L’Agcom fotografa l’Italia delle telecomunicazioni

Diminuiscono gli accessi alla rete fissa, aumentano quelli della banda larga e del traffico dati su rete mobile

“Fornire una visione di sintesi sul quadro congiunturale dei mercati TLC”.

È questo l’obiettivo dichiarato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) nel dare avvio alla pubblicazione di un “Osservatorio trimestrale sulle telecomunicazioni”.

Compiendo una serie di stime ed elaborazioni su dati forniti direttamente dagli operatori, l’Autorità metterà a disposizione delle imprese, dei consumatori e dei media una fedele fotografia del mercato, evidenziandone l’andamento, le tendenze e le forze competitive.

Nel comunicato stampa che presenta e formalizza la nuova istituzione si sottolinea come inizialmente le valutazioni siano basate “su un ristretto numero di indicatori (abbonati, ricavi, quote di mercato, etc.)”, lasciando intendere un futuro e progressivo affinamento nelle modalità di monitoraggio dei mercati di rete fissa e mobile.

Cerchiamo, allora, di comprendere la situazione delineata dal primo rapporto dell’Osservatorio, riferito al secondo trimestre 2011.

Si riducono, in generale, gli accessi alla rete fissa, mentre sembrano aumentare banda larga e traffico dati su rete mobile.

Entrando un po’ più nello specifico del fenomeno indagato e analizzando distintamente le diverse componenti del settore, si apprende che complessivamente, nel periodo considerato, gli accessi diretti alla rete fissa erano 21.264.000, dei quali 14.990.000 riconducibili a Telecom Italia e 6.274.000 ad operatori alternativi (OLO).

Questi dati risultano omogenei con quanto indicato nella tabella 2.15 della Relazione Annuale Agcom 2011, includendo, oltre agli accessi fisici Telecom Italia, anche gli accessi full unbundling (voce e dati), Dsl Naked e Fibra.

Rispetto al secondo trimestre dello scorso 2010, gli accessi totali si sono ridotti di 353.000 unità (erano 21.617.000, di cui 15.770.000 Telecom e 5.847.000 altri operatori): Telecom ha registrato in un anno una flessione pari a 780.000 accessi, mentre gli operatori alternativi hanno conosciuto un incremento di 427.000 accessi.

Di conseguenza, scende anche la quota di mercato riferita a Telecom (-2,5 punti percentuali), che passa dal 73% al 70,5%. Le uniche imprese a crescere in maniera abbastanza significativa nel periodo considerato sono Wind – con un +1,2% (da una market share del 10,1% nel 2010 a una di 11,3% nel 2011) – e Vodafone Italia – con un +1,1% (da 6,7% a 7,8%): esse si confermano rispettivamente come primo e secondo operatore alternativo di rete fissa. Seguono Fastweb (quota di mercato pari al 7,4% in lievissimo aumento rispetto al 7,3% rilevato nel 2010), Tiscali (1,9%, stessa percentuale del 2010), BT Italia (0,4%, come nel 2010) e altri (0,6%).

Restringendo la prospettiva ai soli operatori alternativi, l’Agcom evidenzia come le linee xdsl rappresentino la modalità di accesso diretto più utilizzata. A giugno 2011 gli accessi in unbundling (sia ULL sia VULL) hanno superato i 4.900.000, con un incremento di 315.000 unità rispetto a giugno 2010.

Al primo posto della classifica relativa alle quote di mercato dei soli OLO si colloca Wind (38,4%, in aumento rispetto al 37,2% evidenziato nel secondo trimestre 2010), seguita, in ordine decrescente, da Vodafone (26,5%, in crescita rispetto al 24,8% del 2010), Fastweb (25,2% contro 26,9% nel 2010, con un leggero calo), Tiscali (quota del 6,3%, in decremento rispetto al 2010, quando era del 7,1%) e BT Italia (1,4% contro 1,6% nel 2010, in lieve diminuzione).

Nel secondo trimestre 2011 gli accessi alla banda larga sono stati in totale 13.516.000, registrando un incremento di 664.000 unità rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in cui gli accessi erano 12.852.0000.

Aumenta, quindi, la velocità di accesso in download: negli ultimi dodici mesi gli accessi con velocità nominale pari o superiore a 2Mbit/s sono passati da quasi l’80% a quasi l’84%; tale variazione non appare, tuttavia, particolarmente significativa, se si considera l’estesa definizione di “banda larga” offerta da Agcom (2Mbit/s non rappresenta, infatti, un livello particolarmente elevato di banda larga).

Sempre con riferimento agli accessi a banda larga, è stata, inoltre, rilevata una riduzione della quota di mercato riferita a Telecom Italia (53,1%, contro 55,6% del secondo trimestre 2010, con un -2,5 punti percentuali), a vantaggio sostanziale di Vodafone (12,5%, contro 10,4% dello scorso anno, con un +2,1 punti percentuali) e Wind (15,6%, contro 13,9% del 2010, con un +1,7 punti). Gli altri operatori perdono circa l’1,5%.

Per quanto riguarda le linee mobili, quelle attive risultavano essere, nel secondo trimestre 2011, ben 91.132.000, in consistente crescita rispetto al dato (89.084.0000) riferito al secondo trimestre 2010.

