Tra crisi e nuove opportunità digitali, muta il volto del libro in Italia

Il Salone di Torino ha fornito la sede ideale per approfondire le più recenti tendenze del mercato editoriale tricolore: il segmento bambini e ragazzi salva le vendite, crescono il ruolo dell’online e la presenza nei social, seppur in modo non costante

Grande successo di pubblico per il 26° Salone Internazionale del Libro di Torino, chiusosi lo scorso lunedì 20 maggio 2013 con un +4% di ingressi rispetto al 2012. Stima che si pone in controtendenza rispetto alla dinamica del consumo di libri in Italia e alla congiuntura negativa che sembra non voler abbandonare il settore editoriale.
L’appuntamento si è posto, allora, come sede privilegiata per un’approfondita riflessione circa le più recenti tendenze di questo mercato. I dati diffusi per l’occasione dall’Associazione Italiana Editori sulla base delle stime realizzate da Nielsen, mostrano la centralità del segmento bambini e ragazzi per la sopravvivenza del libro in Italia, in un periodo storico segnato da non poche avversità, in primis dal netto calo dei lettori.
Il 2012 chiude con un -7,8% sulle vendite a valore (pari ad un fatturato di 1.320.538.000 euro, contro 1.432.506.000 euro nel 2011) e un -7% sulle vendite a copie (corrispondente a 101.536.000 copie libri vendute, contro le 109.121.000 del 2011) nei canali trade (dunque sulle librerie di catena, su quelle indipendenti, sugli store online, sulla Gdo, esclusi tutti i vari canali alternativi, come cartolerie, uffici postali, negozi specializzati in articoli per bambini, collezionabili per bambini venduti in edicola…).
A risentire meno della crisi nel 2012 è stato il settore della fiction (-3,6% a valore e -2% a volume), seguito appunto dall’editoria per ragazzi (-6,2% a valore e -5% a volume), mentre ha continuato a soffrire la non fiction.
Calando il focus sui primi quattro mesi del 2013, si evidenzia come, nel canale trade, siano state vendute 27.816.000 copie libri, poco meno rispetto alle 28.015.000 copie dello stesso periodo 2012 (-0,7%). Ben più significativo il calo registrato nelle vendite a valore (-4,4%), che passano dai 361.955.000 euro del 2012 ai 346.024.000 euro in questo primo quadrimestre 2013. Sembra diminuire, dunque, il giro d’affari, mentre resta sostanzialmente stabile il numero di copie vendute. Ciò è dovuto all’aumento del peso dei paperback (costituiscono il 17% del totale, contro il 7% dello scorso anno) e alla diminuzione dei prezzi dei libri, in risposta ad un cliente che si orienta sempre più nella fascia più bassa di prezzo al momento dell’acquisto di nuovi titoli. Cala, in altri termini, il potere di spesa del lettore italiano.
Svanisce, allora, del tutto l’illusione di un mercato immune alla difficile situazione economica generale: se all’inizio della crisi esso sembrava resistere malgrado tutto, con tassi di crescita attorno all’1-2 punti percentuali, a partire dal 2011 si è assistito ad un’inversione di tendenza, con un’intera filiera – dalla stampa alla distribuzione alle librerie – che ha cominciato ad accusare i colpi del cambiamento. Sono mutate le percezioni del pricing, del valore dei marchi e della funzione stessa dell’editoria. Si è sviluppato il self-printing, sono cresciuti il commercio on-line e il mercato degli ebook (oggi, in poco più di due anni, il 46% delle novità del mese sono in digitale), si è potenziato il ruolo dei blog letterari e dei canali social nella comunicazione editoriale. Le difficoltà economiche hanno imposto un’intensa accelerazione delle trasformazioni in atto nel complesso dell’ecosistema editoriale, fatto da poco più di 25-26 milioni di clienti potenziali, di cui 22-23 milioni acquirenti.
Per quanto riguarda i canali di vendita, sembra crescere, nel primo quadrimestre 2013, il ruolo dell’online, che arriva ad occupare il 6,3% del fatturato (contro il 5,5% del 2012) e il 4,6% delle vendite a volume (contro il 4,3% dell’anno scorso). Dalle rilevazioni è rimasto, tuttavia, escluso un colosso come Amazon (che non fornisce i propri dati) e ciò lascia ipotizzare che la percentuale di fatturato complessivamente realizzata dal digitale possa essere, in realtà, molto più vicina al 10% del totale. Il primo posto in cui si comprano i libri sono comunque le librerie di catena, che passano da una quota di mercato del 41,5% nel 2012 a una del 42,2% nel 2013 (mentre resta stabile, flettendosi leggermente, la percentuale di vendita a volume, dal 41% al 40,8%). La grande distribuzione organizzata cresce in termini di copie acquistate (dal 22,2% al 24%) e resta sostanzialmente stabile a valore (dal 16% al 15,8%). Soffrono, invece, notevolmente le librerie indipendenti, che riducono ulteriormente la propria quota di mercato a valore (dal 37,1% del 2012 al 35,6% di quest’anno) e a volume (dal 32,5% al 30,5%).
Con riferimento ai settori, in questo primo scorcio del 2013, l’unico positivo sembra essere quello dei bambini e ragazzi (+4% a valore nei canali trade, +6% a volume). Le giovani famiglie sembrano investire sul futuro dei propri figli, spendendo sempre più per i libri a loro destinati, ed è in particolare la fascia dei più piccoli, quella da zero a cinque anni, a trainare la crescita del segmento. Perde invece il 10,7% a valore e l’11,1% a volume la non fiction pratica (guide cucina, viaggi, lifestyle…). Cala dell’ 8,7% a valore e dell’8,4% a volume anche la non fiction specialistica (testi di management, computer, professionale…). Più contenuta, invece, la riduzione delle vendite per la fiction (-3,7% a valore e -3,2% a volume) e per la non fiction generale (la saggistica, che registra un  -1,9% di fatturato e un -1,2% di copie vendute).
All’interno di un quadro certamente negativo” – ha commentato il Presidente di AIE Marco Polillo, nell’ambito del convegno torinese “Scene di paesaggio all’uscita dal tunnel. Editori e canali di vendita con lo sguardo puntato al di là della crisi” – “aggrappiamoci al dato in controtendenza che ci arriva dal settore dei libri per ragazzi”. “Ci auguriamo che questi nuovi ‘lettori’, che si avvicinano al libro fin dalla tenera età, riescano a mantenere quel rapporto anche per gli anni a venire, invertendo quell’avvilente dato che contraddistingue il nostro Paese, che vede ancora più della metà della popolazione totalmente estranea al libro”.
Al Salone del Libro si è cercato anche di comprendere come sia cambiata la comunicazione per le case editrici librarie, presentando i risultati di un’indagine condotta dall’Ufficio studi dell’AIE, in collaborazione con IE-Informazioni Editoriali, nel periodo che va da settembre 2012 a marzo 2013, sui 13 più noti blog letterari in Italia, selezionati in base a criteri di rappresentatività e notorietà. Ciò che è emerso è, in particolare, l’importanza crescente dei blog virtuali nel garantire una sorta di coda lunga in termini di visibilità, apprezzamento e vendite. I blog rappresentano una nuova piazza per gli editori: quasi il 3% dei titoli pubblicati in Italia è presente sui post analizzati (sono stati considerati solo i post in cui si parla in maniera estensiva di un singolo libro, escludendo quelli in cui i titoli vengono solo brevemente citati), il 39,1% dei quali rappresentano opere dei piccoli editori. In base all’analisi di alcuni casi specifici, il report mostra come il parlare di un libro in una simile vetrina digitale sposti al rialzo le vendite reali, soprattutto quando il titolo di cui si parla rientra nei gusti del pubblico cui fa riferimento la vetrina. Si tratta di cifre molto lievi, nell’ordine delle decine o centinaia di copie, ma che permettono comunque di delineare una tendenza percorribile nei prossimi anni.
Se il Web rappresenta una sede privilegiata per la comunicazione di un titolo nel suo intero ciclo di vita, la televisione sembra essere la sede ideale per garantire un più intenso “effetto lancio”. Programmi come “Che tempo che fa” risultano molto utili nell’ottimizzare la fase di lancio di un libro, anche se il loro forte effetto sulle vendite si indebolisce in circa una settimana. Questa politica comunicativa coinvolge solo lo 0,1% dei libri, per l’88% di grandi editori.
L’indagine mostra – come ha sottolineato Giovanni Peresson, Responsabile Ufficio studi AIE – “la consapevolezza diffusa da parte delle case editrici del ruolo che iniziano ad avere forme di comunicazione legate al web e quindi la creazione di competenze necessarie a gestire questo processo dal punto di vista dei linguaggi, dei tempi, della community”. “L’uso di una trasmissione di successo come ‘Che tempo che fa’ in fase di lancio, con risultati importanti, e dei blog come modo per gestire le altre parti del ciclo di vita del titolo con effetti minori ma di tutto interesse” rappresentano “altri tasti di un pianoforte comunicativo a disposizione dell’editore che li può suonare a seconda dei titoli o generi, o in relazione alla vita del libro”.
Ultimo spiraglio torinese aperto sul futuro dell’editoria italiano ha riguardato il mondo dei social network. L’Ufficio studi AIE ha mostrato anche come l’uso di simili piattaforme sia sempre più ampio, fornendo una sede di grande visibilità per i libri.
Cresce la percentuale di quanti scelgono un determinato titolo da acquistare attraverso il Web: era l’11% nel 2007, il 15% nel 2009 e arriva al 19% nel 2012 (contro il 68% di chi lo sceglie in base all’interesse per l’argomento, il 36% che si affida ai consigli degli amici, il 15% che punta a sconti o campagne promozionali, il 12% che fa riferimento a recensioni trovate sulla carta stampata, il 5% che si lascia guidare dall’esposizione nel punto vendita, un ulteriore 5% che va a vedere le classifiche di vendita, infine un 3% che è spinto dalla semplice pubblicità).
Il 58,9% delle case editrici che pubblicano più di 16 titoli l’anno usa i social, pari a 506 su 8440 editori. In primis utilizzano Facebook (circa la metà di tutti gli editori italiani, ma ben l’84,2% di chi è attivo in rete con un proprio canale), seguito da Twitter (il 39,3% degli editori, ma ben il 66,8% di quelli attivi in rete), YouTube (18,8% e 31,9%), Pinterest (12,6% e 21,1%), aNobii (7,7% e 13,1%), LinkedIn (7,3% e 12,4%), Google+ (4,5% e 7,7%), Flickr (1,6% e 2,7%) e Instagram (0,6% e 1%). Il 41,8% delle case editrici attive in rete usa più di tre strumenti simultanemente.
L’attenzione crescente verso questi mezzi multimediali evidenzia un mutamento nelle politiche comunicative degli editori, laddove alle copertine dei libri da sfogliare si va sostituendo un mix di video, booktrailer e immagini per catturare l’attenzione. Questo risulta vero tanto per le case editrici grandi, mainstream, quanto per le più piccole, specializzate su nicchie di domanda di lettura.
A fronte di un’ampia diffusione delle nuove tecnologie, non corrisponde tuttavia una costanza e intensità nell’utilizzo, se si considera che il 90% degli editori che usano Twitter non crea più di 5 tweet al giorno. Solo il 2,5% crea 10 o più tweet giornalieri, solo il 2,5% totalizza più di 90mila followers e solo il 3,5% più di 1.000 following. È dal 2007 che le case editrici italiane si sono avventurate su Twitter. La prima a farlo è stata la Elliot, seguita, l’anno successivo, da Apogeo, Edizioni Piemme, Minimum fax, Edizioni Coocole&Caccole. Nel 2012 se ne sono aggiunte ben 53, segnando un +11,3% sul 2011. Complessivamente sono 199 le aziende editoriali che cinguettano.
I tre mesi che precedono il Natale sembrano essere i preferiti dagli editori per attivare un profilo Twitter, dato che uno su tre (il 33,8%) sceglie proprio questo periodo, forse sulla scia di precisi piani commerciali, in vista di uno dei momenti più caldi a livello di vendite.
Si intravede, sottolineano in conclusione i promotori, la necessità di compiere investimenti in nuove competenze, linguaggi e paradigmi, capaci di cogliere l’essenza delle nuove forme comunicative che si stanno diffondendo accanto a quelle tradizionali. Allo stesso tempo il ritardo degli editori italiani, lamentato dai più con riferimento alla sfida digitale e social, viene giustificato con l’esigenza di seguire le tendenze del pubblico di riferimento: “Credo che” – ha sottolineato Peresson – “come qualunque impresa, gli editori non possono non aver tenuto conto di due elementi: i bassi indici di lettura nella popolazione, e il fatto che i ‘forti lettori’, quelli più motivati ad accedere a nuove fonti informative su cosa leggere, sono comunque il 12-13% dei lettori di libri. Dall’altro, il fatto, che abbiamo ancora scarsi (o occasionali) utilizzi ‘evoluti’ del web da parte della popolazione, al di fuori di community o di appassionati molto riconoscibili attorno ad alcuni generi”.
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Resistere alla crisi e puntare sull’innovazione: l’editoria punta sui più piccoli

