Le Startup italiane puntano all’estero

Cresce del 20% il numero di attività che scelgono di svilupparsi fuori dai confini nazionali. In attesa degli effetti del Decreto Sviluppo Bis, la survey Mind the Bridge delinea la morfologia e la geografia dell’intero fenomeno

Per la maggior parte si collocano ancora su un livello progettuale, sono presenti più al Nord che altrove, hanno scelto come ambito di applicazione il Web e l’Ict, si sviluppano attorno a un gruppo di 2 o 3 soci tra i 26 e i 35 anni, sempre più decidono di incorporarsi all’estero e in prevalenza puntano ad una futura operazione di exit.
È il profilo essenziale delle startup italiane che emerge dalla seconda edizione della survey “Startups in Italy: Facts and Trends”, realizzata dalla fondazione Mind the Bridge con il supporto scientifico del CrESIT – Research  Centre for Innovation and Life Sciences Management dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese e presentata lo scorso 26 ottobre da Alberto Onetti (Chairman Mind the Bridge), in occasione della quinta edizione del Venture Camp della fondazione, tenutasi, come da tradizione, presso la sede del Corriere della Sera a Milano. L’indagine ha inteso offrire un quadro dettagliato e aggiornato dell’ecosistema italiano delle startup, cogliendone i tratti fondamentali ed evidenziandone criticità e tendenze.
Quando si parla di startup – ricorda il report – si fa riferimento a nuovi progetti di impresa con una marcata vocazione all’innovazione e forti ambizioni di crescita. Le statistiche nazionali non censiscono questa categoria di imprese, perciò non risulta semplice offrire delle stime certe circa la dimensione del fenomeno e delle valutazioni circa le sue caratteristiche strutturali. A complicare gli intenti d’indagine, vi sono pure una serie di fattori tipici di questa categoria di imprese, come gli elevati tassi di mortalità e i processi di “pivoting” (attraverso i quali i fondatori modificano, anche radicalmente, l’oggetto della propria attività e promuovono, poco tempo dopo, un progetto d’impresa differente, spesso con una nuova denominazione), che ne mutano radicalmente e continuamente la morfologia.
Sono circa 800/1.000 le richieste annuali di finanziamento giunte ai principali fondi e società di investimento, raggruppati intorno all’Italian Venture Capital Hub, mentre è stimato tra le 3 e le 8 mila aziende l’attuale volume complessivo delle startup in Italia. Si tratta di una componente ancora minoritaria dell’universo produttivo italiano, ma di certo connotata da una maggiore dinamicità e da una rapida ascesa.
Quello di Mind the Bridge Foundation è, ad ogni modo, un punto di vista privilegiato, che ha potuto contare sull’analisi delle 166 aziende e dei 369 imprenditori che hanno fatto domanda di partecipazione alla Seed Quest 2012, il suo annuale concorso per business plan, nato allo scopo di selezionare le più innovative e promettenti idee italiane. Dato che il programma Seed Quest si rivolge primariamente ad aziende nelle fasi iniziali del proprio ciclo di vita, la survey focalizza la propria attenzione sul segmento del cosiddetto “early stage”, in cui rientrano appunto le aziende di recente costituzione e in cerca di un primo round di finanziamento, operanti in ambiti innovativi e con intensi piani di crescita.
Si conferma una tendenza rilevata già lo scorso anno: le startup vengono spesso formalmente costituite solo dopo che la business idea sia stata validata e, in alcuni casi, una volta trovati i capitali necessari alla sua realizzazione. Il 59% del campione indagato è costituito da progetti di impresa (“wannabe startup”) che non sono ancora stati strutturati in forma societaria. Le imprese già formalizzate come società sono comunque giovanissime (età media di 1/2 anni) e rappresentano il 36%. Il 5% della popolazione è rappresentato, infine, da corporate spinoff, nuovi progetti avviati, cioè, da aziende già esistenti, allo scopo di supportare processi di diversificazione e innovazione della propria attività.
Con riferimento alle aree di business, il report rileva come la maggior parte delle startup italiane sia attiva in ambito Web (49%) e nell’Information and Communication Technologies-ICT (21%), mentre il 4,8% si concentra su consumer products e il 3,6% circa su electronics&machinery. Meno rilevante numericamente il settore delle clean technologies (1,2%) e quello del biotech/life sciences (0,6%). Il rimanente 19% di imprese opera in altri settori di attività, soprattutto quelli di servizio. Si nota una relazione inversa tra numero di imprese operanti in un ambito e livello di investimenti richiesti per avviare il progetto di impresa in quel particolare ambito.
La maggior parte delle startup (52%) è localizzata nel Nord Italia, il 21% nel Centro e il 15% nel Sud e nelle Isole (percentuale, quest’ultima, in crescita del 50% rispetto allo scorso anno). Anche quest’anno Lombardia (25%, soprattutto Milano) e Lazio (18%, soprattutto Roma) si confermano le regioni a maggiore densità di startup, seguite da Emilia Romagna e Veneto (9%).
Con un incremento di 20 punti percentuali rispetto allo scorso anno, ben l’11% delle startup italiane ha scelto di incorporarsi all’estero (ad attrarre maggiormente sono Stati Uniti e Regno Unito), dato che evidenzia, da una parte, la forte mobilità di queste imprese scarsamente radicate nel territorio, dall’altra la bassa competitività del nostro paese nell’attrarre investimenti in questo settore. Forti sono, in tal senso, le attese circa gli esiti effettivi delle “Misure per la nascita e lo sviluppo di imprese start-up innovative”, previste dal Governo con il Decreto Legge 18 ottobre 2012, n. 179 (in G.U. n. 245 del 19.10.12), recante “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” (si tratta del cosiddetto “Decreto Sviluppo Bis”): sono in molti ad augurarsi che il rinnovato contesto normativo possa agevolare la costruzione e la crescita delle startup e dunque attenuarne la fuoriuscita dal territorio italiano.
In realtà – ha sottolineato Marco Marinucci, fondatore e direttore esecutivo di Mind the Bridge, presente al Venture Camp – dove le aziende si sviluppino è un falso problema, l’importante è metterle in condizione di poterlo fare”. “Non bisogna – ha aggiunto Alberto Onetti – demonizzare la mobilità che, di per sé, non è un fattore negativo da censurare a tutti i costi: il recente caso di Decisyon dimostra come un’incorporazione all’estero possa fare da volano anche in Italia, moltiplicando crescita e occupazione”. Si tratta di un’azienda software fondata da un italiano, Franco Petrucci, con sede nel Connecticut e sviluppo tecnologico totalmente insediato a Latina, che ha raccolto 15 milioni di dollari dal fondo di private equity americano Axel Johnsons Inc e da altri investitori statunitensi e britannici.