Tale crescita sembra derivare principalmente dal sempre più intenso utilizzo di sim per il traffico dati: nel primo semestre 2011 il numero di sim che hanno effettuato traffico broadband dati è stato pari a 17.305.000, in aumento del 12% rispetto allo stesso periodo 2011, quando le stime parlavano di 15.445.000. Sempre a giugno 2011 le “connect card” dedicate raggiungevano quota 5.803.0000, registrando un incremento sulla quota riferita al 2010 (pari a 4.801.000) di 20,8 punti percentuali. Complessivamente il traffico dati sembra aver conquistato gli 85.189 terabyte da inizio anno e fino a giugno, con una dilatazione pari al 53,2% rispetto ai 55.600 terabyte riferiti al 2010.
Anche il traffico telefonico appare, nel primo semestre 2011, in aumento, precisamente dell’8% rispetto allo stesso arco temporale riferito al 2010, riuscendo a raggiungere gli oltre 65 miliardi di minuti; in rialzo del 6% anche il numero di SMS inviati, che arriva quasi a quota 44 miliardi da inizio anno. Risulta “prepagato” l’83,6% delle linee attive, con una leggera flessione rispetto a giugno 2010, quando la percentuale era dell’84,7%. Nel 2011 la clientela business è passata dall’11,8% al 12,3% del totale, arrivando a superare, in giugno, quota 11,2 milioni di sim.
Sale di circa un punto percentuale la quota di mercato mobile detenuta da Wind (che passa dal 21,6% del 2010 al 22,6% del 2011), a svantaggio, in particolare, di Vodafone (che passa, invece, dal 34,1% al 33,2%). Con il 34,3% di share (stabile rispetto allo scorso anno), è comunque Telecom Italia che si riconferma a capo del mercato mobile, mentre 3 Italia mantiene la propria quota del 10,0% (la stessa del 2010).
Crescono di anno in anno gli abbonati tramite Mobile Virtual Network Operator (MVNO: operatore virtuale di rete mobile), che arrivano a sfiorare i 4 miliardi (per la precisione 3.922.000): nel 2011 e rispetto all’anno precedente, questi operatori hanno visto incrementare di 795.000 unità le proprie linee d’utenza e sono riusciti a guadagnare complessivamente una quota di mercato pari al 4,3%. Il traffico consumato tramite MVNO aumenta, di conseguenza, del 25,7%, allo stesso modo gli sms inviati nei primi sei mesi del 2011 hanno conosciuto un incremento del 55,7%.

La fetta più grande del mercato MVNO è occupata da Poste Italiane, che, con un aumento di 5 punti rispetto al 2010 e grazie anche alla progressiva integrazione della telefonia mobile con i servizi postali, ha raggiunto una percentuale del 50,6%. Al secondo posto si colloca Fastweb (13,9%, con un aumento di 0,9 punti rispetto alla quota del 13,0% individuata nel 2010), poi seguono Coop Italia (10,8%, in diminuzione di 1,9 punti rispetto al 12,7% del 2010), Carrefour (6,3%, contro il 7,0% del 2010), Daily Telecom (5,4% contro 6,3%), e Erg Petroli (5,5% contro 4,6%).

Con riferimento, infine, alle linee telefoniche mobile portate, pare che esse abbiano raggiunto quota 32.821.000 a giugno 2011 (si tratta di un dato cumulato).
La procedura della portabilità del numero, lo ricordiamo, si sviluppa attorno a tre soggetti: l’utente che decide di cambiare gestore telefonico pur mantenendo il proprio numero, l’operatore cedente (definito donating) e l’operatore ricevente (chiamato recipient).

Nel primo semestre 2011, gli operatori mobili virtuali hanno svolto la funzione di recipient per circa 900.000 linee, delle quali poco meno di 100.000 sono relative al solo secondo trimestre 2011. Il saldo “donating-recipient” relativo a Telecom Italia – ricorda ancora Agcom – rimane negativo per tutto il primo semestre 2011, tuttavia tende a migliorare nel secondo trimestre (-143.000) rispetto al primo (- 253.000). Peggiorano parallelamente il saldo Vodafone, che addirittura passa da +69.000 del primo trimestre a -31.000 del secondo, e quello Wind (da 150 a 130.000 circa).

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Banda larga: emergenza contesto italiano

Tramite la Relazione 2011, Calabrò presidente Agcom, lancia l’allarme sulla necessità di potenziamento della banda larga italiana e delinea l’attuale situazione della società dell’informazione

Presentando al Parlamento, martedì 14 giugno, la Relazione annuale Agcom sull’attività svolta e su quella in programma, Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha evidenziato le carenze di un Paese che, nell’attuale situazione, rischia di rimanere irrimediabilmente indietro nella rapida corsa mondiale allo sviluppo della banda larga.

La rete – sottolinea il presidente – “è la spina dorsale della moderna intelligenza collettiva, della nuova economia; è il tessuto connettivo della società non localizzata d’oggi, dell’ecosistema digitale”. Tuttavia, prosegue, “c’è scarsa consapevolezza delle potenzialità delle tecnologie della società dell’informazione; il che relega queste ultime a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece dare una spallata a un sistema imballato”.

In particolare, sarebbe il settore delle Tlc la possibile “chiave di volta della rivoluzione digitale”, poiché tale settore, “abilitando l’innovazione”, può giungere a “cambiare radicalmente i paradigmi dell’economia e della società. Al giorno d’oggi nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui ne abbiamo assoluto bisogno. Soprattutto per le generazioni future”.

