Mutui: come chiedere lo stop delle rate – Parte seconda

Torna operativo il Fondo di solidarietà che rimborserà gli interessi maturati sul debito residuo nel periodo di sospensione. Può accedervi chi ha perso il lavoro o si trova in condizioni di grave handicap

ARTICOLO REALIZZATO PER IL MENSILE OFFICE MAGAZINE DI LUGLIO 2013Sospensione Mutui FIGURA 2

  FIGURA 1

Il mutuo non può superare i 250.000 euro, per un immobile che non deve avere le caratteristiche di lusso (non deve rientrare nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9).

Sospensione Mutui FIGURA 1FIGURA 2

L’accesso al Fondo è garantito solo a chi negli ultimi 3 anni ha perso il lavoro (a tempo determinato, indeterminato o parasubordinato), oppure in caso di morte o handicap grave.

Sospensione Mutui FIGURA 3FIGURA 3

In caso di mutuo cointestato, la sospensione è concessa se sussistono le condizioni anche per uno solo dei mutuatari, ma gli altri devono fornire il proprio assenso sottoscrivendo il riquadro 3.

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Mutui: come chiedere lo stop delle rate

Torna operativo il Fondo di solidarietà che rimborserà gli interessi maturati sul debito residuo nel periodo di sospensione. Può accedervi chi ha perso il lavoro o si trova in condizioni di grave handicap

ARTICOLO REALIZZATO PER IL MENSILE OFFICE MAGAZINE DI LUGLIO 2013

Sospensione mutuo prima casaPossono finalmente tirare un sospiro di sollievo le molte famiglie italiane che, alle prese con le rate di un mutuo, si sono temporaneamente trovate in situazioni di difficoltà tale da impedire loro di far fronte al pagamento. Dopo un paio d’anni di sosta forzata – dovuta all’esaurimento della dotazione iniziale e alla necessità di ricalibrare i criteri di accesso – è tornato, infatti, ad essere operativo, a partire dal 27 aprile 2013, il Fondo di solidarietà per i mutui destinati all’acquisto della prima casa, che consente la sospensione del pagamento delle rate per un periodo massimo di 18 mesi.

In questa data è entrato in vigore il D.M. 22 febbraio 2013, n. 37 (pubblicato nella G.U. 12 aprile 2013, n. 86), con il quale il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato un nuovo Regolamento, che introduce una serie di modifiche al D.M. 21 giugno 2010, n. 132, recante, a sua volta, le norme di attuazione del Fondo di solidarietà, previsto originariamente dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244 (art. 2, comma 475 e ss). La rivisitazione della disciplina si è resa necessaria in seguito all’introduzione della L. 28 giugno 2012, n. 92 (art. 3, commi 48 e 49), la cosiddetta Riforma del lavoro Fornero, che ha sensibilmente modificato i presupposti per l’accesso al beneficio della sospensione.

Tale sospensione può avvenire, in particolare, al verificarsi – nei tre anni precedenti la richiesta di ammissione al Fondo e successivamente alla stipula del contratto di mutuo – di almeno uno dei seguenti eventi, riferiti al mutuatario (o, in caso di cointestazione, ad uno dei mutuatari):

cessazione del rapporto di lavoro subordinato, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, escluse le ipotesi di risoluzione consensuale, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa;

cessazione del rapporto di lavoro parasubordinato o di rappresentanza commerciale o di agenzia (di cui all’articolo 409, numero 3 del codice di procedura civile), escluse le ipotesi di risoluzione consensuale, di recesso datoriale per giusta causa e di recesso del lavoratore non per giusta causa;

morte o riconoscimento di grave handicap (ai sensi dell’art. 3 comma 3 della L. 5 febbraio 1992, n. 104) o di invalidità civile non inferiore all’80%.

Le rate sospese vengono accodate alla fine del piano di ammortamento o possono essere estinte in un’unica soluzione e il Fondo – rifinanziato con 20 milioni di euro dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, noto come decreto “Salva Italia” – interviene rimborsando alle banche la quota parte di interessi maturati sul debito residuo durante il periodo del congelamento, corrispondente al solo parametro di riferimento applicato (es. Eurirs/Euribor), al netto della componente di maggiorazione (Spread).

Il beneficio non comporta l’applicazione di alcuna commissione o spesa di istruttoria, non richiede garanzie aggiuntive e può essere concesso anche con riferimento a mutui che già hanno fruito di altre misure di sospensione (purché la sospensione complessiva non abbia superato i 18 mesi).

Può presentare domanda il titolare di un mutuo, per l’acquisto di un immobile, non superiore a 250.000 euro (in ammortamento da almeno 1 anno) e in possesso di indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) non superiore a 30 mila euro. L’unità immobiliare deve essere adibita ad abitazione principale del mutuatario e non deve avere le caratteristiche di lusso (non deve cioè rientrare nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9).

La richiesta di sospensione non verrà accolta nel caso in cui vi sia un ritardo nel pagamento delle rate del mutuo superiore a 90 giorni consecutivi, oppure nel caso in cui siano intervenute la decadenza dal beneficio del termine o la risoluzione del contratto stesso (anche tramite notifica dell’atto di precetto) o – ancora – nel caso in cui sia stata avviata una procedura esecutiva sull’immobile ipotecato. Allo stesso modo il beneficio non verrà concesso se già si usufruisce di agevolazioni pubbliche o di un’assicurazione a copertura del rischio che si verifichino gli eventi sopracitati, purché tale assicurazione garantisca il rimborso almeno degli importi relativi alle rate oggetto della sospensione e sia efficace nel periodo di sospensione.

Se si soddisfano tutte le condizioni viste, è possibile avanzare la richiesta di accesso alla sospensione, compilando l’apposito modello di Dichiarazione sostitutiva di certificazione e di atto di notorietà, disponibile sul sito del Dipartimento del Tesoro e su quello della Consap (la società del MEF incaricata della gestione operativa del Fondo), e presentandolo direttamente alla banca o all’intermediario finanziario che ha erogato il mutuo. La richiesta deve essere corredata dalla fotocopia del documento di identità di tutti gli intestatari del mutuo, dall’attestazione ISEE rilasciata da un soggetto abilitato e dalla documentazione relativa allo specifico evento che ha spinto a richiedere la sospensione (si veda box di approfondimento).

La banca, verificate completezza e regolarità formale dei documenti ricevuti, inoltra l’istanza alla Consap, che a sua volta si impegna a dare esito dell’istruttoria entro 15 giorni lavorativi, rilasciando il nulla osta alla sospensione del pagamento o motivando l’eventuale rigetto. Ricevuto l’esito, la banca lo comunica all’interessato entro 5 giorni.

QUALI DOCUMENTI?

La documentazione da presentare a corredo della richiesta varia a seconda dell’evento che ha determinato la volontà di sospensione: lettera di licenziamento, in caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato; copia del contratto ed eventuali comunicazioni interruttive del rapporto, in caso di interruzione di un rapporto subordinato a tempo determinato o di un rapporto di cui all’art. 409 n. 3) del C.p.c.; nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa, dovranno essere inviati la sentenza o l’atto transattivo bilaterale, da cui si evinca l’accertamento della sussistenza della giusta causa, e la lettera di dimissioni con il riconoscimento espresso da parte del datore di lavoro della giusta causa (o la lettera di dimissioni unitamente all’atto introduttivo del giudizio per il riconoscimento della giusta causa). Infine, se sono insorte condizioni di handicap grave o invalidità civile superiore all’80%, andrà allegato il certificato rilasciato dall’apposita commissione istituita presso l’ASL competente per territorio.

Modello Unico PF 2013 – Terza parte: Novità nel modulo

Non poche le variazioni introdotte dal Governo e da considerare in sede di dichiarazione dei redditi, a cominciare dall’introduzione dell’Imu. Vediamole, allora, assieme ad alcuni consigli utili per la compilazione

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Uno sguardo alle varie sezioni del modulo

1_Quadro RAQuadro RA (Fascicolo 1): per effetto dell’Imu, sono state inserite la casella 9 “Esenzione Imu” e la 12, per indicare il “Reddito dominicale non imponibile” del terreno non affittato e non esente Imu.

2_Quadro RBQuadro RB (Fascicolo 1): oltre alle nuove caselle dovute all’Imu, è stata introdotta la Sezione III riservata al ricalcolo dell’acconto 2012 per gli immobili di interesse storico e artistico.

3_Quadro RCQuadro RC (Fascicolo 1): con il codice 4 nella colonna 1 dei righi da RC1 a RC3 si identificano i redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in zone di frontiera

 

4_Quadro RPQuadro RP (Fascicolo 1): la detrazione del 50% per le spese di recupero del patrimonio edilizio sostenute dal 26 giugno al 31 dicembre 2012 (limite di 96.000€) va indicata nella Sezione III A

5_Quadro RMQuadro RM (Fascicolo 2): la legge di stabilità 2013 posticipa l’applicazione di IVIE e IVAFE, prevedendo che quanto già versato per l’anno d’imposta 2011 funga da acconto per il 2012.