Dal punto di vista di un investitore, conta la qualità del team e il valore che i prodotti portano ai clienti”, ha dichiarato Erik Jansen, presidente di Decisyon, anch’egli al Venture Camp. “L’Italia ha professionalità tecnologiche incredibilmente di talento. E Decisyon ne è un ottimo esempio. Il nostro investimento nell’azienda contribuirà a trasformare questa società italiana di successo in un leader mondiale nel software per le imprese”.
Per quanto riguarda i fattori in grado di influenzare la localizzazione di una startup, troviamo al primo posto il network di contatti (69%), seguito dalla possibilità di accedere a risorse umane altamente specializzate, come ingegneri, programmatori, manager (57%), dalla qualità della vita, dal luogo di residenza di uno dei founders (entrambe al 52%) e dalla prossimità ai centri di ricerca (40%). L’accesso al capitale (43%) si colloca solo al quinto posto, segno di come, per l’avvio e lo sviluppo d’impresa, contino soprattutto le relazioni e le competenze.
Cosa si colloca all’origine della business idea? Nel 67,3% dei casi vi è la ricerca, in particolare quella applicata, che da sola raggiunge il 27,3%, contro il 7,3% della ricerca di base. Si conferma così indirettamente il ritardo del sistema universitario italiano con riferimento al technology transfer, vista la difficoltà del mondo accademico di tradurre le grandi potenzialità di ricerca in impresa. Lo stimolo per la genesi di una startup proviene infine, nel 50% dei casi, dal posto di lavoro.
Con riferimento ai fattori motivazionali che spingono a creare una startup, vi è innanzitutto la volontà di risolvere un problema vissuto in prima persona (ad esempio un prodotto o un servizio insoddisfacente, un bisogno insoddisfatto), che attiene i cosiddetti “user entrepreneurs” e rappresenta il 77% del campione. Vi è poi anche la voglia di cambiare, migliorandolo, un mercato esistente o uno spazio di mercato al momento non presidiato (68%). Anche il desiderio di autodeterminazione (essere cioè il “boss” di se stessi, per il 53% dei casi) e di auto-realizzazione (51%) inducono ad affrontare la nuova sfida imprenditoriale.
Si conferma poi il fondamentale ruolo dei supporters, cioè delle persone che hanno sostenuto l’imprenditore nella finalizzazione dell’idea di business e nelle fasi iniziali di costituzione d’impresa: la famiglia conta per il 48% del campione, gli amici per il 43% e i colleghi di lavoro per il 38%.
La survey ha indagato poi sul profilo medio dello startupper italiano: si tratta di una persona di 33 anni, di sesso maschile (nell’89% dei casi), dotata di un livello di istruzione abbastanza elevato e di un bagaglio di esperienze lavorative e imprenditoriali. Più in particolare, il 52% degli imprenditori ha una laurea di primo livello (nel 6% dei casi conseguita all’estero) e il 42% circa ha anche una laurea specialistica (nel 9% dei casi all’estero). Il 10% ha anche un PhD (dottorato di ricerca) o un MBA (Master in Business Administration) e, di questi, l’87% ha studiato in Italia, mente il 13% all’estero (in primis negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Spagna, in Francia e in Svizzera). La maggior parte degli startupper è nata al Centro Nord (48% al Nord e 23% al Centro), mentre solo il 24% al Sud o nelle Isole (il restante 5% all’estero). Il divario territoriale aumenta ancor di più se si considera il luogo di residenza degli imprenditori.
Circa l’80% degli startupper ha avuto un’esperienza da lavoratore dipendente (in media pari a 8/9 anni) prima dell’avvio della propria attività imprenditoriale (il 17% di questi ha anche trascorso un periodo lavorativo all’estero) e ben il 25% dei founder non è alla sua prima startup (dato che conferma anche in Italia il fenomeno dell’imprenditorialità seriale), mentre solo il 19% sono gli startupper alla prima esperienza lavorativa e imprenditoriale. L’8% degli imprenditori seriali ha dichiarato una exit, mentre l’87% si dichiara ancora coinvolto nell’iniziativa precedente ( “parallel entrepreneur”). L’8% delle precedenti startup era stato fatto all’estero, però solo il 50% di queste è rimasto fuori confine, mentre il 50% è rientrato o prevede di rientrare in Italia. Limitato il contributo dei ricercatori universitari alla creazione di imprese (solo l’8% degli startupper ha precedenti esperienze in ambito accademico).
Le startup sono costruite intorno ad un gruppo in media di 2/3 soci, di un’età compresa tra i 26 e i 35 anni ed impiegano 4/5 dipendenti: si tratta quindi, in prevalenza, di gruppi imprenditoriali che aggregano competenze differenti e generano un contributo, in termini di occupazione, non elevatissimo, ma pur sempre importante in prospettiva. Il 39% dei founders dichiara di aver conosciuto i propri soci sul posto di lavoro, il 32% in base a rapporti di amicizia preesistenti e il 26% in ambito universitario. Solo nel 10% dei casi il gruppo imprenditoriale si allaccia a quello familiare.
La forma di finanziamento più diffusa (58%) tra le startup è il bootstrapping (capitali raccolti dal gruppo dei fondatori tra le risorse possedute direttamente o all’interno del nucleo familiare o della rete di conoscenti). Un 8% ha avuto accesso a grants (finanziamenti in genere destinati al supporto di attività di ricerca in ambito universitario), un 6% dei fondi proviene da banche e fondazioni, mentre un ulteriore 6% è stato finanziato da altre imprese di natura non finanziaria. Il 16% ha reperito investimenti in equity da investitori terzi, in prevalenza angels (8%, si tratta di persone fisiche che in genere effettuano investimenti in forma associata) e seed funds (7%, fondi di investimento focalizzati su aziende early stage e su attività di incubazione ed accelerazione). Solo una quota molto limitata ha avuto accesso a venture capital (1,2%, fondi di investimento specializzati nel capitale di rischio). Le startup che hanno già raccolto capitale (in qualsiasi forma) sono circa il 70% ed, eliminando i valori estremi della distribuzione dei finanziamenti, si rileva come l’investimento medio si attesti sui 65 mila euro. La maggior parte di questi finanziamenti viene utilizzata per il product engineering (75%), per investimenti in marketing & sales (57%), Research and Development – R&D (38%) e, in minima parte, per spese generali e amministrative.
Infine le richieste e gli obiettivi delle startup italiane: la maggiore parte è alla ricerca di capitali (69% seed investment e 59% venture capital), ma anche di partner strategici che possano supportare le varie fasi di sviluppo (50%). Il 57% punta ad una exit, attraverso la cessione di impresa (Mergers and acquisitions – M&A), mentre il 32% non ha obiettivi di vendita. Un 10% pensa ad un IPO (Initial Public Offering).
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Web tv, crescono le opportunità di business per le PMI