La forza di tali polemiche dichiarazioni risiede soprattutto nei numeri presentati: una percentuale di abitazioni italiane connesse alla banda larga (connessioni fisse e mobili) inferiore al 50%, contro una media europea del 61%; un 18% della popolazione servita da ADSL sotto i 2 Mbit al secondo; un 4% di digital divide ancora da colmare. “Siamo sull’orlo della retrocessione in serie B. E questo potrebbe precludere all’Italia la possibilità di estendere il servizio universale alla banda larga”.

Il quadro di sintesi realizzato non trascura alcuni aspetti dal segno positivo. Buoni, ad esempio, i dati relativi alla penetrazione della telefonia mobile, visto il numero crescente di utenti per la banda larga in mobilità: con la media di una sim e mezza per abitante, si contano 12 milioni di italiani che navigano dal cellulare e il valore complessivo di Internet in mobilità ha conosciuto nel 2010 un incremento del 7% rispetto al 2009, attestandosi a oltre 1.100 milioni di euro. Nel primo trimestre 2011, inoltre, erano ben 6 milioni le chiavette Internet utilizzate.

Calabrò ha parlato anche di una crescita italiana nella penetrazione della banda larga fissa, con un passaggio dal 20,6% dello scorso anno, al 22% di quest’anno; si tratta di un segnale certamente positivo, tuttavia non sufficiente a colmare lo scarto nei confronti del contesto europeo, dove la percentuale di penetrazione è del 26%. Rispetto al mobile, “nella rete fissa la situazione è più stagnante, sebbene oltre 5 milioni di linee siano attive in unbundling e nonostante il miglioramento della qualità della rete”. Il problema non sarebbe soltanto di natura infrastrutturale, ma anche e soprattutto culturale: “Il modello della connessione dal computer fisso ancora non si afferma: non ci si abbona alla banda larga anche quando è disponibile e spesso anche con tariffe promozionali convenienti”.

Doppio è stato, poi, l’appello per il potenziamento, da una parte, della rete cellulare e, dall’altra, del network a banda larga.
L’ipertrofia di dati rischia di generare un collasso della rete mobile; da qui la richiesta di liberare le frequenze destinate alla banda larga mobile, chiedendo uno sforzo al governo nell’offrire incentivi alle emittenti private: “più che mai necessaria, più che mai indifferibile, è dunque la gara per l’assegnazione di ulteriori frequenze alle telecomunicazioni mobili prevista dalla Legge di Stabilità 2011”. “Condizione fondamentale per il successo della gara è però la disponibilità in tempi ravvicinati di frequenze da assegnare, liberando senza indugi quelle ancora occupate dal Ministero della Difesa e dalle televisioni private, e prevedendo anche degli incentivi per la liberazione anticipata”.

Con riferimento alla rete di nuova generazione a banda larga, Calabrò ha spinto per una soluzione al tavolo Romani, sottolineando il ruolo determinante della Cassa depositi e prestiti e i limiti eccessivi del quadro regolatore europeo per gli interventi pubblici sull’Ngn. A tal proposito, la situazione sembra essere anche penalizzata dalla presenza dei cosiddetti “over the top” (Google e Facebook tra tutti), i quali “sviluppano servizi ad alto margine e non pagano agli operatori di telecomunicazione un pedaggio proporzionato al valore che estraggono dalla rete, proprio nel momento in cui gli operatori avrebbero maggior bisogno di risorse per investire nelle reti di nuova generazione”.

Esploso e consolidato ormai il fenomeno dei social network: 19 milioni sono gli italiani iscritti a Facebook (siamo al settimo posto) e 200 milioni sono i frequentatori di Twitter. Tale fenomeno “sta cambiando la società, il costume, le forme di democrazia, l’uso dei diritti”; “i social network si rivelano ineguagliabili per fare degli individui gruppo” e, di conseguenza, “anche i comportamenti personali ne risultano fortemente influenzati: alla riservatezza è subentrata l’ostensione, e talora l’ostentazione, dell’intimità”. La sfera privata diventa “di dominio pubblico”.

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Italia digitale tesa tra decrescita e opportunità emergenti

Il Rapporto Assinform 2011 delude le previsioni di crescita e delinea una situazione di reale incertezza circa il futuro del mercato ICT italiano, anche se non mancano i segnali positivi. Ecco un’analisi dettagliata

I dati emersi dal Rapporto Assinform 2011, e presentati a Milano il 20 giugno 2011 sembrano confermare un quadro di forte incertezza per il settore ICT italiano, tra delusione delle previsioni di crescita e nuove opportunità emergenti: ripercorrere i punti principali della “fotografia piuttosto dettagliata” (come l’ha definita il direttore Federico Barilli) fatta da Assinform ci aiuterà sicuramente a comprendere meglio i pregi, le carenze e le contraddizioni del nostro contesto nazionale.

Assinform è una delle associazioni più numerose di Confindustria, inquadrando oltre 500 imprese (tra dirette e territoriali), sintomo del fatto che “l’IT è un settore estremamente importante in Italia”: in particolare esso risulta il quarto per importanza, con 390 mila addetti e quasi 100 mila imprese.

Come sottolinea innanzitutto il presidente Paolo Angelucci in una delle slide di presentazione, il Rapporto Assinform, “giunto alla sua 42esima edizione”, “rappresenta un punto di riferimento consolidato ed esaustivo per l’analisi del settore ICT in Italia, a confronto con le principali economie mondiali: abbiamo cercato di dare al rapporto oltre che al classico ruolo di enumeratore dei risultati, anche un ruolo di momento di discussione sulle prospettive future”.