Leggono più della media italiana, soprattutto in età prescolare. Sono maggiormente alfabetizzati al mezzo digitale rispetto ai genitori, che invece continuano a preferire il libro di carta, per paura di perderne la magia, e lamentano la carenza di titoli in italiano tra gli e-book

L’ampia diffusione della Rete e dei diversi devices mobili ha imposto un processo di rinnovamento che ha coinvolto interi settori. Questa non è certo una novità. Il processo di digitalizzazione che ha riguardato, in particolare, l’editoria è stato oggetto di un vivace dibattito culturale che ancora oggi non può dirsi concluso e che ha schierato, da un lato, gli intramontabili avversari dell’e-book, convinti che nulla potrà mai scalfire il fascino sensibile della carta, e, dall’altro lato, i sostenitori dell’innovazione ad ogni costo, che fin da subito hanno profetizzato la fine di un’era, quella del libro tradizionale. Le stime più recenti vedono – almeno con riferimento al contesto italiano – un mercato degli e-book ancora piuttosto embrionale, ma con tassi di crescita costanti e margini di sviluppo sempre più elevati, per quanto riguarda il numero di titoli e di lettori e il volume di vendite e fatturato.
Siamo ancora ben lontani dal poter delineare con certezza il destino riservato alla miriade di storie e trattazioni racchiuse in versi, capoversi e capitoli. I due mezzi – cartaceo e digitale – non dovrebbero essere concepiti come opposti, ma piuttosto come manifestazioni alternative di una stessa florida (almeno teoricamente) cultura collettiva. Scrivere la parola carta sulla tomba dell’apprendimento e dell’intrattenimento sembra essere più un esercizio di provocazione che non una reale consapevolezza. Allo stesso modo fingere di non vedere le numerose funzionalità rese disponibili dalla virtualità e dall’innovazione significa non avere la benché minima coscienza dello stato attuale dei fatti.
Quando si tratta di discutere pro e contro dei due veicoli, non vi è comunque alcun dubbio circa la necessità di attuare una diversificazione per generi. Scritture tecniche, scientifiche e giuridiche si prestano forse maggiormente ad una consultazione digitale, permettendo di effettuare ricerche maggiormente mirate, di seguire link ad approfondimenti e chiarimenti, di costruire segnalibri, librerie personalizzate, preferiti e appunti. Non molti, per contro, sembrano ancora pronti ad abbandonare il piacere di sfogliare delle pagine stampate, mentre sono immersi in avventure mozzafiato o in racconti dal finale strappalacrime.
Particolarmente interessante è, a questo proposito, concentrare l’attenzione su un genere che – tra i più vitali – delinea, negli ultimi mesi, delle tendenze particolarmente degne di nota. Ci si riferisce al segmento bambini e ragazzi, il quale, rispetto agli altri, mostra segni di sofferenza decisamente meno marcati, resistendo ad una crisi che ha imposto forti contrazioni del settore nel suo complesso. Stando ai dati Nielsen realizzati per l’Associazione Italiana Editori (AIE), il 2012 è il primo anno in cui anche tale segmento (che rappresenta il 14,1% del mercato) registra un rallentamento (-6,2% sul 2011), seppur decisamente inferiore rispetto alla media del mercato trade del libro (-8% circa). “La crisi non risparmia nessuno, ma per il mercato ragazzi è prevedibile un più rapido attraversamento del tunnel”, ha commentato Antonio Monaco, responsabile del gruppo editori per ragazzi dell’AIE.
Il settore dei più piccoli è stimato allora, a fine 2012, in circa 155,5 milioni di euro a prezzo di copertina. Queste rilevazioni Nielsen si concentrano sul mercato trade, dunque sulle librerie di catena, su quelle indipendenti e sugli store online, mentre restano esclusi la grande distribuzione organizzata e tutti i vari canali alternativi (cartolerie, uffici postali, negozi specializzati in articoli per bambini, collezionabili per bambini venduti in edicola…). Aggiungendo anche l’apporto della GdO, il valore realizzato dal comparto si aggirerebbe attorno ai 200 milioni di euro (-6,8% sul 2011).
Secondo stime AIE su dati IE – Informazioni editoriali, nel 2012 in Italia sono stati pubblicati 5.164 titoli di libri per bambini e ragazzi (per oltre 33 milioni di copie stampate), pari al 7,8% dell’intera produzione editoriale delle case editrici italiane. Il segmento 0-13 anni si conferma al terzo posto tra i generi più venduti nelle librerie fisiche (dati forniti dal servizio Arianna+ di IE), preceduto dalla narrativa e dalle biografie (al primo posto) e dalle scienze sociali e umane (al secondo) e con un peso (10,8%) in linea con il 2011 (quando rappresentava il 10,7%). Osservando poi l’andamento mese per mese, emerge come i picchi nelle vendite di libri per ragazzi siano nel periodo natalizio e all’inizio delle vacanze estive (quando queste arrivano a superare le vendite del settore adulti), a sottolineare l’importanza che la lettura detiene sia come regalo sia come sostituto temporaneo delle lezioni, infine come mezzo di intrattenimento per bambini e ragazzi.
A registrare i volumi più elevati di vendite nel 2012, sono, più in dettaglio, i libri della fascia 3-4 anni (27,8%), probabilmente grazie al forte successo editoriale dei libri di Silvia D’Achille su Peppa Pig. Al secondo posto per vendite troviamo le pubblicazioni pensate per la fascia 7-8 anni (21,9%), con la forza dei long-seller Geronimo Stilton e Harry Potter, e al terzo la fascia 5-6 anni (18,51%). Salendo oltre gli 8 anni, i pesi percentuali diminuiscono drasticamente: 13,47% per i 9-10, fino ad arrivare a un 9,58% per gli 11-13 anni.
La spesa media annua per bambino (0-14 anni, solo canali trade) è stata, nel 2012, pari a 18,7 euro, un valore bassissimo e che quasi triplica (48,5 euro) se la spesa viene calcolata per bambino lettore (6-14, solo canali trade).
Stando agli ultimi dati stimati da Liber, nel 2011 gli editori italiani attivi nel settore ragazzi risultano essere 184 (erano 198 nel 2010), le novità pubblicate sono 2.267 (-4,6%) e i Paesi da cui si sono acquisiti i diritti per i titoli pubblicati sono stati (guardando solo alle novità) soprattutto il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, Paesi Bassi e Spagna.
Se il settore non si flette completamente alla crisi, il merito è proprio dei più piccoli, che leggono più della media italiana: stando agli ultimi dati Istat, il 46% degli italiani con più di 6 anni legge almeno un libro in un anno (circa 26,2 milioni di persone), ma le percentuali salgono notevolmente se si considerano le sole fasce più giovani. La lettura coinvolge, infatti, il 54,3% dei bambini tra i 6 e i 10 anni (nel 2002 era il 45,2%), il 60,8% dei ragazzi tra gli 11 e 14 anni (percentuale praticamente identica a dieci anni fa) e il 59,8% dei 15-17enni (contro 53,7% del 2002). Percentuali di penetrazione ancora più elevate per la lettura prescolare: il 63,3% dei bambini di 2-5 anni legge, colora, sfoglia libri o albi illustrati tutti giorni al di fuori dell’orario scolastico. Sembra, dunque, che i bambini diminuiscano la propria attitudine alla lettura con l’inizio delle scuole elementari, a dimostrare come siano probabilmente più i genitori che gli insegnanti i veri promotori dell’importanza di questa esperienza percettiva e formativa.
