Stitichezza: quanta confusione!

Medici e pazienti non sempre parlano la stessa lingua e ciò appare tanto più evidente quando l’oggetto di discussione è la stitichezza. A questa sconfortante conclusione sono giunti i ricercatori dell’Aigo, l’Associazione italiana gastroenterologici ed endoscopisti ospedalieri, al termine di uno studio multicentrico, presentato a Berlino, nel corso della 21° United European Gastroenterology Week.

Medici e pazienti non sempre si capiscono. Soprattutto quando si parla di un problema che ha così tanti aspetti ed è vissuto in modo così soggettivo

Medici e pazienti non sempre si capiscono. Soprattutto quando si parla di un problema che ha così tanti aspetti ed è vissuto in modo così soggettivo

• Su 1914 soggetti coinvolti nell’indagine, sono ben 661 (pari al 34,5%) coloro che pensano di essere costipati. Tra questi, il 13% non presenta, tuttavia, i criteri che i medici considerano necessari per la diagnosi di stipsi; viceversa, tra i soggetti che sostengono di non avere alcun problema intestinale, il 19% sembra, in realtà, possedere le caratteristiche richieste per questa diagnosi.

STIPSI: PERCHÉ TUTTA QUESTA CONFUSIONE?

Da una parte si tende, dunque, a sovrastimare il fenomeno, dall’altra a trascurarlo: l’errata percezione sembra dipendere, innanzitutto, dall’estrema varietà delle manifestazioni legate all’irregolarità intestinale e, parallelamente, dalla soggettività con cui si tende ad auto-valutare tali manifestazioni.

• «Vi è probabilmente un equivoco di fondo», spiega il dottor Massimo Bellini, Responsabile dell’Ambulatorio per i disturbi funzionali dell’Unità operativa di Gastroenterologia universitaria di Pisa e coordinatore dell’indagine: «Molto spesso il medico considera la stipsi semplicemente come un disturbo della frequenza dell’evacuazione, mentre il paziente, in maniera forse più corretta, dà molto più peso al livello di soddisfazione e gratificazione» legato alla propria esperienza in bagno.

• «La stitichezza rappresenta un sintomo che è il paziente stesso a riferire: a differenza di altre problematiche, come il tumore del colon o l’ulcera gastrica, che è possibile fotografare con l’endoscopio o altri strumenti oggettivi, qui c’è un problema relativo a come il paziente auto-percepisce la normalità sulle sue abitudini defecatorie».

• Allo stesso modo, alcuni parametri direttamente osservabili e misurabili dal paziente non sempre sono sufficienti di per sé: non andare di corpo ogni giorno non significa necessariamente soffrire di stitichezza, proprio come andarci più volte al giorno non vuol dire per forza esserne immuni.

• Nello sfasamento della percezione rientrano poi ovviamente anche dei fattori di ordine psicologico: «Se un paziente costruisce un modello mentale secondo il quale dovrebbe andare di corpo tutti i giorni, verrà ovviamente condizionato da tale modello nella sua valutazione della problematica. Qui rientra anche una componente di ossessività e di iper-precisione». Dito puntato anche su ansia e stress che «molto spesso influenzano il comportamento intestinale e portano a non dedicare il tempo necessario alla defecazione».

CRITERI DI ROMA III

• La diagnosi di stipsi non può essere formulata solo sulla base del numero ridotto di evacuazioni, ma richiede una valutazione più ampia e rigorosa da parte del gastroenterologo. Per individuarne la forma più comune, quella cronica (non, dunque, una forma transitoria dovuta a cambiamenti nelle abitudini alimentari e nello stile di vita) e funzionale (non riconducibile, cioè, a cause organiche, farmacologiche o metaboliche), si può fare ricorso ai criteri di Roma III, frutto di una standardizzazione internazionale e utili non solo a fini scientifici ma anche gestionali e pratici.

• Stando a tali criteri si parla di stitichezza qualora ricorrano queste condizioni, negli ultimi tre mesi (ma con esordio da almeno sei mesi):

1- Sono presenti due o più dei seguenti disturbi, in almeno un quarto delle defecazioni:
– sforzo evacuativo;
– feci piccole, bozzolute e dure;
– sensazione di evacuazione incompleta o addirittura di ostruzione, blocco ano-rettale;
– necessità di manovre manuali per facilitare la defecazione (massaggiarsi la pancia, sollevare le natiche, usare il dito per disimpattare);
– meno di tre evacuazioni alla settimana.

2- Le feci liquide sono rare, se non nel caso in cui siano stati usati dei lassativi.

Pazienti – e anche medici – tendono spesso a confondere la stitichezza con l’intestino irritabile a impronta stitica che comporta, invece, in aggiunta, anche dolore o fastidio addominale ricorrente almeno tre giorni al mese e che è associato ad almeno due tra: miglioramento dopo la defecazione oppure insorgenza con un cambio di frequenza della defecazione oppure ancora insorgenza con un cambio di forma o apparenza delle feci.

UN PROBLEMA DI LINGUAGGIO

Il problema è, quindi, anche di linguaggio, da ricondurre alla difficoltà che i pazienti hanno a definire con esattezza i confini del disturbo.