Il quadro del mercato italiano ICT è stato interpretato alla luce di alcuni risultati dell’andamento congiunturale: ogni tre mesi Assinform realizza una survey sui propri associati, basandosi su un campione significativo dell’industria italiana; la composizione dell’ultimo panel era di 43 aziende (su circa 180,) equamente distribuite tra piccole, medie e grandi imprese, e il mercato rappresentato da questo panel era di 4,423 miliardi di Euro: si tratta delle risposte di circa il 20% del mercato italiano, quindi una percentuale piuttosto significativa. Con riferimento a tale analisi, si è in primo luogo cercato di cogliere il confronto tra l’andamento globale degli ordini nella rilevazione di febbraio, relativa al 31 dicembre dell’anno scorso, e l’andamento della rilevazione di aprile, relativa al 31 marzo: “da una grandissima positività […], la migliore da quando è partito il panel (attualmente noi siamo alla decima rilevazione), si è passati sempre ad un un ottimismo, perché siamo passati dall’82% di aumento di ordini al 53% di aumento degli ordini”, però le imprese che giudicano come “molto migliorato” l’andamento degli ordinativi, è passata dal 64,7% al 7,3%. Quindi “mentre a dicembre c’era una grande euforia sull’andamento degli ordini, adesso a marzo si è ridimensionata”, e questo anche in relazione alle dimensioni dell’azienda: “c’è un ottimismo meno forte nelle piccole, buono nelle medie e migliore nelle grandi; però mentre a febbraio il 100% delle grandi imprese prevedeva un aumento degli ordinativi, attualmente solo il 58%” lo prevede. “Non sono dati negativi – continua Angelucci – ma c’è sicuramente un ridimensionamento delle aspettative”.

L’analisi è stata estesa anche alla valutazione del sentiment sul budget e sulle previsioni di spesa dei clienti Assinform (“ciò che noi associati Assinform pensiamo che i nostri clienti siano disposti a spendere”), dividendo tale valutazione in due parti: spesa corrente e nuovi progetti o investimenti. Con riferimento alla prima parte, si nota un andamento costante da circa un anno e mezzo, nel senso che il 40% delle imprese continua a dichiarare di voler risparmiare sulla spesa corrente. Con riferimento, invece, alla seconda parte, si è toccato il massimo dell’ottimismo nel febbraio 2011, quando si pensava che il 65% dei clienti Assinform “volesse investire o spendere di più in nuovi progetti; questo dato purtroppo si è ridimensionato e siamo tornati indietro esattamente di 15 mesi”. “È come se – commenta Angelucci – il clima […] non [di] pessimismo, ma di nebulosità del futuro (sia quello economico, che quello finanziario, che quello politico), faccia sì che le imprese […] abbiano ridimensionato le prospettive di investimento”. Tutto questo con inevitabili e pesanti ripercussioni nel futuro e nella vitalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Sono stati poi ripercorsi gli elementi fondamentali del piano digitale nazionale, dell’“Agenda digitale per l’Italia”, ricordando l’importanza della cosiddetta “Agenda UE 2020”, quella serie di “obiettivi comuni a tutta Europa, che noi dobbiamo porci”, punto di riferimento per tutti gli stati membri. Tuttavia, uno dei limiti di tali obiettivi – evidenzia Angelucci – è che essi sono quasi tutti di natura quantitativa; secondo Assinform, invece, ci si dovrebbe porre anche degli obiettivi di natura qualitativa e uno dei mezzi con i quali l’associazione pensa di poter incidere in tal senso è la neonata “Confindustria digitale”: si tratta di una nuova Federazione ICT, creata da quattro associazioni (Assotelecomunicazioni-Asstel, Anitec, Aiip e Assinform) con l’appoggio di Confindustria e “chiamata a elaborare e proporre un progetto di digitalizzazione del Paese”, portando all’attenzione di tutti gli stakeholder, sia quelli centrali sia quelli periferici, i diversi problemi e le numerose opportunità che derivano dall’adozione di un’agenda digitale.

Si è posto, inoltre, l’accento sulla diffusione definita “carsica” dell’ICT nel Paese, intendendo, con tale definizione, il fatto che imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini hanno adottato in modo pervasivo e spontaneo le tecnologie ICT.
Sulla base degli elementi sin d’ora rilevati, Angelucci si è interrogato sulle strade da percorrere, giungendo alla conclusione che sia necessario innanzitutto assumere la consapevolezza della situazione e dell’uso delle tecnologie e subito dopo passare all’azione concreta, dando delle regole ben precise. In particolare, tre sono i filoni di interventi necessario, diretti al raggiungimento di tre specifici obiettivi.

Il primo riguarda l’efficienza dei servizi pubblici, il che significa: servizi condivisi e cooperazione applicativa tra le PA, accesso semplificato ai servizi (anche a pagamento), attivare un processo di switch-off (cioè di passaggio “forzato” ai servizi on-line) per le imprese e per i cittadini, che riduca  drasticamente il cartaceo; semplificazione, digitalizzazione e sburocratizzazione sono le tre parole d’ordine.

Il secondo obiettivo è rappresentato dall’innovazione nelle imprese: Assinform chiede “che venga rafforzato il concetto di utilizzo del credito d’imposta come misura coerente e costante, perché il credito d’imposta automatico è l’unica cosa che ci consente di rispettare i tempi dell’innovazione”. L’associazione, dal canto suo, deve “avere più stretti contatti e fare più sistema con le grandi filiere produttive” del Made in Italy (moda-tessile, alimentare, legno-arredo…), partendo dall’esperienza dei distretti e delle reti; questo perché lo sviluppo dell’economia italiana sarà legata principalmente all’expert, possibile solo attraverso un sistema di reti integrato, nel quale l’IT potrebbe fungere da “collante”. Assinform si dovrà, quindi, adoperare per attivare progetti basati sull’ICT, allo scopo di facilitare l’aggregazione per contesto produttivi tra grandi medie e piccole imprese.

