Ristoranti 2.0: social e mobile come leva competitiva

Una panoramica delle molte potenzialità e funzionalità aggiuntive rese disponibili dalla rete e dall’innovazione tecnologica per gli operatori della ristorazione, grazie alle quali cogliere il feedback della clientela, rafforzare il rapporto di fiducia con la stessa e aumentare la portata virale della propria presenza

Terminate le vacanze estive, inizia per molti la durissima lotta al mantenimento dell’ottimale forma fisica raggiunta tra una nuotata e un pasto light. A questi consigliamo di non proseguire con la lettura, a tutti gli altri lanciamo un augurale invito a “far capanna” di quanto verrà detto.
Ristoranti, self-service, tavole calde e fredde, fast-food, slow-food: moltissimi sono, per dimensioni e caratteristiche, gli esiti imprenditoriali assunti dal settore ristorazione, come diversificati sono i gusti e le esigenze dei clienti e come continui sono gli spazi di innovazione offerti dal web e dalle nuove tecnologie.
La maggior parte dell’offerta italiana si concentra sui piccoli locali a conduzione familiare, i quali, non meno delle grandi catene internazionali, possono sfruttare la rete quale strumento di marketing e quale leva per un posizionamento competitivo nel mercato, capace di cogliere e rilanciare in modo fruttuoso il feedback della clientela. Come spesso avviene anche in altri comparti, molti sono gli addetti che ancora non sembrano aver compreso la portata benefica dei mezzi virtuali disponibili e che, anzi, approfittano della prima manifestazione di un rovescio di medaglia per gridare, indignati, allo scandalo. Affianco a simili resistenze anacronistiche, troviamo, poi, anche molti ristoratori che, pur non ponendosi in un rapporto conflittuale con la rete, non si sono dimostrati finora capaci di sfruttarne pienamente le potenzialità, limitandosi a considerarla una vetrina statica, piuttosto che uno strumento di reale interazione con i visitatori. Non manca, tuttavia, anche in questa circostanza, la schiera degli innovatori, composta da operatori tenaci e illuminati, in grado di riconoscere al Web un ruolo di primo piano per lo sviluppo del proprio giro d’affari e per la gestione della propria brand-reputation: non si tratta semplicemente di “farsi pubblicità” e di sfruttare un meccanismo di social commerce (aspetti comunque da non sottovalutare), ma soprattutto di diffondere e radicare, tra i clienti attuali e potenziali, la sfera valoriale che circonda la propria realtà ristorativa. Alcuni ristoratori ce la stanno mettendo tutta per far fruttare al meglio la propria presenza sui molti siti e portali dedicati, per trovare nuove vie alla riconducibilità e al riconoscimento collettivo della propria affidabilità.
Qualcuno ha riscontrato vantaggi dal pubblicare online il proprio menù. Questo rappresenta, infatti, uno dei principali strumenti di vendita per il ristoratore, poiché si presume debba raccontare la storia della propria cucina e l’essenza della propria arte culinaria e risulta, per questo, fondamentale nel processo di costruzione del brand; esso deve essere in linea con la filosofia aziendale, deve comunicare i valori fondamentali che si intende diffondere attraverso le pietanze e deve essere, per questo, gradevole d’aspetto e al tatto, intrigante, creativo, resistente e aggiornato. Materiali, grafica, coerenza di linguaggio e originalità nello stile sono elementi talvolta sottovalutati, eppure importantissimi nella loro funzione di stringere la mano al nuovo ospite e accoglierlo nella propria grammatica imprenditoriale. La forza di un simile messaggio può essere potenziata attraverso il trasferimento del menù nell’online (prestando attenzione alla leggibilità e usabilità di navigazione, evitando, ad esempio, la scansione del menù cartaceo), con il vantaggio dell’aggiornamento costante, con la possibilità di offrire delle offerte temporanee e di sfruttare i vari artifici resi possibili dalle piattaforme digitali, come il servizio di prenotazione (si veda, giusto per fare un esempio su tutti, il sito della Gastronomia Acciaroli, in provincia di Teramo). La maggior parte dei ristoratori è restia a pubblicare online i prezzi dei listini, tuttavia (sempre rispettando la coerenza con il proprio posizionamento nel mercato) un simile meccanismo potrebbe essere utile a rafforzare la trasparenza dell’azione imprenditoriale e dunque la fiducia che il cliente ripone in essa (si veda, ad esempio, il sito della vicentina “La Locanda di Piero”).
Tale azione imprenditoriale dovrebbe muovere le proprie basi a partire dalla consapevolezza che il cliente col quale ci si trova oggi ad avere a che fare ha cambiato radicalmente, rispetto al passato, le proprie abitudini di consumo alimentare, diventando un tantino più consapevole e soprattutto attivo nel processo di ricerca qualitativa e nella volontà di interagire, confrontare e dire la propria.
La ristorazione non è, allora, immune dal rigoglioso chiacchiericcio della rete, anzi il cibo rappresenta forse uno degli argomenti di conversazione più diffusi, sulla scia anche del successo popolare ottenuta dai numerosi format televisivi a esso dedicati. Moltissimi i siti di ricette visitati quotidianamente dagli utenti (si veda, ad esempio, la fortuna di pubblico ottenuta in forma crossmediale da Sonia Peronaci con Giallo Zafferano), moltissimi i portali di news del settore (come il network gastronomico facente capo a Dissapore Media ), moltissimi i blog di esperti, i forum di discussione, i social tematici e le mobile apps.