 

6_Quadro RTQuadro RT (Fascicolo 2): nella nuova Sezione II-B si indica la liquidazione dell’imposta sostitutiva del 20% su plusvalenze e altri redditi diversi di natura finanziaria

 

7_Quadro LMQuadro LM (Fascicolo 3): dedicato al regime dei nuovi minimi, che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 5% e l’abolizione della ritenuta d’acconto sui compensi

 

Modello Unico PF 2013 – Seconda parte: Strumenti online per il contribuente

Non poche le variazioni introdotte dal Governo e da considerare in sede di dichiarazione dei redditi, a cominciare dall’introduzione dell’Imu. Vediamole, allora, assieme ad alcuni consigli utili per la compilazione

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Tutorial per orientarsi nel sito dell’Agenzia delle Entrate

IL NOSTRO PROFILO FISCALE

tutorial modunico pf 2013_1Colleghiamoci al sito dell’Agenzia delle Entrate, http://www.agenziaentrate.gov.it. Nella home page possiamo selezionare il profilo fiscale che ci rappresenta ed essere così guidati nella specifica sezione Dichiarazioni di nostro interesse. In home vediamo anche come contattare l’Agenzia per eventuali chiarimenti.

IL MODELLO ADATTO

tutorial modunico pf 2013_2In alternativa, cliccando sulla voce Strumenti del menù principale, poi su Modelli, Modelli di dichiarazione e Unico/2013, troviamo tutti i modelli riferiti alle diverse categorie di contribuenti (PF, PF Mini, ENC, SC, SP), approvati da specifici Provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate 31 gennaio 2013.

INFO E DOWNLOAD MODELLO

tutorial modunico pf 2013_3Di ciascun Modello possiamo visualizzare, oltre alla normativa di riferimento, anche una scheda informativa, con l’indicazione delle scadenze e delle varie condizioni per la presentazione e l’invio. Una precisa voce del menù laterale conduce al Modello e alle relative istruzioni da scaricare.

I TRE FASCICOLI

tutorial modunico pf 2013_4L’Unico PF si compone di 3 fascicoli. Nel primo troviamo, tra gli altri, i quadri per dichiarare redditi di terreni, fabbricati e lavoro dipendente. Il secondo serve a dichiarare gli altri redditi dei contribuenti non obbligati alla tenuta delle scritture contabili, il terzo quelli dei contribuenti obbligati.

TRASMISSIONE TELEMATICA

tutorial modunico pf 2013_5Chi sceglie di trasmettere il Modello via web, può sfruttare i servizi Entratel (per intermediari, PA e chi presenta dichiarazione dei sostituti d’imposta per più di 20 soggetti) e Fisconline (per tutti gli altri), seguendo le indicazioni alla pagina cui conduce il link Non sei ancora registrato.

SOFTWARE DI COMPILAZIONE

tutorial modunico pf 2013_6L’Agenzia mette a disposizione un software gratuito per agevolare la compilazione dell’Unico 2013. Ora si trova in fase di ultimazione, ma sarà presto raggiungibile cliccando sulla voce Strumenti del menù principale in home, poi su Software di compilazione, infine su Software – Modelli di dichiarazione.

Modello Unico PF: Ecco le novità 2013

Non poche le variazioni introdotte dal Governo e da considerare in sede di dichiarazione dei redditi, a cominciare dall’introduzione dell’Imu. Vediamole, allora, assieme ad alcuni consigli utili per la compilazione

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Modello unico persone fisiche 2013Si avvicinano anche quest’anno i termini per la presentazione del Modello Unico Persone Fisiche, pensato per quei contribuenti tenuti a inoltrare più dichiarazioni fiscali, con riferimento al periodo d’imposta 2012. Scatta la corsa alla raccolta di tutta la documentazione necessaria e si moltiplicano gli interrogativi circa le modifiche introdotte rispetto allo scorso anno. Di seguito cercheremo, allora, di comprendere la portata delle principali novità e vi offriremo alcune preziose indicazioni per la compilazione, che vi consentiranno di orientarvi al meglio tra il sito dell’Agenzia delle Entrate e i moduli spesso complessi.

Cominciamo dal Fascicolo 1. In seguito all’introduzione dell’Imu, avvenuta nel 2012, è stato necessario un adeguamento del quadro RA, compilato da coloro che devono dichiarare un reddito relativo a terreni. Nel caso in cui questi ultimi non siano affittati, l’Imu sostituisce l’Irpef e le relative addizionali sul reddito dominicale, ma non sul reddito agrario, che continua ad essere assoggettato alle ordinarie imposte sui redditi. Per i terreni affittati sono, invece, dovute sia Imu sia Irpef; per quelli esenti Imu, anche nel caso in cui non siano affittati, resta l’obbligo Irpef e addizionali.

L’avvio dell’Imu implica l’esenzione Irpef anche per il reddito dei fabbricati non locati, tranne per quelli già esenti Imu, ma compresi quelli concessi in comodato d’uso gratuito e quelli utilizzati a uso promiscuo dal professionista. Nel quadro RB vanno indicati i dati di tutti gli immobili posseduti, ma il reddito sarà calcolato tenendo conto esclusivamente di quelli concessi in locazione, individuati (nella colonna 2 dei righi da RB1 a RB6) dai codici: 3 per locazione a canone libero, 4 equo canone, 8 locazione a canone concordato agevolato, 11 locazione parziale dell’abitazione principale a canone libero, 14 locazione agevolata di immobile situato in Abruzzo. Una terza sezione è stata introdotta quest’anno, nel quadro RB, per permettere l’adeguamento alle nuove modalità di trattamento fiscale previste per gli immobili di interesse storico ed artistico.

I redditi di lavoro dipendente prestato all’estero in zone di frontiera (imponibili ai fini Irpef per la parte eccedente 6.700 euro) vanno indicati con il codice “4” nel quadro RC, più precisamente nella colonna 1 (Tipologia reddito) dei righi da RC1 a RC3. Nella colonna 3 (Redditi) va comunque riportato l’intero ammontare dei redditi percepiti, inclusa la quota esente (6.700 euro), che va invece specificata nella colonna 1 della riga RC5.

Per le spese relative ad interventi di recupero del patrimonio edilizio sostenute dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013, la detrazione d’imposta, da indicare nella Sezione III A del Quadro RP (Oneri e spese), è elevata dal 36% al 50% e il limite di spesa su cui calcolare tale detrazione è passato da 48.000 euro a 96.000 euro per ciascuna unità immobiliare. La stessa detrazione è estesa agli interventi necessari alla ricostruzione o al ripristino dell’immobile danneggiato da eventi calamitosi, se è stato dichiarato lo stato di emergenza. L’importo detraibile va ripartito in 10 quote annuali da parte di tutti i contribuenti (cade la possibilità per chi ha un’età non inferiore ai 75 o 80 di scegliere una ripartizione rispettivamente in 5 o 3 quote).
La detrazione del 55% per interventi finalizzati al risparmio energetico, da indicare nella Sezione IV del Quadro RP, è stata prorogata al 30 giugno 2013 ed estesa agli interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con quelli a pompa di calore per la produzione di acqua calda sanitaria.
I contributi Ssn versati nel 2012 con il premio di assicurazione di RC Auto sono deducibili esclusivamente per la parte eccedente i 40 euro, che va indicata nella colonna 2 del rigo RP21.
Si possono dedurre dal reddito, fino all’importo di 1.032,91 euro, anche le erogazioni liberali a favore di alcuni istituzioni religiose, da specificare nella riga RP24.

Modifiche anche al secondo Fascicolo. In particolare, nel Quadro RM, la sezione riferita all’imposta patrimoniale sul valore degli immobili detenuti all’estero (IVIE) e a quella sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) viene sdoppiata in due distinte Sezioni (XV A e XV B), tenendo presente i cambiamenti apportati dalla Legge di Stabilità 2013.

Nel Quadro RT è stata poi inserita la nuova Sezione II-B, dove il contribuente deve indicare la liquidazione dell’imposta sostitutiva del 20% sulle plusvalenze e altri redditi diversi di natura finanziaria, di cui all’art. 67 del DPR 917/1986 (TUIR).

Nel terzo fascicolo, il Quadro CM è stato, infine, sostituito dal Quadro LM, dedicato al nuovo regime fiscale di vantaggio per l’imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità (il cosiddetto “regime dei nuovi minimi”), introdotto dall’art. 27 del DL 98/2011 (convertito con modificazioni dalla L. 111/2011).

