Il piacere della tavola si sposa sempre più con l’attenzione degli italiani al proprio benessere fisico e alla sostenibilità delle proprie scelte di consumo, delineando nuove direttive per l’innovazione nel mercato delle bevande


Il piacere della tavola si sposa sempre più con l’attenzione degli italiani al proprio benessere fisico e alla sostenibilità delle proprie scelte di consumo, delineando nuove direttive per l’innovazione nel mercato delle bevande
Pubblicato da robertabarbiero in 16 gennaio 2013
https://robertabarbiero.wordpress.com/2013/01/16/beverage-nel-belpaese-per-la-crescita-puntare-sulla-salute/
In vista delle prossime festività, scatta l’allarme di alcune associazioni sull’inevitabile calo dei consumi e crescono le preoccupazioni degli italiani. Mutano, allo stesso tempo, le prassi d’acquisto dei regali, grazie al Web e al mobile, e dei prodotti per le tavole da imbandire, scelti tra quelli locali
Pubblicato da robertabarbiero in 28 novembre 2012
https://robertabarbiero.wordpress.com/2012/11/28/tra-crisi-e-innovazione-ecco-il-volto-del-natale-2012/
Dalla funzione di semplice contenitore per la protezione e conservazione dei prodotti, il packaging si è evoluto diventando espressione dell’identità aziendale.
Il tonno non è un pesce. È una scatoletta. Leggendo questo slogan, un po’ di tempo fa, mi misi a ridere: divertente. Ad idearlo era stato un mio amico, Nicola Zuliani, un webmaster con il vizio della creatività, capace di sintetizzare, in poche semplici parole, un concetto alla base del processo ideativo, produttivo e divulgativo di molti brand. Mi riferisco al packaging, ovviamente – la confezione, l’imballaggio – la cui funzione primaria dovrebbe essere quella di contenere e proteggere un prodotto. Pensando al tonno è automatico il collegamento alla scatoletta, così come pensando di bere una Coca Cola ci immaginiamo di stringere tra le mani una lattina o, ancor meglio, una bottiglietta di vetro; è facile rendersi conto di come si tenda ormai ad identificare prodotti ed esperienze d’utilizzo con l’involucro che fisicamente avvolge loro, in una singolare associazione di idee che pare spingere la metafora al di fuori della dimensione intellettiva per renderla realtà concreta.
Parlare di packaging nell’era del Web 2.0 – in un periodo storico, cioè, caratterizzato dall’immaterialità, da un contenuto svincolato dal limite fisico del contenitore, dalla miniaturizzazione che impone all’utente l’elaborazione di una personale formula fruitiva – può sembrare quasi un anacronismo; in realtà ciò su cui vorrei concentrare la mia riflessione è il modo in cui l’universo semantico veicolato dalla parola “packaging” ha mutato nel tempo la propria forma e dimensione, il modo in cui esso si è evoluto per riuscire a sostenere le strategie aziendali. Del resto, sottolinea Marco Sachet (direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio), “l’imballaggio esiste e continuerà ad esistere perché il consumatore desidera un prodotto perfetto, subito disponibile, e sotto casa”.
In origine l’imballaggio veniva valutato principalmente per il suo essere funzionale, doveva rispettare determinati canoni fisici ed estetici, idonei a proteggere e conservare il prodotto. L’evoluzione del mercato e il mutare della domanda hanno fatto in modo che la valenza di tale funzionalità originariamente ricercata si estendesse anche agli aspetti comunicativi e relazionali del prodotto: il packaging serve oggi a presentare questo stesso prodotto e, di conseguenza, a esibire il marchio e il suo universo valoriale; serve ad offrire un’identità, serve a convincere l’utente a diventare consumatore, non tanto creando in lui un desiderio fittizio, quanto piuttosto cercando di soddisfare i suoi bisogni, plasmandosi su essi. È un utente, infatti, sempre più esigente quello con cui gli operatori del largo consumo devono confrontarsi, un utente che privilegia caratteristiche quali l’efficienza nelle dimensioni, la sostenibilità, la riciclabilità, la flessibilità, l’innovazione, la facilità d’utilizzo e trasporto, la riconoscibilità.