Una delle più recenti manifestazioni italiane di questa febbre gastronomica multimediale è la start-up fondata dal ventitreenne coreano naturalizzato italiano Guk Kim, Cibando, una sorta di comunità di intenditori e raffinati buongustai che seleziona e recensisce – tramite foto, video interviste e storytelling e avvalendosi di food blogger accreditati e di fotografi specializzati – numerosi ristoranti (nel senso più ampio del termine) italiani. Una scelta di naming non casuale, con un gerundio capace di esprimere l’approccio dinamico, attivo e in continua evoluzione al quale si punta. Un network dedicato interamente alla cosiddetta Food Experience, un’esperienza “che comincia prima della forchetta, dalla scelta del ristorante”, come sostengono i promotori, lanciando un chiaro suggerimento agli operatori della ristorazione, quello cioè di prestare attenzione non solo al processo di “vendita” e di sviluppo qualitativo, ma, prima ancora, a quello di comunicazione interattiva della propria presenza. Esso soddisfa, quindi, da una parte, le esigenze del ristoratore interessato ad aumentare la visibilità del proprio locale, grazie al passaparola della rete e, dall’altra parte, quelle degli utenti alla ricerca di un luogo in linea con i propri gusti.
Cibando ben si presta ad una fruizione in mobilità, per questo è stata sviluppata anche una pratica applicazione “trova ristoranti”, disponibile per iOS e Android, che unisce al contenuto informativo di alta qualità presente nella piattaforma web, le funzionalità aggiuntive della geolocalizzazione e, appunto, dell’esperienza mobile: per l’utente alla ricerca di un locale, sarà sufficiente disegnare sulla mappa un cerchio per delimitare geograficamente la search ed eventualmente selezionare la categoria di ristorante desiderata, il tipo di cucina e il prezzo. Applicazione e integrazione in una community di riferimento (profili Facebook, Google+ , canale su Pinterest  e su Youtube) garantiscono, infine, al network di Cibando un continuo tamtam mediatico e, dunque, una certa efficacia nella comunicazione. A ciò si aggiunge anche la scelta di dare corso ad una partnership con un’altra start-up di matrice italiana, CircleMe, un social network di recente realizzazione che vuole connettere le persone in base ai comuni interessi. Tale partnership ha riguardato la app di CircleMe e la sua funzionalità di planting, arrichita e resa più virale dalle Plant Guides, collezioni di plants (cioè di elementi e oggetti curati da terzi, appunto), una delle quali, “Restaurants in Italy“, è stata realizzata proprio da Cibando.
Di applicazioni per dispositivi Apple e Android, utili per trovare e recensire ristoranti (si veda, ad esempio, il successo, soprattutto oltreoceano, di Zagat il database dinamico messo a disposizione da iRestaurants, per memorizzare i ristoranti in cui siamo stati; la collezione di piatti prelibati messa a disposizione da Foodspotting; OpenTable per prenotare un tavolo; Restaurant Finder…) e per la condivisione di ricette e segreti di cucina (una su tutte: il motore di ricerca per ricette, Foodily), ce ne sono, in fondo, davvero tante e tutte sono potenzialmente utili a incrementare il business dei ristoratori: attraverso esse è possibile cogliere il feedback dei clienti, sapere cosa essi pensano della nostra attività ristorativa, correggere di conseguenza il nostro servizio, introducendo elementi nuovi in base ai suggerimenti ricevuti. Ringraziare per i commenti positivi e controbattere gentilmente ai giudizi negativi (forse la più grande controindicazione della propria presenza online) non sono operazioni superflue, al contrario contribuiscono ad allacciare un solido rapporto di fiducia con i nostri ospiti. Attraverso i molti strumenti digitali disponibili è spesso possibile anche risolvere alcune questioni logistiche legate al nostro agire imprenditoriale, come la gestione delle prenotazioni, e creare una community di riferimento, alla quale proporre periodicamente delle offerte o delle proposte tematiche capaci di stimolare la complicità e la stima a noi accordata.
Essere presenti sui canali sociali online più frequentati (Facebook, Twitter, Google+ per la condivisione di notizie, informazioni e valori; Pinterest, Flickr, Instagram, Youtube e Vimeo per sfruttare l’impatto evocativo di immagini e video; Foursquare, per godere delle potenzialità aggiuntive offerte dalla geolocalizzazione) e su quelli tematici (dal famosissimo TripAdvisor alle piattaforme più di nicchia come ilmangione, mondoChef, 2spaghi, Vinix, Foody e NewGusto) può essere, allora, utile per creare valore attorno al proprio nome e dunque anche per rafforzare lo spirito di appartenenza della nostra clientela.
Molte sono state, nelle scorse settimane, le dita dei ristoratori puntate contro i commenti anonimi lasciati dagli utenti sui siti di recensione online, considerati pericolosi e potenzialmente in grado di generare operazioni di ricatto, scambio e crowdturfing, di deviare gusti e scelte degli utenti e di soddisfare gli interessi particolari di alcuni operatori a discapito di altri. I primi risultati di un monitoraggio Fipe-Confcommercio, partito dalla Toscana, sembrano, inoltre, rivelare come un terzo delle recensioni presenti in rete siano false. Certo simili prassi vanno condannate senza eccezioni, tuttavia dare la colpa dei propri insuccessi imprenditoriali alle piattaforme web sembra – in linea di massima – una forzatura: alla base dello sviluppo positivo della propria online reputation vi è comunque – è bene ricordarlo – l’eccellenza nell’azione reale, l’inseguimento della massima qualità in tutti quei principi che rientrano nella nostra mission aziendale. Cercare di trasmettere al cliente o – meglio – all’ospite, il calore e il colore del proprio agire e impegnarsi per prolungare tale trasmissione al di là dei limiti spazio-temporali dell’esperienza diretta, grazie all’innovazione tecnologica, sembra essere, in definitiva, la “ricetta” vincente per una ristorazione che punti al pregio e al coinvolgimento duraturo.
Fonte: pmi-dome