Terzo e ultimo canale d’intervento coinvolge l’infrastrutturazione avanzata: la banda larga attualmente disponibile è sufficiente solamente per uso privato, per le imprese non sembra esserci abbastanza banda, soprattutto con riferimento ai distretti, dove “è indispensabile avere reti ad alta velocità, cioè reti ottiche”.

Allo scopo ottenere una reale integrazione, sarà necessario uno sforzo comune per combattere la disomogeneità nell’elaborazione e attuazione delle agende digitali da parte delle varie regioni italiane, con l’intento ultimo di giungere ad un allineamento delle agende digitali regionali all’agenda nazionale; questo sarà possibile, ovviamente, solo attraverso l’utilizzo di piani condivisi e tra loro coerenti e con lo sfruttamento delle best practices: “io credo – rivela Angleucci – che copiare in questo settore non sia mai un male, anzi un bene, e possibilmente […] copiare migliorando”.

Utilizzando un’azzeccatissima metafora, Giancarlo Capitani (amministratore delegato NetConsulting, che ha illustrato nel dettaglio i risultati del rapporto Assinform) descrive la situazione attuale del mercato ICT utilizzando “l’immagine del baco da seta che diventa farfalla: […] il baco a farfalla non perde la natura del baco, ma è un’evoluzione del baco”. Mentre, tuttavia, in natura questa metamorfosi avviene in quattro giorni, nel settore considerato questo processo di cambiamento è molto più faticoso e lento: nella fase attuale si assiste al passaggio dall’ICT tradizionale, come lo conosciamo, ad un’era digitale, quindi, rimanendo nella metafora, “dalla solidità un po’ vintage del baco, alla leggerezza e alla velocità della farfalla”. Vediamo, allora, un mercato fatto “a macchie”, con punti di crescita e di rallentamento, anche se una simile disomogeneità non rappresenta una prerogativa italiana, ma rappresenta un andamento generalizzato.

Il mercato mondiale dell’ICT nel 2010 è tornato ai livelli di crescita pre-crisi, ma anche in questo caso ragioniamo “a macchie”, a diverse velocità di sviluppo, con la zona Asia-Pacifico che ha quasi raggiunto l’Europa per dimensioni del mercato ICT, grazie alla presenza, in molti Paesi, di una classe media sempre più consistente e in grado di imporre un simile indice di sviluppo. Con riferimento alla crescita in volumi, complessivamente gli acquisti di tecnologie sono stati molto massicci: nel 2010 sono stati venduti quasi 1,5 miliardi di telefoni cellulari, 300 milioni di smartphone, 340 milioni di IPC; questo si è ripercosso nell’aumento del parco utenza legato alle nuove tecnologie: 2 miliardi di utenti internet (450 milioni solo in Cina), 537 milioni di utenti per la banda larga, quasi 5,3 miliardi gli utenti di cellulari (su una popolazione di 6,5 miliardi), 500 milioni gli utenti Facebook (ca. 18 milioni in Italia), 175 milioni gli utenti Twitter (1,3 in Italia). Questo indica che “siamo entrati nella fase di digitalizzazione di massa a livello mondiale”, ricorda Capitani.

Con riferimento non tanto alla penetrazione, ma soprattutto all’uso e al consumo delle nuove tecnologie, nel 2010 ci si è trovati di fronte ad una popolazione digitale ormai dipendente da tali tecnologie, costantemente connessa e, per questo, sempre più in grado di interagire e influenzare le scelte delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e delle banche. Per questo motivo le nuove strategie di convergenza al digitale non sono più disegnate dai grandi strateghi dell’ICT, dai vendor ICT, ma sono le stesse modalità, gli stessi stili di utilizzo innovativo che impongono una ridefinizione dell’innovazione tecnologica e della formazione dell’ecosistema digitale.

Limitando la prospettiva al solo mercato italiano, è ovvio che la realtà delineata si ridimensioni e i tassi di sviluppo si appiattiscano: nel 2010 l’andamento di crescita ha conosciuto un segno negativo, con un – 2,5% rilevato, e all’interno di tale andamento, il settore dell’IT è decresciuto dell’1,4% e quello delle TLC del 3% (rispetto al -2,3% evidenziato nel 2009). A tal proposito si rileva un fenomeno in parte nuovo, secondo il quale a pagare il prezzo della decrescita sarebbero soprattutto le TLC mobili, con un -3,2%, rispetto al -2,6% riportato dal segmento del fisso. A nulla sembra servire, allora, il recupero di quasi dieci punti percentuali da parte dell’IT (“non è stato un anno bello – ha sottolineato Angelucci – anche se è stato un forte recupero rispetto all’anno precedente che vedeva un -8 addirittura”), visto che i tassi di crescita italiana non reggono il confronto con quelli registrati dagli altri grandi Paesi del mondo (che pure, lo abbiamo detto, sono legati a logiche definite “a macchia”, dunque non uniformi).