La nuova sfida per le imprese italiane fornitrici di packaging è, allora, in primis quella di riuscire a sviluppare dei progetti realmente efficaci per il proprio mercato di riferimento, tenendo ben presenti le particolarità del consumatore moderno e le dinamiche che lo spingono all’acquisto.
In risposta a questa difficile sfida, gli operatori italiani sembrano essersi concentrati, in particolare, secondo Sachet, su quattro fondamentali trend: unità di vendita più piccole, nuovi settori che danno vita a nuovi contenitori, nuovi servizi per il consumatore e attenzione primaria alla sostenibilità ambientale. Cerchiamo di indagare più nel dettaglio tali tendenze.
Da una parte la crescente presenza di non coniugati e i ritmi di vita frenetici, sempre in movimento, hanno portato, soprattutto in ambito alimentare, alla realizzazione di confezioni monodose e monoporzione che permettano di non sprecare il contenuto e che si prestino ad essere acquistate, ad esempio, presso distributori automatici (con effetti, dunque, anche nel mondo retail, non solo in quello della produzione). Si tende, dunque, in alcuni casi, a privilegiare funzionalità e praticità, facilità di apertura-chiusura, di trasporto e di conservazione
Dall’altra parte la crisi economica degli ultimi anni ha indotto gli utenti a prestare particolare attenzione al rapporto qualità/prezzo, nell’improntare le proprie strategie d’acquisto: ciò ha portato i produttori a diminuire dimensione e peso dei rivestimenti e ad offrire formati famiglia o confezioni idonee alla ricarica; allo stesso modo, il perseguimento di uno stile di vita più casalingo ha portato alla creazione di contenitori pensati per l’intrattenimento domestico, dunque rispondenti anche a criteri estetici. Il fatto, poi, che le persone abbiano sempre meno tempo da passare sui fornelli incrementa il consumo e l’importanza dei prodotti cosiddetti “della quarta gamma” (cioè pronti per il consumo).
Il nuovo cliente – che in precedenza abbiamo definito “esigente” – desidera sempre di più, sottolinea Sachet, “informarsi su quanto acquista: verrà soddisfatto in questa sua necessità da informazioni che potrà fruire sia sulla confezione sia, successivamente, grazie ai codici bidimensionali o ad altri ritrovati della tecnologia via web. Lo sviluppo di questa tendenza sarà colto non solo dai produttori, ma anche dai retailer, e aumenterà il numero dei servizi collaterali: diminuzione delle code o acquisto veloce, per esempio”.
Un consumatore più esigente è anche un consumatore più attento: attento all’ambiente, alla salute e alla sicurezza. Questa constatazione si traduce nella previsione di soluzioni d’imballaggio capaci di ridurre gli sprechi e, una volta esaurita la loro sostanza, di facilitare il loro recupero o, se questo non fosse possibile, il loro smaltimento attraverso la separazione dei materiali (di conseguenza aumenta la tendenza a fornire indicazioni sulla confezione circa la destinazione dei diversi materiali che la compongono alla raccolta differenziata). “Da qui a cinque anni – spiega Luciano Piergiovanni, professore ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università degli Studi di Milano e presidente del Gsica, Gruppo Scientifico Italiano di Confezionamento Alimentare – le aziende smetteranno con gli atteggiamenti fittizi, il cosiddetto green washing, per dimostrare una vera attenzione nei confronti di un problema non più rinviabile”. L’attenzione, poi, a salute e sicurezza porta, nuovamente, ad una riduzione delle porzioni e all’utilizzo di materiali tecnologicamente avanzati, in grado di eludere qualsiasi rischio (ad esempio quello di tagliarsi).