Informazione e formazione. Tutto in 1minuto

Nasce il nuovo format editoriale, creato da Loft Media Publishing, basato sulla realizzazione di video dalla durata di 60 secondi, nei quali noti esperti del mondo digitale e imprenditoriale rispondono a precise domande

La rivoluzione digitale ha imposto una trasformazione rapida, radicale e quasi sicuramente irreversibile nell’interazione tra le persone, che ha sovvertito le tradizionali pratiche, per condurre ad un sistema comunicativo molti-a-molti, multimediale e globale, in cui a vincere è in primis un’ottica di tipo collaborativo. Il web 2.0 ha imposto a molte aziende di rivedere i propri modelli di business, di ideare, progettare, sviluppare prodotti e servizi in modo profondamente differente rispetto al passato, offrendo – tra le altre – una risorsa dal costo piuttosto basso e allo stesso tempo florida e vitale, la collaborazione: ciascuna mano imprenditoriale può attingere ad un bacino pressoché illimitato di talenti, per trarne idee e innovazioni anche di altissimo livello.
Alcune delle realizzazioni digitali più entusiasmanti attualmente in circolazione sono il risultato del lavoro di team composti da migliaia o forse milioni di individui (si pensi, molto banalmente, a Linux, a Wikipedia, a Youtube). Interi settori economici, tra i quali l’editoria, l’intrattenimento, i servizi finanziari, l’industria, stanno subendo una trasformazione vera e propria, spesso fondata sul principio della peer production. Da qui la critica costante alla rete, mossa da chi si erge a custode dei tradizionali (o meglio obsoleti) veicoli della conoscenza, gli unici – a detta dei “custodi” – in grado di garantire una diffusione qualitativamente apprezzabile. La rete sembra voler abolire, o perlomeno attenuare, i modelli imprenditoriali gerarchici, favorendo meccanismi di creazione fluidi ed eterogenei, che permettono a tutti di esprimersi piuttosto liberamente. L’ideale massimo al quale si aspira è quello di un’economia più partecipata, che Don Tapscott e Anthony D. Williams già nel 2006 definivano “Wikinomics”.
Resistere alla tentazione di innalzare anacronistiche barricate e anzi percorrere strade sempre nuove alla ricerca dell’innovazione, mettendo magari a frutto proprio quel frizzante capitale umano a disposizione nel web, sembra essere la sfida posta dalla virtualità a dirigenti e professionisti. Ed è proprio allo scopo di cogliere questa sfida e rilanciarla in una nuova formula – non wiki, ma comunque aperta – che pare muoversi l’azione della casa editrice (nel senso meno tradizionale del termine) milanese Loft Media Publishing, fondata nel gennaio del 2009 come frutto dell’esperienza maturata, nel corso dei tre anni precedenti, dai fondatori dell’associazione senza fini di lucro “Cedites” (Centro Studi per la Divulgazione della Tecnologia e della Scienza).
Degno di attenzione è in particolare il suo ultimo progetto, 1minuto.info, lanciato ufficialmente lo scorso giovedì 5 luglio di fronte alla platea del Social Case History Forum di Milano. Esso mantiene le sue radici nel solido deposito del sapere, facendosi in qualche modo carico della qualità di quanto veicolato, ma rinnega le classiche logiche di chiusura, allargandosi, al contrario, in un sistema interattivo e multicanale. Editoria, dunque, come sinonimo di cultura e conoscenza diffusa attraverso i valori della viralità e della liquidità, pur conservando alla base alcuni punti fermi – inevitabili per un’attività che possa dirsi appunto editoriale – come la garanzia di autorevolezza.
In cosa consiste 1minuto? 
Nel descriverla, i suoi promotori collocano la piattaforma a metà strada tra la formazione e l’informazione, pur chiarendo la distanza da “un sito di e-learning in senso classico”. “Risposte d’autore. In video”, si legge nell’intestazione della homepage.
In sostanza ci troviamo di fronte ad una raccolta organizzata di video lunghi un minuto (a volte – com’è inevitabile – si sfora di qualche secondo), nei quali alcuni tra i più accreditati esperti italiani del mondo digitale e imprenditoriale rispondono a delle domande inerenti il proprio ambito di competenza.
Per facilitare la ricerca, i contributi sono stati suddivisi in base a quattro tematiche o “Aree di conoscenza”: “ICT”, “Social Media”, “Ricerca e Innovazione” e “Startup e Impresa” e a tre “Livelli di conoscenza” (“Per principianti”, “Per professionisti” e “Per guru”).
I video attualmente disponibili sono circa un centinaio. Si tratta comunque – sostengono i promotori – di un numero destinato a “crescere esponenzialmente, poiché chiunque può sottoporre una nuova domanda o candidarsi per identificare l’esperto adatto e filmarne la risposta, che verrà poi elaborata e pubblicata dalla redazione”.
Un progetto tutto italiano che sfida Wikipedia sul suo stesso terreno, ma con regole diverse”. “Un modo nuovo di trasmettere la conoscenza in un’era in cui a maggior parte di noi ha poco, pochissimo tempo a disposizione per imparare”, si evidenzia. Su 1minuto “rispondono solo persone che non hanno un interesse economico nel farlo”, si legge ancora nel sito: “professori universitari e ricercatori, consulenti indipendenti e analisti di mercato…” che hanno accettato “di raccontare in un solo minuto quello che di solito raccontano in due ore di lezione, in un’ora di intervento in un seminario, in una giornata di formazione professionale”.
Nei 6 mesi che hanno preceduto il lancio ufficiale del progetto, la redazione di 1minuto ha coinvolto molti tra i più noti esperti italiani dei settori di riferimento, da Carlo Alberto Carnevale Maffè a Umberto Bertelè, da Marco Zamperini a Stefano Quintarelli, passando da Alfonso Fuggetta, Davide Casaleggio, Giorgio De Michelis e Leonardo Bellini.
Qualcosa di simile era già stato fatto da Jacopo Paoletti e Maria Petrescu con Intervistato.com  e annesse “rubriche” StartupID e 10minuticon. Alla base vi è cioè l’idea di diffondere le informazioni in modo libero, di sperimentare in modo concreto il concetto di social journalism, dove l’utente finale può entrare a pieno regime nel sistema di produzione dell’informazione stessa, proponendo domande e esperti da contattare.
Un’idea che esprime il potenziale della piattaforma nel senso del crowdsourcing, l’attività di esternalizzazione della creatività. Tuttavia si sottolinea come il coinvolgimento dell’utente nell’atto produttivo non sia casuale, l’intento sembra essere cioè quello di raccogliere il più ampio numero possibile di stimoli dalla rete, attraverso i molti canali resi disponibile dalla multimedialità, operando però su tali stimoli una valutazione e dunque selezione, capace di esprime e veicolare la mission e i valori e aziendali. In questo passaggio risiede forse l’abilità imprenditoriale dell’editore illuminato. Rete dunque non come overload informativo, ma come fonte cui attingere per cogliere umori, esigenze conoscitive, suggerimenti, iniziative effettive. “Noi crediamo” – si legge sul sito – “che il crowdsourcing, la partecipazione collettiva alla creazione della conoscenza sia una gran cosa. E ci piace. Ma crediamo anche che ci siano cose a cui non tutti sanno rispondere”: “1minuto.info ha scelto quindi di selezionare domande capaci di sollevare l’interesse di un gran numero di persone (o almeno, così ci auguriamo) e di trovare per ognuna di esse non un esperto qualunque, ma quello che a quanto ci è dato di sapere è la persona giusta per rispondere”.
Si muove invece in direzione del pieno crowdsourcing, pur con una logica promozionale alla base, un contest lanciato sulla pagina Facebook della piattaforma, “1 Minuto Video Contest”, con tanto di hashtag #1MVC, da usare per diffondere i contenuti rientranti nel concorso: in pratica si chiede agli internauti di raccontare in un video “Cosa faresti in 1 minuto da non dimenticare mai”. I partecipanti avranno tempo fino al 21 ottobre per accumulare like, share e commenti, alla fine il contenuto dalla portata maggiormente virale sarà premiato con ben 3.000 euro.
Un concetto di marketing dunque piuttosto nuovo, che cerca nella sperimentazione la sua strada principale. Stesso discorso vale per la scelta, all’interno del sito, di rendere visibili alcuni elementi accessori ai video (trascrizione scritta della risposta, biografia dell’esperto che parla) solo dopo che l’utente abbia condiviso il video su uno dei propri canali social.
Social journalism e crowdsourcing, dunque, ma non solo: il format creato per 1minuto sembra voler fare propri molti dei fenomeni che attualmente animano la rete, unendoli in una formula del tutto originale. Esso rilancia, ad esempio, il successo dei servizi di Q&A, rappresentati in Italia dall’arcinoto Yahoo! Answers e, più recentemente, da Responsa, una soluzione Saas che permette di inserire nel proprio sito un sistema di domande e risposte, appunto. Nel contesto statunitense il rimando è a Quora, social network strutturato sul medesimo meccanismo. In parte 1minuto potrebbe, allora, colmare, limitatamente alle tematiche trattate, l’assenza di una soglia qualitativa sui contributi inseriti dai fruitori di tali servizi Q&A, concentrandosi esclusivamente sull’esigenza di soddisfare bisogni informativi reali e concreti.
Altra tendenza raccolta dal nuovo format di Loft Media Publishing è la miniaturizzazione dell’informazione. Quest’ultima viene ora resa disponibile in pillole singole e piccolissime, che comunque si dimostrano esaurienti. Conseguenza diretta di questo è la ricerca di una specificità sempre più spiccata negli argomenti di volta in volta trattati: in un minuto non ci si potrebbe di certo permettere un eccesso di argomentazione, per questo si punta a colmare precise lacune conoscitive.
Poi la creazione di una fidelizzazione, attraverso l’arma dell’aspettativa: 1minuto – si legge nel sito – “si arricchirà di 2 nuove risposte ogni settimana: il lunedì e il giovedì, alle 9 di mattina in punto”. Infine l’ottima fruibilità consentita dalla piattaforma: contenuti video veloci e arricchiti da un sistema di catalogazione e tag che agevola la navigazione. All’interno dei singoli contributi audiovisivi, inoltre, ricorre un artificio grafico decisamente efficace, una sorta di conto alla rovescia, che, oltre a offrire efficace riconoscibilità al format, spinge inevitabilmente l’utente a interrogarsi sul “Ce la farà in un minuto?”.
Insomma gli ingredienti per decretare il successo di questa nuova piattaforma fondata sul “poco ma buono” ci sono tutti, ora non rimane che vedere quale sarà l’accoglienza riservatale dal popolo virtuale e a quali sviluppi condurrà.
Per comprendere maggiormente il retroscena e la portata innovativa del progetto, abbiamo posto alcune domande a Paolo Conti, amministratore delegato di Loft Media Publishing e ideatore di 1minuto.info le cui risposte potrete leggerle nell’articolo “1minuto.info. Intervista all’ideatore“.
Pubblicato su: PMI-dome

