CASA DOLCE CASA? NON SENZA COLORE

Come dipingere le pareti e come scegliere il colore del pavimento? Ecco cosa c’è da sapere per influenzare in positivo la propria vita.

colori per arredamentoIl più delle volte si tende a sottovalutarne la valenza potenzialmente benefica o dannosa, a non averne reale consapevolezza. Eppure il colore che continuamente ci circonda influenza non poco il nostro umore e il nostro stato d’animo.

• Quando scegliamo di indossare un abito di una certa tonalità non rispecchiamo solo una particolare cerchia sociale di appartenenza, non siamo spinti esclusivamente dal desiderio di seguire determinate mode. Spesso lo facciamo soprattutto per esprimere un nostro personale sentire, per esternalizzare una momentanea inclinazione.

• Se usato nel modo adatto, il colore aiuta a star bene e a ristabilire un equilibrio emozionale, influenza l’atteggiamento e le sensazioni. Non a caso il nostro linguaggio lo utilizza spesso in senso metaforico per esprimere delle risposte emotive: diciamo di avere una fifa blu, di essere verdi d’invidia, rossi di vergogna, neri di rabbia o, ancora, gialli di gelosia.

• Partendo da questa constatazione, è facile comprendere l’importanza, per il proprio benessere, delle scelte cromatiche relative alla propria casa dolce casa, scelte che devono rispondere a esigenze non solo decorative ma anche e soprattutto psicologiche.

COLORE: PERCHÉ È IMPORTANTE NELL’ARREDAMENTO?

Come sottolinea Nadia Palermo – Progettista del colore a Crotone e membro dell’Associazione Italiana dei Consulenti del Colore (IACC) – «l’essere umano nasce in mezzo ai colori ed è, quindi, innaturale privarsene», a maggior ragione nello spazio domestico, dove si trascorre buona parte delle proprie giornate.

• Dipingere la propria casa è un’operazione molto delicata che conduce a «due risultati fondamentali: da una parte serve ad arredare e a dichiarare la personalità dei proprietari, dall’altra a farci stare in armonia con l’ambiente che ci circonda».

• Una progettazione studiata in modo preciso attraverso i colori, permette ai residenti di «cambiare stato d’animo, amare di più la propria casa e sentire più intimo il proprio habitat».

COLORI CALDI O FREDDI?

• Solitamente «i colori caldi aumentando l’attività cardiaca e sono, dunque, eccitanti, mentre i colori freddi rallentando le pulsazioni e sono, quindi, tendenzialmente rasserenanti e tranquillizzanti», evidenzia Nadia Palermo.

• Soggiornare in una stanze dai toni rossi, arancioni o gialli stimola l’allegria, l’energia e le facoltà mentali, favorendo la concentrazione e la socievolezza. Questi toni sono perfetti per il soggiorno, la cucina e l’ambiente studio, considerando, tuttavia, che le varianti troppo accese, usate in superfici estese, possono finire con l’innervosire lo sguardo e la mente (meglio limitarle, dunque, ai particolari di arredamento o agli spazi di transito). L’arancione, in particolare, oltre ad avere effetti antidepressivi, sembra stimolare l’appetito e risulta, quindi, ideale per la sala da pranzo.

• Un ambiente dalle sfumature verdi, celesti o violetta comunica, invece, calma e distensione e risulta quindi ideale per la camera da letto, poiché concilia il sonno e richiama ad una dimensione più spirituale e intima.

COLORI NELL’ARREDAMENTO: ALCUNE ACCORTEZZE

• «Quando si progetta con i colori», avverte l’esperta, «bisogna sempre stare attenti a inserirli nel giusto contesto e a non applicarli secondo principi troppo generali: quando, ad esempio, si dice che il giallo è un colore allegro, bisogna sapere che se lo stesso ha dei toni troppo acidi può risultare fortemente irritante».

• Attenzione a non abusare del bianco, poiché riproduce un ambiente che si allontana molto da quello naturale. Cautela anche per i neri e i grigi, che «spesso rappresentano il lugubre, il passivo e possono perciò avere un effetto deprimente, ma, se utilizzati con sapienza, conferiscono eleganza all’arredamento».