La nostra forza sta nel fatto che i ragazzi leggono più degli adulti” – ha evidenziato ancora Monaco – “È in questa fase della vita che se si semina, si semina bene per sempre: la vera sfida che ci attende è dunque quella di accrescere ulteriormente lo sviluppo della lettura nei primi anni di vita e poi di saperlo conservare”.
Il motivo del forte attaccamento al libro dei bimbi più piccoli viene intravisto nel cambiamento d’approccio operato dai genitori italiani, i quali, essendo maggiormente scolarizzati, investono più delle generazioni precedenti nel futuro dei propri figli e nella loro formazione. A ciò si aggiungono la maggior diffusione di settori dedicati nelle librerie e le trasformazioni (nei materiali, formati, colori, storie…) che le case editrici hanno apportato ai propri prodotti pensati per la prima infanzia.
L’offerta editoriale rivolta ai più piccoli ha continuato, dunque, a crescere in maniera significativa negli ultimi anni, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, e questa crescita ha coinvolto in particolare il comparto digitale. Mentre nel 2011 i titoli e-book in commercio nelle librerie italiane online erano 1.182, nel 2012 si è giunti a quota 2.177 (+84%), sulla scia dell’elevata alfabetizzazione al mezzo da parte dei piccoli lettori digitali. Il 53,1% di coloro che hanno tra i 6 e i 10 anni utilizza, infatti, il pc (il 32,8% con cadenza settimanale) e il 76,3% nella stessa fascia d’età dichiara di accedere a Internet (dati Istat).
L’e-book rappresenta, inoltre, solo una delle molte declinazioni che l’editoria può raggiungere in tempi di multicanalità e villaggio globale. Contenuti multimediali, enhanced books, libri interattivi, applicazioni: forti sono anche in Italia le attenzioni per queste manifestazioni, come ha dimostrato il “Bologna Ragazzi Digital Award 2013”, il premio internazionale – giunto quest’anno alla seconda edizione – promosso da Bologna Fiere in collaborazione con la rivista statunitense Children’s Technology Reviewal, al fine di incoraggiare le produzioni eccellenti ed innovative nell’ambito delle app derivate da libri e indirizzate a bambini e ragazzi dai 2 ai 15 anni di età. Tra oltre un centinaio di candidature, il premio della categoria “fiction” è andato a “Four Little Corners” (Spagna), quello per la categoria “non fiction” a “War Horse” (Gran Bretagna); in mezzo alle 10 finaliste, è finita anche una app italiana, “IdentiKat”.
I vincitori sono stati proclamati durante il “TOC Bologna 2013” (Tools of Change for Publishing), la conferenza internazionale sulle ultime novità dell’editoria digitale, che, con oltre 300 operatori da 40 Paesi di tutto il mondo, si è svolta il 24 marzo scorso, alla vigilia della 50a edizione della Fiera del Libro per Ragazzi (25-28 marzo).
In tale occasione, sono stati diffusi anche alcuni dati che ben si inseriscono nel dibattito sul digitale riferito a questa precisa fetta del mercato editoriale: si tratta dei risultati di un sondaggio online lanciato, nel mese di gennaio, da Filastrocche.it, Happi ideas, Mamamò e Nati per Leggere, in collaborazione con AIB (Associazione Italiana Biblioteche), MLOL (MediaLibraryOnLine) e FattoreMamma. Hanno risposto in 1000 tra genitori (il 78,5% del campione), insegnanti o educatori (9%) e bibliotecari (7%), coinvolti principalmente con bambini dai 3 ai 10 anni. I rispondenti sono soprattutto donne (87,8%), hanno un’età media di 39 anni, un livello d’istruzione piuttosto alto (circa il 68% possiede una laurea o titolo post laurea) e una propensione tecnologica superiore alla media italiana (intuibile anche dalle modalità di raccolta dei dati): utilizza abitualmente il computer oltre l’85% del campione, lo smartphone il 53% e un tablet il 44% (anche se solo il 29,3% degli insegnanti e il 25,9% dei bibliotecari usano un tablet).
È emerso che – nonostante sia aumentata la qualità editoriale dei libri digitali per ragazzi – solo il 30,3% dei genitori italiani utilizza e-book con i propri bambini (nel caso di bibliotecari la percentuale scende al 25,7%), mentre quasi il 70% preferisce leggere loro libri cartacei.
La motivazione principale di chi dichiara di non aver mai usato e-book è la preferenza per i libri cartacei (62,7%); i timori più grandi sono di perdere la “magia del libro” (nel 78% dei casi), l’esperienza cioè sensoriale e tattile, e la possibilità che si disincentivino creatività, concentrazione e autonomia nella lettura. Tra le motivazioni che portano a preferire la carta, si evidenzia anche un buon 13,9% che ancora dichiara di non sapere dell’esistenza di libri digitali per bambini e un 23,7% che dice di non avere i supporti necessari alla lettura (percentuale che arriva al 33,3% tra gli insegnanti e al 44% tra i bibliotecari); da quest’ultimo dato si può rilevare una tendenza ad associare il libro digitale a devices mobili più che al computer.
Sulla scelta di fare uso di libri digitali per bambini, incide, infatti, soprattutto il possesso di un tablet, tanto che esso rappresenta il device più utilizzato per la lettura (68,6%) e tanto che il formato più sfruttato per fruire i libri virtuali risulta essere l’applicazione (oltre il 51%). Le caratteristiche maggiormente apprezzate nel libro digitale sono l’illustrazione e una bella veste grafica e, a seguire, l’interattività.
I libri digitali vengono usati soprattutto quando si è in viaggio, negli spostamenti in auto o quando occorre intrattenere i bambini (oltre 61%). I libri di carta rimangono i preferiti per le storie della buonanotte (oltre il 71% ne fa uso). Ciò è legato, in particolare, alle aspettative che si hanno quando si sceglie uno dei due mezzi: da un libro cartaceo ci si attende una buona storia, capace di stimolare la fantasia, mentre a un libro digitale si chiede il coinvolgimento, il divertimento, lo stimolo all’autonomia e una capacità educativa.
Nel 50,8% dei casi i bambini leggono libri digitali in compagnia di un adulto, contro il 31,4% che legge da solo ma in presenza di un adulto e un 17,8% che ha un approccio totalmente autonomo. Oltre il 72% di chi usa libri digitali per bambini considera la qualità dei contenuti abbastanza buona o buona. La problematica maggiore rilevata riguarda la carenza di titoli in italiano.
Per trovare buoni titoli digitali, le fonti maggiormente usate sono gli articoli e le recensioni online, seguiti dal passaparola e dai motori di ricerca. Genitori ed educatori sono disposti (oltre il 55% dei casi) a spendere almeno 4,99 Euro per un libro digitale di pregio (solo il 15,8% li scarica esclusivamente se offerti in forma gratuita). Qualità e disponibilità di contenuti in lingua italiana vengono indicati come i due elementi più influenti sulla propensione all’acquisto. Tuttavia ben l’88% di chi ha scaricato libri digitali si è rivolto a contenuti in lingua straniera.
Ci si imbatte, dunque, in conclusione, in un vero e proprio gap generazionale: da una parte abbiamo i piccoli nativi digitali che hanno buona familiarità con la tecnologia, di certo superiore a quella dei propri genitori; questi ultimi, dall’altra parte, riconoscono ancora il fortissimo valore pedagogico della carta. Resta da vedere, dunque, come si evolverà il rapporto tra queste due diverse anime dello stesso fenomeno.