Il business sportivo? Be social. Be fit. Be gymmit!

Gymmit, la nuova piattaforma pensata per gli sportivi, promette innovative formule di gestione e divulgazione dell’attività sportiva professionale

Un nuovo paradigma del benessere, in linea con i più attuali fenomeni sociali. Un approccio inedito all’amministrazione e alla promozione dell’attività di quanti intendono lo sport come la propria vocazione professionale. Un originale modello comunicativo, fondato sull’interazione diretta e integrata tra i diversi attori della filiera sportiva italiana.

In questo è racchiuso il potenziale innovativo di Gymmit, “il motore di ricerca/social network per sportivi e centri sportivi”, un “Social Wellness Network”, con tanto di slogan: “Be social. Be fit. Be gymmit!”.

La piattaforma appare piuttosto ordinata nella struttura, rendendo altrettanto intuitiva la fruizione. Essa è stata pensata sia per un’utenza generica – interessata a portare la propria passione per lo sport oltre i confini fisici di una palestra, di una piscina o di un campo da gioco – sia per un’utenza business, che può trarre vantaggi reali nella gestione della propria attività, grazie anche ad alcune funzionalità aggiuntive a pagamento.

Quattro sono, in particolare, i destinatari principali cui Gymmit intende rivolgersi. Le persone comuni che praticano o seguono uno o più sport possono, innanzitutto, conoscere altri sportivi con i quali condividere non solo interessi e obiettivi, ma anche “momenti di svago o di allenamento”, possono “restare in contatto con compagni di squadra e organizzare partite, incontri o eventi”. Attraverso la gestione di gruppi, squadre e partite e attraverso l’attivazione di un sistema di disponibilità e rispettive notifiche, viene agevolata la ricerca di nuovi amici o gruppi di amici, con i quali tradurre in forma concreta le comuni passioni sportive.

I professionisti dello sport (istruttori, personal trainer, fisioterapisti…) trovano nel network una via di autopromozione, un modo per farsi conoscere e rintracciare “dai centri sportivi e dagli sportivi che necessitano di aiuto nella preparazione atletica, nel dimagrimento o nella riabilitazione”. Essi possono, inoltre, divulgare liberamente la propria perizia, attraverso la stesura di articoli sulla materia e attraverso la partecipazione attiva e competente alle discussioni altrui, potendo sperare, così, in un ritorno in termini di immagine e credibilità.