• Per i pavimenti, meglio non scegliere colori troppo chiari, in modo da mantenere una certa coerenza con le superfici presenti in natura, che sfruttano i toni del marrone, del verde, del rossiccio o del giallo.

• Nella progettazione tramite colori «bisogna essere cauti ed esperti in quanto è importante sapere dove applicare i colori, con quali tagli di visuale, valutare il punto di riflessione, l’interazione con la luce naturale e artificiale» evidenzia Nadia Palermo.

I COLORI E LE DIMENSIONI

• Giocare con luce e colori consente di condizionare la visione prospettica della stanza, la percezione della sua forma e della sua estensione. Nel caso di ambienti piccoli, è consigliabile dipingere le pareti e i soffitti con il bianco oppure con tonalità chiare o pastello, che riflettono la luce e danno un senso di maggiore ampiezza. Si può pensare anche di utilizzare degli specchi per dilatare la percezione spaziale e moltiplicare la luminosità. Al contrario, dei toni scuri assorbono la luce e danno l’effetto ottico di uno spazio molto più piccolo.

• È possibile anche “barare” sull’altezza: delle pareti tinteggiate con toni più scuri rispetto a quelli del soffitto faranno apparire la stanza molto più slanciata. Per sottolineare questo effetto, può essere utile rivolgere l’illuminazione proprio verso l’alto. Allo stesso modo, usare della carta da parati o delle tende con delle righe o con altri motivi in direzione verticale permette di incrementare l’altezza percepita.

• Un soffitto e un pavimento scuri abbinati a pareti chiare rendono, per contro, la stanza meno estesa in verticale e più larga e rappresentano, quindi, una soluzione indicata soprattutto per quegli ambienti con soffitti molto alti.

• Per far apparire la stanza non solo più slanciata ma anche molto più profonda, è possibile dipingere il soffitto e la parete di fondo con colori molto chiari e dare alle altre pareti delle tinte scure.

L’IMPORTANZA DELLA LUCE

A influire sulla scelta e l’esperienza cromatica è ovviamente anche il tipo di illuminazione che avvolge la stanza: colori chiari illuminati dalla luce naturale di ampie finestre potrebbero apparire quasi abbaglianti, mentre colori scuri in ambienti poco soleggiati potrebbero risultare tetri.

• Per evitare dei contrasti troppo netti, la parete su cui è collocata la finestra dovrebbe avere una tonalità abbastanza chiara, così come la parete posta di fronte alla fonte di luce, in modo da rendere più luminoso tutto l’ambiente.

• È importante, inoltre, considerare il tipo di luce artificiale da usare nella stanza: le lampadine fluorescenti ad alta efficienza emettono una luce fredda, tendente al verdognolo, anche se si trovano in commercio lampade a fluorescenza con luce calda. Le lampade alogene (e le ormai obsolete a incandescenza) tendono ad avere unaluce calda, mentre quelle a led emettono una luce bianca e molto brillante.

COLORE: L’INFLUENZA DEL SOLE

• Anche la posizione della stanza rispetto al percorso di irraggiamento del sole può influire sulla resa cromatica complessiva: una stanza dipinta di rosa, ad esempio, tenderà all’arancio, nel caso in cui sia esposta a ovest, mentre punterà al violetta, se è orientata a nord.

• Nei vani esposti al nord prevarrà, infatti, una luce più fredda, con una dominante grigio-azzurra, perciò, per compensare e ottimizzare la luminosità, saranno più appropriati colori chiari e caldi, come gialli e rosa. Nei vani orientati a sud, vi sarà una luce forte per periodi più lunghi, capace di rendere icolori particolarmente brillanti e luminosi, per un particolare effetto “energizzante”; malgrado si possano usare tonalità sia fredde che calde, sono comunque preferibili quelle non troppo intense per non stancare l’occhio.

• Quando l’esposizione è a est, la stanza riceverà molte luce e tendenzialmente calda durante il mattino, mentre ve ne sarà poca e più fredda nel pomeriggio; si possono usare sia tinte calde che fredde, ma vanno preferite quelle chiare pastello. Infine, quando l’esposizione è a ovest, i raggi del sole sembreranno più caldi e vicini al rosso, suggerendo l’uso di colori con dominanti fredde oppure tinte calde spente.