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Ecosistema media Italia: personalizzazione e integrazione

La televisione e la radio si confermano i media più diffusi, ma mutano le esperienze fruitive, che sempre più vedono protagonisti il Web e il mobile. Decolla la “app economy”, boom di rete e piattaforme social, segno meno per la carta stampata, positivo l’andamento degli e-book
Personalizzazione e integrazione. Sembrano essere queste le parole d’ordine nell’evoluzione del panorama mediatico italiano. L’individuo si pone sempre più al centro delle proprie prassi fruitive, rafforza la propria presenza in qualità di lettore, telespettatore e radioascoltatore e si fa contenuto egli stesso. Declinazione 2.0 del Web, crescita esponenziale del social networking, miniaturizzazione dei dispositivi hardware, proliferazione delle connessioni mobile e delle applicazioni: sono alcuni dei fattori che hanno imposto la centralità dell’io nell’attuale modo di intendere i media. Un io che si fa al tempo stesso soggetto e oggetto delle sempre più complesse logiche comunicative. A ciò si aggiunge una progressiva commistione tra le funzionalità di mezzi di divulgazione un tempo considerati unici e indivisibili.
L’istituto di ricerca Censis ha rilasciato pochi giorni fa il suo 46esimo “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, relativo all’anno in corso. Nato come strumento di analisi e interpretazione di fenomeni, processi, tensioni e bisogni sociali emergenti, lo studio ha inteso approfondire, tra gli altri, proprio il settore media e comunicazione, tracciandone la fisionomia, le criticità e le prospettive, in un contesto teso tra crisi e spiragli di innovazione.
Gli utenti italiani dei media, ad uno sguardo generale, sembrano essere un po’ degli “Esploratori, per dirla con una delle tipizzazioni scelte da Jean Marie Floch per il suo noto studio sui percorsi effettuati dai viaggiatori della metropolitana. Il semiologia francese (tra i primi a sperimentare un approccio socio-semiotico allo studio dei comportamenti di consumo e dei processi comunicativo-pubblicitari) definisce gli Esploratori come coloro che valorizzano la discontinuità, che ricercano e apprezzano i “percorsi” discontinui, le variazioni, rimanendo comunque attaccati a dei valori di riferimento, preferendo cioè ritrovare quanto già conoscono piuttosto che scoprire qualcosa di completamente nuovo.
I dati Censis sui consumi mediatici degli italiani nel 2012 evidenziano, allora, come gli unici mezzi di comunicazione capaci di riscuotere un successo crescente e di incrementare la propria utenza di riferimento siano proprio quelli che sostanzialmente integrano le funzioni dei vecchi media in una rinnovata dimensione Web. Si pensi, ad esempio, agli smartphone, frutto di un connubio tra il classico telefono e le potenzialità aggiuntive del Web, o ai tablet, che uniscono, in un’unica esperienza percettiva, la tradizionale visione a schermo da TV, la lettura di libri e giornali, la visualizzazione da PC e la navigazione in rete.
Regina incontrastata tra i media continua a essere la televisione, con un pubblico di utenti che sostanzialmente coincide con la totalità della popolazione (il 98,3%, con un incremento dello 0,9% nell’utenza complessiva rispetto al 2011). Cambiano tuttavia le modalità scelte per guardare la TV, il telespettatore diventa sempre più protagonista dell’esperienza percettiva, creando spesso palinsesti totalmente personalizzati: si consolida il successo delle TV satellitari (+1,6% di utenza), si diffondono le mobile TV (+1,6%) e le Web TV (+1,2%).
La crescita di queste ultime, nonostante i forti ritardi infrastrutturali presenti nel territorio nazionale, è del resto confermata da numerose stime, come quelle costantemente prodotte e diffuse dall’Osservatorio Altratv.tv, che vedono il Belpaese al sesto posto, a livello europeo, per consumo di questo tipo di contenuti, con 642 Web TV attive. In una recente indagine, realizzata in collaborazione con la Fondazione Rosselli, l’osservatorio ha previsto che i servizi video in rete frutteranno, entro il 2012, ben l’8% del fatturato totale della televisione, percentuale che, entro il 2020, dovrebbe salire addirittura al 10%. Questo grazie soprattutto ai forti investimenti nel settore da parte dei grandi player mondiali.
Il percorso verso la personalizzazione del consumo diventa ancor più rapido se si considera il solo segmento più giovane della popolazione: ci dice il Censis che oggi un quarto degli italiani collegati alla rete (il 24,2%) ha l’abitudine di guardare i programmi dai siti Web delle emittenti televisive e il 42,4% cerca tali programmi su YouTube (o altri siti simili), per ritagliare un’esperienza totalmente su misura; tra gli internauti 14-29enni, tali percentuali salgono, allora, rispettivamente al 35,3% e al 56,6%.
Anche la radio rimane un mezzo a larghissima diffusione, raggiungendo l’83,9% della popolazione, con un tasso di crescita del 3,7% rispetto al 2011. Anche in questo caso a risultare vincente è la commistione tra esperienze percettive un tempo separate: a fronte di un calo di 2,7 punti percentuali nel consumo di radio tradizionale e di 1,7 punti percentuali nell’utilizzo di un mezzo digitale di prima generazione come il lettore portatile di file MP3, si rileva un incremento del 2,3% tra coloro che ascoltano la radio via Web tramite il PC (il 10,1% della popolazione) e dell’1,4% tra coloro che la ascoltano per mezzo dei cellulari (il 9,8% della popolazione).
Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai da 8 italiani su 10) aumentano ulteriormente la propria utenza complessiva (+2,3% sul 2011), venendo utilizzati ormai da 8 italiani su 10 (81,8%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata dal 15% del 2009 al 27,7% del 2012.
È ancora la fascia dei 14-29enni a innalzare la media di diffusione degli smartphone (54,8%) e pure quella dei tablet (13,1%, contro il 7,8% riferito alla media nazionale). È di certo un’utenza ancora di nicchia quella dei tablet, tuttavia si notano interessanti trend e margini di crescita.
Nel primo semestre 2012 il traffico dati registrato sulle carte SIM è cresciuto del 12,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; si contano ben 21 milioni di schede che effettuano traffico dati e il volume medio prodotto da ciascuna di esse è del 21% in più rispetto al 2011.
Decolla di conseguenza la cosiddetta “App Economy”: nell’ultimo anno il 37,5% di chi usa smartphone o tablet ha scaricato applicazioni e il 16,4% ha dichiarato di averlo fatto spesso (il restante 21% qualche volta). Tra le molteplici funzionalità messe a disposizione da questo ecosistema digitale, le più apprezzate sembrano essere quelle riferite alla dimensione ludica: in cima alla classifica delle app più scaricate figurano i giochi (ricercati dal 63,8% di chi ha scaricato applicazioni). Seguono informazioni meteo (33,3%), informazioni stradali (32,5%) – con un utilizzo prevalente da parte del pubblico maschile (40,6%) rispetto a quello femminile (21,5%) – e mondo della condivisione e dei social network (27,4%). Il download di applicazioni per le news interessa il 25,8% della popolazione di riferimento, soprattutto uomini (29,5%), 45-64enni (30,7%) e più istruiti (31,3%). Il 23,8% ha scelto app multimediali, il 23,2% app per telefonare e inviare messaggi istantanei via Internet, infine il 16,2% ha preferito scaricare app relative al settore trasporti, turismo e viaggi.
Il mezzo che complessivamente registra nel 2012 il tasso di crescita maggiore sul 2011 è Internet (+9%), con una penetrazione che passa dal 53,1% al 62,1% (e che solo dieci anni fa, nel 2002, era pari al 27,8% della popolazione). Il dato sale notevolmente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%).
Continua parallelamente la crescita dei network sociali: il 66,6% delle persone che hanno accesso a Internet risulta iscritto a Facebook (lo scorso anno la stima era del 49%), pari al 41,3% dell’intera popolazione e al 79,7% dei giovani tra i 14 e i 29 anni. YouTube, che nel 2011 raggiungeva un tasso di diffusione pari al 54,5% delle persone con accesso alla rete, arriva ora al 61,7% (cioè al 38,3% della popolazione complessiva). Messenger raggiunge il 14% dell’utenza Web (9,2% del totale), Twitter l’8,8% (5,4% del totale).
Segno meno anche quest’anno per la carta stampata: i lettori di quotidiani registrano un -2,3% rispetto al 2011 e passano da un tasso di diffusione del 67% nel 2007 a una penetrazione che coinvolge il 45,5% degli italiani. Per contro, guadagnano quote i quotidiani online (+2,1% sul 2011), arrivando al 20,3%. Perdono lettori anche free press (-11,8%, con una penetrazione pari al 25,7% della popolazione), i settimanali (-1%, diffusione al 27,5%) e l’editoria libraria (-6,5%, utenza del 49,7%).
Meno della metà degli italiani, insomma, legge almeno un libro all’anno e diminuiscono i cosiddetti “lettori forti” (quelli che di libri ne leggono almeno dieci all’anno), che passano dal 25,6% (su un totale di lettori del 59,4%) di soli cinque anni fa all’attuale 13,5% (dei 49,7% lettori complessivi); crescono di conseguenza i lettori occasionali (che leggono uno o al massimo due libri all’anno), saliti dall’11,2% del 2007 al 41,1% del 2012.
Nella fascia dei più giovani si aggrava l’allontanamento dalla carta stampata, con i lettori di quotidiani fermi al 33,6% (contro il 35% del 2011) e lettori di libri bloccati al 57,9% (contro il 68% del 2011).
Positivo – prosegue il Censis – l’andamento degli e-book, con un +1% che, tuttavia, non si dimostra in grado di invertire lo scenario buio. I lettori abituali (almeno tre e-book letti all’anno) sono appena lo 0,7% della popolazione, ma aumenta il numero di titoli digitali immessi sul mercato dalle case editrici (37.662 a settembre 2012, contro i 19.884 di dicembre 2011) e il 37% delle novità editoriali viene oggi pubblicato anche in versione e-book.
Alcuni tenui segnali di ripresa sono stati, inoltre, di recente individuati da Nielsen, che ha stimato una perdita di 7,5 punti percentuali sui consumi di libri a fine ottobre (pari a 82milioni di euro di spesa in meno): si tratta di una perdita importante, che tuttavia lascia spazio all’ottimismo, se si considera che il mercato registrava un -11,7% a fine marzo e un -8,6% a inizio settembre.
Inizia poi a farsi strada una nuova tendenza, quella del self publishing, cioè l’auto-pubblicazione di libri: secondo l’Aie (Associazione Italiana Editori), nel 2011 sarebbero stati rilasciati 1.924 codici Isbn direttamente ad autori per auto-pubblicazioni e sarebbero circa 40.000 i titoli auto-pubblicati attualmente in catalogo, pari al 5% di tutti i titoli in commercio (dei quali 6.500 sono stimati essere in formato e-book).
A fare da contraltare alla riduzione dei consumi di quotidiani è il successo dei portali Web d’informazione generica (che non fanno cioè riferimento a testate giornalistiche), utilizzati ormai da un terzo degli italiani (il 33% nel 2012); non sarebbe, dunque, il bisogno di informazione a essere diminuito, bensì sarebbero mutate le vie scelte per soddisfare tale bisogno. Gli esperti del Censis parlano di “autoreferenzialità dell’accesso alle fonti di informazioni”, intendendo la deriva alla personalizzazione che ha subito, nel tempo, attraverso la rete, l’esperienza di lettura degli utenti della notizia. Il rischio è, allora, che il Web diventi uno strumento per cercare conferma alle opinioni, ai gusti e alle preferenze che già si possiedono, facendo cadere il mito romantico di un’informazione capace di sollevare la riflessione a prescindere da preconcette convinzioni.
L’intensa diffusione nell’utilizzo del Web e delle piattaforme social ha posto, infine, non poche problematiche in tema di privacy, vista l’immensa quantità di dati e informazioni personali messa – più o meno consapevolmente – a disposizione dagli stessi utenti ogni giorno. Lo studio Censis ha inteso, allora, indagare anche su questo rovescio di medaglia, rilevando come ben il 75,4% di chi accede a Internet ritenga vi sia un rischio concreto di violazione in tal senso. In particolare, il 23,5% teme la registrazione da parte dei motori di ricerca dei propri percorsi di navigazione, il 21,4% si preoccupa della possibile acquisizione e dell’utilizzo a scopi commerciali di proprie informazioni, da parte delle applicazioni utilizzate, il 14,7% teme la geolocalizzazione, la possibilità cioè che alcune applicazioni possano registrare la propria posizione.
Esistono, poste queste premesse, delle soluzioni al problema della riservatezza in rete? Il 54,3% degli italiani ritiene che siano necessarie maggiori tutele, attraverso una normativa più severa che preveda sanzioni e rimozione dei contenuti sgraditi; il 29,3% pensa, al contrario, che sia impossibile garantire la privacy nella virtualità, dove non vi è distinzione tra pubblico e privato; l’8,9% ritiene di poter tranquillamente sacrificare la privacy sull’altare della condivisione e dei benefici che ne derivano; infine un residuale 7,6% crede non ci siano rischi e che le attuali regole a garanzia siano sufficienti.
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Editoria e crisi: cala il giro d’affari, diminuiscono i lettori, cresce il digitale

Un settore che, da sempre considerato anticiclico, sembra ora scontare il difficile peso della congiuntura economica negativa (fatturato in calo del 4,6%), malgrado una diversificazione dell’offerta editoriale e i dati positivi sul versante e-book

