale «il varo della proroga evidenzia l’efficacia dello strumento, che ha permesso di far fronte da un momento particolarmente difficile».

Le due proroghe sembrano voler “andare incontro all’esigenza di rendere pienamente operativa la sospensione dei finanziamenti e delle operazioni creditizie e finanziarie con agevolazione pubblica deliberata da numerosi enti pubblici”,

Vale la pena ricordare come i dati ufficiali dell’ultimo monitoraggio, che fotografa l’utilizzo dell’Avviso comune, segnalino 237 mila domande di sospensione pervenute al 31 ottobre 2010, 183 mila delle quali, “tenendo conto dei tempi di istruttoria (circa 30 giorni)”, sono state accolte, corrispondenti ad un debito residuo di quasi 55 miliardi di euro. 230 mila erano state, invece, le domande presentate dalle imprese al 30 settembre 2010 (per un controvalore complessivo di finanziamenti in essere pari a 67 miliardi di euro), 179 mila delle quali (54 miliardi) erano state accolte, sempre considerando i tempi necessari per l’analisi delle domande stesse. Nell’undicesima rilevazione, ad agosto 2010 le domande erano state 225 mila, per un controvalore di 66 miliardi di euro. La dinamica delle domande di moratoria sembra, quindi, mostrare un andamento in positivo, superando di gran lunga i dati rilevati con riferimento alle prime settimane di piena applicazione della misura: le domande pervenute al 31 ottobre 2009 erano state, infatti, circa 46 mila, 27 mila delle quali accolte, per un controvalore di 2 miliardi di euro in mutui sospesi

Il secondo aspetto toccato dall’accordo coinvolge, invece, quelle aziende che già hanno usufruito della moratoria, le quali potrebbero vedersi allungata di due o tre anni la durata del debito, con una rata più contenuta e a condizioni probabilmente differenziate a seconda del tipo di mutuo, ad esempio chirografario (detto di un finanziamento che, essendo di modesta entità, non viene garantito da un’ipoteca, ma semplicemente da un impegno del debitore attraverso sottoscrizione cartacea) o ipotecario.

Con riferimento specifico a questa possibilità di ottenere un’ulteriore dilazione dei termini per la restituzione del finanziamento, vale la pena sottolineare il fatto che il Ministero potrebbe decidere di coinvolgere la Cassa depositi e prestiti, allo scopo di fornire fondi alle banche affinché i finanziamenti protratti nel tempo avvengano a condizioni più favorevoli rispetto a quelle presenti sul mercato. La CDP è, infatti, una “Società per azioni a controllo pubblico: lo Stato [nella figura del Ministero dell’Economia e della Finanza] possiede il 70% del capitale di CDP, mentre il restante 30% è posseduto da 66 Fondazioni di origine bancaria”; il suo ruolo di sostegno alle PMI nell’attuale situazione italiana potrebbe rivelarsi, allora, particolarmente importante e rientrerebbe, certo, nel quadro della più ampia missione istituzionale che essa intende dichiaratamente perseguire, quella, cioè, di “finanziare lo sviluppo del Paese”. In alternativa si potrebbe scegliere di ricorrere al Fondo centrale di garanzia per le PMI, istituito, con Legge 662/96, presso il Ministero dello Sviluppo Economico, gestito dal Medio Credito Centrale, e avente lo scopo di “facilitare l’accesso al credito”: in questo modo l’allungamento del prestito potrebbe essere effettuato al tasso contrattuale e non al tasso di mercato.

Dal canto loro, alcune banche potrebbero mettere a disposizione delle imprese prodotti finanziari semplici per la rinegoziazione dei tassi: alle aziende che chiederanno il prolungamento, verrà, allora, data la possibilità (e in questo si esplicita il terzo tra i punti principali dell’intesa) di coprirsi dal possibile rischio tassi, chiedendo alla banca che ha sottoscritto il nuovo accordo di mettere loro a disposizione uno strumento finanziario per la rimodulazione del debito; in sostanza si tratterebbe di valutare l’ipotesi del passaggio da un tasso variabile ad un tasso fisso o eventualmente, come già accade per i mutui alle famiglie, ad un tasso variabile con “cap”, cioè con un limite massimo predeterminato oltre il quale il tasso d’interesse non potrà mai salire, anche nel caso in cui i tassi di mercato dovessero superarlo.

L’ultimo dei punti fondamentali trattati dall’intesa riguarda invece la riformulazione di una precedente disposizione, considerata troppo rigida, in materia di capitalizzazione aziendale: la banca potrà intervenire non più, come recitava il testo originario dell’avviso comune, con un finanziamento per un ammontare multiplo della somma messa a disposizione dall’imprenditore per la sua azienda, ma con un finanziamento che si collochi in un rapporto adeguatamente proporzionato con tale somma (un rapporto, quindi, anche del tipo uno a uno o persino un finanziamento pari alla metà del capitale apportato dall’imprenditore).

Viste le intense preoccupazioni che da più parti si erano sentite in vista dell’imminente scadenza del termine fissato al 31 gennaio, si pensa che le disposizioni definite in sede di formalizzazione dell’accordo avranno effetti retroattivi e si sta cercando di accelerare i tempi di tale formalizzazione (la firma dovrebbe avvenire entro le prossime due settimane), per arrivare alla quale sarà necessaria un’attenta valutazione da parte dei vertici ministeriali, dell’ABI e delle associazioni coinvolte (Casartigiani, Confederazione Italiana Agricoltori, Claai, Cna, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confedilizia, Confesercenti, Confetra, Confindustria e Legacoop).