LA DIMENSIONE SOGGETTIVA DEL COLORE

Nella scelta di quali tinte utilizzare per arredare la propria casa, rientrano ovviamente anche dei fattori soggettivi: «L’effetto dei colori sul sistema percettivo e sullo stato d’animo è dato dall’esperienza e dai vissuti che il singolo individuo sperimenta nell’arco di tutta la sua vita», rileva la dottoressa Angela Chiericati, Psicologa e Psicoteraputa Costruttivista in formazione a Vicenza.

• Uno stesso colore potrebbe, pertanto, arrivare a suscitare opposte reazioni in due diversi soggetti, richiamando alla mente esperienze «del tutto uniche e influenzate dal contesto socio-culturale all’interno del quale l’individuo è calato e, soprattutto, dal momento biografico che egli sta vivendo».

• Per comprendere a fondo quali siano le combinazioni cromatiche più adatte ad una persona, bisogna «calarsi nella sua speciale e particolare vita per vedere, con i suoi personali occhiali, come costruisce e percepisce il mondo».

COME PERCEPIAMO IL COLORE?

• Questa soggettività dipende dal modo in cui percepiamo i colori: «L’area del cervello responsabile dell’origine e della gestione delle emozioni viene chiamata sistema limbico. Tale sistema è composto da varie formazioni tra cui l’amigdala, una zona a forma di una mandorla in cui confluiscono proprio le informazioni relative alle nostre emozioni», spiega la Psicologa. Essa – prosegue – «svolge una funzione determinante per le nostre reazioni agli oggetti, alle situazioni e ai colori, reazioni che sono finalizzate alla difesa personale».

Articolo realizzato per il settimanale Viversani & Belli del 17 gennaio 2014, con la consulenza di Nadia Palermo, Progettista del colore a Crotone e membro dell’Associazione italiana dei consulenti del colore (IACC) e della dottoressa Angela Chiericati, Psicologa e Psicoteraputa Costruttivista in formazione a Vicenza.

Pubblicità

…PROVIAMO CON UN SORRISO!

Lo sappiamo, è vero: c’è la crisi. Siamo costretti a fare continue rinunce, ad accumulare sconfitte, a fare il pieno di preoccupazioni e a sacrificare la nostra tranquillità sull’altare dell’incertezza. Eppure sembra che tutto questo non riesca ancora ad abbatterci completamente e a impedirci di affrontare le giornate con un bel trionfale sorriso.

Foto di Daniele Padovan, Photographer & Videomaker (www.danielepadovan.com)

Foto di Daniele Padovan, Photographer & Videomaker (www.danielepadovan.com)

• Sempre meno tranquilli, ma ancora sorridenti. In questo piccolo dettaglio risiede forse la forza più autentica e propositiva del Belpaese: ben il 63% degli italiani dichiara di sorridere tutti i giorni e la percentuale sale addirittura al 77% se si considera la sola fascia dei giovani. A rivelarlo è uno studio firmato Future Concept Lab, promosso dall’Osservatorio sull’Igiene Orale di AZ e Oral-B e condotto a settembre 2013 su 600 italiani di età compresa tra i 19 e i 64 anni.

ITALIANI: PERCHÉ SORRIDONO?

Quali sono i motivi di tanta felicità? Medaglia d’oro per i complimenti, che inducono a sorridere ben il 38,2% degli italiani. Labbra all’insù anche grazie alle tenerezze che si ricevono (36,7%), alle battute di spirito che si sentono (34,7%), ai gesti di cortesia (33,7%) e alle chiacchiere in confidenza (34%). L’immagine che ne esce è, dunque, quella di un popolo composto in buona parte da vanitosi, affettuosi e burloni.

• «Per vivere dobbiamo alimentarci non solo con il cibo, ma anche con tenerezze: riceverle e darle agli altri aiuta a costruire quei legami affettivi che ci fanno sentire umani. In fondo un abbraccio vissuto intensamente ha molto più valore, nella nostra memoria, che non dei beni materiali mostrati o condivisi con altri», spiega la dottoressa Antonella Brugnetta, psicologa e psicoterapeuta a Visco (Udine).