Nati in forma quasi amatoriale dall’iniziativa di singole personalità, questi canali sembrano essere sempre più strutturati e maturi, offrendo grandi opportunità alle aziende, consentendo investimenti pubblicitari meno onerosi e rivolti ad un pubblico ben mirato

Le nuove tecnologie hanno investito il sistema dei media, rivoluzionandolo grazie alla loro portata innovatrice. La televisione, come tradizionalmente la intendiamo, sembra essere costretta a cedere, un po’ alla volta, quote consistenti del proprio ruolo di regina incontrastata tra i mezzi di comunicazione di massa.
Cambia l’approccio degli utenti al mondo dell’informazione e dell’intrattenimento, sempre più essi scelgono di non essere semplici telespettatori, ma di farsi autori e distributori stessi di contenuti audiovisivi. Muta, di conseguenza, la tradizionale filiera produttiva. L’era digitale ha imposto un’alterazione nelle logiche di partecipazione, si rileva un passaggio dal concetto di mass-media a quello di my-media (o di personal media), dove i “Netizen” (Internet Citizen), ovvero i cittadini digitalizzati, si fanno protagonisti di un nuovo modo di raccontare ciò che accade.
La rete e il mobile diventano vettori privilegiati di contenuti, l’interattività da essi promossa fa saltare i paradigmi tipicamente televisivi della fruizione audiovisiva. Viene abolita l’esclusività dello schermo televisivo, il cui consumo si ibrida con altri schermi frutto dell’innovazione tecnologica, dove si evolvono i linguaggi, dove è possibile un’interazione maggiore, dove vince la crossmedialità.
Gli utenti assumono ora il ruolo di “Prosumer”, vale a dire consumatori che allo stesso tempo producono comunicazione personalizzata. Il moltiplicarsi delle web tv permette lo sviluppo di un’informazione più pertinente e partecipata, percepita in primis come bene comune, come mezzo per lasciare un’impronta geolocalizzata della propria comunità di riferimento.
Per comprendere da vicino le caratteristiche e l’evoluzione recente delle web tv italiane, possiamo avvalerci del Rapporto Netizen 2012, realizzato annualmente (questa è la settima edizione) da Altra Tv, il primo osservatorio italiano interuniversitario sulle micro web tv e sui media locali posizionati in rete. Fondato a Bologna nel 2004 da Giampaolo Colletti su ispirazione di Carlo Freccero, esso oggi coinvolge ricercatori italiani ed esteri che analizzano le evoluzioni del micro citizen journalism e della cittadinanza attiva digitale e si propone come vero e proprio network delle web tv italiane, consentendo la navigazione sulle molte “antenne” attive, attraverso un semplice clic nell’area geografica di interesse. Il rapporto è stato realizzato da un team di giovani ricercatori presieduti da Veronica Fermani, sotto la direzione dello stesso Giampaolo Colletti.
Ciò che ne esce è certo un fenomeno che si fa sempre più articolato e “maturo”, capace di moltiplicare soprattutto le possibilità di business per le imprese, in particolare per quelle medie e piccole.
Andiamo però con ordine. A inizio 2012 l’esercito dei videomaker italiani creatori di web tv – ci dice il Rapporto – ingrossa dell’11% le proprie file, raggiungendo quota 590 unità, distribuite in modo piuttosto omogeneo su tutto il territorio nazionale. Le densità maggiori si evidenziano nel Lazio (102), in Lombardia (85), in Puglia (63) e in Emilia-Romagna (53). Una più recente mappatura da parte dell’osservatorio ha individuato, poi, a termine del primo trimestre 2012, ben 642 web tv attive.
A ben vedere, l’incremento delle micro web tv registrato nel 2012 è stato decisamente inferiore rispetto a quello rilevato nel 2011, pari a +52% sul 2010 (arrivando a contare 533 realtà), tuttavia è a partire da quest’anno che si denotano degli sviluppi di ordine qualitativo, che impongono la classificazione delle web tv italiane come organismi strutturati e dotati di chiari obiettivi.
Esse, nascendo come espressione della cittadinanza attiva digitale “dal basso”, iniziano ora a creare business, diventando delle vere e proprie start up. Questi canali mettono in discussione la supremazia delle tv locali sull’informazione del luogo, divulgando in forma pressoché permanente notizie relative a cronaca e ad eventi del territorio (33%), valorizzando lo stesso (25%), realizzando inchieste che denunciano situazioni particolari (15%) e creando un filo diretto tra cittadini e istituzioni (il 7% ha rubriche specifiche).
Diminuiscono, rispetto al 2011, le realtà che attingono ai finanziamenti della Pubblica Amministrazione (si attestano ora sul 12%), tuttavia sembrano migliorare i rapporti con la stessa, dato che il 61% delle web tv sottolinea la propria riconoscenza e collaborazione in tal senso (contro il 34% dello scorso anno).
Il dato forse più interessante riguarda però il netto incremento nei rapporti commerciali con le piccole e medie imprese del territorio. L’80% delle web tv intrattiene, infatti, con esse rapporti di business, realizzando video su commessa (24%) o producendo pubblicità con pre-roll o banner (32%). Puntando su investimenti certamente meno onerosi rispetto a quelli richiesti dalle emittenti TV classiche, le piccole realtà imprenditoriali possono contare, infatti, su bacini di utenza spesso molto ampi, il più delle volte caratterizzati su base territoriale o tematica, dunque maggiormente il linea con la propria mission aziendale.
Diminuiscono parallelamente le web tv che vivono di donazioni o risorse degli stessi ideatori (56%, meno della metà rispetto all’ultimo monitoraggio). Più business, dunque, con squadre sempre più numerose (il 19% ha una un team compreso tra i 6 e i 10 collaboratori) e mature (il 53% di chi vi lavora ha un’età compresa tra i 31 e i 40 anni, solo il 5% sono net-nativi).