Ai gestori di palestre, piscine, centri sportivi e SPA, poi, l’essere presenti potrebbe permettere di “farsi trovare facilmente dagli sportivi” e di divulgare le proprie attività, “amministrando i dati pubblicati sul sito, esponendo caratteristiche, categorie, contatti, fotogallery, mappa e molto altro attraverso un’interfaccia semplice ed intuitiva”. Il proprio centro viene reso disponibile in versione virtuale e social, in versione Web 2.0 insomma, moltiplicandone la visibilità e la fidelizzazione e stimolando, di conseguenza, la conversazione pubblica circa i fondamentali valori che si intende diffondere attraverso la propria iniziativa; la forza del passaparola, generato dall’apparato sociale sotteso alla piattaforma, dovrebbe permettere di aumentare i propri affiliati, convertendo gli utenti digitali in frequentatori reali del centro. Allo stesso modo ci si potrebbe, ovviamente, esporre alle critiche di quanti non si siano trovati bene nella nostra struttura, rendendo necessaria un’attività di monitoraggio costante della propria online reputation e di pronta risposta agli eventuali attacchi.

Gymmit agevola certamente la gestione amministrativa: tra i servizi aggiuntivi a pagamento, troviamo, ad esempio, la pubblicazione online, in modo semplice, immediato e autonomo, del calendario corsi (con informazioni su intensità, personal trainer, orari) e il controllo virtuale delle prenotazioni.

Il fatto che alcuni servizi richiedano un’esposizione economica da parte dei gestori di centri e palestre, non dovrebbe – secondo Davide Senatore, ideatore del progetto, socio fondatore di Ingenium s.a.s., premiato anche quest’anno, per ben tre anni di seguito, con il riconoscimento Microsoft Most Valuable Professional MVP – fungere da disincentivo alla piena diffusione della piattaforma, «in quanto si tratta di costi veramente limitati, se confrontati ai benefici che offre la piattaforma. Pensa ad esempio al costo che dovrebbe sostenere una palestra per attrezzarsi con una soluzione proprietaria di pubblicazione calendari su dispositivi mobili in modalità multipiattaforma! Inoltre considera che, investendo nel sistema, la palestra cresce al crescere del servizio, ovvero ogni nuova funzionalità sviluppata, sarà immediatamente disponibile per i centri abbonati. Noi crediamo che queste funzionalità vadano offerte in modalità SAAS, ciò Software As A Service, e per questo devono essere a disposizione di tutti. Del resto, se ci pensi, nessuno di noi produce in casa l’energia elettrica o il gas, lo acquistiamo da una azienda di servizi. Sarà così anche per il software nel prossimo futuro».

La potenziale forza della piattaforma risiede, tuttavia, per i gestori, soprattutto nell’opportunità di raccogliere il feedback della propria utenza di riferimento, consentendo di plasmare su esso la propria attività e di correggere, se necessario, la propria mission aziendale, riportandola sui binari della prosperità ed estendendo le vie promozionali da percorrere: si incentivano, ad esempio, meccanismi di invito, “referral”, che il centro può gestire autonomamente, offrendo vantaggi reali agli utenti che riescano a far atterrare nuovi contatti nel proprio centro virtuale; si rafforza, inoltre, il proprio branding, creando un forte senso di appartenenza alla struttura.

Quanti vedono nello sport la propria dimensione professionale sono liberi di sperimentare nuove forme pubblicitarie e comunicative attraverso la piattaforma, «con il massimo rispetto, però, della privacy e delle preferenze dell’utente», ricorda Davide. «È nostra intenzione sviluppare anche un sistema per “collocare” i professionisti all’interno dei centri sportivi. Pensa ad esempio quando un centro cerca un nuovo istruttore di spinning. Come fa oggi a trovarlo? Se il network permettesse di inserire delle Offerte di lavoro, si potrebbe creare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, cosa quanto mai importante visti i tempi che corrono».

Agli investitori pubblicitari specializzati nel settore sport, infine, Gymmit consente di “effettuare campagne pubblicitarie, pubblicare banner in home page o sponsorizzare eventi pubblici”, raggiungendo, per questa via, “un pubblico di sportivi di qualsiasi livello che sono sicuramente interessati ad acquistare prodotti o servizi sportivi”.

Lo sforzo ideativo alla base di Gymmit è da ricondurre – l’abbiamo accennato – ad Ingenium s.a.s., la società di consulenza informatica attiva dal 2010 nella provincia di Treviso, la quale professa “un mondo dove il software sia al servizio delle necessità di chi lo impiega, dove la tecnologia sia un mezzo per realizzare i progetti e soddisfare le richieste” dei clienti.

Il risultato di tale sforzo ideativo è stato, allora, un motore di ricerca che potenzialmente permette di consultare le schede di migliaia d’impianti sportivi italiani, ciascuna dotata di particolari caratteristiche e inquadrata in base alle attività che qui vi si svolgono, un sistema che consente di visualizzare i commenti e i voti lasciati dai frequentatori di tali impianti, di partecipare attivamente alla discussione e di arricchire con foto e mappe le varie schede. A tal proposito, si sottolinea come il sistema permetta l’integrazione e condivisione di parte dei dati appartenenti a Gymnasium System, il software di natura amministrativa “leader in Italia nella gestione delle aziende sportive” e facente capo ad INFORYOU S.r.l.

La collaborazione con INFORYOU «nasce proprio – rivela Davide Senatore – perché Gymmit offre servizi “aggiuntivi” rispetto alla piattaforma Gymnasium, estremamente potente e dedicata al mondo della gestione del centro sportivo». Del resto, prosegue, «INFORYOU è l’azienda leader in Italia per la produzione di software gestionale per impianti sportivi. Considera che è anche preferred vendor di Technogym». Non si escludono – evidenzia ancora Davide – altre fruttuose collaborazioni nel futuro: «Gymmit nasce come sistema aperto, con in mente l’integrazione e l’interoperabilità, per cui partnership con gruppi o con altri produttori di software, anche esteri, sono sicuramente possibili».