LA RICETTA DEL BUONUMORE

• Lo studio ha inteso anche individuare quali siano, secondo i rispondenti tricolori, gli aspetti che, nonostante la crisi, meritano primariamente un sorriso. Ne è emersa una sorta di “ricetta del buonumore”, che ricalca una scala di valori ideali ai quali gli italiani sembrano aggrapparsi in questo periodo. Tra gli ingredienti di questa ricetta, il più importante è risultato essere la salute (81%), subito dopo vengono una famiglia affettuosa (76,3%) e un lavoro soddisfacente (54,7%).

• Si tende, dunque, a «dare più valore a ciò che rappresenta un bisogno primario e a mettere in secondo piano ciò che risulta un bisogno secondario: prima sentiamo il bisogno di sopravvivere (salute), poi di poter contare su qualcuno (famiglia affettuosa) e, solo successivamente, di avere un lavoro soddisfacente», rileva la dottoressa Brugnetta.

BAMBOCCIONI SORRIDENTI

• L’indagine è giunta anche a delineare l’identikit di chi sorride di più: uomo, di classe socio-economica medio-alta, trentenne, laureato ma ancora a casa con i genitori. “Bamboccioni” sì, ma felici, insomma.

• «L’autonomia – e la possibilità di assaporarne i vantaggi – si raggiunge con sempre più fatica. Stare nell’ambiente familiare, oltre a generare sensazioni di protezione, ritarda la crescita e la maturazione dell’essere umano; impone un rallentamento nello sviluppo di molti aspetti che riguardano l’essere adulto, come ad esempio la responsabilità di se stessi nella quotidianità», sottolinea la psicologa. «È come rimanere nel proprio nido, al calduccio, ricevendo tutte le cure possibili. Una situazione di tutto (e apparente) benessere».

• Forse, dunque, la crisi non impedisce ai “bamboccioni” di sorridere così tanto semplicemente perché, costretti a vivere sotto l’ala protettiva dei genitori, essi non sono abbastanza consapevoli delle vere difficoltà imposte dalle urgenze quotidiane.

IL SORRISO È DIGITALE

Quella attuale non è però solo un’epoca segnata da bilanci in rosso e manovre “lacrime e sangue”: a dominare la scena sono anche le tecnologie e le molteplici manifestazioni del web 2.0. Ecco, allora, che una sbirciatina alla rete può contribuire ad alleggerire una giornata di impegni, lavoro o studio, infondendo il buon umore negli intervistati; questo risulta tanto più vero per i giovani di età compresa tra i 19 e i 29 anni, i fruitori per eccellenza di social network, blog, forum e delle varie piattaforme digitali, i quali, nel 19% dei casi, rivelano come tale prassi virtuali aiutino a indossare il sorriso.

PERCHÉ SORRIDERE FA BENE

Sorridere in tempi di crisi aiuta? Medici, psicologi e buon senso sembrano concordi nel sottolineare come affrontare situazioni complesse con uno spirito positivo non possa che essere funzionale al raggiungimento dei propri obiettivi.

• Oltre a migliorare l’umore e a tenere lontane ansia, paura e depressione, sorridere concilia il sonno e contribuisce a migliorare il benessere fisico del corpo. Rilassa i muscoli, migliora la circolazione del sangue, aumentandone l’ossigenazione e rappresenta, per questo, una vera e propria palestra per cuore e arterie, un potente alleato contro le malattie cardiache. Aiuta, inoltre, «a gestire la rabbia, a sentire meno il senso della fatica e a sopportare meglio il dolore fisico», spiega Antonella Brugnetta. Permette poi «l’aumento delle endorfine nel cervello, una sostanza prodotta dal nostro corpo con valore oppiaceo, capace di offrire un senso immediato di benessere».