Abbiamo già visto come AssoComunicazione, nel suo annuale studio “Comunicare Domani”, condotto su 133 imprese di comunicazione operanti in territorio italiano, abbia rilevato l’importanza sempre maggiore del Video Advertising online, prevedendo un esponenziale aumento (pari al +93%) degli investimenti (stimati in 88 milioni di euro) ad esso destinati nel 2012. Nel corso dello Iab Seminar 2012tenutosi lo scorso 28 giugno a Milano, Fabiano Lazzarini (General Manager di IAB Italia) ha presentato le cifre del fenomeno, sempre riferite al contesto italiano: sarebbero 48 milioni gli euro investiti nel 2011 nel Video Adv, cifra che rappresenta il 10,5% della pubblicità display, pari a 455,6 milioni di euro, e nel 2012 si prevede un aumento degli investimenti pari all’85%, raggiungendo gli 89 milioni di euro (stime leggermente diverse rispetto a quelle di AssoComunicazione, ma le conclusioni cui conducono son le stesse). Il cambiamento dei modelli di consumo dei media ha imposto, quindi, una radicale modifica anche alla pianificazione pubblicitaria: il 2,5% degli investimenti pubblicitari – ha riferito ancora Lazzarini – pare si stia spostando dalla TV al Video Online. Quest’ultimo sembra, infatti, creare nuove opportunità per i diversi attori coinvolti nella filiera pubblicitaria: i creativi, ad esempio, possono realizzare campagne che viaggiano in rete al di là dei vincoli spazio-temporali e le aziende possono diventare fornitrici di contenuti liquidi che gli utenti si scambiano, manipolano e modificano per creare nuovi originali spunti.
All’interno del fenomeno del Video Adv, sembrano, allora, farsi sempre più spazio le piattaforme di micro web tv, le quali, nate spesso per caso o come frutto della passione di singole personalità, si stanno trasformando in vere e proprie realtà imprenditoriali, che utilizzano apparecchiature tecniche professionali (69%), che vengono aggiornate quotidianamente (53%, contro il 39% nel 2010) e che vedono aumentare continuamente gli accessi (il 30% delle web tv dichiara accessi compresi tra i 7.000 e i 10.000 contatti unici al mense, contro il 20% dell’anno precedente, il 28% arriva addirittura a superare i 10.000 accessi).
Aumenta anche l’indipendenza dal piccolo schermo: se all’inizio i format confezionati erano per lo più mutuati da quelli tipicamente televisivi, oggi i servizi giornalistici e i tg rappresentano soltanto il 10% della proposta audiovisiva, lasciando il posto a interviste (25%) e rubriche di vario genere (16%). Gli argomenti di cui ci si occupa sono cultura (per il 57%), sport (36%), turismo (34%), politica (31%) e cronaca (26%).
Molte sono poi le novità del momento: innanzitutto la trasmissione in live streaming (19%), usata primariamente per specifici eventi territoriali, e le web series, sperimentate dall’8% delle piattaforme. Crescono, poi, i canali verticali (il 36%, contro il 26% dello scorso monitoraggio). Sempre più si creano forme di integrazione con le piattaforme di videosharing, soprattutto YouTube (adottata come business partner per il 72%, contro il 60% dell’anno prima) e Vimeo (11%). Sempre più, inoltre, si adottano i social network (8 canali su 10): l’82% delle antenne è su Facebook (il 70% di esse sfiora i 5.000 fan con la propria pagina), il 46% su Twitter e il 37% ha attivato un account su Foursquare e lo utilizza per fare marketing territoriale (contro il 12% dello scorso monitoraggio). Per contro si utilizzano poco delle tecniche precise per misurare l’efficacia di questa presenza sui social: solo il 16% adotta monitoraggi qualitativi della conversazione in rete, il 62% effettua esclusivamente valutazioni quantitative e il 22% non realizza alcun monitoraggio.
Emerge, infine, una crescita esponenziale nella distribuzione multipiattaforma, rivolta in particolare ai devices mobili (preferiti dal 45%, seguiti dal digitale terrestre, con il 39%): le applicazioni per smartphone e tablet sono adottate dal 40% dei canali ed esse verranno presto implementare dal 56% degli stessi. Nel 14% dei casi i download superano le 1.000 unità, tuttavia, anche in questo caso, scarseggia il monitoraggio, considerando che il 63% non effettua tracciabilità dei download e soltanto il 3% applica “offerte pay” o “freemium”.
Insomma la tv del futuro sarà online, sviluppata da micro-editori digitali. Oggi, complici l’abbattimento dei costi del digitale e la maggiore alfabetizzazione verso le nuove tecnologie, si moltiplicano le esperienze di questo tipo, con un fatturato complessivo stimato in 10 milioni di euro, per 10 mila circa addetti, tra operatori diretti e indiretti (in realtà pare che ciò sia dovuto in parte anche alla riconversione professionale dei lavoratori di alcune emittenti locali, costrette alla chiusura in seguito all’introduzione del digitale)..
Da un po’ di tempo gli stessi analisti di Google scommettono sul fatto che, entro il prossimo decennio, il 75% di tutti i canali tv sarà creato sul web. YouTube stesso (giusto per citare l’esempio più noto) pare aver ormai mutato la propria natura, distanziandosi dall’essere sinonimo di “video virali” user generated, dalla qualità piuttosto bassa e da condividere sulla rete, facendosi piuttosto nuovo centro di produzione e distribuzione per veri e propri programmi tv e, di conseguenza, per la raccolta pubblicitaria. L’intenso consumo di video online ha di recente spinto Robert Kyncl (lo stratega di Youtube, responsabile globale per i contenuti) ad annunciare un investimento di ben 200 milioni di dollari nella promozione di 100 nuovi canali professionali, prodotti tramite partnership con media company e gruppi creativi (http://www.webnews.it/2012/05/04/youtube-200-milioni-per-i-canali-premium/). In questo modo YouTube evidenzia il proprio impegno nella realizzazione di contenuti originali (entro fine luglio si prevede, in particolare, di offrire 25 ore di nuovo materiale al giorno), nella trasformazione in qualcosa di più commerciale. L’attenzione particolare riservata al marketing mira, inoltre, a rendere la propria offerta di spazi pubblicitari ancor più attraente verso gli investitori esterni, dunque in sempre più diretta concorrenza con gli spazi offerti dalla televisione.
La tv tradizionale sta cercando di recuperare le posizioni perse e di rincorrere questa tendenza, moltiplicando la propria offerta in streaming, visibile da pc, tablet o smartphone. Tuttavia c’è da scommettere che la logica alla base del suo tipico funzionamento non potrà che essere, nel prossimo futuro, superata, facendola annoverare tra i “dinosauri” dei media.
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E-festival: le diverse anime della Rete