Al grande database che, in definitiva, compone Gymmit, si è cercato di conferire un valore aggiunto, proprio attraverso la partecipazione attiva degli utenti alla piattaforma; ciò che si intende promuovere è, infatti, il cosiddetto “Social Wellness”, ovvero “l’introduzione della componente sociale nello sport”: se in origine – sottolineano i promotori – l’attività sportiva svolta nelle palestre veniva associata al termine “Fitness”, dunque, “alla ricerca della forma fisica come fine ultimo dell’attività stessa”, a partire dalla metà degli anni Novanta si è diffuso il termine “Wellness”, legato alla “ricerca del benessere della persona non solo come forma fisica, ma più generalmente come benessere psico-fisico”. A tale concetto deve oggi necessariamente unirsi una dimensione “sociale dell’amicizia e dei rapporti interpersonali”, “Social Wellness”, appunto. Sport, quindi, inteso come confronto, come condivisione, come mezzo di conoscenza, come stimolo alla socializzazione e alla crescita sociale.

«L’idea di Gymmit – rivela Davide – è nata osservando il comportamento delle persone in palestra. Moltissimi non vanno, infatti, in palestra per aumentare la muscolatura o migliorare la forma fisica, bensì per trovare compagnia. Inoltre il centro sportivo da sempre agisce come “centro di aggregazione”, pensa ad esempio anche un centro di atletica o dei campi da tennis; i frequentatori spesso sono anche amici al di fuori del centro». Non solo: Gymmit promuove «la pratica di “nuovi” sport: ad esempio, io ho cominciato a praticare il kitesurf solamente dopo aver trovato una persona che me lo ha descritto. Ecco che il centro quindi può fungere anche da “centro di consulenza”, in modo che i frequentatori possano trovare tra le altre persone dei nuovi compagni di sport».

A tutto questo uniamo due ulteriori funzionalità che potrebbero decretare la fortuna di Gymmit: la registrazione e autenticazione integrata con Facebook, innanzitutto, che consente di raccogliere un maggior numero di adesioni, abbassando le remore e le barriere all’ingresso nel nuovo network; la possibilità, poi, di fruire della piattaforma in mobilità. All’indirizzo http://m.gymmit.com si trova il sito mobile, consultabile da qualsiasi dispositivo (iPhone, iPad, Android, Blackberry, Windows Phone) che supporti un browser di ultima generazione, compatibile con HTML5, e nell’Android Market è possibile scaricare direttamente l’app per il proprio dispositivo Android.

Guardando al futuro, inoltre, Davide annuncia l’intenzione «di estendere la parte mobile, dando ancora più funzionalità e accessibilità alle funzioni di prenotazione, grazie al Social Booking, ovvero una forma di prenotazione “sociale” che coinvolge gli amici nella prenotazione di una risorsa sociale, ad esempio un campo da tennis o un campo da calcetto». Molte sono, poi, evidenzia ancora Davide, le risorse investite «nello sviluppo di applicazioni per il nuovo Windows Phone, piattaforma nella quale crediamo moltissimo. Non ultimo, il progetto di portare in modalità multilingua tutta la piattaforma ci permetterà di rivolgerci anche all’estero».

La piattaforma sembrerebbe ben prestarsi all’integrazione con uno dei fenomeni che maggiormente ha avuto successo nel corso dello scorso anno, il social shopping, siti, cioè, che propongono offerte giornaliere e apparentemente esclusive per l’acquisto di prodotti e prestazioni: «in effetti – anticipa Davide – abbiamo un progetto di acquisto online dei servizi offerti dalle palestre, ma al momento è un’idea ancora da sviluppare. Abbiamo già però la possibilità di inserire avvisi e/o promozioni per raggiungere gli utenti “iscritti” al centro con le ultime offerte a loro disposizione. Direttamente sul loro smartphone!»

Ovviamente le migliorie da apportare al sistema ci sono, ma la loro precisa determinazione sarà possibile solo se e quando esso avrà acquisito reale diffusione presso il pubblico italiano. Attualmente, infatti, la piattaforma risulta ancora un po’ vuota, perciò ci auguriamo che il moltiplicarsi delle situazioni di presentazione pubblica del progetto (i promotori di Gymmit sono stati presenti alla Fiera Forum Club 2012, che si è tenuta a Bologna nei giorni 23-24-25 Febbraio 2012, presso lo stand di INFORYOU, e sono stati ospiti della trasmissione Smart&App, in onda su La3, il giorno 26 febbraio 2012 alle ore 17.00) apporti dei concreti benefici alla piattaforma stessa, attraverso il confluire di nuovo traffico utenti.

In fondo, sottolinea infine Davide, «Gymmit è un progetto che vive in rete ma non vuole far vivere in rete. Gymmit serve a portare la gente in palestra, alle palestre serve per farsi conoscere e fondamentalmente ha come obiettivo il “Social Wellness”. Pensiamo che una volta che le palestre ne comprenderanno la potenzialità, saranno loro stesse a promuoverne l’utilizzo».

Nemmeno il confronto con gli altri network sembra scoraggiare i promotori di Gymmit: «non temiamo Facebook, né Twitter, in quanto ci “integriamo” felicemente e ne impieghiamo le funzionalità. Considera infine che Facebook non svilupperà mai servizi dedicati alle palestre, per cui investire su Gymmit è sicuramente una scelta intelligente per tutte le Palestre, Piscine e Centri Sportivi!».

I nostri complimenti, dunque, a Davide e al suo team di lavoro per aver ideato e sviluppato un progetto davvero innovativo e certamente di possibile successo.

Pubblicato su: PMI-dome

Volunia: un progetto teso tra innovazione e criticità

La piattaforma tutta italiana, sviluppata da Massimo Marchiori e ora in fase di test, promette una “differente esperienza del web”, conciliando componente informativa e sociale della rete, ma non convince totalmente chi già l’ha provata

Non siamo di certo abituati a veder crescere in Rete, di giorno in giorno, le attese per la presentazione ufficiale di un progetto digitale che aspira ad essere potenzialmente rivoluzionario. Non se la paternità e il finanziamento dello stesso sono da attribuire interamente a menti e mani italiane. In questa capacità sta, forse, un primo merito di Massimo Marchiori, classe 1970, docente di Reti e Tecnologie Web dell’Università di Padova e noto nell’ambiente dei “cervelloni” (ma, da qualche giorno, non solo in quell’ambiente) soprattutto per aver ideato l’allora innovativo motore di ricerca Hyper Search – presentato nel 1997, a Santa Clara, nel corso della sesta conferenza internazionale del World Wide Web – e per aver contributo, con questi suoi studi, allo sviluppo dell’algoritmo alla base di Google.