È un invito a correre subito ai ripari quello lanciato dal presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Marco Polillo dal palco d’onore della Buchmesse, la Fiera internazionale del libro di Francoforte, giunta quest’anno (dal 10 al 14 ottobre 2012) alla sua 64esima edizione. “Non è più il tempo di parole per il mondo del libro. Ci servono fatti”, ha sottolineato. “La tempesta perfetta si è scatenata sul libro, travolto dal calo della domanda e dalle difficoltà di accesso al credito, in un momento in cui gli editori sono chiamati a ingenti investimenti sul digitale”, ha proseguito Polillo. “Non chiediamo soldi […], così come non li abbiamo mai chiesti. Chiediamo, invece, misure sostenibili, per dare opportunità e risposte”: una politica pensata per uno sviluppo reale del libro, capace di dare sostegno alle librerie indipendenti e maggiori risorse alle biblioteche, di introdurre nei programmi scolastici l’educazione alla lettura e di considerare il ruolo centrale degli editori quali “operatori culturali”.
Quella che spaventa Polillo e l’intero mondo dell’editoria è, in fondo, una “tempesta” confermata dai numeri.
Dopo un 2010 caratterizzato da un andamento in positivo (fatturato in crescita di 0,5 punti percentuali), torna, infatti, a riaffacciarsi, sul mercato dell’editoria, l’allarme crisi scattato nel 2008 (quando si è assistito ad una riduzione del fatturato nell’ordine del 4,3%), travolgendo in maniera ancor più ampia un prodotto, il libro, da sempre ritenuto anticiclico.
Il Rapporto 2012 sullo stato dell’editoria in Italia, a cura dell’ufficio studi AIE, fotografa la situazione relativa al 2011 e ai primi nove mesi del 2012 e ufficializza l’ingresso di questo mercato in una zona d’ombra, in linea, per la prima volta, con tutti gli altri beni e segmenti.
Da un fatturato complessivo di 3.470 milioni di euro nel 2010, si è passati, allora, ai 3.309 milioni di euro del 2011, con una flessione pari al 4,6%. Forte la diminuzione delle vendite, in particolare, per i canali trade (librerie, Gdo, edicole, vendita al dettaglio, librerie online e vendita tramite web, e-book), che hanno segnato un -3,7%.
Con riferimento ai generi, si conferma la crescita del segmento bambini e ragazzi, mentre tutti gli altri mostrano segni di sofferenza più o meno marcati: la non-fiction specialistica (dove si concentra l’offerta di saggistica di cultura, accademico-universitaria e professionale) sembra essere il segmento che più risente della situazione negativa, l’editoria scolastica di adozione segna invece una crescita ma piuttosto lieve (+0,2%).
Per quanto riguarda i canali di vendita, nel 2011 diminuisce di 4,2 punti percentuali il fatturato delle librerie, con le librerie di catena che sembrano ormai aver abbondantemente superato la quota di mercato delle soluzioni indipendenti e a conduzione familiare (41,3% le prime, contro il 37,9% delle seconde, capovolgendo la situazione del 2008, quando le prime occupavano il 36% e le seconde il 43,3%). Crolla la Gdo (banchi libri in supermercati e ipermercati), con un -17,9%, calano anche le vendite di libri in edicola (-10%), mentre crescono del 14,2% le vendite on line di libri (si appropriano di una fetta pari al 9,7% dei canali trade) e del 2,3% i collaterali editoriali (quei prodotti diffusi unitamente al bene editoriale principale), spostatisi su offerte “super economiche”. Pur rappresentando un mercato ancora embrionale (12,6 milioni di fatturato nel 2011, pari a un peso dello 0,87% dei canali trade e dello 0,38% del mercato complessivo), cresce notevolmente il canale e-book, che registra un +740% sulle vendite del 2010 e che moltiplica il numero dei titoli disponibili (così come dei dispositivi di lettura in circolazione).
Crescono anche i lettori degli e-book (gratuiti e a pagamento) che, tra la popolazione con più di 14 anni, sono stati stimati, nel 2011, in 1,1 milioni (pari al 2,3% del totale), contro i 691 mila del 2010 (1,3%). Di questi lettori, 567 mila (pari all’1,1%) hanno acquistato almeno un e-book (365 mila nel 2010, pari allo 0,7%). Il dato si dimostra in controtendenza rispetto alla generale riduzione dei lettori in Italia, stimati in 25,9 milioni nel 2011 (-723 mila sul 2010) e in una percentuale pari al 45,3% (contro il 46,8% del 2010) dell’intera popolazione con più di 6 anni.
Buone le performance dell’intero mercato digitale, che coinvolge, oltre agli ebook, anche le banche dati e servizi a carattere editoriale e che rappresenta nel 2011 il 4,8% del mercato libraio. Esso non riesce, tuttavia, a compensare la generale flessione del settore editoriale.
In leggera crescita pure il numero delle case editrici attive in Italia, divenute 2.225 nel 2011 (+0,9% sul 2010), con almeno 10 titoli attivi all’anno e con circa 32 mila addetti. I grandi gruppi editoriali (Mondadori, Rcs, Gruppo GeMS, Gruppo Giunti e Feltrinelli editori), con i loro marchi e le loro imprese collegate, coprono oggi il 13,6% dei titoli pubblicati e distribuiti, contro l’80,4% della piccola e media editoria.
Segno più per la produzione, con 63.800 titoli (+10,8%), 39.000 novità (+8,2%) e 213 milioni di copie (+2,5%), secondo i dati Istat. Rispetto al 2000, tuttavia, si stampano ben 53,9 milioni di copie in meno, nonostante i 3 mila titoli in più. Il prezzo medio del libro di carta è diminuito, nel 2011, di 3,1 punti percentuali, attestandosi a 20,45 euro (al netto dell’Iva al 4%, il prezzo medio è di 19,66 euro).
Praticamente immutato, nel 2011, il giro d’affari dell’export, con 41 milioni di euro e una quota dell’1,2% sul mercato complessivo del libro. Crescono i fenomeni di internazionalizzazione: oltre all’ingresso di alcune case editrici in società straniere, aumentano le vendite dei diritti e le coedizioni con case editrici straniere (a un tasso del 16% medio annuo, passando da 1.800 a 4.629 titoli in dieci anni), che non coinvolgono più solo la narrativa letteraria e d’autore (17%), ma anche di genere (rosa, giallo, fantasy), bambini (25%), saggistica (16%), arte e illustrati (21%). Calano, invece, le traduzioni da varie lingue straniere, che costituiscono il 19,7% dei titoli nel 2011 (erano il 24,9% nel 1997), con il 35,8% delle copie stampate e distribuite riconducibili ad autori stranieri (40,3% nel 2012). Ad alimentare la crescita dei titoli a catalogo sembrano essere, oggi, soprattutto gli autori italiani (+2% di crescita media).
Le stime provvisorie relative al 2012 non fanno che confermare e aggravare i segnali di una crisi strutturale del settore, con 27 mila titoli pubblicati e immessi nel mercato nei primi cinque mesi (pari al 9,1%), contro i 29.900 del corrispondente periodo 2011. Peggiorano anche le performance dei canali trade, con un -8,7% a copie e un -7,3% a valore registrati nei primi nove mesi. In controtendenza, ancora una volta, il segmento e-book, che segna una crescita del 59%, in meno di sei mesi, nel numero di titoli disponibili (si è passati dai 19.884 di fine dicembre ai 31.615 di inizio giugno).
È su tale segmento, così promettente e allo stesso tempo così ostacolato (non solo dalle resistenze di pubblico, ma anche dalle politiche economiche) che si concentrano innanzitutto le speranze degli editori. Il presidente Polillo auspica, infatti, l’estensione anche agli e-book del regime agevolato di IVA al 4%, attualmente previsto per i soli libri cartacei (visto il loro fondamentale ruolo nella promozione della cultura e dell’istruzione). Egli parla di una vera e propria “discriminazione fiscale” tra libri di carta e libri digitali (sottoposti all’IVA ordinaria del 21%), incomprensibile e sempre più dannosa, poiché traducibile in un “disincentivo al consumo e all’innovazione in un settore importante anche ai fini dell’implementazione dell’Agenda digitale europea”.
L’editoria libraria è “l’unico segmento dell’industria culturale dove le imprese europee sono leader nel mondo”, prosegue Polillo, rivolgendo al Governo la richiesta di un aiuto concreto nel mantenere tale posizione di leadership. “Nonostante la crisi, nonostante le difficoltà finanziarie, l’editoria italiana sta dimostrando tutta la sua capacità di innovazione”, come dimostrano alcuni progetti seguiti da AIE: il progetto LIA (Libri italiani accessibili), che punta ad aumentare la disponibilità sul mercato di e-book in versione accessibile per persone non vedenti e ipovedenti; il progetto TISP (Technology and Innovation for Smart Publishing), che prevede di realizzare una piattaforma innovativa frutto della collaborazione tra industria editoriale e fornitori di tecnologia europei.
L’art. 8 della Legge 62 del 2001 (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali) riconosceva un credito d’imposta pari al 3% del costo sostenuto dalle imprese per gli investimenti in innovazione. Polillo ne chiede, allora “il rifinanziamento, per sostenere il processo di transizione al digitale” e favorire, dunque, la sostenibilità dei molti cambiamenti strutturali che gli editori stanno realizzando “sui propri cataloghi, sui processi interni, sulle attrezzatture, sulla formazione e riqualificazione del personale”.
Un ulteriore ingrediente della ricetta Polillo è “una politica coordinata per il libro”, capace di superare gli eccessivi e frammentati rapporti e interlocutori coinvolti nel settore: “Dobbiamo evitare inutili sovrapposizioni e una svantaggiosa dispersione delle azioni da intraprendere”, sottolinea. Un efficace coordinamento delle azioni a sostegno del libro e della lettura “è l’unico modo per affrontare la crisi del mercato del libro e il dramma dei bassi indici di lettura in Italia”.
Infine la richiesta di una gestione attiva e più avanzata dei diritti d’autore, la cui tutela “deve essere presidiata” e “non deve limitarsi alla protezione e alle sanzioni”, ma difendere e valorizzare l’innovazione.
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L’editoria si tinge di rosa

In un contesto economico caratterizzato dal forte divario tra il ruolo maschile e quello femminile, il settore editoriale sembra favorire sempre più l’ingresso delle donne

In occasione della celebrazione, l’8 marzo, del ruolo della donna nella società italiana, si è da più parti posto l’accento sull’esigenza di ridurre le discriminazioni di genere e i soprusi e di favorire l’ingresso dell’universo femminile nel mondo del lavoro, consentendo, in particolare, alle madri una reale conciliazione tra lavoro e famiglia.

Ad apertura del secondo convegno organizzato lo scorso 7 marzo dalla Banca d’Italia sul ruolo delle donne nell’economia italiana, il governatore Ignazio Visco ha sottolineato la necessità, per il nostro Paese, di ideare e attuare delle riforme strutturali, affinché gli sforzi fatti per il raggiungimento di una stabilità finanziaria possano dirsi realmente efficaci e affinché si possa sperare di raggiungere l’obiettivo, condiviso a livello europeo (strategia “Europa 2020”), di una crescita “intelligente, sostenibile ed inclusiva”.

Tali riforme dovrebbero essere volte a recuperare una serie di divari, primo tra tutti quello relativo all’occupazione femminile. Ricorda Visco come nel Mezzogiorno le donne occupate siano solo tre su dieci e come nel Centro-Nord, dove il tasso di occupazione femminile appare più elevato (55%), lo scarto con il tasso maschile sia di circa 18 punti percentuali; sugli oltre due milioni di giovani che oggi in Italia non studiano, non lavorano e non partecipano a un’attività formativa, prosegue Visco, ben 1,2 milioni sembrano essere donne. Impegno comune dev’essere, allora, quello di comprendere e rimuovere i fattori alla base di questa carenza strutturale, “anche se in qualche caso ciò significa contrastare rendite di posizione o interessi particolari”: “recuperare i divari rispetto alla partecipazione al mercato del lavoro femminile, alla mancata valorizzazione di queste competenze, trasformare una grave debolezza in una straordinaria opportunità è un obiettivo che non possiamo non porci”, “ne va del nostro futuro”.

Stando alle stime recentemente esposte da Bankitalia, vi sarebbe una relazione positiva tra aumento del tasso di occupazione femminile, crescita del PIL e conseguente riduzione del rischio di povertà: un’occupazione al 60%, definito a livello europeo dal Trattato di Lisbona, comporterebbe – anche ipotizzando un effetto negativo della produttività di 0,3 punti percentuali, dovuto ad un ingresso così massiccio di forza lavoro – un aumento del PIL pari al 7%.