Sta per partire l’appuntamento milanese con la condivisione e la cultura digitale: una serie di iniziative votate al business ed all’innovazione

“Contribuire a colmare il digital divide del nostro Paese divulgando una cultura del mondo digitale costruttiva e positiva”. È l’obiettivo dichiarato dai promotori dell’e-festival, il festival interamente dedicato alla Rete che, dal 19 al 23 settembre 2011, animerà con incontri, discussioni e performance la normale routine milanese.

Si tratta della terza edizione – riformulata – di una manifestazione organizzata dai fondatori di Augmendy, Marco Antonio Masieri e Marco Montemagno, che aspira a porsi come punto di riferimento fondamentale per la materia e pretesto di incontro tra aziende e operatori del mercato social e digital. Essa si svolge due volte l’anno, a febbraio e a settembre, alternativamente a Roma e a Milano, e ha conosciuto, rispetto alla prima edizione, una fortissima crescita, non solo in termini di adesioni numeriche (dagli iniziali 25.000 ai 40.000 partecipanti dell’ultima edizione romana di febbraio), ma anche con riferimento alla qualità e all’ampiezza di proposta. Il programma ufficiale delle attività – completamente gratuite fino ad esaurimento dei posti disponibili – è consultabile sul sito dell’e-festival, dal quale è possibile procedere con la registrazione alle stesse.

Paola Pandolfi, spoke person di e-festival, ha sottolineato come il riscontro del pubblico sia anche per questa edizione “sicuramente positivo”: “abbiamo visto tutta la rete, la community in attesa, scalpitante per l’apertura delle registrazioni e per la pubblicazione del programma on line. Vediamo che c’è tanto entusiasmo, anche perché siamo riusciti sempre a garantire la trattazione delle tematiche più svariate. Anche i partner che ci seguono appartengono a categorie che non sono solo quelle tecnologiche, come, magari, una manifestazione di questo tipo potrebbe fare intendere; quindi anche per questa terza edizione ci sentiamo sicuramente ottimisti per avere una grandissima adesione. Infatti il nostro obiettivo è sicuramente quello di riconfermare l’altissima adesione avuta la scorsa edizione di febbraio a Roma che ha visto 40 mila persone coinvolte: cercheremo di replicare, quanto meno”.

Cinque giorni di eventi e iniziative rivolte a tutti gli utenti, reali e potenziali, della Rete, allo scopo di aiutare la comprensione circa la natura effettiva del “nuovo” mezzo, le dinamiche ad esso sottese, le funzionalità offerte e gli scenari possibili, nella piena consapevolezza che il Web non sia esclusivo appannaggio di una cerchia di esperti, che l’innovazione rappresenti più una necessità che non una banale alternativa per molte realtà aziendali e che dalla seppur fugace commistione di competenze e inclinazioni possa derivare un accrescimento personale, estendibile alla propria realtà professionale.

Se diretta con perizia e cognizione, infatti, un’azione corale di riflessione sulla Rete non può che condurre a creare nuovi stimoli e nuovi slanci propositivi e, con essi, nuove idee d’impresa: riscrivere i significanti per identificare nuovi significati, capaci di intraprendere strade finora inesplorate o addirittura impensabili, che facciano del coinvolgimento e della contaminazione il proprio punto di forza. Tramite il mezzo digitale, è, infatti, possibile dare forma ad una comunicazione veramente trasversale, che arrivi a coinvolgere tematiche, professionalità e competenze provenienti da settori diversissimi tra loro, nella precisa volontà di far nascere ipotesi, intuizioni e proposte concrete da tale comunicazione.

Condivisione, allora, come parola chiave per un periodo storico in cui, al concetto di pirateria, sembra di poter legare delle sfumature positive; un periodo storico in cui il contenuto sembra prescindere dalla forma o, talvolta, legarsi ad essa al solo scopo di reinventarla; un periodo storico, infine, in cui non si è più disposti a pagare per un bene di consumo, ma per il consumo stesso.