• Sembra, inoltre, che il sorriso faccia dimagrire, soprattutto quando si trasforma in una risata fragorosa ed energica: secondo una ricerca pubblicata sull’International Journal of Obesity, ridere 15 minuti al giorno può permetter di perdere oltre due chili in un anno. Il potere del gesto sarebbe tale da produrre i suoi effetti positivi anche se stampato forzatamente sul viso (tenendo, ad esempio, una matita in bocca), stando a quanto dimostrato dal neurologo francese Guillaume Benjamin Amand Duchenne, intorno alla metà dell’Ottocento, e ribadito da vari successivi esperimenti.

• Ridere mantiene giovani, poiché rappresenta un importante esercizio per i muscoli facciali (rende la pelle del volto più tonica e luminosa), oltre che per l’addome e per il diaframma.

SORRIDERE FACILITA LE RELAZIONI

• La forza del sorriso non risiede solo nei limiti della dimensione individuale e intima di ciascuno di noi, essa si manifesta con particolare vigore e intensità anche all’esterno, nel nostro relazionarci con gli altri. Sorridere è un’importante risorsa per l’autostima, rende più sicuri di sé e rappresenta un atto contagioso, dunque capace di migliorare l’ambiente che ci circonda. Rappresenta un linguaggio universale, una sorta di calamita che attrae gli altri e che, dunque, facilita i rapporti.

• L’indagine rivela, infatti, come, la prima volta che si incontra una persona, si rimanga colpiti soprattutto dal suo sguardo (41%) e dal suo sorriso (34%). La potenza espressiva del volto non va certo sottovalutata nel dare vita alle proprie relazioni interpersonali.

• «Il sorridere comunica apertura e disponibilità allo stare insieme e a condividere quel momento. Quando sorridiamo comunichiamo all’altro che siamo d’accordo e quando riceviamo un sorriso non sarcastico ci sentiamo bene, le tensioni calano», evidenzia la dottoressa Brugnetta.

ANCHE MENTRE LAVORI, CONCEDITI UN SORRISO!

Per le aziende oltreoceano non è raro assumere degli “smile coach”, capaci di creare un clima di benessere favorevole all’agire imprenditoriale.

• Riducendo le inibizioni e aumentando l’autostima dei lavoratori, l’approccio del sorriso consente di sviluppare la leadership nei partecipanti e di migliorare le relazioni all’interno e all’esterno dell’azienda.

• Permette, inoltre, di tenere sotto controllo lo stress, inducendo uno stato di rilassamento immediato, obbligando la mente a scollegarsi dalle pressioni del mondo fisico, per concentrarsi sulla ricerca di un equilibrio psico-fisico.

• Incoraggia, infine, la creatività nella risoluzione dei problemi e influenza positivamente la produttività, fornendo la giusta energia e motivazione per affrontare al meglio le sfide quotidiane.

Foto di Daniele Padovan, Photographer & Videomaker (www.danielepadovan.com)

Foto di Daniele Padovan, Photographer & Videomaker (www.danielepadovan.com)

QUANDO IL SORRISO DIVENTA ISTITUZIONE…

Così tanti benefici non potevano lasciar indifferente il mondo accademico, il quale si è mobilitato, negli ultimi anni, attivando numerosi corsi di studio e scuole basate proprio sullo studio, la diffusione e l’applicazione dell’energia benefica suscitata dalla risata. Tra gli esempi più prestigiosi, vale la pena ricordare l’Università Harvard a Cambridge e l’Università della Sorbona a Parigi. Ovunque, anche in Italia, si moltiplicano poi corsi di yoga della risata (laughter yoga o hasyayoga) e i club che si riuniscono per praticare questa disciplina importata dall’India.

• «Dal 2010-11 la crisi economica globale ha cominciato a evidenziare anche la crisi di valori e molte persone hanno trovato nello yoga della risata il recupero dei valori di condivisione, empatia, solidarietà e poi la gioia della risata incondizionata», spiega Laura Toffolo, Presidente dell’Associazione nazionale yoga della risata.

• «Inoltre molti hanno cominciato a vederla come opportunità di lavoro, iniziando a vendere servizi ad hoc, o abbinandola ad attività in crisi, per rinvigorirle e dar loro un nuovo appeal: yoga della risata come volano per vendere meglio ciò che era diventato difficile proporre (consulenze, formazione, coach, counseling)». Attenzione però: «Se lo si fa solo per business o quasi proponendo una performance, non porta i cambiamenti dichiarati, non sarà cioè un’esperienza che cambia la vita», avverte Laura Toffolo.