Le date da segnare nel calendario

Il contribuente dovrà compilare il Modello Unico identificato dalla sigla che riflette il proprio profilo fiscale: PF per le persone fisiche, ENC per gli enti non commerciali, SC per le società di capitali e gli enti commerciali e SP per le società di persone. L’Unico PF, in particolare, dovrà essere presentato dal 2 maggio al 1° luglio 2013, se si rientra nella casistica di quanti possono ancora farlo in forma cartacea, tramite un qualsiasi ufficio postale. La scadenza è posticipata, invece, al 30 settembre nel caso in cui il contribuente scelga la via telematica, trasmettendo direttamente la dichiarazione o avvalendosi di un intermediario autorizzato (ad esempio un commercialista o un CAAF). Tutti i versamenti a saldo derivanti dalla dichiarazione dovranno poi essere eseguiti entro il 17 giugno 2013. Aggiungendo una maggiorazione dello 0,4% a titolo di interesse, è possibile prorogare il pagamento di un mese, entro il 17 luglio. Anche per il 2013 è stato predisposto l’Unico Mini, una versione semplificata dell’Unico PF, destinata ai contribuenti con situazioni contabili poco complesse.

I REGIMI FISCALI DELLA SOCIETÀ GLOBALE – Parte terza (Paradisi fiscali)

Dazi doganali, IVA, diritti postali, paradisi fiscali presenti e potenziali: prima di acquistare all’estero è importante considerare tutte le condizioni che rendono più o meno vantaggiosa l’operazione.

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per blog paradisi fiscali parte 3(…) Un discorso a parte meritano poi gli acquisti diretti ai cosiddetti paradisi fiscali. Un caso del tutto particolare è costituito dalla Repubblica di San Marino, che, pur non facendo parte dell’Unione Europea, rientra nel territorio doganale comunitario, in virtù di uno specifico accordo firmato nel 1991. Ciò significa che non vi sono dogane e controlli alle frontiere e che il commercio tra San Marino e UE risulta esente da dazi aggiuntivi sulle importazioni.

IMPOSTA SUGLI ACQUISTI DI PRIVATI A SAN MARINO

Il DM 24 dicembre 1993, che disciplina l’applicazione dell’IVA negli scambi tra Italia e San Marino, conferma, all’art. 18, il principio in base al quale, nel caso in cui l’acquirente italiano sia un soggetto privato, i beni devono essere assoggettati all’imposta vigente nel territorio della Repubblica di San Marino. Si ricorda che la legislazione sammarinese non prevede l’IVA, ma un’imposta monofase sulle importazioni (legge 22 dicembre 1972, n. 40), che viene considerata equivalente all’IVA italiana, pur colpendo una sola volta il valore dei beni e servizi importati (viene calcolata sul costo d’acquisto dell’importatore rivenditore, non sul prezzo di vendita al consumatore), con aliquota pari al 17% (6% e 2% quelle ridotte). Lo scorso gennaio, il Governo sammarinese ha, tuttavia, prospettato l’abolizione della “monofase” e l’introduzione dell’IVA, a partire da gennaio 2014.

L’operatore professionale può adottare due diverse procedure fiscali per i propri acquisti rivolti a questo paradiso fiscale: la prima prevede l’addebito diretto dell’IVA italiana in fattura, da parte del cedente sammarinese, e la conseguente annotazione della fattura ricevuta, da parte dell’acquirente italiano, nel registro degli acquisti, per la detrazione; la seconda proceduta prevede l’emissione di una fattura senza indicazione dell’IVA e l’applicazione del sopracitato meccanismo del “reverse charge”, che impone la duplice registrazione nel registro IVA vendite e acquisti. Se la prima pratica offre il vantaggio di ridurre la burocrazia (non si è costretti a una doppia registrazione), la seconda consente di non dover anticipare l’IVA al fornitore sammarinese.

Per contrastare le possibili frodi fiscali, vige inoltre l’obbligo per i soggetti passivi IVA (non per i privati cittadini) di comunicare all’Agenzia delle Entrate tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate e ricevute, registrate o soggette a registrazione, nei confronti di operatori economici localizzati nei Paesi a fiscalità privilegiata (cosiddetti “Black list”, individuati dai decreti ministeriali 4 maggio 1999 e 21 novembre 2001), tra i quali rientra anche San Marino.

Diverso il caso di paradisi fiscali come Livigno e Campione d’Italia, che – pur permettendo di godere di regimi fiscali particolarmente vantaggiosi – non sono considerati territorio comunitario ai fini IVA e devono per questo sottostare alle stesse regole già viste per gli acquisti extra-UE.

I PRIVILEGI DI LIVIGNO E CAMPIONE D’ITALIA

I due comuni devono le attuali facilitazioni all’isolamento dal restante territorio italiano, imposto – almeno un tempo – dalla loro difficile posizione. Campione rappresenta una piccola exclave italiana (appartiene alla provincia di Como) nel territorio del Canton Ticino in Svizzera ed è fuori dal campo di applicazione dell’IVA italiana: qui si applica, infatti, l’IVA svizzera (8% il tasso ordinario, 3,8% e 2,5% i tassi ridotti). Livigno fa parte della provincia di Sondrio, ma rappresenta una zona extradoganale (o zona franca), beneficiando, per questo, di particolari sgravi fiscali, tra cui l’esenzione IVA. Ciò ha comportato, negli anni, un notevole aumento nel numero di visitatori, che possono acquistare a prezzi particolarmente favorevoli generi quali tabacchi, zucchero, bevande alcoliche, profumi, pur dovendo necessariamente sottostare a determinati limiti quantitativi, fissati allo scopo di evitare flussi illeciti di prodotti privi di IVA e usi diversi da quelli strettamente personali.

Cappellacci Sardegna Zona FrancaLa rosa dei paradisi fiscali italiani potrebbe presto arrivare ad includere anche un’intera regione, la Sardegna. Si tratta dell’ultima battaglia posta in essere dalla giunta regionale di centrodestra guidata da Ugo Cappellacci, che lo scorso 7 febbraio ha deliberato “l’attivazione di un regime doganale di zona franca esteso a tutto il territorio regionale, con perimetrazione coincidente con i confini naturali dell’isola di Sardegna e delle sue isole minori”, come si legge nella richiesta ufficiale – rivolta alle istituzioni europee – di approvazione e conseguente modifica dell’art. 3 del Regolamento CE 450/2008 (il nuovo codice doganale comunitario), che entrerà in vigore il prossimo 24 giugno.

Cappellacci chiede, in sostanza, che vengano riconosciuti i presunti svantaggi, in termini di maggiori costi rispetto agli altri territori nazionali ed europei, derivanti dalla condizione di isolamento insulare, aggravati dal perdurare di una crisi che ha colpito l’intero apparato produttivo.

I fondamenti legislativi sono stati rintracciati nell’art. 119 della nostra Costituzione nazionale e nell’art. 174 del Trattato di Lisbona, che hanno inteso promuovere uno sviluppo armonioso del territorio nazionale e comunitario, attraverso il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale e la riduzione del divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni.

Alla base vi è anche la volontà di limitare il fenomeno dello spopolamento che ha colpito la Regione. Da anni – rilevano i sostenitori della zona franca – si assiste alla delocalizzazione di molte aziende sarde in Paesi dove la tassazione è più favorevole e il prezzo dei carburanti più basso. Attraverso la delibera della Giunta si potrebbe, allora, assistere al rientro di questo fenomeno e, allo stesso tempo, molte imprese potrebbero essere spinte ad avvicinarsi al territorio sardo. Vista poi la collocazione dell’Isola nelle vicinanze del territorio nordafricano, l’attivazione di regimi fiscali agevolati potrebbe aprire importanti prospettive nei rapporti con territori dalle forti potenzialità economiche. La Regione aspira, dunque, a diventare un punto fondamentale per gli scambi economici tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

ZONE FRANCHE SARDE: UNA VECCHIA STORIA

L’istituzione di “punti franchi” in territorio sardo ha, in realtà, origini piuttosto antiche, essendo prevista già dall’art. 12, comma 2, dallo statuto speciale per la regione Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3. In attuazione a tale disposizione, il successivo D.Lgs. 10 marzo 1998, n. 75 ha individuato tali “punti franchi” nei porti di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme, Arbatax e in altri porti ed aree industriali ad essi funzionalmente collegate o collegabili. Le zone franche doganali definite in quell’occasione si limitano, tuttavia, ad apportare delle agevolazioni di tipo “procedurale”, con riferimento alla movimentazione delle merci (rendono esenti solo dal dazio e solo le merci che arrivano e ripartono verso paesi extra UE), non fiscali e finanziarie. Ciò che la giunta intende ora fare è inserire l’intera Sardegna tra i territori extradoganali, arrivare all’extraterritorialità fiscale, abbattendo IVA, accise e riducendo la pressione fiscale di cittadini e imprese.