Infine l’innovazione e la differenziazione sono altri principi ai quali si affidano i fornitori, attraverso packaging artistici o materiali particolari che spingano l’utente a conservare gli stessi anche quando non vi sia più il contenuto originale.
A tal proposito, i dati forniti dalla Packaging Innovation Survey – realizzata da Accenture, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e l’Istituto Italiano Imballaggi e basata su circa 100 fornitori italiani di packaging – hanno evidenziato come, per ben il 72% dei fornitori, essere innovativi sia un fattore critico di successo e come l’88% abbia inserito nella propria attività la funzione R&d, funzione sulla quale si intende investire maggiormente nei prossimi anni. Sempre allo scopo di perfezionare grafica e design dei prodotti, circa il 12% degli intervistati ha affermato di aver posto in essere partnership con istituti esterni.
Lo studio appena citato mette, tuttavia, in evidenza anche un elemento di criticità del settore, la mancanza, cioè, di collaborazione tra fornitori e aziende, la cui causa viene rintracciata, innanzitutto, nella molteplicità delle funzioni aziendali con cui i fornitori si trovano obbligati a rapportarsi: solo il 9% ha dichiarato, infatti, di avere un unico interlocutore al lato cliente, con conseguenti rallentamenti e necessarie riformulazioni che rischiano di vanificare il processo di innovazione. Altro aspetto della difficoltà di collaborazione è individuato nell’eccessiva attenzione posta nei costi delle operazioni: per il 49% degli intervistati la negoziazione del prezzo rappresenta il primo tema di discussione con i clienti, mentre solo nel 23% dei casi la discussione verte sull’innovazione. I meccanismi di trasferimento dell’innovazione dal fornitore all’azienda non sembrano essere, infine, particolarmente efficaci, poiché solo il 51%dei fornitori intervistati ha dichiarato di utilizzare un business case quando fa la sua proposta al cliente, nonostante il 75% ne riconosca l’importanza fondamentale per ottenere la fornitura.
Vanno, quindi, ridotte le inefficienze e attivati meccanismi di fruttuosa collaborazione, attraverso un monitoraggio continuo del mercato, capace di rilevare la portata delle innovazioni evidenziate finora (innovazioni che, tutto sommato, sarebbero, secondo Luciano Piergiovanni, piuttosto delle “tendenze che proseguono da anni”), attraverso una cultura aziendale che favorisca il confronto e attraverso un’azione trasversale e congiunta, capace, da un lato, di coinvolgere parimenti fornitori e clienti e, dall’altro lato, di unire le diverse funzioni aziendali (marketing, ricerca e sviluppo, qualità e produzione, acquisto).
Di questi scenari si occuperà Ipack – Ima 2012 (dal 28 febbraio al 3 marzo 2012), “uno dei più importanti appuntamenti internazionali nel settore delle tecnologie di packaging, processing e logistica interna: una grande fiera di sistema che presenta soluzioni tecnologiche per il settore alimentare e non alimentare a utenti provenienti da tutto il mondo”. I dati finora raccolti dall’Osservatorio di Ipack-Ima (diretto da Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo Economisti d’Impresa, docente ricercatore del CNR), relativi al primo semestre 2011, parlano di una ripresa congiunturale del settore che, dopo essersi avviata nel 2010, prosegue nell’anno in corso.
L’industria manufatturiera che sarà protagonista dell’evento fieristico vanta nel 2010 un fatturato totale di Euro 37.567 milioni, di cui 25.807 riferiti al settore imballaggi e 11.760 ai settori dei beni strumentali. Stiamo parlando di una filiera che offre occupazione a 143.410 addetti ed esporta quasi il 29% della propria produzione (percentuale che sale addirittura all’88% per le macchine per il packaging).