…E TERAPIA

• «Alcune volte anche nella pratica psicoterapeutica, e come obiettivo terapeutico, si utilizza il sorriso per sdrammatizzare, ironizzare e, quindi, allentare degli aspetti caratteriali che la persona ha e che creano problemi nel cambiamento e nel benessere della persona», sottolinea la dottoressa Brugnetta.

• In alcuni ospedali si pratica la “geloterapia”, la terapia del sorriso che intende suscitare allegria nei pazienti: sperimentata per la prima volta in Austria, tale tecnica si è dimostrata capace di produrre delle significative diminuzioni nei valori di pressione arteriosa e risulta, dunque, molto utile nella riabilitazione dopo un ictus.

• L’importanza del sorriso è stata, infine, ufficializzata attraverso l’istituzione del “World Smile Day”, la Giornata mondiale del sorriso, celebrata ogni anno il primo venerdì di ottobre e nata nel 1999 da un’idea di Harvey Ball, l’ideatore dello “smile”, la famosa icona del sorriso. La prima domenica di maggio si festeggia, invece, la “Giornata Mondiale della Risata”, introdotta dal medico indiano Madan Kataria (il “papà” dello yoga della risata) a partire dal 1998.

Articolo realizzato per il settimanale Viversani & Belli del 10 gennaio 2014, con la consulenza della dottoressa Antonella Brugnetta, psicologa e psicoterapeuta a Visco (Udine) e della dottoressa Laura Toffolo, Presidente dell’Associazione nazionale Yoga della risata, Master Teacher e Ambassador Laughter Yoga International

Foto di Daniele Padovan, Photographer & Videomaker (www.danielepadovan.com / Pagina Facebook)

Stitichezza: quanta confusione!

Medici e pazienti non sempre parlano la stessa lingua e ciò appare tanto più evidente quando l’oggetto di discussione è la stitichezza. A questa sconfortante conclusione sono giunti i ricercatori dell’Aigo, l’Associazione italiana gastroenterologici ed endoscopisti ospedalieri, al termine di uno studio multicentrico, presentato a Berlino, nel corso della 21° United European Gastroenterology Week.

Medici e pazienti non sempre si capiscono. Soprattutto quando si parla di un problema che ha così tanti aspetti ed è vissuto in modo così soggettivo

Medici e pazienti non sempre si capiscono. Soprattutto quando si parla di un problema che ha così tanti aspetti ed è vissuto in modo così soggettivo

• Su 1914 soggetti coinvolti nell’indagine, sono ben 661 (pari al 34,5%) coloro che pensano di essere costipati. Tra questi, il 13% non presenta, tuttavia, i criteri che i medici considerano necessari per la diagnosi di stipsi; viceversa, tra i soggetti che sostengono di non avere alcun problema intestinale, il 19% sembra, in realtà, possedere le caratteristiche richieste per questa diagnosi.

STIPSI: PERCHÉ TUTTA QUESTA CONFUSIONE?

Da una parte si tende, dunque, a sovrastimare il fenomeno, dall’altra a trascurarlo: l’errata percezione sembra dipendere, innanzitutto, dall’estrema varietà delle manifestazioni legate all’irregolarità intestinale e, parallelamente, dalla soggettività con cui si tende ad auto-valutare tali manifestazioni.

• «Vi è probabilmente un equivoco di fondo», spiega il dottor Massimo Bellini, Responsabile dell’Ambulatorio per i disturbi funzionali dell’Unità operativa di Gastroenterologia universitaria di Pisa e coordinatore dell’indagine: «Molto spesso il medico considera la stipsi semplicemente come un disturbo della frequenza dell’evacuazione, mentre il paziente, in maniera forse più corretta, dà molto più peso al livello di soddisfazione e gratificazione» legato alla propria esperienza in bagno.