Auspica, in particolare, dei tempi rapidi di approvazione Maurizio Fugatti, capogruppo del Carroccio in commissione Finanze alla Camera, esprimendo la propria soddisfazione per l’accordo che – ricorda – era stato «richiesto dalla Lega con un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Economia»: «in un periodo in cui tutti i settori produttivi sono stati messi a durissima prova, dare un riconoscimento alle nostre Piccole e medie imprese, che storicamente hanno fatto da traino all’economia del Paese, ci sembra d’importanza vitale»; «in questo modo – sottolinea – si eviterà di mettere a repentaglio l’equilibrio finanziario delle nostre imprese. La moratoria seguita alla grande crisi che ha colpito tutte le economie occidentali, è stata infatti uno strumento efficace per alleviare le tensioni finanziarie».

 

Anche R.ETE. Imprese Italia – il “soggetto unico di rappresentanza del mondo dell’imprenditoria diffusa” che “intende favorire la promozione e il consolidamento delle imprese come componenti fondamentali del sistema economico e della società civile, nonché il riconoscimento del loro ruolo a tutti i livelli di interlocuzione istituzionale e privata” – pare aver valutato positivamente l’accordo di massima raggiunto poiché, si legge in una nota, esso permetterebbe di “preservare il dialogo e il clima di collaborazione tra le imprese, il sistema bancario e il Governo che si è sviluppato in occasione dell’accordo siglato nel 2009”. Secondo Rete Imprese Italia “l’accordo prevede strumenti utili ad accompagnare gli imprenditori nel percorso di uscita dalla crisi, privilegiando iniziative di crescita e di sviluppo rispetto a operazioni di semplice copertura di perdite relative a finanziamenti pregressi”. Le uniche perplessità, pur non ulteriormente specificate, vengono espresse “sugli strumenti per il contenimento del rischio tasso”.

Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di capire quali siano le aziende che possono godere dell’agevolazione e della proroga e in quali termini: l’accordo di massima appena raggiunto prevede che tutte le altre condizioni di accesso all’Avviso Comune del 3 agosto restino invariate, così come le disposizioni della successiva integrazione del gennaio 2010 (Addendum) all’Avviso, riguardante l’estensione dell’accordo alle imprese agricole (“resa necessaria per garantire anche alle imprese agricole un adeguato sostegno finanziario”) e ai finanziamenti con contributo pubblico.

Di conseguenza gli interventi previsti sono (punto 2 dell’Avviso comune):

– operazioni di sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo;

– operazioni di sospensione per 12 mesi ovvero per 6 mesi del pagamento della quota capitale implicita nei canoni di operazioni di leasing rispettivamente ‘immobiliare’ ovvero ‘mobiliare’;

– operazioni di allungamento a 270 giorni delle scadenze del credito a breve termine per sostenere le esigenze di cassa, con riferimento alle operazioni di anticipazione su crediti certi e esigibili;

A queste operazioni l’Addendum ha aggiunto:

“- operazioni di allungamento a 120 giorni delle scadenze del credito a breve termine stipulato ai sensi dell’articolo 43 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 [relativo al credito agrario e peschereccio], perfezionato con o senza cambiali. Sono esclusi dalla misura i finanziamenti a breve di anticipazione dei premi comunitari.

Sono ammesse, più precisamente, alle operazioni appena descritte “le piccole e medie imprese – come definite dalla normativa comunitaria – con una situazione economica e finanziaria che possa provare la continuità aziendale ma che a causa della crisi presentino difficoltà finanziarie temporanee”; “in particolare, sono ammissibili le imprese che alla data del 30 settembre 2008 avevano esclusivamente posizioni classificate dalla banca ‘in bonis’ e che al momento della presentazione della domanda non hanno posizioni classificate come ‘ristrutturate’ o ‘in sofferenza’ ovvero procedure esecutive in corso” (punto 3 dell’Avviso comune). Deve inoltre essere rispettato un particolare “parametro della dimensione”: l’impresa dovrebbe avere meno di 250 dipendenti e un fatturato minore di 50 milioni di euro (oppure un totale attivo di bilancio fino a 43 milioni di euro).

Chiudiamo, infine, sottolineando i principali obiettivi (punto 1 dell’Avviso) che hanno spinto i promotori dell’iniziativa a varare queste misure, poiché sono proprio tali obiettivi che, pur all’origine di tutto, devono esser fortemente tenuti in considerazione nel valutare qualsiasi ulteriore passo a sostegno dell’attività imprenditoriale piccolo-media, contro il forte lascito della crisi: “favorire la continuità dell’afflusso di credito al sistema produttivo, fornendo alle Piccole e Medie Imprese, come definite dalla normativa comunitaria, con adeguate prospettive economiche, e che possano provare la continuità aziendale, liquidità sufficiente per superare la fase di maggior difficoltà a causa della crisi ed arrivare al momento della ripresa economica nelle migliori condizioni possibili”; promuovere il processo di patrimonializzazione delle PMI, “per le quali le tensioni sono particolarmente acute anche a causa della minore solidità finanziaria”.

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