È lui, infatti, il padre di Volunia, una sorta di nuovo motore di ricerca che promette una “differente esperienza del web”, frutto dell’omonima start up fondata nel 2008 assieme a Mariano Pireddu, l’imprenditore sardo dalla ventennale esperienza nel mercato delle telecomunicazioni e del web. Assieme a loro, protagonisti di questa avventura sono stati alcuni tra i migliori ex studenti dell’Università di Padova (e non solo), scelti dallo stesso Marchiori.

Massimo riserbo circa i dettagli della piattaforma, fino a lunedì 6 febbraio, quando è stata presentata in anteprima e in streaming mondiale, dalla sala dell’archivio antico di palazzo del Bo a Padova, e quando è stata data la possibilità ad una parte degli utenti registrati (i cosiddetti “Power User”) di accedere alla fase beta e lasciare il proprio feedback al team di Volunia.

Una presentazione – occorre sottolinearlo – certamente lontana da quelle di stampo Silicon Valley, fatta di ritardi, imprevisti, problemi tecnici, scuse e discorsi preliminari da parte delle autorità padovane. Un presentazione che, malgrado le aspirazioni internazionali (Volunia è disponibile in ben 12 lingue ed è già pronto per la fruizione mobile), è stata realizzata tutta in italiano, senza traduzione.

Il primo a prendere la parola è stato il Rettore, Giuseppe Zaccaria, il quale ha espresso l’orgoglio e “la soddisfazione grande dell’Ateneo per questa scadenza molto attesa” e per questo “momento di grande innovazione rispetto a dei processi che oggi formano la vita quotidiana delle persone in tutto il mondo“; un traguardo – sottolinea – frutto della “consapevolezza che vi sono delle potenzialità inespresse all’interno del web“; Zaccaria parla di “un segnale molto positivo” del fatto che anche qui in Italia vi è la possibilità “di fare bene“, “di cogliere le innovazioni e integrarle“, e del fatto che “i nostri ricercatori sono competitivi […] a livello europeo e internazionale, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno” in quanto a cervelli: “se dobbiamo invidiare qualcosa sono i finanziamenti e le strutture“.

A seguire, il Sindaco di Padova, Flavio Zanonato, ha elogiato il professor Marchiori e, in particolare, il suo “stile sobrio, semplice, il fatto di parlare con chiarezza e schiettezza ai giovani, di non piangersi mai addosso, di dire che bisogna darsi da fare“, annoverandolo tra una delle “formidabili eccellenze di Padova“, che l’intera comunità cittadina deve cercare di tutelare e promuovere.

Il Prorettore alla Ricerca Silverio Bolognani si è congratulato, poi, con Marchiori perché “ha voluto fare questa attività a Padova” e si è augurato che la sua condotta rappresenti “un esempio per il nostro sistema produttivo ed economico, un esempio di come si possa investire a medio termine sulla ricerca, che è una risorsa ricca che abbiamo, abbondante e preziosa“.

Infine, il Vicesindaco Ivo Rossi ha posto l’attenzione su un aspetto fondamentale del momento: “questa è una delle occasioni in cui la ricerca prodotta dalla nostra Università diventa impresa. Noi per anni abbiamo teorizzato la necessità di legare questi due elementi, di far crescere, quindi, anche l’economia del territorio, e oggi siamo nella presentazione di questa condizione che si realizza, tra l’altro in un segmento alto della conoscenza” e con vocazione internazionale; “questo nuovo motore – conclude Rossi – non è soltanto un nuovo motore di ricerca, ma è anche un motore generatore di nuova economia per la nostra città, così ci auguriamo“.

Liquidato con una battuta l’imbarazzo iniziale dovuto agli imprevisti tecnici (“qualcuno diceva: ‘È una presentazione storica’…anche perché: trovate un altro lancio mondiale con un inizio così! Resterà nella storia anche per questi imprevisti, per la suspense” creata) Marchiori è entrato, allora, nel vivo della presentazione e lo ha fatto, come vedremo, con un linguaggio ricco di metafore e similitudine (a cominciare dal paragone tra i problemi tecnici incontrati e lo stato generale della ricerca in Italia: “l’italiano è abituato agli imprevisti, però dopo ne rinasce più temprato di prima”; “una dimostrazione fattuale che poi noi alla fine dobbiamo sempre pensare oltre, aggirare l’ostacolo e da lì ci vengono, poi, le idee buone”).

Quella che vediamo oggi – ha premesso – è solo una parte del progetto”, che si è scelto comunque di presentare, per evitare, pare di capire, che a qualcun altro venga in mente di proporre un’idea simile, vanificando gli sforzi di ben tre anni di lavoro.
Ha cercato, poi, di sfatare il mito secondo cui Volunia rappresenterebbe una sorta di anti-Google: “in realtà […] non è così, anche perché Google è una forza” enorme, per “numero di server, personale” e utenti che unisce: sarebbe “follia per qualsiasi startup mettersi in competizione diretta”. Questo anche in considerazione di “come è proseguita l’evoluzione del motore di ricerca”, un’evoluzione solo parziale, che non ha portato a dei cambiamenti sostanziali nel suo funzionamento: “scrivo quello che voglio sapere, clicco e ho i miei dieci risultati”; “fare un motore simile o uguale a Google, come hanno cercato di fare tanti altri, poi fallendo […], non era la cosa giusta da fare”. “Quello che occorreva fare era cercare un punto di vista diverso”.
Forse motivato dall’intenzione di stupire il suo copioso pubblico, Marchiori ha proposto una curiosa “similitudine tra utenti web e galline”, per spiegare lo spirito con cui è nato Volunia: “vi vorrei parlare […], nonostante la sede molto ambiziosa, di galline […] perché siamo nel 2012” e questo sarà “un anno rivoluzionario per il mondo delle nostre galline”, dato che “una direttiva della comunità europea ha deciso che dal 2012 le galline non possono più essere allevate in gabbia”; “dopo anni di battaglia tutte le nostre galline finalmente sono state liberate” e, “ironia della sorte, è una decisione che la comunità europea aveva preso nel 1999“, periodo in cui sono nati i motori di ricerca.