• La stipsi rappresenta, infatti, un grande “ombrello” semantico sotto il quale possono nascondersi diverse problematiche: «Potrebbe essere il sintomo di un intestino irritabile oppure potrebbe trattarsi di una stipsi da rallentato transito (fortunatamente non così frequente), in cui il colon non si svuota mai poiché è presente un problema nell’innervazione o nell’azione della muscolatura del colon», spiega Massimo Bellini.

• Vi è poi, ancora, la defecazione dissinergica, che – prosegue il dottore – «colpisce soprattutto le donne e che si caratterizza per la mancanza di coordinazione e sinergia, durante l’evacuazione, tra la spinta data con i muscoli dell’addome e l’apertura dello sfintere (è come spingere il dentifricio fuori dal tubetto senza aver tolto il tappo)».

• Si pensi, infine, anche a tutte le forme di stipsi secondaria, «come quelle legate all’assunzione di farmaci, molto frequenti tra gli anziani».

MEDICI E PAZIENTI: UN RAPPORTO COMPLICATO

• Questa lontananza linguistica rischia di compromettere il rapporto stesso tra camici bianchi e pazienti. «Il medico non può rifiutarsi di curare un soggetto perché non rientra nei criteri di Roma III, è necessario capire i motivi dei disagi lamentati e dare comunque delle risposte», sottolinea il dottor Bellini.

• Indagini come quella presentata dall’AIGO potrebbero rivelarsi, allora, particolarmente utili per comprendere la centralità di questo momento d’incontro: «Per via della crisi, il personale è sempre di meno e con sempre più mansioni, tuttavia è importante che il gastroenterologo ascolti il paziente con molta attenzione: troppo spesso etichettiamo in maniera sbagliata il problema, per poi proseguire con lo stesso errore nel corso dell’intera cura».

• A questa accortezza devono poi fare seguito «delle campagne educazionali del paziente, capaci di offrire tutte le regole e i consigli, in fondo molto semplici, per delle buone abitudini. Se questi non dovessero bastare, si può far ricorso anche ai farmici, l’ideale è un approccio a step successivi».

STITICHEZZA: LE BUONI ABITUDINI

Per facilitare il buon funzionamento dell’intestino, vi sono molteplici norme comportamentali che è consigliabile seguire. Innanzitutto è bene non reprimere mai lo stimolo ad andare in bagno, stabilire, quando possibile, un’ora precisa per la defecazione e mangiare lentamente, masticando con cura gli alimenti. L’ideale sarebbe – suggerisce Massimo Bellini – «sincronizzare la defecazione al mattino, quando il passaggio dalla posizione sdraiata a quella eretta, unita ad una colazione abbondante, aiuta il colon a produrre delle onde peristaltiche che conducono il contenuto fecale verso il retto».

• Praticare un’attività fisica regolare contribuisce poi a mantenere un buon tono della muscolatura intestinale e favorisce la riduzione del tempo di transito intestinale.

• Bere un litro e mezzo o due litri di acqua al giorno può aiutare ad evitare la formazione di feci troppo dure. Superare questa quantità appare, tuttavia, inutile, poiché «il nostro colon e il nostro intestino sono pensati per riassorbire una quantità di liquidi superiore ai 10 litri al giorno», rivela il dottore.

• Potrebbe risultare utile anche aumentare l’assunzione di fibre vegetali (presenti, ad esempio, nella crusca, nel frumento, nelle carote, nei broccoli, nelle mele, nelle arance, nel succo di prugna), arrivando a circa 30 grammi al giorno. Attenzione però alle controindicazioni: l’eccesso di fibre può portare alla comparsa di fenomeni sgradevoli quali distensione addominale e flatulenza.

• Sconsigliati i formaggi elaborati, il cioccolato, la carne, il fegato, il riso e la farina raffinata.

L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI PRECISA

Solo una piccola parte (5%) dei pazienti che si ritengono stitici si rivolge al gastroenterologo, gli altri ripiegano su soluzioni fai te, affidandosi ai consigli degli amici, dell’erborista, del farmacista o della pubblicità.

• «Un passato studio sulla normalità auto-percepita dal paziente ha evidenziato come il 10-12% dei soggetti intervistati, che non avevano particolari problemi intestinali, assumesse un lassativo almeno una volta al mese, ritenendo che il semplice fatto di purgarsi, di tanto in tanto, potesse fare bene», rileva il dottor Bellini. «Questo rappresenta un vecchio retaggio della cultura popolare: attorno al problema della stipsi circolano decine di falsi miti e leggende metropolitane».

• I lassativi sono tra i farmaci maggiormente utilizzati come automedicazione, ma, se impiegati in modo scorretto, possono provocare un’inutile e pericolosa assuefazione soprattutto di tipo psicologico.

• La forte confusione semantica rilevata dietro la stessa parola “stipsi” suggerisce quanto sia fondamentale sviluppare una diagnosi precisa per trovare il trattamento idoneo e non rischiare di ignorare quelli che potrebbero essere i sintomi di problemi ben più seri.

Articolo realizzato per il settimanale Viversani & Belli del 3 gennaio 2014, con la consulenza del dottor Massimo Bellini, Responsabile dell’Ambulatorio per i disturbi funzionali dell’Unità operativa di Gastroenterologia universitaria di Pisa

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