Secondo alcuni – come i rappresentanti del Movimento 5 Stelle – una simile operazione rappresenterebbe un “suicidio” per due motivi. In primo luogo per la perdita di introiti tributari sia per lo Stato italiano che per la Regione, la quale vedrebbe ridotto il proprio bilancio del 90% (con gravi ripercussioni su sanità, scuole, università e strade). Il secondo rischio sarebbe quello di trasformare la Sardegna in una “terra di conquista”, sede di “qualsiasi forma di traffico o malaffare”, dove si “potrebbe agire in totale assenza di controlli sulla provenienza legale, qualità e certificazione delle merci”. L’alternativa proposta da queste voci contrarie – che criticano tra l’altro aspramente anche le procedura con cui la Giunta ha avanzato la richiesta – è l’attuazione di un “pacchetto di fiscalità di vantaggio e di servizio”, che offra supporto, crescita e lavoro alle imprese insediate sulle aree industriali adiacenti ai maggiori porti sardi (già indicati nel famoso Dgls 75/98), in forza degli articoli 107, 108 e 109 del TFUE (trattato di Funzionamento dell’Unione Europea).

Proposte come quella sarda sono, del resto, il risultato di una pressione fiscale sempre più forte. La concomitanza delle molte scadenze fiscali tra giugno e luglio (Imu, Tares, Irpef, Iva) potrebbe portare ad una vera e propria stangata per i contribuenti, stimata, dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, in circa 31,8 miliardi di euro e, dalla CGIA di Mestre, in circa 25.700 euro, per i soli lavoratori autonomi e piccoli imprenditori. In particolare, a partire dal 1° luglio 2013, l’aliquota IVA ordinaria passerà dall’attuale 21 al 22%, mentre rimarranno inalterate le altre due aliquote (la ridotta al 10% e la super ridotta al 4%). Sempre che non si trovino, nel frattempo, altre risorse per realizzare gli obiettivi di bilancio stabiliti, capaci di garantire il gettito di 4 miliardi (lo 0,25% del Pil) previsto con l’incremento dell’IVA.

Sono in molti – dalle associazioni di consumatori a quelle degli esercenti – a scongiurare l’applicazione della misura, che rischia di “riaccendere una spirale inflazionistica con un ulteriore impatto negativo sui consumi”, come sottolinea il Presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli. Le risorse alternative “vanno trovate con un coraggioso piano di tagli alla spesa pubblica e agli sprechi”, tuona Confesercenti, riportando gli ultimi allarmanti dati sui consumi e sull’anagrafe degli esercizi commerciali: “nel 2012, nel solo commercio al dettaglio, hanno cessato la loro attività più di 64.000 imprese, per un saldo negativo del comparto di più di 20.000 unità”. “A scenario invariato, riteniamo che nel 2013 possa realizzarsi una nuova forte flessione della spesa, nell’ordine di 10 miliardi di euro”. Agli esercenti fa eco il Codacons, che sottolinea come l’aumento dell’IVA peserebbe, su una famiglia di 3 persone, ben 209 euro su base annua. Secondo l’associazione che difende i consumatori, “le famiglie sono nel baratro e due terzi di loro fanno fatica ad arrivare a fine mese” e “le troppe tasse hanno finito e finiranno per essere controproducenti ai fini del risanamento dei conti pubblici”. “Un attentato in piena regola” – conclude il Codacons – la cui soluzione non è mobilitarsi “contro le aperture domenicali”, come fa Confesercenti (“una battaglia antistorica e contro i mulini a vento”), ma “l’abbassamento delle tasse sborsate dal ceto medio-basso che ha pagato per risanare i conti e rimediare ad una crisi creata da banche, speculatori finanziari e politici irresponsabili”.

A preoccupare è, dunque, primariamente l’impatto della nuova imposta sui consumi, che potrebbero essere ulteriormente congelati e dunque finire per vanificare la sostanza della misura. Gli effetti potrebbero, infatti, essere esattamente opposti a quelli sperati, come evidenzia la Coldiretti, nel commentare i dati delle entrate tributarie nel 2012, che rilevano un calo nel gettito IVA di 1,9 punti percentuali.

L’aumento dei prezzi non assicura alle imprese maggiori guadagni, al contrario frena la domanda interna. La spinta inflazionistica potrebbe, allora, ridurre anche il potere d’acquisto, il reddito percepito e la ricchezza messa da parte dalle famiglie italiane.

C’è da augurarsi, in conclusione, che il nuovo Governo decida di rimettere mano al dossier Iva, per evitarne definitivamente il rincaro.

I REGIMI FISCALI DELLA SOCIETÀ GLOBALE – Parte seconda (acquistare extra-UE)

Dazi doganali, IVA, diritti postali, paradisi fiscali presenti e potenziali: prima di acquistare all’estero è importante considerare tutte le condizioni che rendono più o meno vantaggiosa l’operazione.

ARTICOLO REALIZZATO PER IL MENSILE OFFICE MAGAZINE DI MAGGIO 2013

Paradisi fiscali extra ue(…) Vediamo a questo punto come le cose si complichino e diventino più onerose nel caso di importazioni da Paesi al di fuori dell’area comunitaria. I costi aggiuntivi da sostenere in questi casi sono solitamente di tre tipi: dazi doganali, IVA e diritti dello spedizioniere.

I dazi doganali si calcolano, in percentuale, su una base imponibile data dal valore della transazione, cioè dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per la merce, comprensivo delle spese di spedizione ed eventualmente anche delle spese di assicurazione (artt. 28 – 36 del Regolamento CEE n. 2913/92). Tale percentuale varia a seconda della tipologia di merce importata e del Paese da cui la spedizione proviene. Per individuarla è possibile fare riferimento alla base dati TARIC, Tariffa Integrata Comunitaria (nell’apposita sezione del sito dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, http://www.agenziadogane.gov.it), che, identificando con dei codici univoci le diverse tipologie di merci, fornisce tutte le disposizioni, gli obblighi, le restrizioni e le fiscalità relative all’entrata o all’uscita di ciascuna di queste dal territorio della Comunità. La necessità di stabilire con precisione la tipizzazione del bene importato risulta fondamentale, allora, non solo ai fini di comprendere la corretta applicazione del trattamento daziario e fiscale, ma anche per accertare l’eventuale obbligo di ottenere delle particolari licenze o l’esistenza di determinate limitazioni all’importazione. È importante sottolineare, comunque, come la classificazione definitiva della merce spetti esclusivamente ai funzionari doganali nel momento dell’effettiva presentazione della stessa in dogana, quindi una percentuale di incertezza circa le tariffe da applicare persiste fino alla fine, per l’acquirente italiano.

Il valore della transazione come prima descritto (valore merce, spese di spedizione, eventuale assicurazione), sommato agli eventuali dazi e alle spese di inoltro fino al luogo di destinazione, funge poi da base imponibile per il calcolo dell’IVA all’importazione. Ciò significa che – oltre a pagare un’imposta più elevata rispetto a quella dovuta nel caso in cui lo scambio fosse avvenuto in territorio comunitario – ci si potrebbe trovare costretti a versare due volte l’IVA, quella richiesta dal Paese di origine e quella richiesta con l’ingresso in Italia. Il tutto per scoraggiare l’importazione estera e proteggere il mercato e la produzione interna.

Sulle merci contenute in spedizioni tra privati o nei bagagli personali dei viaggiatori, può essere applicato un “dazio forfettario” del 2,5%, a condizione che si tratti di importazioni occasionali e prive di carattere commerciale (inviate dal mittente senza alcuna forma di pagamento) e a patto che le merci siano destinate ad un uso personale o familiare e che abbiano un valore non superiore ai 700 euro. Tale dazio non può essere, però, applicato ai tabacchi spediti in quantità superiore ai limiti fissati (art. 27 del Reg. CEE 1186/2009).

Sono state, inoltre, fissate alcune franchigie che consentono di non pagare, in parte o del tutto, i diritti all’importazione. Sotto il profilo doganale, la vigente normativa comunitaria (art. 23 del Reg. CE 1186/2009, che dal 1° gennaio 2010 sostituisce il Reg. CEE n. 918/83) prevede che non si paghi alcun dazio per quelle spedizioni che riguardano merci di valore trascurabile, non superiore, cioè, a 150 Euro (si considera il valore intrinseco del bene, dunque escluso il costo del trasporto e dell’eventuale assicurazione). Sotto il profilo fiscale, la franchigia ai fini dell’IVA è fissata sul valore intrinseco di 22 Euro (art. 5 del DM n. 489/97): ciò significa che, se il prodotto acquistato non supera tale cifra, non dovremo pagare né il dazio doganale né l’IVA. Il limite sale poi a 45 Euro, nel caso in cui la spedizione avvenga tra privati, sia priva di carattere commerciale, sia effettuata a titolo gratuito e in forma occasionale (artt. 25-26 Reg. CE 1186/2009).