Si registrano degli andamenti costantemente negativi, in primis per il settore dei servizi, dovuti innanzitutto alla mancanza di nuovi progetti innovativi che diano un impulso significativo alla domanda e anche al permanere del processo vizioso di down pricing delle tariffe professionali, processo che sta rendendo il nostro Paese protagonista di un fenomeno di nearshoring, tale per cui numerose aziende straniere cominciano a trovar economicamente conveniente spostare in Italia, dove i costi sono convenienti, i propri processi di produzione. Non sembra essere sufficiente, per supplire le carenze in tal senso, il miglior andamento registrato nell’ambito del software e la tenuta di quello dell’hardware (grazie anche ai nuovi tablet pc).

Accanto a quelli che Capitani ha definito dei “bachi”, troviamo – è bene sottolinearlo – pure qualche “farfalla”. Ecco allora che un andamento positivo si riscontra in quei 13 milioni di accessi a banda larga, in crescita di quasi il 7%, ma anche nel numero di Sim che, nel nostro Paese hanno superato quota 95 milioni, a fronte di 46 milioni di utenti. Gli operatori virtuali di telefonia mobile (Mvno) hanno raggiunto, poi, i 3,7 milioni di utenti, anche se l’unico interlocutore realmente importante sembra essere Poste Italiane.

Con riferimento, poi, all’ultimo trimestre del 2011, la tendenza del mercato italiano continua a deludere le aspettative, disattendendo il segno positivo, nonostante la crescita dell’economia italiana, ma in linea con l’andamento di alcuni fondamentali indicatori rilevati dall’Istat: i consumi e la spesa corrente della Pubblica amministrazione sono fermi rispettivamente allo 0,7% e allo 0,1%, con investimenti fissi lordi in crescita di un solo punto e mezzo percentuale.
Più in particolare, il settore dell’Information Technology ha subito una nuova battuta d’arresto in questo intervallo di tempo, con un -1,3% registrato (contro il -2,9% nel primo trimestre 2010). La scomposizione della domanda rivela, in realtà, andamenti diversi: cresce dello 0,4% (contro un -1,5% del 2010) la parte software, dove la componente middleware si conferma la più dinamica, poiché di supporto a iniziative di datacenter trasformation e implementazione di architetture cloud; come nel primo trimestre del 2010, la parte hardware decresce (-2,1%, contro un -2,3% del 2010), evidenziando livelli di vendite superiori al milione di pezzi per tutto il 2011 ma solo per i tablet pc. I servizi it si attestano a -1,5% (-3,8% nel 2010) e l’assistenza tecnica a -2,9% (-4,9% nel 2010).

Il calo più forte, comunque, si è registrato nel settore delle TLC, con un -4,2%.
Con riferimento alle imprese che utilizzano la banda larga, la media italiana si attesta all’83%, definendo il nostro Paese a metà nella classifica europea: più precisamente, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia, Molise e Trentino, con 77%, si collocano in posizioni inferiori (affiancandosi a Rep.Ceca, Irlanda, Ungheria), mentre Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con oltre l’86%, si collocano nella parte alta (confrontandosi con Paesi come la Germania, la Gran Bretagna e la Svezia).
Complessivamente considerata, comunque, l’Italia digitale si situa al di sotto delle medie raggiunte dai 27 paesi Ue: le Pmi che vendono online sono il 3,8%, contro la media europea del 13,4%; le imprese che acquistano online sono il 16,5%, contro 26,4%; la popolazione che usa frequentemente Internet è il 45,7%, contro 53,1%; la popolazione che usa servizi di online banking è il 17,6%, contro 36%; i cittadini che usano servizi di eGovernment sono il 17,4%, contro 31,7%; le famiglie con accesso a banda larga sono il 48,9%, contro 60,8%; le famiglie con accesso a Internet sono il 59%, contro 70,1%; la popolazione che acquista online è il 14,7%, contro 40,4%; il fatturato delle imprese attraverso eCommerce rappresenta il 5,4%, contro 13,9%.

Bisogna quindi essere ottimisti o pessimisti per il futuro? Partendo dal presupposto che l’imprenditore deve, per definizione, essere ottimista, ci dice Angelucci, l’analisi di alcuni ulteriori dati impone una riflessione sulle prospettive future.

Tali dati mostrano un Paese che, malgrado tutto “si sta strutturando”: gli accessi broadband si sono attesti nel 2010 intorno ai 13,2 milioni, con una crescita quasi del 10% in un anno; gli utenti internet mobili (6,2 milioni) sono aumentati di 44,4 punti percentuali in un anno; il numero di app medio per ogni utente smartphone è stato di 30; l’e-commerce, dove le carenze del contesto italiano sono piuttosto accentuate, è cresciuto del 14%; l’advertising del +15%; 1,3 milioni sono stati gli account su Twitter e 17,8 milioni gli utenti di Facebook, dei quali 4 miloni hanno preferito la soluzione mobile; l’anno scorso sono stati venduti circa 430.000 di tablet, mentre quest’anno tra gli 800mila e gli 1,2 milioni. Tutti questi dati sottolineano il fatto che “gli italiani sono più veloci di chi dovrebbe fare la politica industriale: noi abbiamo le infrastrutture, allora dobbiamo utilizzarle”. Il valore del cloud computing in Italia è stato stimato l’anno scorso in 130 milioni di Euro e si prevede che nel 2013 tale cifra possa salire a 410 milioni, con una crescita annuale di quasi 50 punti percentuali: “è un nuovo modo di fare informatica, è un nuovo modo di fruire, soprattutto, informatica e quindi c’è tutta un’opportunità di crescita” (Angleucci).