In Italia sembrano persistere alcuni ostacoli allo sviluppo di nuovi approcci imprenditoriali basati sulla rete, anche se non pochi sono i passi avanti fatti in questa direzione: “sicuramente le barriere infrastrutturali sono quello che complicano maggiormente le cose, piuttosto che quelle politiche”, afferma Pandolfi; “personalmente, però, direi che le barriere si sono attenuate negli ultimi anni: il fatto che molti strumenti pensati per gli imprenditori siano ormai presenti on-line in forma free permette, in realtà, che le aziende riescano a svilupparsi più facilmente, mentre, anche solo pochi anni fa, alcune difficoltà rappresentavano uno scoglio maggiore”. Alle problematiche sulle infrastrutture necessarie all’implementazione dei nuovi media digitali, si accompagnano, tuttavia, ancora delle remore di ordine culturale circa l’enorme portata dell’opportunità digitale ed è proprio attorno a tale opportunità che si svilupperanno dibattiti, azioni e dimostrazioni.

La Rete abbraccia trasversalmente un pubblico eterogeneo, sfugge le tradizionali classificazioni, anche territoriali, e si fa forza comune le cui premesse e i cui esiti possono essere tra i più disparati; uno dei suoi punti di forza è certamente la dimensione internazionale, che ben si esprime nella volontà di tenere la manifestazione anche in altre 20 città del mondo, in contemporanea all’appuntamento milanese. Da non sottovalutare, tale aspetto apre emblematicamente le porte dell’Italia all’estero, contribuendo, da un lato, ad aumentare la credibilità del nostro Paese e, dall’altro, a generare interesse per le nostre risorse umane e culturali anche al di fuori dei confini nazionali, nella speranza di future partnership e collaborazioni con investitori e stakeholder di ogni nazionalità.

L’ eterogeneità che contraddistingue la Rete ha, inoltre, imposto una ricerca del tutto originale nella formula di realizzazione del festival, che prevede il decentramento dell’apparato organizzativo in più unità indipendenti, dove chiunque può contribuire, proponendo idee, ospiti, location, partner e la propria candidatura ad entrare nel team promotore. Il contributo volontario di persone terze, estranee al team organizzativo “è stato assolutamente rilevante”, dichiara Pandolfi: “l’agenda è stato costruita con eventi in parte nostri, o comunque di partner, in parte riconducibili a tutta una serie di organizzatori indipendenti che ci hanno inviato, semplicemente compilando un form on-line, la propria proposta di evento. Posso assicurare – prosegue – che, anche in questo caso, l’entusiasmo è stato elevatissimo e sono numerosissime le proposte (che ormai non sono più semplici proposte, ma eventi reali) che ci sono arrivate”.

È ancora dall’estrema varietà propria del web che sembra derivare la suddivisione in più anime dell’evento stesso: il nuovo format di divulgazione digitale coinvolgerà, allora, nello stesso momento, sia il grande pubblico generico, sia le realtà imprenditoriali di qualunque dimensione, sia, infine, i giovani innovatori che aspirino a diventare gli imprenditori di domani.

Da una parte troviamo, infatti, il Festival della rete, una serie di iniziative definite “non convenzionali” dedicate ad un pubblico prevalentemente consumer: caccia al tesoro, cruciverba, flashmob, attività di  guerrilla, breakfast, aperitivi, cene, concerti, esibizioni, performance e un treno Frecciarossa sociale che il 14 settembre, in occasione della conferenza stampa di lancio dell’e-festival, percorrerà ad alta velocità la tratta Roma-Milano, segnando un passaggio simbolico di testimone dall’ultima edizione romana alla prossima milanese;  un “viaggio al centro dell’Innovazione”, un “laboratorio mobile” che permetterà ai partecipanti di incontrare – nella formula dello Speed Business (15 minuti a rotazione) – una trentina di esperti della StartUp School (http://startupschool.it/), imprenditori e investitori del mondo digitale.

Parallelamente al Festival della rete, si svolgerà la Social media week, rivolta al mondo business e inaugurata per la prima volta nel 2009 a New York (dove è giunta alla sua quinta edizione), prima di essere importata nel 2010 in Italia, da Augmendy appunto. All’interno della “settimana dei media sociali” verranno proposte, in una cornice più formale, numerose situazioni di incontro e approfondimento di tipo B2B: conference, convegni, workshop, presentazioni,aperitivi business, meeting, seminari, corsi e dibattiti, coerenti ad uno dei cinque percorsi tematici (definiti “le 5 C”) proposti dal team promotore del festival.

Un’occasione – ha ricordato la Pandolfi – per cogliere l’evoluzione che la comunicazione aziendale ha conosciuto negli ultimi anni, laddove “carta e telefono nella vecchia definizione sono un po’ scomparsi. La rivoluzione digitale nelle aziende è stata fatta soprattutto dalle tecnologie che ormai sono disponibili e da tutti quei servizi e funzioni che derivano dall’utilizzo di questi nuovi strumenti. Una delle riflessioni che maggiormente si fa in questo periodo riguarda la diffusione nell’utilizzo di smartphone e tablet e l’influenza che hanno, sia nell’uso comune e personale sia  a livello aziendale. Quindi gli interrogativi si concentrano su questi strumenti, che segnano, poi, di fatto, la scomparsa degli strumenti di uso più tradizionale. Nuove funzioni rendono la vita molto più semplice: pensiamo anche a fenomeni come il mobile ticketing e il mobile payment, che si stanno sviluppando in questo momento e che segnano un cambio di rotta non indifferente”.

La Social Media Week, fin dal nome, sembra lanciare un invito chiaro alle imprese, un invito ad agire, a reinventarsi nel nome della rete. Le piccole realtà si sentono ancora piuttosto intimorite dai nuovi canali social, che le obbligano ad esporsi e porsi al di fuori dei confini tradizionali; esse si interrogano se valga davvero la pena spingersi verso una strada che può facilmente rivelarsi un’arma a doppio taglio. Su questo punto, tuttavia, la Pandolfi sembra avere le idee chiarissime: “secondo i nostri osservatori, al giorno d’oggi, anche se in maniera ridotta, bisogna esserci. Questo perché, comunque, la ricerca ormai viene fatta prevalentemente on-line, quindi, per avere informazioni, le persone vanno on-line e non sfruttano solo la ricerca generica, ma soprattutto i social network; quindi è banale dire che, comunque, la pagina Facebook o il profilo su LinkedIn al giorno d’oggi sono fondamentali e, come il sito internet, per un’azienda non possono mancare. Questo serve sia per l’utente, sia per l’azienda stessa che, attraverso questi mezzi, ha la possibilità di interagire direttamente con i propri utenti e la clientela in generale; è quindi molto più semplice riuscire ad avere dei feedback, positivi o negativi che siano, in maniera diretta e molto spesso il cliente predilige proprio questo tipo di rapporto”.