Non si può fruire delle franchigie (tranne di quella che fissa il tetto dei 45 euro, che comunque deve sottostare a determinati limiti sui quantitativi), nel caso di prodotti alcolici, profumi e acqua da toletta, tabacchi e prodotti del tabacco.

Vale la pena di precisare che, se il valore del bene supera i limiti di franchigia, il soggetto importatore è tenuto al pagamento dei diritti doganali riferiti all’intero valore del bene.

TASSI DI CAMBIO IN DOGANA

Ai sensi dell’art. 169 del Regolamento CEE n. 2454/93 (applicativo del Codice doganale comunitario), se alcuni degli elementi utilizzati per stabilire il valore della merce in dogana sono espressi in una moneta diversa da quella dello Stato membro in cui avviene la valutazione (nel nostro caso l’Euro), si utilizzano, per la conversione, i tassi di cambio fissati dall’Autorità preposta (consultabili sul sito dell’Agenzia delle Dogane) sulla base delle quotazioni pubblicate appositamente dalla Banca Centrale Europea il penultimo mercoledì di ogni mese. Tali tassi restano in vigore per tutto il mese successivo, a meno che non intervengano variazioni uguali o superiori al 5% nei mercoledì successivi. Per le monete non comprese nell’elenco deve essere, invece, utilizzato il tasso di cambio fissato giornalmente dalla Banca d’Italia.

Un’ultima spesa aggiuntiva potenzialmente in capo al consumatore italiano che acquisti un bene in un Paese extra UE riguarda i diritti postali, la tariffa cioè applicata dalle Poste italiane per le attività amministrative connesse allo sdoganamento (art. 18 della Convenzione Postale Universale). Tali diritti non sono dovuti nel caso in cui il valore intrinseco della merce sia inferiore ai 22 Euro (o 45 Euro, se si tratta di invii tra privati, a carattere occasionale e gratuito, per merci destinate ad uso personale o familiare), mentre sono pari a 5,50 Euro nel caso in cui il valore della merce sia inferiore o uguale a 350 Euro e arrivano agli 11 Euro se la merce supera tale valore. Si applica la tariffa intera di 11 Euro anche per oggetti di valore inferiore ai 350 Euro, nel caso di invii commerciali il cui destinatario sia una società, se si rende necessaria la permanenza della merce nel magazzino di temporanea custodia per determinati controlli, infine nel caso in cui la merce appartenga a categorie particolari, quali oggetti d’arte, d’antiquariato, da collezione. In alternativa alle Poste è possibile si faccia riferimento ad altri corrieri espressi, che applicheranno le proprie tariffe.

(Continua…)

I REGIMI FISCALI DELLA SOCIETÀ GLOBALE – Parte prima (acquistare nell’UE)

Dazi doganali, IVA, diritti postali, paradisi fiscali presenti e potenziali: prima di acquistare all’estero è importante considerare tutte le condizioni che rendono più o meno vantaggiosa l’operazione.

ARTICOLO REALIZZATO PER IL MENSILE OFFICE MAGAZINE DI MAGGIO 2013

Regimi fiscali acquisti nell'UEL’innovazione tecnologica ha condotto ad una capillare diffusione delle connessioni alla rete Internet e ci ha reso parte di quel villaggio globale che, in modo sempre più rapido e in chiave sempre più social, ci permette in pochi semplici click di allacciare un contatto Oltralpe o addirittura Oltreoceano. Si è aperta così anche per gli utenti privati – e non più solo per quelli professionali – la possibilità di stringere tra le mani quel particolare paio di scarpe sportive introvabili nel Belpaese o di godere delle super-offerte disponibili in alcuni mercati esteri. Accanto agli ovvi vantaggi che ne derivano, si sviluppano, in capo ai potenziali acquirenti tricolori, anche numerose problematiche e dubbi, che rischiano di minimizzare o perfino di vanificare l’aspetto di convenienza ricercato attraverso simili operazioni. Costretti a confrontarsi con tassi di cambio, Iva, dazi doganali, condizioni e tariffe non chiare, gli utenti finiscono spesso per scoraggiarsi e rinunciare all’acquisto, perdendo la possibilità di sfruttare i reali benefici del commercio globale. Cerchiamo, allora, di comprendere meglio alcune delle questioni più discusse in materia di acquisti rivolti all’estero, per valutare se e quando convenga realmente guardare al di fuori dei propri confini nazionali.

Iniziamo col sottolineare come le procedure realizzate all’interno dell’Unione Europea siano piuttosto semplici, poiché si rientra in una zona di libero scambio, dove, a partire dal 1° gennaio 1993, le frontiere interne sono state abbattute e le merci, le persone, i servizi e i capitali possono essere ceduti da un Paese all’altro senza pagamento di dazi doganali. Vi sono comunque delle eccezioni a questo principio generale: è il caso, ad esempio, dell’acquisto di un veicolo, che impone un’attenta fase di valutazione, da parte degli uffici della Motorizzazione Civile, sull’idoneità della documentazione tecnica in possesso dell’acquirente e sulla regolarità degli adempimenti fiscali, dunque sul corretto assolvimento dell’IVA, prima che si possa procedere con il trasferimento, con l’immatricolazione e l’iscrizione del veicolo al Pubblico Registro Automobilistico, in Italia. Anche l’acquisto di animali, armi e generi particolari come i tabacchi e le bevande alcoliche prevede, seppur realizzato all’interno di un Paese comunitario, forti limitazioni e spesso l’ottenimento di particolari autorizzazioni.

ACQUISTARE UN’AUTO NELL’UE

Nel caso si acquisti da un Paese comunitario un mezzo di trasporto nuovo, è previsto il pagamento dell’IVA nello Stato di destinazione, dunque in Italia, anche se lo scambio avviene tra privati. Si considera nuovo il veicolo non ancora immatricolato o immatricolato in un Paese UE ma che non ha percorso più di seimila chilometri o è stato ceduto entro sei mesi dalla data di prima immatricolazione. Nel caso acquisti un veicolo usato, il privato dovrà pagare l’IVA del Paese del venditore, quando quest’ultimo è un soggetto d’imposta, mentre non dovrà assolvere alcuna imposta, né nel Paese di acquisto né in Italia, quando anche il venditore è un soggetto privato.

Se a comprare il veicolo, nuovo o usato, è un operatore professionale, questi sarà tenuto all’assolvimento degli obblighi dettati dalla disciplina intracomunitaria (D.L. n. 331/93) e dalla disciplina Intrastat (D.L. n. 16/93), ferma restando, nel caso di mezzi di trasporto usati, l’eventuale applicazione, da parte del cedente, del particolare regime del margine.

Per comprendere il regime fiscale relativo agli acquisti realizzati nei Paesi membri, è necessario, comunque, distinguere tra acquirente privato e acquirente imprenditore. Il primo, infatti, se compra nell’ambito dell’UE prodotti destinati all’uso personale o familiare, è tenuto a pagare l’IVA soltanto una volta, nel Paese in cui effettua l’acquisto (a eccezione dell’acquisto di un’automobile nuova). Se si acquista, invece, a livello professionale, per poi rivendere, da un’azienda che rientra nel territorio comunitario, si deve richiedere l’emissione di una fattura priva di addebito IVA e procedere poi con l’emissione di una “autofattura” o con l’integrazione della precedente fattura attraverso l’indicazione dell’aliquota in vigore nel nostro Paese e la relativa imposta (si tratta di un meccanismo noto come “reverse charge” o “inversione contabile”). Il documento dovrà poi essere annotato sia nel registro IVA delle vendite sia in quello degli acquisti, rendendo neutrale l’impatto economico e finanziario dell’operazione. Tale procedura permette di evitare le frodi e tenere stabile il sistema finché non si giungerà a una armonizzazione delle aliquote IVA in vigore nei Paesi che compongono l’Unione Europea. Il professionista committente dovrà poi compilare, a cadenza temporale ben precisa, una lista di tutti gli acquisti e le vendite fatti all’interno del territorio comunitario (il cosiddetto “modello Intrastat”).