• «La stitichezza rappresenta un sintomo che è il paziente stesso a riferire: a differenza di altre problematiche, come il tumore del colon o l’ulcera gastrica, che è possibile fotografare con l’endoscopio o altri strumenti oggettivi, qui c’è un problema relativo a come il paziente auto-percepisce la normalità sulle sue abitudini defecatorie».

• Allo stesso modo, alcuni parametri direttamente osservabili e misurabili dal paziente non sempre sono sufficienti di per sé: non andare di corpo ogni giorno non significa necessariamente soffrire di stitichezza, proprio come andarci più volte al giorno non vuol dire per forza esserne immuni.

• Nello sfasamento della percezione rientrano poi ovviamente anche dei fattori di ordine psicologico: «Se un paziente costruisce un modello mentale secondo il quale dovrebbe andare di corpo tutti i giorni, verrà ovviamente condizionato da tale modello nella sua valutazione della problematica. Qui rientra anche una componente di ossessività e di iper-precisione». Dito puntato anche su ansia e stress che «molto spesso influenzano il comportamento intestinale e portano a non dedicare il tempo necessario alla defecazione».

CRITERI DI ROMA III

• La diagnosi di stipsi non può essere formulata solo sulla base del numero ridotto di evacuazioni, ma richiede una valutazione più ampia e rigorosa da parte del gastroenterologo. Per individuarne la forma più comune, quella cronica (non, dunque, una forma transitoria dovuta a cambiamenti nelle abitudini alimentari e nello stile di vita) e funzionale (non riconducibile, cioè, a cause organiche, farmacologiche o metaboliche), si può fare ricorso ai criteri di Roma III, frutto di una standardizzazione internazionale e utili non solo a fini scientifici ma anche gestionali e pratici.

• Stando a tali criteri si parla di stitichezza qualora ricorrano queste condizioni, negli ultimi tre mesi (ma con esordio da almeno sei mesi):

1- Sono presenti due o più dei seguenti disturbi, in almeno un quarto delle defecazioni:
– sforzo evacuativo;
– feci piccole, bozzolute e dure;
– sensazione di evacuazione incompleta o addirittura di ostruzione, blocco ano-rettale;
– necessità di manovre manuali per facilitare la defecazione (massaggiarsi la pancia, sollevare le natiche, usare il dito per disimpattare);
– meno di tre evacuazioni alla settimana.

2- Le feci liquide sono rare, se non nel caso in cui siano stati usati dei lassativi.

Pazienti – e anche medici – tendono spesso a confondere la stitichezza con l’intestino irritabile a impronta stitica che comporta, invece, in aggiunta, anche dolore o fastidio addominale ricorrente almeno tre giorni al mese e che è associato ad almeno due tra: miglioramento dopo la defecazione oppure insorgenza con un cambio di frequenza della defecazione oppure ancora insorgenza con un cambio di forma o apparenza delle feci.

UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO

Il problema è, quindi, anche di linguaggio, da ricondurre alla difficoltà che i pazienti hanno a definire con esattezza i confini del disturbo.

• La stipsi rappresenta, infatti, un grande “ombrello” semantico sotto il quale possono nascondersi diverse problematiche: «Potrebbe essere il sintomo di un intestino irritabile oppure potrebbe trattarsi di una stipsi da rallentato transito (fortunatamente non così frequente), in cui il colon non si svuota mai poiché è presente un problema nell’innervazione o nell’azione della muscolatura del colon», spiega Massimo Bellini.

• Vi è poi, ancora, la defecazione dissinergica, che – prosegue il dottore – «colpisce soprattutto le donne e che si caratterizza per la mancanza di coordinazione e sinergia, durante l’evacuazione, tra la spinta data con i muscoli dell’addome e l’apertura dello sfintere (è come spingere il dentifricio fuori dal tubetto senza aver tolto il tappo)».

• Si pensi, infine, anche a tutte le forme di stipsi secondaria, «come quelle legate all’assunzione di farmaci, molto frequenti tra gli anziani».

MEDICI E PAZIENTI: UN RAPPORTO COMPLICATO

• Questa lontananza linguistica rischia di compromettere il rapporto stesso tra camici bianchi e pazienti. «Il medico non può rifiutarsi di curare un soggetto perché non rientra nei criteri di Roma III, è necessario capire i motivi dei disagi lamentati e dare comunque delle risposte», sottolinea il dottor Bellini.