Questo, dunque, in estrema sintesi, il compito che Volunia si è posto: liberate le galline del web, che “non volano” e “sono chiuse dentro gabbie“.

Cerchiamo di seguire il ragionamento di Marchiori.
I motori di ricerca sono nati per dare un ordine alla “marea informativa“, “alla complessità mostruosa” che è il web, offrono un aiuto concreto, ci permettono di compiere “un piccolo volo” orientativo, salvo farci atterrare, poi, di nuovo, in un ambiente complesso e ricco di difficoltà. Attraverso Volunia si è inteso offrire “una prospettiva più ampia“, poiché “se riesco ad alzare la prospettiva, riesco a capire meglio l’ambiente che mi circonda“, riesco ad avere “una panoramica dell’informazione“.
In questo si realizza la prima parte dello slogan scelto per accompagnare il progetto Volunia, “seek and meet”, quella relativa alla fase di ricerca nella rete.

Una barra in alto accompagna in ogni momento l’utente nella fruizione web, con l’intento di favorirne costantemente l’orientamento. Il sistema è in grado, inoltre, di generare in automatico, per ogni sito, una mappa, consultabile anch’essa in qualsiasi punto della navigazione, mappa che si presume essere piuttosto familiare, poiché riproduce una città tridimensionale, con tanto di case e palazzi rappresentanti le varie pagine, in perfetto stile “Sim City”. Si è resa disponibile anche una seconda forma di visualizzazione, a cartelle e, alle possibili imprecisioni derivanti dall’automatismo di creazione delle mappe, si è cercato di dare soluzione richiedendo l’intervento attivo dei proprietari dei siti web: “permettiamo agli utenti di prendere il controllo della mappa“.

Un’apposita sezione “media” seleziona per noi tutti i contenuti visivi, audio, video e documentali presenti nel sito o parte di essi (in relazione alle indicazioni da noi fornite nella query): essa offre una panoramica ad alto livello, ordinata secondo un criterio di presunta rilevanza, di tutti i contenuti multimediali del sito, offre “un’altra prospettiva“, permettendo, poi, di atterrare sulla pagina corrispondente al determinato contenuto di nostro interesse.

Rispetto alle funzioni di ricerca garantite dai più comuni motori di ricerca, Volunia vorrebbe, insomma, dare la possibilità agli utenti “di essere assistiti e di poter spiccare il volo in ogni momento”.

Passiamo ora alla seconda parte dello slogan, quella relativa al “meet”, all’incontro, alla dimensione sociale, per comprendere la quale è necessario – ci dice Marchiori – analizzare le tendenze più recenti presenti nel web, il cosiddetto “web 2.0 o “web sociale”: “le persone sono entrate a far parte del web“, ma “questo web 2.0 si è messo in antagonismo con il cosiddetto web 1.0“, poiché “da un lato c’è l’informazione e ci sono i motori di ricerca“, “dall’altro nel web 2.0 ci sono le persone” e “questi due mondi sono abbastanza separati, non sono mai stati integrati“, tanto che per poter sperimentare un’”esperienza sociale ricca e appagante” ci andiamo – prosegue la metafora – “a chiudere dentro a delle gabbie, che sono i siti sociali“.

Quello che si è chiesto di fare a Volunia è, allora, di “rompere questa barriera che si è creata storicamente, finora, tra l’informazione e la socialità delle persone“, attraverso l’attivazione di una funzionalità aggiuntiva chiamata “barra sociale”, la quale “unisce il mondo dell’informazione, i siti web che visitiamo, con il mondo delle persone“, in modo da poter sfruttare le potenzialità umane nascoste dietro le pagine di un web in realtà molto più ricco di come siamo abituati ad immaginarcelo. Volunia vuole, quindi, conclude Marchiori, “aprire la gabbia“, permettendo, in ogni momento della navigazione, di vedere “chi c’è attualmente e chi c’è stato” – a condizione, ovviamente, che l’utente abbia concesso di essere visto – e di interagire con la componente sociale del web, attraverso l’attivazione di legami virtuali (richiesta d’amicizia e possibilità di raggiungere i miei amici, ovunque essi siano) e di discussioni corali. Ogni punto della rete diventa, così, un punto di potenziale aggregazione.

Fin qui ci siamo concentrati sull’aspetto – per così dire – “promozionale” di Volunia, sul modo con cui i promotori del progetto hanno scelto di comunicare lo stesso al proprio pubblico di riferimento. La forza virale del messaggio veicolato e le eccessive aspettative hanno, tuttavia, imposto anche l’emergere di numerosi dubbi e critiche, tra i Power User, sulla presunta innovazione alla base della piattaforma, malgrado una certa prudenza sia comunque mantenuta, considerando la fase ancora di test.

Vengono innanzitutto contestate le scelte grafiche, di gusto discutibile e un tantino datato e l’interfaccia di base, eccessivamente caotica.

Ad essere soprattutto oggetto di critica sono, però, le molte problematiche rilevate in fase di ricerca di particolari termini: come sottolineato da Marchiori in conferenza, il sito indicizza, per ora, solo una minima parte della rete, rendendo di fatto molto difficile la corrispondenza dei risultati con le intenzioni dell’utente e ponendosi di fatto ad un livello qualitativo notevolmente inferiore rispetto ai competitors. Volunia, poi, utilizza la tecnologia iframe, che impedisce la visualizzazione di alcuni tra i più popolari siti web (Google, Facebook, Twitter, Youtube…), i quali hanno scelto, appunto, di non supportare tale tecnologia.

L’impossibilità di importare amici da Facebook o Twitter riduce, inoltre, l’aspirazione sociale del progetto, poiché, al di là della possibilità offerta di ricercare i propri amici, l’attivazione di legami dettati da incroci semi-casuali non permette certo la creazione di una struttura sociale solida. Altri interrogativi sono sorti in materia di privacy, anche se – garantiscono i promotori – sarà l’utente a decidere se e cosa condividere e i dati non verranno tracciati.

In attesa di conoscere i perfezionamenti che la fase beta porterà con sé e incuriositi dal modo con cui gli utenti comuni potranno accogliere la nuova piattaforma, non ci resta che rimandare il nostro personale giudizio e sperare di essere presto inseriti nella cerchia dei Power Users.

Pubblicato su: pmi-dome