Alcuni dati Eurostat hanno, poi, rivelato come, in tutti gli Stati appartenenti all’Unione Europea, il rischio di povertà o di esclusione sociale sia più alto tra le donne che tra gli uomini: seppur più numerose degli uomini (257 milioni di donne, contro 245 milioni di uomini; la proporzione relativa è di 105 donne ogni 100 uomini, proporzione che aumenta con l’avanzare dell’età, arrivando a 138 donne ogni 100 uomini per gli over 65), le donne a rischio di povertà o di esclusione sociale sembrano essere, in base agli ultimi dati disponibili, ben 62 milioni (pari al 24,5% del totale di tutte le donne), contro i 54 milioni di uomini (22,3% del totale). Le differenze più marcate in tal senso si registrano proprio in Italia, dove il rischio è riferito al 26,3% delle donne, contro il 22,6% degli uomini; seguono Austria (rispettivamente 18,4% e 14,7%) e Slovenia (20,1% e 16,5%). Le differenze minori si evidenziano, invece, in Estonia, Lettonia, Lituania e Ungheria, dove il gap è inferiore ad un punto percentuale.

Con riferimento, poi, al tasso di occupazione nei Paesi dell’Europa 27, l’Eurostat ci dice che esso è pari al 63,8% fra le donne (dai 25 ai 64 anni), contro il 77,5% degli uomini, per uno scarto del 13,7%. Le differenze, tuttavia, si riducono in relazione al livello di istruzione: ad un basso livello di istruzione, corrisponde un’occupazione del 43,3% tra le donne e del 65,2% tra gli uomini (21,9% il gap); ad un’istruzione media, il tasso è del 66,6% per le donne e del 79,1% per gli uomini (12,5% il gap); ad un livello di istruzione elevata, infine, il tasso è dell’80,6% fra le donne e all’87,4% fra gli uomini (il gap si riduce al 6,8%). In Italia, in particolare, la percentuale di occupazione sembra essere del 51.4% per le donne e del 75.8% per gli uomini: con un livello di istruzione basso, il tasso di occupazione femminile è del 32.5%, quello maschile del 68%, con una differenza di ben 35,5 punti percentuali; tra coloro che hanno un’istruzione media, lo scarto rimane piuttosto elevato, pari a circa 20 punti percentuali, mentre, tra coloro che possiedono un elevato livello di istruzione, esso si attesta sui 10,6 punti percentuali (73.6% per le donne e 84.2% per gli uomini).

In un contesto di così difficile attuazione per gli ideali di pari opportunità, alcune recenti indagini riferite al contesto italiano sembrano, tuttavia, offrire qualche spiraglio di speranza.

Abbiamo già riportato le stime diffuse dall’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere, stando alle quali le imprese rosa presenti in Italia a fine dicembre 2011 sarebbero state quasi 7mila in più rispetto all’anno precedente, con un incremento dello 0,5% e con un saldo complessivo di 1.433.863 imprese femminili (pari al 23,5% del totale imprese italiane); tale incremento ha permesso di compensare le cattive performance registrate dall’imprenditoria maschile, in riduzione, nel 2011, di circa 6mila unità.

Declinando l’attenzione su uno specifico ambito disciplinare, una seconda indagine capace di offrire una fotografia piuttosto rassicurante è quella curata da Gianni Peresson, responsabile dell’Ufficio studi AIE (Associazione Italiana Editori), e da Elisa Molinari; basandosi su dati riferiti al 2011, essa ha inteso, in particolare, analizzare la portata di quote rosa all’interno del settore editoriale, estendendo l’analisi non solo alle pratiche di lettura e di acquisto, ma anche alle tendenze occupazionali e di gestione. Vediamo nel dettaglio quanto emerso.

La distanza tra uomini e donne nella lettura di libri sembra essere oggi pari a 18 punti percentuali, in forte aumento sul 2008 (quando lo scarto era pari a circa 12 punti percentuali, tra il 50% di donne lettrici e il 37,7% di uomini lettori) e, ancor di più, sul 1988 (quando lo scarto era di 6 punti, tra il 39,3% di donne lettrici e il 33,7% di uomini lettori). Questa constatazione sembra essere vera con riferimento a tutte le fasce età; in quelle giovani spesso il divario risulta, anzi, ancor più pronunciato: tra i 18-19enni esso sale a più di 19 punti percentuali (leggono il 63,8% delle ragazze e il 44,5% dei ragazzi), tra i 20-25enni si attesta a quasi 22 punti (62,5% le lettrici e 40,6% i lettori), mentre tra i 15-17enni arriva a quasi 29 punti percentuali (legge il 73,2% delle ragazze, contro il 44,5% dei ragazzi). Tra i più piccoli si riduce, invece, lo scarto: quasi 14 punti per la fascia compresa tra gli 11 e i 14 anni (69,2% lettrici e 55,3% lettori) e soli 4 punti per la fascia tra i 6 e i 10 anni (53,8% le lettrici e 49,8% i lettori).

Oltre a leggere di più, le donne sembrano anche frequentare maggiormente i canali di vendita: il 54% di chi acquista libri in Italia è di sesso femminile (contro il 46% riferito al sesso maschile) e il volume degli acquisti di libri è pari al 57% per le donne, contro il 43% per gli uomini.

Il report passa poi ad analizzare la situazione occupazionale in Italia nel mondo editoriale, confrontandola innanzitutto con quella europea: nel 2001 il tasso di occupazione femminile in Italia risultava essere del 41,1%, quello europeo del 54,3%, nel 2006 le percentuali erano rispettivamente del 46,3% e del 57,2%, mentre nel 2009 esse sono del 49,7% e del 62,5%; nel 2009 il gap di genere appare in diminuzione di 2,5 punti percentuali sul 2004, con riferimento al contesto italiano, e di 2,9 punti, con riferimento al contesto europeo.

Cresce la presenza di donne non solo nelle attività redazionali e di segreteria, ma anche nei ruoli direttivi; mentre nel 1991 coprivano il 27% degli incarichi direttivi e nel 2008 il 36%, nel 2011 esse arrivano a coprirne il 40,2%. Negli ultimi vent’anni sono, quindi, aumentate le quote rosa in tutte le attività considerate di direzione: in quella tradizionale di ufficio stampa (dal 1991 a oggi si è registrato un +21,5%) in quella di direttore commerciale (+18,1% tra 1991 e 2011), in quella di direttore editoriale (+47,3%) e, infine, in quella di presidente, amministratore delegato, amministratore unico e direttore generale (+98%).

Ancor più incoraggianti sembrano essere le prospettive future del ruolo femminile in editoria, dato che i nuovi ingressi di donne si sono attestati, da un decennio, all’incirca al 60% (nel 2011 essi risultano, in particolare, il 64%).

Le donne sono, inoltre, più attente all’aggiornamento professionale, poiché ben 12 punti percentuali le separano dai colleghi uomini, nella scelta di frequentare corsi (56% contro 44%).
A registrare gli esiti migliori è soprattutto la piccola editoria, dove la presenza femminile in ruoli direttivi è oggi superiore di nove punti rispetto alla media del settore (49% rispetto a 40%), in aumento di tre punti sul 2008. I ruoli, in particolare, che hanno visto una presenza femminile maggiore rispetto alla media sono stati quello di direttore editoriale (nel 2011 le donne sono il 13,9%, registrando un +51,4% sul 2008) e di direttore commerciale (le donne sono il 7,7%, pari al +23,1% sul 2008).

L’analisi si concentra, infine, sul mondo delle librerie: le libraie risultano essere il 71,8%, sopravanzando notevolmente gli uomini (28,2%).

Questa fotografia 2012 “conferma e accentua – sottolinea Gianni Peressonle tendenze che avevamo visto nel 2009”. Le ragioni di simili incrementi degli addetti in gonnella nel settore editoriale sono da rilevare nelle “maggiori abilità” e “competenze nel gestire le relazioni e nell’organizzare il lavoro”, necessarie in “alcune attività – dall’ufficio stampa a quelle editoriali, fino alla gestione della libreria”. “Senza dimenticare – prosegue Peressan – una miglior cultura di base – hanno letto di più rispetto ai loro coetanei maschi lungo tutta la carriera di studio – qualcosa significherà! – e una maggior curiosità e flessibilità. Si tratta – conclude – di paradigmi concettuali oggi ancor più importanti di fronte ai cambiamenti che le nuove tecnologie pongono davanti alle imprese editoriali”.

Un modo diverso di fare libri? Si interrogano i promotori. Forse.
Dal canto nostro possiamo sperare che la particolare sensibilità e la forte intuizione tradizionalmente attribuite alla figura femminile siano in grado di apportare intensi benefici ad un’industria che, tra conferme positive e stime disattese, sarà costretta ad affrontare sfide sempre più impegnative, dettate dallo sviluppo tecnologico e dal mutamento delle prassi fruitive e d’acquisto tra gli utenti.

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Il mercato del libro: tra conferme positive e stime disattese

L’Associazione Italiana Editori pubblica il Rapporto 2011 sullo stato dell’editoria in Italia e, in occasione della Frankfurter Buchmesse, il presidente Polillo esprime il proprio punto di vista sulle le principali questioni economiche coinvolte

È un intervento a suon di “non è vero che” quello delineato da Marco Polillo, presidente dell’AIE (Associazione Italiana Editori), nel corso della sessantatreesima edizione della Fiera internazionale del Libro di Francoforte (la Frankfurter Buchmesse), il più importante e prestigioso appuntamento mondiale rivolto agli operatori del settore editoriale, svoltosi dal 12 al 16 ottobre 2011.

Vantando la partecipazione, tra gli altri, di circa trecento editori italiani, la Fiera ha rappresentato un’occasione fondamentale per promuovere la cultura e il mercato italiano del libro all’estero, stimolando la riflessione circa gli scenari e gli sviluppi futuri: “non è nostra abitudine – sostiene Polillo cercando di correggere alcune false credenze riferite alla situazione editoriale italiana – perderci nelle lamentazioni, anche in tempi difficili. Ci piace guardare avanti. Ma almeno pretendiamo un po’ di rispetto. Non tanto per noi, ma per la verità. Per questo vogliamo approfittare di questa occasione di bilancio sul settore per fare chiarezza e smentire punto a punto tutto ciò che in questi mesi abbiamo sentito dire – spesso a sproposito – sul mondo del libro”.

La “verità” cui si fa riferimento è, in particolare, quella rilevata dall’Ufficio studi di AIE nel Rapporto 2011 sullo stato dell’editoria in Italia, che di seguito cercheremo di riportare.