Si è cercato anche di capire quale percentuale della domanda ICT provenga da componenti classiche e quale da componenti innovative. Nei servizi di telecomunicazioni, la componente innovativa dal 2009 al 2010 è aumenta del 4,7%, quindi, mentre nel 2009 la componente innovativa occupava il 27,7% (pari a 9.475 milioni di Euro) della totalità dei servizi telco, nel 2010 ha raggiunto il 30% (pari a 33.070 milioni); di conseguenza, la componente cosiddetta “classica” è diminuita del 6,4% (da un valore di 24.740 milioni di Euro, ad un valore di 23.145 milioni). Il valore complessivo stimato per il settore telecomunicazioni era di 34.215 milioni nel 2009 e di 33.070 nel 2011, con una diminuzione del 3,3%. “Vuol dire che è un Paese che è pronto per fare un salto di qualità”.

Tuttavia le incertezza in merito alle previsioni sul 2011 non cadono, oscillando tra una prospettiva pessimistica ed una ottimistica: nel primo caso, di sostanziale conferma del quadro attuale, il mercato ICT continuerà a scendere di circa 4,5 punti percentuali, con il settore delle TLC in maggior spinta verso il basso (-5,8%) e il settore IT in discesa attenuata (-0,8%). Nel caso, invece, in cui l’economia nazionale migliorasse e si attivassero fruttuose politiche di innovazione, la crescita del mercato ICT si potrebbe attestare ad un -0,1%, con un -0,6% per le TLC e un +1,3% per il mercato IT.
Il problema centrale – suggerisce sapientemente Angelucci – non è tanto capire se sia meglio essere ottimisti o pessimisti nei confronti della situazione presente e futura del mercato ICT italiano: “bisogna essere semplicemente innovatori”!

 

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Poste le basi societarie per la realizzazione di reti di nuova generazione

Siglato ieri un memorandum of understanding tra Ministro dello Sviluppo Economico e le sette principali aziende italiane di tlc per l’implementazione delle infrastrutture passive necessarie alle reti di tipo NGN

Esprime la propria soddisfazione Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia, per la firma, ieri pomeriggio, dell’accordo tra il Ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, e gli amministratori delegati delle sette principali aziende italiane di TLC (Telecom Italia, Vodafone, Fastweb, Wind, H3G, Tiscali, BT Italia), per la condivisione delle infrastrutture di NGN: “segnale di rilancio per il settore delle comunicazioni”, “l’accordo siglato oggi conclude una fase importante di definizione di un meccanismo che consente di avviare un progetto infrastrutturale fondamentale per il Paese”. La partnership pubblico-privata (cosiddetta newco) realizzata con questo memorandum of understanding avrà, in particolare, il compito di promuovere l’implementazione di quelle infrastrutture passive (scavi, cavidotti e posa della fibra spenta), che andranno poi condivise tra gli operatore e che sono necessarie alle reti di nuova generazione e a garantire la fibra ottica a 100 megabit in tutta Italia.

Rimane invece fuori dall’accordo la parte “attiva” dell’infrastruttura, cioè la fibra vera e propria ed i suoi apparati: gli operatori che intendano investirvi potranno, allora, usufruire della struttura passiva per farvi passare un proprio network, predisponendo delle proprie offerte commerciali. In alternativa potranno affittare le strutture esistenti, considerando che in Italia è già presente in sette città una rete di nuova generazione, quella di Fastweb, e considerando l’intenzione di Telecom di arrivare a coprire, entro il 2018, il 50 per cento della popolazione. Scopo del nuovo organismo societario dovrebbe essere, allora, quello di accelerare i tempi e allargare la copertura; esso avrà il compito di coinvolgere le Regioni, gli Enti locali e le istituzioni finanziarie pubbliche e private: la Cassa Depositi e Prestiti, ad esempio, potrà partecipare “sia equity sia in conto finanziamento al progetto – ha riferito Romani – a patto che il progetto sia remunerativo”.

Uno specifico comitato esecutivo, composto dal Ministro Romani e dai rappresentanti degli operatori firmatari, dovrà, nei prossimi tre mesi, approfondire i diversi aspetti economico-finanziari del nuovo progetto e stabilirne governance e business plan, sulla base dei flussi d’investimento dei singoli gestori e in funzione del quadro regolamentare per l’accesso alle infrastrutture e alle reti che sarà definito dall’Agcom. Il comitato, ricorda Bernabè, dovrà, quindi, porre in essere “un lavoro di verifica, all’esito del quale si prenderanno le decisioni sulle modalità tecniche del lavoro da fare”; tale lavoro dovrà, inoltre, rispettare il principio fondamentale di sussidiarietà, in base al quale la nuova entità potrà agire esclusivamente in quelle aree in cui non sono presenti altri gestori con un’offerta in fibra: “le iniziative delle singole società vanno avanti: il progetto non è alternativo alle iniziative private”. Infatti “molto correttamente il governo ha fatto una analisi dei programmi di investimento dei diversi operatori, chiamando ognuno a definire i propri progetti di investimento. Sulla base di questi si definiranno le aree di intervento della nuova società, che interverrà laddove non ci sono iniziative dei privati”.

Quella descritta rappresenta, in sostanza, la prima bozza per un progetto reale che permetta all’Italia di rimanere all’interno degli obiettivi definiti dall’Agenda digitale europea (che prevede per il 2020 una velocità superiore a 100 Mbps per almeno il 50 per cento degli italiani), iniziando così il lungo percorso che dovrebbe portare il nostro Paese a superare gli attuali ritardi infrastrutturali e culturali legati alle nuove tecnologie della comunicazione.