• Indagini come quella presentata dall’AIGO potrebbero rivelarsi, allora, particolarmente utili per comprendere la centralità di questo momento d’incontro: «Per via della crisi, il personale è sempre di meno e con sempre più mansioni, tuttavia è importante che il gastroenterologo ascolti il paziente con molta attenzione: troppo spesso etichettiamo in maniera sbagliata il problema, per poi proseguire con lo stesso errore nel corso dell’intera cura».

• A questa accortezza devono poi fare seguito «delle campagne educazionali del paziente, capaci di offrire tutte le regole e i consigli, in fondo molto semplici, per delle buone abitudini. Se questi non dovessero bastare, si può far ricorso anche ai farmici, l’ideale è un approccio a step successivi».

STITICHEZZA: LE BUONI ABITUDINI

Per facilitare il buon funzionamento dell’intestino, vi sono molteplici norme comportamentali che è consigliabile seguire. Innanzitutto è bene non reprimere mai lo stimolo ad andare in bagno, stabilire, quando possibile, un’ora precisa per la defecazione e mangiare lentamente, masticando con cura gli alimenti. L’ideale sarebbe – suggerisce Massimo Bellini – «sincronizzare la defecazione al mattino, quando il passaggio dalla posizione sdraiata a quella eretta, unita ad una colazione abbondante, aiuta il colon a produrre delle onde peristaltiche che conducono il contenuto fecale verso il retto».

• Praticare un’attività fisica regolare contribuisce poi a mantenere un buon tono della muscolatura intestinale e favorisce la riduzione del tempo di transito intestinale.

• Bere un litro e mezzo o due litri di acqua al giorno può aiutare ad evitare la formazione di feci troppo dure. Superare questa quantità appare, tuttavia, inutile, poiché «il nostro colon e il nostro intestino sono pensati per riassorbire una quantità di liquidi superiore ai 10 litri al giorno», rivela il dottore.

• Potrebbe risultare utile anche aumentare l’assunzione di fibre vegetali (presenti, ad esempio, nella crusca, nel frumento, nelle carote, nei broccoli, nelle mele, nelle arance, nel succo di prugna), arrivando a circa 30 grammi al giorno. Attenzione però alle controindicazioni: l’eccesso di fibre può portare alla comparsa di fenomeni sgradevoli quali distensione addominale e flatulenza.

• Sconsigliati i formaggi elaborati, il cioccolato, la carne, il fegato, il riso e la farina raffinata.

L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECISA

Solo una piccola parte (5%) dei pazienti che si ritengono stitici si rivolge al gastroenterologo, gli altri ripiegano su soluzioni fai te, affidandosi ai consigli degli amici, dell’erborista, del farmacista o della pubblicità.

• «Un passato studio sulla normalità auto-percepita dal paziente ha evidenziato come il 10-12% dei soggetti intervistati, che non avevano particolari problemi intestinali, assumesse un lassativo almeno una volta al mese, ritenendo che il semplice fatto di purgarsi, di tanto in tanto, potesse fare bene», rileva il dottor Bellini. «Questo rappresenta un vecchio retaggio della cultura popolare: attorno al problema della stipsi circolano decine di falsi miti e leggende metropolitane».

• I lassativi sono tra i farmaci maggiormente utilizzati come automedicazione, ma, se impiegati in modo scorretto, possono provocare un’inutile e pericolosa assuefazione soprattutto di tipo psicologico.

• La forte confusione semantica rilevata dietro la stessa parola “stipsi” suggerisce quanto sia fondamentale sviluppare una diagnosi precisa per trovare il trattamento idoneo e non rischiare di ignorare quelli che potrebbero essere i sintomi di problemi ben più seri.

Articolo realizzato per il settimanale Viversani & Belli del 3 gennaio 2014, con la consulenza del dottor Massimo Bellini, Responsabile dell’Ambulatorio per i disturbi funzionali dell’Unità operativa di Gastroenterologia universitaria di Pisa