Dopo la crisi iniziata nel 2008, che ha condotto ad una riduzione del fatturato nell’ordine del 4,3% (inferiore, tuttavia, rispetto ad altri settori), torna nel 2010 il segno positivo (+0,3% rispetto all’anno precedente) per il mercato editoriale italiano, il quale, con un fatturato complessivo di 3.417 milioni di euro a prezzo di copertina, conferma la propria posizione come primo settore per spese dei consumatori tra le industrie italiane dei contenuti (stampa quotidiana e periodica, home video, cinema, tv, musica…).

Tuttavia – sottolinea Polillo – “non è stato recuperato quanto perso in precedenza. Si potrebbe dire: resistiamo, con molta fatica e nonostante tutto”.

In crescita, in particolare, il settore dei libri per ragazzi che, tra novità e ristampe, supera i 4 mila titoli e conquista un +5,7% sul fatturato del 2009, arrivando ad occupare il 13,7% del mercato; per contro diminuisce di 2,8 punti percentuali (pari a 648 milioni di euro) il fatturato della scolastica e delle adozioni. Con riferimento al mercato trade (libreria, Grande distribuzione organizzata – GdO, librerie on line, edicola), si registrano, poi, l’avanzamento del 10,6% per il tascabile (che arriva a rappresentare il 20,3% del settore) e il ruolo sempre più rilevante della piccola editoria, che raggiunge il 13,5% del fatturato di tutti i canali trade.

Allargando un tantino la prospettiva e considerando i canali di vendita, si nota un consolidamento del mercato trade, il quale, registrando un + 4,2% nel 2010, conferma il trend di crescita già evidenziato nel 2009 (+ 3,5%). Più in particolare, le librerie tradizionali continuano ad essere la via preferenziale per l’acquisto di libri e, con un valore pari a 1,095 miliardi di euro (in aumento del 2,6%) rappresentano il 51% del mercato; sempre a conferma di una tendenza rilevata gli anni scorsi, perde 2,8 punti percentuali il mercato delle librerie a conduzione famigliare, mentre aumenta del 2,9% quello delle librerie di catena.

Salgono di 24,5 punti le vendite on line (sia per l’ingresso di nuovi operatori – laFeltrinelli.it a fine 2009, Amazon.it a fine 2010 – sia per i cambiamenti in atto nel comportamento d’acquisto del pubblico), di 5 punti le vendite in occasione di fiere del libro, di 3 punti la GdO (in rallentamento rispetto all’anno precedente) e di 2,6 punti l’edicola (principalmente per le rinnovate formule di franchising utilizzate). Diminuiscono, invece, alcuni canali ormai poco idonei alle pratiche di lettura, come il rateale (- 15,2%) e i collezionabili (-5%).

Ciò non significa, tuttavia, che la lettura rappresenti un’attività desueta, al contrario nel 2010 i lettori di almeno un libro non scolastico erano 26,4 milioni e costituivano il 46,8% della popolazione con più di 6 anni, con un incremento dell’1,7% rispetto al 2009 (il maggiore registrato dal 1998). La quasi metà dei lettori (44,3%) ha letto fino a tre libri l’anno, solo il 15,1% ne legge uno ogni mese (leggera decrescita rispetto al 2009) e le fasce più forti di lettori sono quelle infantili e giovanili: il 58,4% degli intervistati di età compresa tra i 6 e i 10 anni ha dichiarato di aver letto almeno un libro non scolastico negli ultimi 12 mesi (in crescita del 6,2%) e la percentuale sale al 59,1% per i 15-19enni e al 65,4% per gli 11-14enni.

Dal punto di vista della produzione, si rileva, invece, un trend in negativo per il numero di titoli pubblicati (dai 58.829 del 2009 ai 57.558 del 2010) e per le copie stampate e immesse nei canali di vendita (dai 213 milioni del 2009 ai 208 milioni del 2010, di cui 122 milioni, il 59%, sono prime edizioni); a lamentare maggiormente il calo è la produzione varia per adulti (- 3,5% nei titoli, – 7,5 nelle copie stampate), mentre crescono i libri per bambini e ragazzi (+ 9,2% nei titoli e + 9,3% nelle copie) e il settore educativo (+ 1,3% nei titoli e + 6,4% nelle copie).

I titoli commercialmente vivi sono, allora, nel 2010, più di 690 mila, con un incremento di 38,2 punti percentuali in cinque anni, doppio rispetto alla produzione in commercio (+ 19,7%).

Sono 2.500 le case editrici con una presenza attiva nel territorio italiano e gli addetti alla filiera sono all’incirca 32 mila.

Diminuisce il peso delle opere straniere sulla produzione libraria italiana: i libri tradotti passano dai 10.046 del 2009 ai 9.009 del 2010. Aumentano, allo stesso tempo, i diritti ceduti ad editori stranieri; nel settore dei libri per ragazzi, ad esempio, si è passati dai 486 diritti venduti (contro i 1.250 comprati) del 2001 ai 1.607 venduti (e 1.283 libri comprati) tra 2009 e 2010. Anche le coedizioni crescono (dal 44,1% del 1997 all’86% del 2010), soprattutto nel settore dei libri per bambini e dell’editoria d’arte.

Il valore dell’export del libro di carta si aggira sui 41,8 milioni di euro, circa l’1,2% del mercato, rimanendo di fatto stabile, anche se le editorie straniere sembrano accordare sempre più la loro preferenza alle pratiche di cessione dei diritti, a progetti di coedizione e alla realizzazione da parte di case editrici italiane di libri direttamente in lingua inglese, piuttosto che all’export.

Positive anche le prime stime relative al 2011, seppur, si sottolinea, con qualche segnale di incertezza; nel primo semestre si conferma la forza del mercato trade: – 0,1% per le librerie tradizionali, ma +1,5% per la Gdo, le librerie on line raggiungono una quota pari al 5,5% del mercato trade, le librerie a conduzione familiare diminuiscono e raggiungono il 36%, mentre le librerie di catena rappresentano il 41,8%.

Nel primo trimestre del 2011 è stato rilevato un incremento di 0,2 punti percentuali nel valore del mercato dei libri e di 1,2 punti nelle copie stampate e date alla vendita.

Soffermiamo ora la nostra attenzione sul mercato dell’editoria digitale, stimato, nel suo complesso, in 341 milioni di euro (9,9% di quello complessivo); esso raggruppa: comparto cd-rom e dvd-rom (214,2 milioni), banche dati on-line, servizi erogati attraverso internet (125,6 milioni), audiolibri (0,7 milioni), e-book (1,5 milioni di euro). Nel 2010 stupiscono, in particolare, il notevole aumento, + 29,9%, dei servizi collegati con le banche dati on line e la crescita, pari allo 0,04%, dunque al di sotto delle aspettative elaborate lo scorso anno, del segmento e-book.

Per quanto riguarda quest’ultimo, si tratta di un mercato nato in buona parte tra maggio e giugno 2010, che comprende un giro d’affari di 1,5 miliardi di euro e che dovrebbe – stando alle previsioni – attestarsi sui 4-5 miliardi a dicembre 2011; si innalza il numero dei titoli in italiano disponibili (a dicembre 2010 erano 6.950 titoli, a settembre 2011 l’offerta annovera 17.951 titoli e si stima che essi diverranno 20-21 mila a fine 2011), cresce il formato ePub come standard di produzione e si diffondono sempre più dispositivi tablet per la lettura (sono 390 mila gli e-reader venduti a giugno 2011), nonostante i prezzi ancora elevati (199-299 euro). Stabile il prezzo medio degli e-book italiani (11,18 euro).

“Non sperate di liberarvi dei libri” annunciava Eco all’edizione 2009 della Fiera Internazionale del libro di Torino, quasi a lanciare un monito a quanti vedevano l’e-book come il prossimo veicolo di conoscenza umana e dando, poi, a questo monito, un esito editoriale. A distanza di due anni e malgrado l’errore sotteso all’eterno dibattito tra cultori del cartaceo e del digitale (si tratta, infatti, di un dibattito che mette a confronto due mezzi che, di fatto, sono completamente diversi tra loro e dunque non richiedono necessariamente vinti ed vincitori) non si può che offrire vesta profetiche ad Eco. Sottolinea Polillo: “non è vero che il libro di carta è morto”, poiché tutti vogliono l’e-book, “tutti ne parlano, salvo poi avere prezzi quasi al livello dei tascabili a causa di un’IVA al 21%. Ci sembra illogico che l’innovazione debba scontare una tassa che si applica soprattutto ai servizi”. Allo stesso modo “non è vero che gli editori italiani sono stati lenti a entrare in questo nuovo mercato”: “gli editori italiani hanno proposto, da un anno a questa parte, circa il 20% delle proprie novità anche in edizione ebook”, questo perché “da tempo sono pronti avendo fatto i necessari investimenti per adeguare i propri processi produttivi”.

Polillo si è occupato, allora, anche delle politiche di prezzo, in un momento storico particolarmente delicato per l’Italia, vista, in particolare, la recente approvazione della Legge 27 luglio 2011, n. 128, ribattezzata Legge Levi o “Anti-Amazon”, che fissa dei tetti massimi agli sconti sui libri. “Non è vero che il regime del prezzo fisso”, ha affermato, “sia una stranezza italiana e un attentato alla libera concorrenza […]. Sistemi di prezzo fisso sono presenti nella gran parte dei paesi europei e la discussione in Europa è se debbano applicarsi anche agli ebook, non se debbano essere mantenuti nel resto del mercato. La legge italiana resta la più flessibile in Europa. In nessun caso sono permessi sconti fino al 15%, né campagne promozionali con sconti fino al 25%, né esistono così tante eccezioni. I nostri amici francesi, che hanno appena approvato la prima legge sul prezzo fisso per gli ebook, hanno addirittura ironizzato [non ci è difficile crederlo, visti i più recenti fatti di cronaca politica] sulla capacità tutta italiana di inventare una legge sul prezzo fisso flessibile”.

Secondo Polillo “non è vero che gli sconti spingono la vendita dei libri […]; l’agosto 2011 – quello con il 40% di sconti come reazione all’entrata in vigore della legge Levi dal 1° settembre – è andato meno bene dell’agosto 2010: – 7,6% a valore a prezzo pieno di copertina e – 8% a copie […]. Non è dallo sconto che passa il rinnovamento e lo sviluppo del mercato del libro, ma dall’aumento del livello di servizio, dalla tutela delle librerie indipendenti, dalla pluralità dell’offerta, che sono gli obiettivi della legge Levi”.

Attraverso i dati posseduti da Informazioni Editoriali (che implementa il Catalogo Alice), l’AIE ha analizzato i prezzi di copertina di tutta la produzione editoriali del 2010 (circa 60 mila novità) e il prezzo medio sembra essere di 21,6 euro: “rispetto al 2005 la crescita del prezzo medio è stata del +3,9%, quindi molto al di sotto del tasso di inflazione. In termini reali i prezzi dei libri sono diminuiti del 5,2%”. Anche nel confronto con quelli europei, i prezzi italiani risultano i più bassi.