DEFINIZIONE DEL TERRITORIO COMUNITARIO

Il territorio doganale della Comunità non coincide precisamente con il territorio geofisico della stessa. Alcune zone degli Stati membri ne sono escluse: Isole Faeroer, Groelandia, Isola di Helgoland e territorio di Busingen, Ceuta e Melilla, Territori d’oltremare francesi e Collettività Territoriali di Mayotte, di St. Pierre e Miquelon, Livigno e Campione d’Italia, infine le acque nazionali italiane del Lago di Lugano (tra Ponte Tresa e Porto Ceresio). Parallelamente altri territori che non rientrano nei confini geofisici della Comunità ne sono integrati: Jungholz e Mittelberg, Principato di Monaco, Repubblica di San Marino, Dipartimenti d’Oltremare francesi, Isola di Man e Isole Canarie. La definizione di “territorio della Comunità” valida ai fini IVA (art. 7 DPR 633/1972) è più ristretta rispetto a quella di “territorio doganale”, escludendo anche altre aree: isole Åland, Dipartimenti d’Oltremare francesi, Monte Athos, Isole Canarie e Isole Anglo-Normanne. Tali aree, pur rientrando nel territorio doganale comunitario, non sono comprese nel territorio fiscale e sono dunque trattate, ai fini IVA, come territori extra-UE.

(CONTINUA…)

Notizie online: da consumarsi preferibilmente entro il…

Una recente sentenza del Tribunale di Ortona condanna la testata online PrimaDaNoi.it al pagamento di 17mila euro quale risarcimento per aver conservato, nel proprio archivio elettronico, una notizia del 2008 ritenuta lesiva dell’altrui privacy. Ecco la declinazione online del diritto all’oblio

La questione centrale è un conflitto tra diritti ugualmente – almeno in termini astratti – meritevoli di tutela normativa e sociale. Alla base vi è un vuoto legislativo colmabile solo in parte dalla giurisprudenza in materia, costretta a scendere a patti con l’interpretazione e la contestualizzazione. In gioco vi è la libertà di informazione, uno dei capisaldi dell’edificio comunitario, una delle conquiste progressive più bramate dall’opinione pubblica, una delle risorse più tenacemente custodite dalla collettività digitale.
LE SENTENZE
L’ultimo capitolo scritto nella storia dell’informazione made in Italy sembra far emergere ancora una volta l’estrema difficoltà che il legislatore italiano ha nel partorire una stabile regolamentazione della rete e pare aver scosso non poco gli animi di quanti continuamente si battono per offrire ai cittadini la solida garanzia di essere informati, in modo limpido e puntuale, circa fatti e misfatti ritenuti socialmente rilevanti. Protagonista della vicenda è il piccolo ma prestigioso quotidiano abruzzese online PrimaDaNoi.it, condannato dal giudice unico del Tribunale di Ortona, Rita Di Donato, al pagamento di un multa di oltre 17mila euro (tra risarcimento danni e spese legali), per aver conservato, nel proprio archivio elettronico, la notizia relativa a un fatto di cronaca, avvenuto nel 2008, all’interno di un ristorante pescarese, che coinvolse i titolari del locale in una vicenda giudiziaria di natura penale, non ancora conclusa.
Il giudice ha accolto, in sostanza, la domanda dei ricorrenti (i titolari), che chiedevano la rimozione della pagina contenente la notizia, preoccupati per il pregiudizio che la stessa avrebbe potuto recare alla loro reputazione personale e professionale e all’immagine del proprio locale. Sottolinea, infatti, il giudice come “la facile accessibilità e consultabilità dell’articolo giornalistico [pubblicato il 29 marzo 2008], molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale [il 6 settembre 2010] sia trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di quei dati [relativi ai titolari del ristorante e al nome dell’esercizio] non poteva più avvenire”. Il persistere del trattamento dei dati personali – prosegue il giudice – “ha determinato una lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza ed alla reputazione, e ciò in relazione alla peculiarità dell’operazione di trattamento, caratterizzata da sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati (consultabili semplicemente digitando il nominativo del ricorrente e la denominazione del ristorante sul motore di ricerca Google) e alla natura degli stessi dati trattati, particolarmente sensibili attenendo a vicenda penale”. L’articolo era stato già rimosso – è bene precisarlo – dai motori di ricerca, nel 2011, ma non anche dall’archivio del giornale online.
Accolta pure la richiesta di ottenere un risarcimento danni poiché – si legge nella sentenza – il trattamento dei dati personali si è protratto per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi – esercizio del diritto di cronaca giornalistica – per i quali i dati sono stati raccolti e trattati”.
Invocando il cosiddetto “diritto all’oblio”, il giudice sembra, dunque, far prevalere la tutela della privacy sul diritto di cronaca, nonostante la notizia diffusa fosse – lo stesso provvedimento lo evidenzia – vera, corretta nella forma e non diffamatoria e nonostante in Italia non esista alcuna legge che formalizzi le condizioni di applicabilità di tale diritto all’oblio. Egli ha imposto, in sostanza, una scadenza alla notizia (pari a due anni e mezzo, nella fattispecie).
La sentenza, datata 16 gennaio 2013, ricalca in realtà una precedente pronuncia da parte del giudice Rita Carosella, dello stesso Tribunale, datata 20 gennaio 2011. In quell’occasione, a suscitare la reazione dei due coniugi ricorrenti era stata la notizia, riportata dal giornale abruzzese, relativa al loro arresto per tentata estorsione continuata in concorso. La posizione dei due era stata poi archiviata e l’articolo, datato originariamente 23 marzo 2006, era stato più volte aggiornato nel corso degli anni, per dare conto dell’intero iter giudiziario, dunque anche dell’archiviazione della vicenda. Per far valere il diritto alla tutela della propria riservatezza, i coniugi avevano scelto in primis di rivolgersi al Garante della Privacy, il quale, tuttavia, si era espresso a favore della permanenza online dell’articolo, considerando che il trattamento dei dati personali era stato effettuato “nel rispetto della disciplina di settore per finalità giornalistiche”. Diversa invece era stata la pronuncia del Tribunale, che impose al giornale di cancellare la notizia e di sborsare 5 mila euro (più le spese legali) ai coniugi per i danni subiti, vista la “durata, gravità e modalità dell’illecito”.
Il giudice Carosella aveva allora sottolineato come, alla data della richiesta di cancellazione da parte dei ricorrenti (circa quattro mesi dopo l’ultima modifica dell’articolo), fosse trascorso tempo sufficienteperché le notizie potessero soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica, informare la collettività, creare opinioni, stimolare dibattiti, suggerire rimedi” e come, di conseguenza, il trattamento dei dati non potesse avvenire, se non con “lesione del diritto dei ricorrenti alla riservatezza e alla reputazione, stante la peculiarità dell’operazione di trattamento, sistematicità e capillarità della divulgazione dei dati, e stante la natura degli stessi dati trattati, particolarmente sensibili attenendo a vicenda giudiziaria penale”. Anche in questo caso la sentenza sembra voler offrire una durata temporale – basata su soggettive valutazioni – e una relativa scadenza all’esercizio del diritto di cronaca. Essa consentiva, inoltre, “a costituire memoria storica della collettività”, la conservazione di “una copia cartacea dell’articolo nell’archivio della testata, archivio che tuttavia – come sottolinea PrimaDaNoi.it e come era facile immaginare in tempi di villaggio globale e informazione 2.0 – non esiste.
COME NASCE UNA NOTIZIA
Le soluzioni individuate nascondono non poche ambiguità e fanno emergere perplessità e dubbi interpretativi. Per comprendere meglio la questione, facciamo, allora, per un attimo, un passo indietro e cerchiamo di capire come nasce una notizia. La giurisprudenza ha, nel corso degli anni, elaborato tre requisiti al cui rispetto dev’essere subordinato il legittimo esercizio del diritto di cronaca da parte dei giornalisti: dev’esservi innanzitutto un interesse pubblico e attuale alla conoscenza del fatto oggetto di notizia; la verità di questo stesso fatto deve, inoltre, essere oggettiva, o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca (da qui la necessità di verificare accuratamente le fonti e al contempo la rilevanza assunta dalla buona fede del giornalista, il quale, pubblicando notizie che egli crede vere dopo le relative verifiche, mantiene la propria condotta nei limiti del diritto di cronaca); infine la notizia deve rispettare la cosiddetta “continenza espositiva”, la correttezza cioè formale nell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, non eccedente rispetto allo scopo informativo, improntata a un ideale di obiettività, priva di un preconcetto intento denigratorio e comunque rispettosa della dignità altrui.
Il diritto di cronaca è, come quello di critica e di satira, un diritto di rilevanza costituzionale, protetto da quell’ampio cappello che è l’articolo 21 delle nostra Costituzione (che prevede, in poche parole, la libertà di manifestazione del pensiero). I tre requisiti elaborati sono il frutto della volontà di bilanciare tale garanzia costituzionale con il diritto alla tutela della propria persona, della propria reputazione e della propria riservatezza, anch’essi costituzionalmente previsti.
L’utilità e il rilievo sociale dell’informazione (in sostanza il primo dei requisiti cui prima si faceva riferimento) è, allora, fondamentale affinché questo conflitto tra diritti di pari dignità possa essere in qualche modo superato. Per valutare l’interesse pubblico alla diffusione della notizia non si può ovviamente prescindere dal contesto: esso dipende dal pubblico cui ci si rivolge, dal giornale e dalla pagina in cui si scrive, dal momento storico in cui ci si trova. L’interesse pubblico deve sussistere nel preciso momento in cui si scrive. Esso è il presupposto che impone ad un fatto privato (dunque tutelato dalla privacy) di diventare oggetto legittimo di cronaca, tuttavia una volta che la comunità ne sia stata informata con correttezza, esso ha esaurito la sua funzione e torna alla sua originaria dimensione di fatto privato. Riproporlo sulla ribalta mediatica sarebbe non solo inutile per la collettività, ma addirittura dannoso per i protagonisti in negativo del fatto. In questo meccanismo rientra il “diritto all’oblio”: si tratta di un diritto creato dalla giurisprudenza della Cassazione, tipicamente collocato tra i diritti inviolabili citati da quella norma dinamica che è l’art. 2 della Costituzione. È in sostanza il diritto, che ognuno di noi ha, a non essere più ricordato dalla stampa e dagli altri canali di divulgazione per fatti che in passato sono stati oggetto di cronaca. Un ulteriore fondamento legislativo di tale diritto è stato rinvenuto nell’art. 27, comma 3, della Costituzione, che prevede la funzione rieducativa della pena, la necessità cioè di favorire il reinserimento sociale del condannato.
Vi sono, tuttavia, alcuni fatti ritenuti particolarmente gravi, per i quali l’interesse pubblico alla loro pubblicazione non viene mai meno (si pensi, ad esempio, a fatti che hanno inciso sul corso della storia, come Tangentopoli o l’attentato al Papa).
Parallelamente può succedere che, a distanza di anni, sorga nuovamente un interesse pubblico alla riproposizione della notizia: ciò avviene, in particolare, quando si crea un certo nesso, un collegamento, tra un fatto di cronaca attuale e uno passato sul quale si era in già posato il diritto all’oblio. È il caso del condannato di stupro che, uscito di galera e, dunque, scontata la pena, commette una nuova violenza sessuale, legittimando il giornalista a far riferimento alla precedente condanna nel resoconto dell’evento.
A far scattare il diritto all’oblio non è, allora, il trascorrere di un determinato numero di anni dal verificarsi del fatto (come le sentenze sopra descritte potrebbero lasciare intendere): esso può essere fatto valere nel momento in cui tale fatto passato esaurisce la propria valenza pubblica e non possiede alcun rapporto diretto con la notizia all’ordine del giorno. Se scrivo di una donna dedita alla prostituzione in casa propria, non potrò, ad esempio, ricordare che la precedente proprietaria dell’immobile esercitava, magari vent’anni prima, la stessa professione: se quest’ultima avesse, nel frattempo, cambiato completamente vita e si sentisse turbata dal vedere il proprio nome accostato ad un nuovo fatto di cronaca in cui non c’entra nulla, potrebbe a ragione fare causa al giornalista poco saggio.
… E PER IL WEB?
Il Web sconvolge ovviamente l’intera logica appena descritta, dovendo fare i conti con un’infrastruttura digitale che, per natura, tende a mantenere traccia di ogni singola manifestazione. Nel Web l’informazione può essere decontestualizzata, frammentata, copiata e incollata.
Il fatto di dare una scadenza temporale alla notizia, giustificando la cosa proprio con le peculiarità del mezzo informatico, sembra essere una soluzione non molto illuminata e ben si presta a diventare terreno fertile per le critiche di quanti si battono per la libertà d’informazione. Quanti anni o mesi dovrebbero poi trascorrere prima che si realizzi tale scadenza?
Oggi siamo stati condannati [… ] per aver scritto notizie vere e senza errori. Siamo stati condannati perché ci hanno detto che quello che scriviamo ha una data di scadenza ma nessuno sa dirci qual è questa data”, lamenta la redazione di PrimaDaNoi.it.
In un sistema legislativo che cerca esasperatamente di codificare il comportamento umano in ogni situazione, restringendo quanto più possibile la funzione interpretativa e applicativa della norma (diversamente da quanto avviene nei sistemi “common law”), si determina la strana condizione in cui l’attenzione, in fase di pronuncia, cade più sul cavillo da aggirare che non sul principio da rispettare.
I giudici delle sentenze analizzate dimostrano scarsa sensibilità e padronanza verso il mondo dell’informazione ai tempi del Web. Declinare il diritto all’oblio a simili fattispecie online risulta una forzatura, una storpiatura: stando ai principi enunciati dal Tribunale abruzzese, tutti gli archivi storici delle principali testate italiane e internazionali dovrebbero essere rimossi, poiché inevitabilmente essi conterranno notizie sgradite a qualcuno.
Certo il Web non può essere – d’altro canto – una giustificazione a fare del cattivo giornalismo, eludendo il rispetto delle fondamentali norme deontologiche che regolano la professione. Nei processi comunicativi sottesi alla notizia, i meccanismi temporali hanno un’importanza fondamentale: la notizia diffusa per prima rimarrà sempre quella considerata “vera”, le notizie che seguiranno verranno inevitabilmente percepite dal pubblico come semplici giustificazioni. La notizia di una sentenza di assoluzione a termine di un processo show, rimbalzato da una ribalta televisiva all’altra, non cesserà di mantenere vivi i sospetti sui protagonisti in negativo della vicenda. Proprio per questo il giornalista ha una forte responsabilità, nel valutare l’opportunità o meno di pubblicare nomi, dettagli e retroscena e il modo in cui pubblicarli. I toni sensazionalistici e lo scoop a orologeria non si addicono all’ideale di giornalismo come strumento di informazione e di garanzia per l’opinione pubblica. E tuttavia queste sono questioni più ampie, che coinvolgono l’etica professionale, non riguardano solo la Rete. Solo partendo dai precetti deontologici si potranno risolvere le difficile controversie dell’informazione online, tenute presenti le specificità del mezzo e l’equo bilanciamento tra diritti.
Questa sentenza ci condanna per aver voluto difendere il diritto di ogni cittadino di conoscere e di sapere […]. Ci spiace per i giudici , ma la storia, i fatti, la memoria non si cancellano a colpi di sentenze”.
Pubblicato su: PMI-dome