Nel primo semestre 2011 è aumentato, allora, il fatturato totale per il 40% delle imprese prese a campione dall’Osservatorio e sono aumentate le esportazioni per il 29% di esse, mentre il 60% ha dichiarato una sostanziale stabilità e l’88% una costanza occupazionale. Le previsioni per il secondo semestre parlano, poi, allo stesso modo, di un quasi 40% di imprese che si aspettano una crescita di fatturato e di un 60% che si aspetta una certa stabilità; il 26% prevede un aumento dell’export, il 64% una costanza nello stesso e l’83% una situazione occupazionale immutata.
Malgrado il generale clima positivo che avvolge l’intero mercato di riferimento, si evidenzia una leggera differenza tra i due macrosettori principali: le imprese dei materiali e imballaggi hanno conosciuto una crescita di fatturato pari al 46%, superiore al 36% rilevato per le imprese dei macchinari; per contro crescono maggiormente le esportazioni per queste ultime (34%) rispetto alle prime (21%).
Scenari decisamente ottimistici, dunque, quelli delineati, che devono essere accompagnati da un’azione corale di ascolto e comprensione delle tendenze nella domanda e di promozione dell’innovazione, attraverso logiche che siano realmente collaborative.
Pubblicato su: PMI-dome
Pubblicato da robertabarbiero in 3 febbraio 2012
https://robertabarbiero.wordpress.com/2012/02/03/packaging-nuovi-scenari-e-strategie-aziendali/
Le innovazioni nella Rete obbligano le imprese a rivedere i propri approcci commerciali, che devono necessariamente legarsi alla logica collaborativa e virale del mezzo digitale
Se si osserva l’attuale scenario economico italiano, ci si rende immediatamente conto di come il legame tra vita digitale e business stia diventando sempre più stretto, con una evidente convergenza tra circostanze off ed esperienze on. Quella che a buon titolo è stata definita una “rivoluzione digitale” rappresenta ormai una componente fondamentale nella valutazione dei trend di mercato e il suo impatto nella filiera produttiva e distributiva nazionale costringe gli imprenditori di qualsiasi settore e dimensione ad affrontare sfide sempre più impegnative; sfide che impongono una riformulazione degli approcci tradizionali, sfide che richiedono elasticità mentale e rinnovate skills, sfide che portano a campagne commerciali il cui esito è tutt’altro che scontato, sfide, in estrema sintesi, che tendono spesso ad assumere la forma di un temuto punto interrogativo.
A tal proposito, un’analisi commissionata da Il Sole 24 Ore a IPR Marketing e presentata dal CEO dell’istituto di ricerca, Antonio Noto, in occasione del Forum Digital Media – svoltosi lo scorso mercoledì 25 maggio presso la sede milanese de Il Sole 24 Ore – delinea il profilo degli utenti digitali, dei nuovi consumatori web 2.0 e offre importanti spunti di riflessione circa i risvolti più attuali del commercio elettronico.
Complessivamente considerati, i dati – ha sottolineato Noto – denotano un consumatore in costante evoluzione, probabilmente più evoluto della stessa tecnologia di cui si serve. Il popolo degli internauti definiti “autonomi” rappresenterebbe il 54% dell’intera popolazione italiana, mentre il restante 46% non sembra essere connesso; tuttavia il 20% di questa seconda categoria è costituito dagli internauti cosiddetti “indiretti”, che utilizzano, cioè, la rete servendosi della mediazione di amici e parenti: essi, pur in assenza di alfabetizzazione informatica, sono, in definitiva, dei fruitori della rete, quindi la percentuale complessiva del popolo del web viene a coincidere con il 74% degli italiani.
Con riferimento al tempo trascorso on line, scopriamo che circa un terzo della popolazione che si collega lo fa per più di quattro ore al giorno e che donne e giovani rappresentano le categorie più attive, quelle che passano piu? tempo in internet: il 37% delle donne e il 39% dei 18-34enni risultano connessi per oltre 4 ore al giorno.