Gli interventi di Polillo si sono, poi, rivolti a molti altri aspetti della situazione economico-politica italiana, riferita al mondo del libro. Ha corretto, ad esempio, la falsa convinzione che l’editoria sia sostenuta da contributi pubblici: “gli unici contributi esistenti – relativi alle riviste di elevato valore culturale – sono stati cancellati: si trattava di poche centinaia di migliaia di euro, non delle centinaia di milioni spesi per altri settori. E quest’anno saranno cancellati anche i contributi alle traduzioni del Ministero degli Affari Esteri”. Ha auspicato comunque un efficace supporto a livello governativo, senza il quale l’attività editoriale “è destinata a perdere significato e forza”; “gli editori hanno fatto, stanno facendo e continueranno a fare tutto il possibile per diffondere la cultura italiana, anche e soprattutto all’estero. Sono però consapevoli di una cosa: la diffusione della cultura non può competere solo a un’associazione di categoria”.

Con riferimento al tema intercettazioni, Polillo ha manifestato la propria “preoccupazione per le norme attualmente in discussione”, che, nate per i giornali, potrebbero avere effetti ancor più negativi sui libri; la rettifica immediata, in particolare, “sarebbe inefficace e impraticabile per il mondo del libro: inefficace per la separazione che esiste tra il mezzo di diffusione del contenuto da rettificare (il libro) e il mezzo attraverso il quale veicolare la rettifica (i quotidiani); impraticabile a causa degli ingiustificabili oneri che andrebbero a riversarsi sugli editori interessati (che dovrebbero accedere a mezzi informativi non propri) e, soprattutto, in ragione delle specifiche caratteristiche che contraddistinguono il rapporto con l’autore librario, la redazione e i tempi di pubblicazione di un libro”.

Due ultime riflessioni, riferite a delle tematiche particolarmente “calde”, meritano, infine, citazione.

Da una parte Polillo rassicura circa la presunta limitazione alla libertà d’opinione portata dagli strumenti messi a punto dall’Agcom: “le procedure di notice and take down sono quelle che forniscono la massima tutela possibile su questo profilo. Da un lato non toccano l’utente finale, come per esempio avviene in Francia, dall’altro consentono sempre a chi pubblica di ‘dire di no’ alla richiesta di rimozione […]. Tutti sanno che la rimozione avviene quasi sempre pacificamente alla prima richiesta, perché si tratta di casi eclatanti di copie illegittime del lavoro altrui […] e si finge di ignorare il fatto che questa procedura è la più garantista che si possa immaginare. È particolarmente triste che s’innalzino nobili bandiere per giustificare quello che in realtà altro non è se un utilizzo illegale del lavoro altrui per il proprio tornaconto personale”.

Dall’altra parte – e concludo – Polillo si occupa di tutela del diritto d’autore, sottolineando come essa non limiti assolutamente la conoscenza: “l’editoria non esisterebbe più senza il diritto d’autore. Nessuno creerebbe più nulla se non potesse avere un’adeguata remunerazione del suo lavoro […]. Sbaglia chi ritiene che il diritto d’autore sia superato nell’era digitale […]. La conoscenza è certamente un diritto di tutti, ma è anche un dovere rispettare e non impadronirsi illegittimamente del lavoro altrui. Per questo noi siamo e saremo sempre a favore della difesa del diritto d’autore”.

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Nel 2014 il mercato italiano dell’Entertainment e Media varrà 49,5 miliardi di euro

Il rapporto annuale di PwC stima, dal 2010 al 2014, un tasso di crescita medio pari al 6,6,% per un mercato che sembra sarà trainato da gaming, videogame ed internet
È stato presentato giovedì 25 novembre a Milano il secondo rapporto annuale di PwC (PricewaterhouseCoopers), “Entertainment and Media Outlook in Italy”, che, presentando i dati storici riferiti al periodo 2005-2009, propone le previsioni di evoluzione del mercato italiano dell’Entertainment e Media per il periodo 2010-2014, nei 12 principali segmenti che lo compongono (film, tv, musica, radio, pubblicità out-of-home, internet, quotidiani, periodici, riviste tecniche, editoria specializzata, videogame, gaming).

Un mercato che vale oggi, nel nostro Paese, circa 38 miliardi di Euro e che raggiungerà, nel 2014, i 49,5 miliardi di Euro, con un tasso di crescita medio pari al 6,6%. Un mercato che obbligherà gli italiani ad una spesa complessiva di 40 miliardi e ad investimenti pubblicitari stimati in 9,5 miliardi di Euro. Un mercato, infine, che pare verrà trainato dal gaming, dai videogames e da internet.

Il primo di questi settori, nonostante la recessione economica avuta negli ultimi due anni, ha registrato ricavi in aumento del 39% e raggiungerà i 13,2 miliardi nel 2014 (con una crescita annua media del 14,4%).

In particolare, la componente fisica del mercato in questione contribuisce per il 92%, circa 7,3 miliardi, sugli 8 miliardi di Euro di tasse incassati all’anno, e – di questi 7,3 miliardi – 3,6 provengono dalle macchinette da gioco, 2,1 da lotterie e gratta e vinci, 1,1 miliardi dalle agenzie di scommesse sportive e 330 milioni dalle macchinette VLT. Tutti questi settori conosceranno, nel periodo che va da oggi al 2014, un aumento significativo nel giro d’affari generato, passando, rispettivamente dai 30 ai 41,5 miliardi di Euro l’anno, dai 19 a 23 miliardi, dai 5 ai 6,5 miliardi e dai 2,5 ai 19 miliardi.

La componente telematica dell’industria italiana del gaming (quella che si muove sulla rete internet e su piattaforme mobile e tv e che contribuisce per l’8% sulle entrate) avrà un tasso di crescita del 25% annuo, arrivando a 1,8 miliardi di Euro nel 2014, capeggiata dai giochi d’abilità (con un giro d’affari che passerà da 4 a 10 miliardi di Euro), seguiti dalle applicazioni per scommettere via smartphone e dai servizi di televisione interattiva.

Il secondo mercato in forte crescita è rappresentato dai videogames (attualmente al quinto posto nella classifica europea, dopo Inghilterra, Francia, Germania e Spagna) che passerà da 1 a 1,5 miliardi di Euro, con una crescita annua media pari al 10,4%, grazie soprattutto allo sviluppo di console e giochi online. È, in particolare, in quest’ultimo settore che è prevista una vera e propria esplosione, con un tasso annuale medio di incremento del 14,8%, derivante dallo sviluppo della banda larga, capace di far salire a 4,5 milioni gli utenti online nel 2014, rispetto ai 2 milioni di oggi. Si evidenzia, inoltre, un aumento parallelo dell’advertising su questo canale, che passerà da 20 a 32 milioni di Euro nel periodo in esame.

Il terzo settore a stimolare particolarmente la crescita del mercato italiano dell’E&M è rappresentato da internet, grazie, ancora una volta, allo sviluppo della banda larga e alla forte crescita degli accessi sulle piattaforme mobile. La diffusione in Italia di reti di questo tipo sarà, nei prossimi anni, tra le più alte d’Europa: nel 2014 l’88,6% di abbonati le userà ed esse saranno il principale driver di diffusione della pubblicità via internet, soprattutto per quanto riguarda le piattaforme mobile, dove gli investimenti in advertising saliranno da 24 a 63 milioni di Euro, poiché chi utilizza una connessione di questo tipo passa più tempo online, visita più siti web e compra più prodotti rispetto agli utenti dotati di connessioni tradizionali. Gli investitori possono, tramite la rete, raggiungere gli utenti che fanno acquisti online (10 miliardi di Euro nel 2009), confrontarsi con un pubblico giovane e indirizzare le proprie proposte ad un target maggiormente definito, grazie al sistema di indicizzazione dei motori di ricerca.

Internet è stato uno dei pochi segmenti a crescere negli ultimi anni, raggiungendo nel 2010 un mercato di circa 7 miliardi di Euro, di cui 6 miliardi spesi dagli italiani per l’accesso alla rete (suddivisi in 4,8 miliardi via cavo e 1,2 via mobile) e 1 miliardo investito in pubblicità. Le previsioni per il 2014 parlano poi di 9,9 miliardi di Euro, di cui 8,2 miliardi riferiti alla spesa per l’accesso alla rete (2 miliardi attribuibili direttamente allo sviluppo delle piattaforme mobile) e 1,6 miliardi legati alla pubblicità.

Lo studio di PwC evidenzia anche i segmenti in calo dal 2010 al 2014: la musica, i periodici e il business to business, inteso come informazione legata a prodotti e servizi delle aziende.

A prescindere da qualsiasi ragionamento sui dati evidenziati e da qualsiasi possibile intervento classificatore, ad emergere con forza dallo studio è l’invadenza del fenomeno di “Digital migration”, capace di dare una rinnovata spinta alla pubblicità in rete e mobile e al settore editoriale. «Stiamo assistendo all’avanzare dell’epoca digitale che muta in maniera sempre più veloce i consumi degli italiani anche nei confronti dei media e dell’entertainment in generale», ha commentato Andrea Samaja, Partner E&M Market Leader di PwC. «Anche l’editoria deve adeguarsi al cambiamento. Oggi 8 italiani su 10 leggono via internet i quotidiani, i cui portali attirano circa 4 milioni di persone ogni giorno e gli investimenti in advertising andranno di pari passo».

Il mercato dell’editoria è stato stimato in 2 miliardi di Euro nel 2009 e ha conosciuto una delle maggiori contrazioni in termini di investimenti pubblicitari (scesi del 16,4%) e di diffusione (calata del 4,8%). La competizione con la rete rimane sempre molto forte per la carta stampata, sulla quale gli investimenti saranno, nel 2014, inferiori di circa 17 punti percentuali rispetto al 2007 (anche a causa dei minori costi della pubblicità digitale) e la cui diffusione sarà pari a 4,3 milioni di lettori rispetto ai 4,6 attuali. Ad influire sulla riduzione dei ricavi sarà anche la forte diffusione della free press, a causa della quale la spesa annua per i giornali passerà da 172 Euro circa del 2009 ai 182 Euro nel 2014.

Certo il 56% degli italiani legge ancora i giornali almeno una volta a settimana e sono 3 milioni gli italiani che d’abitudine acquistano giornalmente il proprio giornale preferito, ma per entrambi i fronti, lettori ed editori, sempre più forte è l’attrazione suscitata dalle edizioni digitali.

Sarà necessario, quindi, per il settore editoriale, modificare gli attuali modelli di business per renderli capaci di sfruttare pienamente lo sviluppo della banda larga e l’arrivo di iPad o dispositivi simili, i quali permettono un aumento dei ricavi tramite abbonamenti e vendita di spazi pubblicitari a colori e di qualità agli inserzionisti.

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