Le nuove regole del file sharing

La guardia di finanza di Brescia, su ordine del Gip, ha disposto il sequestro preventivo della piattaforma DDUniverse e, rifacendosi al decreto Urbani del 2004, ha reso anche i provider d’accesso possibili destinatari di una sanzione pecuniaria fino a 250 mila euro, in caso di inosservanza dell’ordine.

Nell’immaginifico mondo a disegni e baloons, è un astuto rivale del buon Topolino. Nell’attuale contesto della giustizia italiana, è il nome dato all’ultimo capitolo della lotta – spesso oggetto di critiche e contrapposizioni – alla condivisione illecita via web di materiale coperto dal diritto d’autore. L’operazione “Macchia nera non poteva che suscitare forti reazioni tra le file degli internauti, schierando, ancora una volta, tutti i diversi e contrapposti interessi messi in gioco dalla questione. Vediamo in cosa consiste: la guardia di Finanza di Brescia ha richiesto ai provider operanti sul territorio dello stato italiano, su ordine del Gip dello stesso tribunale e su richiesta del pubblico ministero della locale procura, Gian Maria Pietrogrande, di oscurare in via preventiva i portali dduniverse.net e www.dduniverse.net, identificati dall’indirizzo IP statico 88.80.27.36, in modo da inibirne l’accesso da parte degli utenti italiani. Si tratta di uno dei siti di file sharing più popolari in Italia: la community ad esso legata era già attiva nel 2002 ed esso nasce a fine 2004 come Drunken Donkey, diventando presto il punto di riferimento per gli utenti italiani di eMule. Segue una prima chiusura, ad opera del provider, nel 2007, una rinascita come DDGalaxy (“Drunken Donkey Galaxy“) e, infine, come DDUniverse. Sul sito venivano ospitati link a file torrent e a file distribuiti tramite la rete eDonkey (usata anche da eMule).

In pratica, a poche settimane dal caso Kickasstorrents e sull’esempio di molte altre situazioni analoghe, viene disposto nuovamente il sequestro preventivo (ovvero prima di un processo) di un sito, proprio a causa del meccanismo di file sharing che esso propone, considerato lesivo dei diritti d’autore.