Due terzi degli italiani (66%) trascorrono questo tempo motivati da interessi di natura personale, mentre un terzo (34%) lo fa per motivi di lavoro; considerando anche i probabili intrecci tra le due spinte all’utilizzo (spesso si naviga per interesse personale anche durante le ore di lavoro) e considerando che la percentuale di chi naviga per interesse proprio sale al 72% negli over 54, si capisce bene come la rete abbia ormai un ruolo tutt’altro che marginale nella vita quotidiana di buona parte degli italiani, i quali navigano non perché obbligati da esigenze professionali, ma per una propria libera scelta. Di questo una qualsiasi campagna commerciale deve oggi inevitabilmente tener conto.
Due consumatori differenti si delineano, poi, con riferimento alla costanza di navigazione: il 71% si connette poche volte per periodi lunghi, mentre il 25% si connette più volte per tempi brevi (il restante 4% non sa o non ha risposto). Con riferimento al sesso, non si sono notate divergenze tra queste due tipologie, mentre rispetto all’età, negli under 54 è risultata superiore alla media la quota dei “sempre connessi” (circa 30%), negli over 54 quella dei connessi per tempi lunghi (80%).
Per navigare, dichiara di utilizzare il computer di casa il 94% degli italiani, la chiavetta il 34% (soprattutto donne under 54), la soluzione mobile (telefonino, i-phone) il 32% (in particolare maschi, under 34 e “sempre connessi”), l’i-Pad il 4% (in prevalenza under 34 e “sempre connessi”); in questo e nei prossimi casi il totale non è pari a 100 perchè la domanda prevedeva più risposte. Nonostante la bassa percentuale dichiarata, ricorda Noto, l’i-Pad sta avendo un rilevante successo di mercato e di marketing, frutto soprattutto di una strategia vincente fondata sul passaparola.
Più della metà degli intervistati, il 58%, ha un profilo su un social network e questa percentuale sale al 63% per gli internauti del sud e delle isole, al 67% per quelli di età compresa tra i 35 e i 54 anni e al 77% per quelli ancor più giovani (18-34 anni). Il 10% dichiara, poi, di partecipare a discussioni su Twitter (16% per i residenti al centro); breve parentesi: coordinati da Luca Conti, molti utenti hanno anche twitterato nel corso dell’evento di presentazione della ricerca, commentando in modo interattivo quando detto dagli ospiti. L’11%, ancora, possiede un blog (18% nei residenti al centro, 24% nei fruitori di età compresa tra 18 e 34 anni). Il 18% (27% nei residenti al centro) è iscritto ad una comunità virtuale nella quale si condividono interessi (come Anobii), dato in elevata ascesa, visto che lo scorso anno era pari al 5%. Infine il 15% sembra far parte di un gruppo di acquisto.
La rete rappresenta uno strumento privilegiato per l’acquisto di prodotti: viene utilizzata innanzitutto come fonte di informazione sulle caratteristiche dei prodotti stessi, attraverso la navigazione sul sito del produttore (67%); serve poi per verificare la presenza di offerte, sconti sui negozi virtuali (5%), ma anche per chiedere particolari informazioni sui prodotti agli altri consumatori (48%), o per cercare notizie su offerte o occasioni presso gli utenti (43%). Rispetto tutte queste modalità di utilizzo, gli utenti più attivi sono i 18-34enni e i residenti al centro, seguiti dai 35-54enni e dai residenti al sud e nelle isole. Da questi dati, ha evidenziato Noto, si capisce come l’acquisto di tipo “emotivo” – quello su cui solitamente fanno leva particolari campagne pubblicitarie attraverso le vetrine dei negozi o altri canali tradizionali – venga fortemente penalizzato in rete, dove sembra sostituirsi un acquisto più “razionale”: il packaging perde parte della propria funzione di guida al comportamento d’acquisto.