Le tematiche trattate non si limiteranno, però, all’ambito dei social network, ma saranno “le più trasversali. Quest’anno il payoff della manifestazione è ‘democratizing technology’, un payoff che abbiamo abbracciato grazie alla partnership con Ford; tutto sarà molto centrato sul tema dell’accessibilità delle tecnologie, quindi tecnologie accessibili a tutti. Questo si declina in quelli che noi definiamo i quattro pillars fondamentali che sono: smart, safe, quality and green. Sicuramente questo è il fil rouge dell’intera manifestazione, poi, al lato Social Media Week, abbiamo comunque mantenuto quelle che noi chiamiamo ‘le cinque C’, i cinque percorsi tematici che abbiamo sviluppato grazie ai componenti del nostro Planning Commitee.

Certamente gli eventi più interessanti e di alto livello sono quelli realizzati in collaborazione con Ford e con RCS, nello specifico posso segnalare un evento che si chiama “Con la testa tra le nuvole”, in cui affronteremo le tematiche del  cloud computing, gamification e internet delle cose, al quale faremo partecipare anche uno dei nostri ospiti stranieri, Justin Kan , un giovane ragazzo che ha sostanzialmente sviluppato lo streaming on-line [fondatore di Justin.tv, un canale che fornisce agli utenti un servizio di live streaming, tramite registrazione gratuita]. Oltre a questo stiamo lavorando, appunto, con RCS su tre eventi che sono: il primo sull’informazione [“L’informazione prêt-à-porter” ], quindi come l’informazione sta cambiando nell’era dei social, al quale dovrebbe partecipare Ferruccio De Bortoli; un secondo evento sul tema della donna, nello specifico sul tema della conciliazione [“27esima Ora: le donne fanno Rete”], al quale parteciperanno altri due ospiti stranieri che portiamo in Italia grazie all’ambasciata americana, che sono Jamie Wong e Shelly Rocke, e un terzo evento è sul rapporto tra l’editoria e i nuovi  modelli di business [“Carta + web: un modello di business vincente per l’editoria del futuro”], quindi come il business model della carta stampata viene declinato nell’editoria on-line”.

Cerchiamo, di seguito, di capire quali siano i cinque percorsi tematici proposti all’interno della Social Media Week, precisando che, per ognuno di essi, è stato scelto un responsabile, idoneo al coordinamento delle diverse iniziative;  molti, allora, i nomi prestigiosi che compongono il Planning Comittee.

Un primo percorso è “conoscere la realtà” e cerca di cogliere le nuove forme di conoscenza e informazione veicolate dai canali e strumenti digitali.

Un secondo percorso è stato chiamato “crescere con la rete” e di esso si occuperà Giuseppe Lanzi, attivo nel settore della responsabilità d’impresa e della sostenibilità ambientale. Il Web rappresenta innanzitutto un modo per migliorare la nostra vita, agevolando alcune delle molte azioni che abitualmente poniamo in essere; esso si fa, allora, fautore di una crescita intesa come arricchimento personale, ma non solo: crescita anche come sinonimo di apprendimento e sviluppo di nuove competenze e nuovi schemi mentali (soprattutto nei più piccoli), crescita – ancora – come avanzamento economico a ridotto impatto ambientale. Si tratterà, infatti, il tema della sostenibilità, che – sottolinea Lanzi – “è una bella canzone, ma non ama i solisti…deve essere cantata in coro! Ed è un coro che ha sempre posti disponibili!”; egli, forzando una metafora spesso utilizzata, descrive la sostenibilità come un tavolo a quattro gambe, nel quale, a quella sociale, quella ambientale e quella economica tipiche, egli aggiunge la gamba “social”: “i social network sono la moderna Agorà! Dove se non in rete, si deve discutere e fare crescere il pensiero critico su questi temi? Senza andare tanto indietro nel tempo, quanto successo nei Paesi del Magreb ci dice che i social network hanno grande importanza per la Sostenibilità Sociale; noi proveremo ad approfondire un piccolo aspetto cercando di capire come questi strumenti possono accellerare o meno l’integrazione dei nuovi cittadini”.

Un terzo percorso, “collaborare senza confini”, è stato assegnato alla guida di Mauro Lupi, uno dei maggiori specialisti di comunicazione online in Italia: le nuove potenzialità digitali abbattono – l’abbiamo detto – i tradizionali limiti (territoriali, culturali, generazionali, mentali) e le canoniche impostazioni, permettendo una collaborazione davvero trasversale. Lupi intende indagare nello specifico due tematiche legate alla diffusione dei social media, le quali rivelano “lati inediti e anche critici portati dalla ‘collaborazione’”: “uno riguarda la gestione da parte delle aziende delle conversazioni ‘scomode’, l’altro mette in luce alcuni nuovi opinion leader emersi proprio per via dei nuovi ambienti sociali digitali”. Il punto di vista proposto per questo percorso è, dunque, totalmente inedito, capace di indagare sulle problematiche seguendo logiche attuali. Due gli eventi in cantiere, non ancora nel programma ufficiale: “Tutto quello che avreste voluto sapere sui social media e che prima o poi dovrete affrontare” – una “discussione disincantata sulle criticità legate ai social media da parte delle aziende” (come, ad esempio, prendere posizioni su temi scomodi, rispondere alle critiche, attribuire la responsabilità di rispondere a nome dell’azienda, ecc.) – e “Star della Rete”, “dedicato a quelle persone che proprio attraverso internet e i social media hanno raggiunto popolarità e autorevolezza superiori a molti magazine o programmi TV “.