Una “notizia positiva”, quindi, come rileva il presidente dell’Agcom, Corrado Calabrò, il quale sottolinea, tuttavia, come ci si trovi di fronte ad una “soluzione di compromesso”. “Spero che gli operatori non perdano il passo nei successivi” tavoli; “non basta sottoscrivere un’intesa, poi bisogna condividerla compiutamente. È questo che l’Autorità […] chiede di fare” agli operatori.

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Rapporto Asstel sulla filiera TLC/ICT: un mercato in declino

Presentato al convegno Asstel su “Le Telecomunicazioni per l’Italia” un rapporto che rivela una contrazione nel fatturato degli operatori di TLC di circa 3 miliardi, con ripercussioni su tutta la filiera

Si è tenuto mercoledì 27 ottobre a Roma il convegno Asstel (l’Associazione che rappresenta la filiera delle comunicazioni elettroniche nel sistema Confindustria) su Le Telecomunicazioni per l’Italia: occasione di confronto tra gli operatori del settore, i sindacati, il Governo, il Parlamento e le Autorità, l’incontro ha inteso approfondire le tematiche più attuali nel mondo delle telecomunicazioni e delle tecnologie ICT, per cogliere l’importanza di un loro sviluppo a beneficio dell’intero Paese.

È nell’ambito di tale convegno che sono stati presentati i risultati del primo rapporto sulla filiera TLC/ICT realizzato dalla società di analisi Analysys Mason; un rapporto che evidenzia una situazione in continuo declino, un mercato che dal 2006 continua a perdere colpi, vista la contrazione, anche nell’ultimo semestre, di oltre due punti percentuali (2,3%), rispetto allo stesso periodo del 2009. La colpa non sembra essere attribuibile alla crisi internazionale, che ha solo accentuato una contrazione di natura strutturale; a pesare sono, invece, l’inarrestabile declino del traffico voce, il ritardo nella banda larga rispetto agli altri paesi europei, il difficile equilibrio con i nuovi protagonisti del Web e l’avvento dei cosiddetti grandi attori esterni.

Entriamo un po’ più nel dettaglio, con qualche dato significativo: negli ultimi quattro anni, il fatturato degli operatori di TLC è diminuito di circa 3 miliardi, di cui 1,6 nel fisso e 1,4 nel mobile, segnando un andamento in negativo che si è ripercosso su tutta la filiera. «La penetrazione del mobile si conferma forte, con circa 10 milioni di linee in più e un tasso che sfonda il 150% – ha confermato Ciccone, Associate Partner Analysys Mason – mentre va diversamente per le linee fisse, che sono calate di 5 milioni, ponendoci agli ultimi posti in Europa con il 77% di penetrazione. Anche per la banda larga fissa le notizie non sono buone, con un timido aumento del 7,3% di accessi in più, tra il 2009 e il 2010, e un dato nazionale che supera appena il 51%».

Malgrado i prezzi tutto sommato proporzionati a quelli europei, un’offerta di servizi a banda larga che copre il territorio per l’88% e una velocità di accesso in linea con gli altri Paesi, l’Italia mostra una bassa penetrazione della banda larga fissa, che in Francia è al 76%, in Gran Bretagna al 68%, in Germania al 64% e in Spagna al 56%. La penetrazione della banda larga mobile sembra essere la più alta in Europa, ma non sufficiente a portare il livello totale (fisso più mobile, al 67%) in linea con gli altri Paesi.

Lo studio di Analysys Mason rivela, inoltre, una bassa alfabetizzazione informatica nell’uso del pc e di altri device di accesso alla rete, spesso dovuta ad uno scarso interesse per la tecnologia delle comunicazioni (25%) o ad una difficoltà oggettiva nell’utilizzo dei dispositivi elettronici (41%). Per questo motivo, probabilmente, anche i tassi di utilizzo di servizi di eGovernment, ad esempio, sono tra i più bassi in Europa, 79% contro la media Europea dell’82%.
Nonostante la diminuzione nei margini di guadagno, le imprese italiane hanno comunque continuato a puntare sulla qualità: i livelli d’investimento sono pari al 14%, ponendoci al secondo posto dopo la Gran Bretagna, mentre il costo del personale è rimasto invariato da 5 anni.

Stando al Rapporto, i punti su cui si dovrebbero concentrare le energie e le risorse sono: alfabetizzazione digitale, utilizzo di Internet, banda larga, mercato unico digitale, interoperabilità e standard, ricerca ed innovazione, inclusione digitale. Il tutto nel più breve tempo possibile, con il 50% della popolazione che tra il 2015 e il 2020 deve poter accedere alla banda larga ultraveloce, ai servizi di eCommerce e eGovernment.

«Questo convegno è la prima occasione pubblica di discussione sui temi che uniscono le aziende della filiera delle TLC – ha concluso Stefano Parisi, Presidente di Asstel – Il settore ha fatto molto per il Paese e continuerà a farlo, attraverso un mercato tra i più dinamici e concorrenziali, che ha contribuito in modo consistente alla riduzione dell’inflazione, ha attratto ingenti investimenti esteri e nazionali, assicurato un forte contributo all’erario, sviluppato un nuovo indotto di servizi in outsourcing […]. Le imprese di Tlc sono pronte a fare la loro parte con nuovi investimenti sullo sviluppo delle reti e dei nuovi servizi. Al Governo non chiediamo soldi ma l’impegno a realizzare anche in Italia l’Agenda Digitale per la modernizzazione del nostro sistema economico».

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