Entrando un po’ più nel dettaglio, apprendiamo che il 29% degli internauti ha fatto spesso acquisti in rete nell’ultimo anno (percentuale che sale al 33% per le donne, al 38% per i “sempre connessi” e al 44% per gli under 34), quasi la metà, il 49%, lo ha fatto solo occasionalmente e il 22% non ha acquistato nulla tramite web.
Il report si è concentrato, poi, sulla tipologia di prodotti comprati in rete: in testa al podio il consumo di cultura, dunque libri, film e musica (45%), acquistati soprattutto da donne e dagli over 54. Al secondo posto elettronica ed elettrodomestici (43%), comprati in maggioranza da uomini e da 34-35enni. Medaglia di bronzo per gli articoli di informatica (37%), acquisiti prevalentemente da uomini e da 18-34enni. Troviamo poi il settore abbigliamento/accessori (32%) e quello dei cosmetici/profumi (13%), scelti in particolare da donne e da under 34.
Il vantaggio maggiore evidenziato dagli utenti nell’acquisto in rete è quello di tipo economico: la possibilità di avere dei prezzi più vantaggiosi rappresenta la principale variabile nella motivazione all’acquisto (57%), seguita dalla possibilità di trovare prodotti difficilmente reperibili in altro modo (36%), dalla maggiore comodità e rapidità nell’acquisizione (31%), dal grado maggiore di libertà e conseguente riduzione dei condizionamenti (16%) e, infine, da una considerazione etica, che vede nel’abbattimento della filiera una valorizzazione dei produttori (6%). Per il solo 7% degli intervistati, l’acquisto in rete non porterebbe alcun vantaggio.
Tra gli svantaggi percepiti, il principale (40%) sembra essere la mancanza di fiducia nell’acquisto di prodotti che, in sostanza, non si sono visti fisicamente, seguito dalla difficoltà nel portare a termine una procedura che richiede particolari competenze informatiche (25%), dal timore di non vedersi recapitare a casa i prodotti (23%), dalla non sicurezza nei pagamenti (23%), dalla mancanza di una componente di divertimento (4%). Per l’11% la compravendita in rete non comporterebbe alcuno svantaggio.
Risulta iscritto a siti che propongono offerte e sconti su prodotti il 49% degli intervistati, del quale il 17% dichiara di utilizzare spesso questi canali, il 33% di utilizzarli qualche volta e il 50% di non utilizzarli mai. Offerte e sconti su prodotto che si ricevono via web rappresentano, poi, un incentivo all’acquisto per il 18%, mentre il 71% afferma di acquistare solo ciò a cui è già interessato (l’11% non ha risposto).
La rete è funzionale non solo alla valutazione di prodotti, ma anche per quella di vari servizi: canale preferenziale per l’acquisto di viaggi, vacanze e biglietti, essa sta nel tempo consolidando la propria valenza “relazionale”, come strumento di scambio ed incontro. Conosce ed è iscritto a siti come Groupon il 30% degli intervistati, del quale il 7% dice di sfruttare spesso le offerte da essi messe a disposizione, il 25% qualche volta, il 68% mai. Conosce questi siti senza esserne iscritto il 23%, non li conosce il 47%. Essi rappresenterebbero un incentivo a provare cose che non si conoscono per il 59%, mentre per il 35% non costituiscono un canale di sperimentazione (il 6% non sa o non ha risposto).
Internet, conclude la relazione, “batte i canali tradizionali in convenienza, originalità di offerta e sensazione di appagamento per l’acquisto”; persistono, tuttavia delle “resistenze rispetto ad affidabilità e sicurezza del mezzo”.