Cambiare il mondo” è il titolo del quarto percorso, coordinato da Andrea Rangone, esperto di business strategy ed e-business. Le nuove tecnologie e le nuove forme del sapere hanno modificato profondamente l’approccio dell’uomo alla vita e ad ogni suo ambito disciplinare; in particolare, Rangone ha scelto di focalizzare la propria attenzione sulla Mobile Revolution: “sarà il mobile – afferma – a trasformare pesantemente il mondo digitale nei prossimi anni”, si tratta di una rivoluzione che “sta profondamente cambiando il comportamento del consumatore”, il quale “vede sempre di più nel telefono cellulare un canale che gli consente – sempre e ovunque – di accedere a qualsiasi contenuto e servizio digitale”; ovviamente questo “ha importanti implicazioni anche sul mondo delle imprese e delle pubbliche amministrazioni”, le quali possiedono ora “un nuovo potente canale di gestione della relazione con i propri clienti/utenti. Non c’è fase del ciclo di vita della relazione tra azienda e consumatore che non venga impattata dalla rivoluzione mobile”, “dalla pubblicità alla promozione, dai servizi pre-vendita a quelli post-vendita, dall’acquisto al pagamento”. Due gli incontri ideati in merito, non ancora ufficializzati: “Mobile Media, Content & Apps: la rivoluzione del cellulare come strumento per fruire di contenuti” e “Mobile Payment: pronto chi paga? mobile payment e ticketing, il cellulare diventa un portafoglio on line”.

Quinto e ultimo percorso è “Convivium”, affidato alla cura di Pietro Camonchia, esperto di entertainment e management musicale; si tratta di una serie di eventi speciali e “non convenzionali”, organizzati dopo le ore 18, allo scopo di creare contatti e occasioni di incontro in una cornice più informale e conviviale. Quasi a dire che per saper innovare bisogna anche sapersi divertire: “cerchiamo di stimolare le aziende – ha evidenziato Paola Pandolfi – a inventarsi sempre dei format innovativi che catturino l’attenzione, poi, del pubblico. Per questa ragione gli aspetti di intrattenimento e ludici si ritrovano sia nella parte della Social Media Week, sotto il tema del ‘Convivium’, sia nella parte del Festival della Rete: la differenza sta proprio nel target di riferimento, quindi tutti quegli eventi che, pur essendo  ludici (come aperitivi e cose di questo tipo), rientrano nella sfera del business vengono appunto identificati sotto il ‘Convivium’; tutti quelli che, invece, sono dedicati ad un pubblico più consumer rientrano nel Festival della Rete. Questo per dire che gli incontri sul tema business possono essere fatti in condizioni completamente diverse, condizioni che poi permettono, a nostro parere, di sviluppare anche a livello creativo progetti e idee che magari di fronte al classico panel difficilmente emergono”.

Accanto al lato consumer e a quello business, un interesse particolare è stato dedicato anche al “rinascimento digitale” decretato dal mondo delle startup, attraverso lo StartUp Festival, i cui eventi (pitchone to oneincontri, workshop) si svolgeranno tutti alla Mediateca di Santa Teresa, in Via della Moscova, 28 a Milano e che sarà coordinato da Alberto Onetti, docente di corporate strategy e innovation management.

Il mondo delle startup – continua la Pandolfi – e, quindi, dell’imprenditoria giovane italiana è un focus al quale siamo molti attenti, in qualità anche di fondatori della prima Startup School, pensata proprio per imprenditori; ed è per questo che abbiamo focalizzato pure dei percorsi specifici sul tema dell’imprenditoria e della manifestazione nella manifestazione che si chiama StartUp Festival, che si terrà alla Mediateca di Santa Teresa; abbiamo invitato tutte le startup emergenti, gli incubatori, gli acceleratori di imprese ad essere presenti durante tutta la settimana. Oltre a questo, mercoledì partirà il treno delle startup, il viaggio al centro dell’innovazione, un’ iniziativa che abbiamo già, in parte ridotta, sperimentato nella scorsa edizione di febbraio e che ha già registrato il tutto esaurito: rifaremo un viaggio, questa volta con un intero treno di 11 carrozze, da Roma a Milano, ci saranno oltre 30 esperti che, sul format del business speed dating, parleranno a tutti i partecipanti, i quali poi si eserciteranno in prima persona nella compilazione di un vero e proprio business model canvas; tutti i progetti che poi usciranno saranno letti e analizzati e premieremo i cinque migliori. Quindi, sicuramente, l’attenzione al mondo delle imprese è molto forte ed è concreta, perché vediamo che sia i giovani sia le imprese, diciamo, emergenti molto spesso non sanno a chi rivolgersi o non sanno quali siano le componenti fondamentali per mettere in piedi un progetto concreto; è per questo che cerchiamo di dare, anche a livello formativo, una completezza di contenuti, coprendo ad esempio l’area legale, l’area finanziaria, l’area marketing, in modo tale che tutti questi progetti possano diventare poi concreti”.

I partecipanti allo StartUp Festival avranno la possibilità di capire cosa significhi realizzare una startup, come si scriva un business plan e quali siano le difficoltà da affrontare (l’intento – precisa Onetti – è di “aprire una finestra su quel mondo che è sì affascinante ma che, parafrasando Tara Hunt, è ‘fucking hard’ e richiede ‘perseverance and balls of steel’”); i giovani talenti potranno presentare la propria startup ed entrare in contatto con i principali player (venture capitalist, business angels, partner, imprenditori) del settore, all’interno di una cornice interdisciplinare e con l’intendo di delineare un nuovo ciclo di innovazione e crescita nell’economia italiana, trainato proprio da una nuova generazione di imprese.

Fortunatamente anche in Italia oggi si inizia a parlare tantissimo di startup , sottolinea il Prof. Onetti:  l’Italia ha un grande bisogno di una nuova generazione di imprese capaci di innovare e progettate per crescere. Le startup sono un modello di impresa diverso da quelli tradizionali (in termini di profilo di rischio, prospettive di crescita, approccio all’innovazione e all’internazionalizzazione, …). Perciò è importante fare comunicazione e cercare di diffondere questa nuova e diversa cultura d’impresa”.

Conclude Onetti con un monito: “Ragazzi, non cercate un lavoro, inventatelo!”.

Pubblicato su: PMI-dome