Il provvedimento spiega tale meccanismo, affermando che l’immissione di opere protette dal diritto d’autore avviene “rendendo disponibili sulle pagine web codici alfanumerici complessi del tipo torrent – in grado di identificare univocamente i singoli file relativi ad opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore – ed indicizzando e promuovendo collegamenti detti “ed2k” ai file medesimi, in tal modo gli utenti registrati su detto sito sono in grado di scambiare tra loro copie integrali o parziali dei file stessi”. Il tutto avverrebbe, secondo il Gip,con finalità di lucro rappresentato dagli introiti derivanti dalle inserzioni pubblicitarie a pagamento inserite sul sito (cd banner)”.

Sul fine di lucro in capo all’accusa, molti hanno espresso il proprio dissenso, sottolineando come i banner sul sito avessero, come unico scopo, quello di ripagare le spese di hosting, considerando poi che la community agisce esclusivamente in forma volontaria.

Alla base di dduniverse.net, vi è, in sostanza, un’architettura Peer to Peer (nota con l’acronimo di P2P), un modello di comunicazione non gerarchico, nel quale cioè ogni parte ha le stesse funzionalità delle altre e ha la possibilità di iniziare la sessione comunicativa, in contrapposizione al modello server/client. Accanto ad usi leciti, il fenomeno ha visto sorgere una crescente ed illecita condivisione (file sharing, appunto) di materiali protetti dal diritto d’autore, per questo le multinazionali dell’industria dell’intrattenimento considerano le reti P2P come la più grave minaccia posta dalle tecnologie digitali ai loro diritti. 
Le caratteristiche tecniche del P2P rendono, tuttavia, estremamente difficile il contrasto allo scambio non autorizzato: mentre infatti nelle architetture gerarchiche si può eventualmente agire sui server, di numero relativamente ridotto e visibili, nei sistemi di P2P le azioni di protezione dei diritto si scontrano con il numero altissimo dei computer connessi e con la natura privata del traffico.

Gli interessi in gioco, l’abbiamo detto, sono moltissimi: da una parte troviamo, infatti, i detentori del diritto d’autore, i quali vogliono vedere protetta la loro possibilità esclusiva di sfruttamento economico delle opere. Vi sono poi i fornitori di servizi, che offrono strumenti e canali di comunicazione e che hanno ogni interesse a vedere i propri servizi utilizzati dal maggior numero di utenti possibile. Vanno considerati inoltre gli utenti stessi, i quali esigono sia garantito il proprio diritto alla riservatezza e ad esprimere liberamente il proprio pensiero e le proprie opinioni, attraverso ogni mezzo disponibile, compreso quello tecnologico. Infine lo Stato, che ha tra le sue priorità quella di far rispettare l’ordine pubblico, reprimendo ogni forma di reato, a prescindere dal canale attraverso il quale esso venga commesso.

La particolarità di questo ultimo caso di sequestro preventivo risiede allora, principalmente, nell’attribuzione delle responsabilità. Il titolare del portale (per ora ignoto) “viene indicato come un concorrente diretto nel reato, nonostante la mera funzione di indicizzazione di siti esterni”, come sottolinea l’avvocato-blogger Fulvio Sarzana. Il Gip è convinto, infatti, che si configuri “il fumus di reato in relazione alla fattispecie di cui agli art 110 cp” (Pena per coloro che concorrono nel reato) “e 171 ter comma II lettera a bis della legge 22 aprile 1941 n 633”, la legge sul diritto d’autore, “e, in ogni caso, a quella di cui agli art 110 cp e 171 comma 1 lettera a bis della medesima legge”.

La funzione del sito, che “non mette a disposizione dei suoi utenti in modo diretto ed immediato file contenenti opere protette”, è quella – precisa ancora il Gip – di “smistamento (tecnicamente tracking o tracciamento) ed è dunque strumentale alla consumazione di file al di fuori delle fonti messe a disposizione dai detentori del diritto di autore”: il proprietario del sito non sarebbe, dunque, secondo il Gip, “un mero corriere che organizza il trasporto dei dati”, al contrario “fornisce un concreto apporto causale […] allo scambio dei file da utente a utente, consistente nel mettere a disposizione dei soggetti registrati una indicizzazione costantemente aggiornata di file distinti per tipologie che consente agli stessi di orientarsi chiedendo il downloading di un’opera piuttosto che un’altra”.

Nonostante, dunque, il sito non ospitasse alcun file né consentisse il download diretto, ma si limitasse a fornire, alla stregua di quanto fanno i motori di ricerca, un servizio di indicizzazione, esso è stato ritenuto un responsabile diretto dello scambio di materiale protetto dal diritto d’autore: puntare il dito su Google, che non distingue materiale protetto e non, non sembra essere più un’arma di difesa valida.

Un ulteriore elemento di novità del provvedimento è rappresentato dalla responsabilità posta in capo ai provider di accesso (e non solo a quello su cui risiedono le opere), rendendoli potenziali destinatari, in caso di inosservanza dell’ordine del giudice, di una sanzione pecuniaria fino a 250 mila euro, salvo conseguenze più gravi, per ora semplicemente accennate. Il legislatore è, a tal proposito, preso in causa attraverso il decreto Urbani del 2004, che ha appunto introdotto delle nuove sanzioni per il file sharing.

Se è vero, infatti, che nell’ordinamento italiano vige il principio generale di irresponsabilità del provider per le attività poste in essere dai destinatari dei servizi forniti (principio stabilito dal d.lgs. 70/03, in attuazione della direttiva 2000/31/CE, la c.d. “direttiva sull’“e-commerce”), è vero anche che numerose disposizioni legislative sono intervenute nel tempo a porre diversi obblighi nei loro confronti, introducendo delle eccezioni a questo principio generale.

La legge 6 febbraio 2006, n. 38 (“Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedo-pornografia anche a mezzo Internet”), attuata dal cosiddetto “decreto Gentiloni”, ha introdotto per il provider l’obbligo, sanzionato in via amministrativa, di denunciare – qualora ne vengano a conoscenza – al Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia, le imprese e i soggetti che, a qualunque titolo, diffondono, distribuiscono, o fanno commercio , anche in via telematica, di materiale pedo-pornografico, nonché di comunicare al Centro, che ne faccia richiesta, ogni informazione relativa ai contratti con tali imprese e soggetti.

La legge finanziaria 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) ha imposto obblighi in merito al filtraggio e all’oscuramento dei siti di scommesse non autorizzati dal Ministero.

Allo stesso modo la disciplina sul diritto d’autore, in particolare attraverso la novella operata dal decreto legge 22 marzo 2004, n. 72 e convertito in legge 21 maggio 2004, n. 128 (la “Legge italiana sul Peer to Peer”, o “Legge Urbani” dal nome del ministro proponente), ha introdotto una serie di imperativi, per il provider, in tema di vigilanza e controllo sulla violazione delle disposizioni sul diritto d’autore.
 L’art. 1, al comma 5, della legge dispone che “a seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, i prestatori di servizi della società dell’informazione, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, comunicano alle autorità di polizia le informazioni in proprio possesso utili all’individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate”. Prosegue poi, al comma 6, affermando che “a seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, per le violazioni commesse per via telematica di cui al presente decreto, i prestatori di servizi della società dell’informazione, ad eccezione dei fornitori di connettività alle reti, fatto salvo quanto previsto agli articoli 14 [“Responsabilità nell’attività di semplice trasporto – Mere conduit”], 15 [“Responsabilità nell’attività di memorizzazione temporanea – Caching”], 16 [“Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – Hosting”] e 17 [“Assenza dell‟obbligo generale di sorveglianza”] del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, pongono in essere tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere i contenuti medesimi”.

L’inosservanza dei provvedimenti è punita in via amministrativa con sanzione pecuniaria da 50 mila a 250 mila euro (comma 7 della legge). Gli obblighi previsti in capo ai provider non implicano il controllo o la vigilanza sulle informazioni trasmesse e memorizzate né di ricerca attiva degli illeciti relativi al diritto d’autore. Tuttavia la mancata e pronta ottemperanza agli ordini dell’autorità, in merito alle informazioni di cui sia eventualmente in possesso, all’oscuramento dei siti, alla rimozione dei contenuti, rendono problematica la posizione del provider che, oltre alla sanzione amministrativa espressamente prevista, potrebbe essere (alla luce di quanto prevede il decreto legislativo 70/03) passibile di concorso nel reato di violazione del diritto d’autore contestato, insieme all’autore della violazione, quantomeno per avere, non ottemperando agli ordini dell’autorità, agevolato la commissione dell’illecito.

Intanto i gestori della piattaforma, dal loro account di Twitter, di dimostrano particolarmente attivi nell’offrire agli utenti delle vie alternative all’accesso e consentire, dunque, alla community di non esaurirsi a causa della dubbia capacità del legislatore italiano nel reggere il passo con lo sviluppo tecnologico.

Pubblicato su: pmi-dome