Sottolinea, riportando i piedi per terra, Roberto Liscia, Presidente Netcomm, sempre nel corso della giornata milanese, come l’Italia presenti una situazione ancora piuttosto arretrata, rispetto ad altri Paesi, innanzitutto per l’apparentemente insormontabile digital divide e, in secondo luogo, perché gli imprenditori non sembrano interessati ad investire realmente nell’e-commerce. Secondo Liscia possono essere delineate “tre Italie”: quella costituita da coloro che acquistano tramite il web, che ammontano a 9 milioni, a fronte di 26 milioni di utenti complessivi in rete (di questi 5,5 milioni sono “hard users”); poi abbiamo coloro che navigano pur non acquistando (i restanti 17 milioni) e, infine, quelli che nemmeno utilizzano la rete. I dati – continua Liscia – ci dicono che in rete importiamo più di quanto esportiamo, nonostante alcuni segnali positivi ci siano: nel 2010 si è assistito ad un aumento del 30% nelle vendite di prodotti italiani all’estero e ora lo scarto tra import e export digitale è di circa 1 miliardo. Eppure un reale problema di sicurezza nei pagamenti in rete non sembra sussistere, visto che solo lo 0,03% delle transazioni risulta fraudolente (i problemi di sicurezza riguardano semmai altri ambiti, come la privacy, l’identità, il diritto d’autore). Eppure l’attività commerciale in rete dovrebbe inserirsi in una perfetta logica di multicanalità, che vede la collaborazione e l’integrazione con gli altri mezzi a disposizione. Eppure il web rappresenta un canale potenzialmente fortissimo per la trasmissione dell’esperienzialità utile alla costruzione del brand e, forse, proprio in questo si esplicita uno spostamento nell’approccio che deve orientare la realizzazione di campagne commerciali: il 70% di coloro che fanno un viaggio passano successivamente un tempo piuttosto rilevante a trasmettere questa loro esperienza sui vari circuiti social (commenti, foto, aggiornamenti di stato) ed è proprio su questa trasmissione potenzialmente positiva che un’attività di marketing dovrebbe puntare.
In un simile contesto, merita, quindi, una particolare considerazione la nuova frontiera raggiunta dal commercio elettronico: il cosiddetto social commerce, ovvero i modi attraverso i quali le differenti piattaforme sociali possono contribuire a generare acquisti on-line. I vari Facebook, Twitter e LinkedIn possono contare sull’effetto virale e sulla crescita esponenziale del messaggio da essi veicolato: la grande rete unisce un numero decisamente elevato di potenziali destinatari di una campagna commerciale, di gran lunga superiore rispetto agli spettatori televisivi e ai lettori di giornali. Ciononostante il mercato pubblicitario pare ancora dominato, per quasi il 60%, dalla televisione. Le previsioni parlano, per il 2011, di un valore pari a oltre un miliardo di euro per l’advertising on line in Italia, sui 9,2 miliardi del mercato complessivo.
Le diverse piattaforma rappresentano una risorsa di dati relativi a potenziali clienti, dati che, ovviamente – ricorda Michele Raballo, Interactive Capability Lead Accenture – vanno rispettati: è possibile tenere sotto controllo gli umori dell’utenza cui ci si riferisce, senza imporre limiti o moderazioni, ma al semplice scopo di conoscere le reali tendenze nella spinta all’acquisto. Non deve essere il brand ad imporsi e a presentarsi – sottolinea, ancora, Pepe Moeder, Head of Digital Barilla Holding – ma devono essere le esigenze stesse, i bisogni manifesti e latenti degli utenti a guidare l’attività commerciale: “il digitale è come il pongo, cambia perché cambiano le persone”. Queste piattaforme possono servire anche a fornire un’assistenza clienti puntuale e personale, che certamente aiuta l’impresa nel costruirsi una certa credibilità e nel manifestare la propria trasparenza. Infine non bisogna tralasciare l’importanza che potrebbe avere il coinvolgimento in sé degli utenti nell’attività d’impresa, attraverso modelli innovativi di marketing, come rivela, ad esempio, il progetto Pepsi Refresh.
Pubblicato su: PMI-dome
Pubblicato da robertabarbiero in 31 Maggio 2011
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