Tra crisi e nuove opportunità digitali, muta il volto del libro in Italia

Il Salone di Torino ha fornito la sede ideale per approfondire le più recenti tendenze del mercato editoriale tricolore: il segmento bambini e ragazzi salva le vendite, crescono il ruolo dell’online e la presenza nei social, seppur in modo non costante

Grande successo di pubblico per il 26° Salone Internazionale del Libro di Torino, chiusosi lo scorso lunedì 20 maggio 2013 con un +4% di ingressi rispetto al 2012. Stima che si pone in controtendenza rispetto alla dinamica del consumo di libri in Italia e alla congiuntura negativa che sembra non voler abbandonare il settore editoriale.
L’appuntamento si è posto, allora, come sede privilegiata per un’approfondita riflessione circa le più recenti tendenze di questo mercato. I dati diffusi per l’occasione dall’Associazione Italiana Editori sulla base delle stime realizzate da Nielsen, mostrano la centralità del segmento bambini e ragazzi per la sopravvivenza del libro in Italia, in un periodo storico segnato da non poche avversità, in primis dal netto calo dei lettori.
Il 2012 chiude con un -7,8% sulle vendite a valore (pari ad un fatturato di 1.320.538.000 euro, contro 1.432.506.000 euro nel 2011) e un -7% sulle vendite a copie (corrispondente a 101.536.000 copie libri vendute, contro le 109.121.000 del 2011) nei canali trade (dunque sulle librerie di catena, su quelle indipendenti, sugli store online, sulla Gdo, esclusi tutti i vari canali alternativi, come cartolerie, uffici postali, negozi specializzati in articoli per bambini, collezionabili per bambini venduti in edicola…).
A risentire meno della crisi nel 2012 è stato il settore della fiction (-3,6% a valore e -2% a volume), seguito appunto dall’editoria per ragazzi (-6,2% a valore e -5% a volume), mentre ha continuato a soffrire la non fiction.
Calando il focus sui primi quattro mesi del 2013, si evidenzia come, nel canale trade, siano state vendute 27.816.000 copie libri, poco meno rispetto alle 28.015.000 copie dello stesso periodo 2012 (-0,7%). Ben più significativo il calo registrato nelle vendite a valore (-4,4%), che passano dai 361.955.000 euro del 2012 ai 346.024.000 euro in questo primo quadrimestre 2013. Sembra diminuire, dunque, il giro d’affari, mentre resta sostanzialmente stabile il numero di copie vendute. Ciò è dovuto all’aumento del peso dei paperback (costituiscono il 17% del totale, contro il 7% dello scorso anno) e alla diminuzione dei prezzi dei libri, in risposta ad un cliente che si orienta sempre più nella fascia più bassa di prezzo al momento dell’acquisto di nuovi titoli. Cala, in altri termini, il potere di spesa del lettore italiano.
Svanisce, allora, del tutto l’illusione di un mercato immune alla difficile situazione economica generale: se all’inizio della crisi esso sembrava resistere malgrado tutto, con tassi di crescita attorno all’1-2 punti percentuali, a partire dal 2011 si è assistito ad un’inversione di tendenza, con un’intera filiera – dalla stampa alla distribuzione alle librerie – che ha cominciato ad accusare i colpi del cambiamento. Sono mutate le percezioni del pricing, del valore dei marchi e della funzione stessa dell’editoria. Si è sviluppato il self-printing, sono cresciuti il commercio on-line e il mercato degli ebook (oggi, in poco più di due anni, il 46% delle novità del mese sono in digitale), si è potenziato il ruolo dei blog letterari e dei canali social nella comunicazione editoriale. Le difficoltà economiche hanno imposto un’intensa accelerazione delle trasformazioni in atto nel complesso dell’ecosistema editoriale, fatto da poco più di 25-26 milioni di clienti potenziali, di cui 22-23 milioni acquirenti.
Per quanto riguarda i canali di vendita, sembra crescere, nel primo quadrimestre 2013, il ruolo dell’online, che arriva ad occupare il 6,3% del fatturato (contro il 5,5% del 2012) e il 4,6% delle vendite a volume (contro il 4,3% dell’anno scorso). Dalle rilevazioni è rimasto, tuttavia, escluso un colosso come Amazon (che non fornisce i propri dati) e ciò lascia ipotizzare che la percentuale di fatturato complessivamente realizzata dal digitale possa essere, in realtà, molto più vicina al 10% del totale. Il primo posto in cui si comprano i libri sono comunque le librerie di catena, che passano da una quota di mercato del 41,5% nel 2012 a una del 42,2% nel 2013 (mentre resta stabile, flettendosi leggermente, la percentuale di vendita a volume, dal 41% al 40,8%). La grande distribuzione organizzata cresce in termini di copie acquistate (dal 22,2% al 24%) e resta sostanzialmente stabile a valore (dal 16% al 15,8%). Soffrono, invece, notevolmente le librerie indipendenti, che riducono ulteriormente la propria quota di mercato a valore (dal 37,1% del 2012 al 35,6% di quest’anno) e a volume (dal 32,5% al 30,5%).
Con riferimento ai settori, in questo primo scorcio del 2013, l’unico positivo sembra essere quello dei bambini e ragazzi (+4% a valore nei canali trade, +6% a volume). Le giovani famiglie sembrano investire sul futuro dei propri figli, spendendo sempre più per i libri a loro destinati, ed è in particolare la fascia dei più piccoli, quella da zero a cinque anni, a trainare la crescita del segmento. Perde invece il 10,7% a valore e l’11,1% a volume la non fiction pratica (guide cucina, viaggi, lifestyle…). Cala dell’ 8,7% a valore e dell’8,4% a volume anche la non fiction specialistica (testi di management, computer, professionale…). Più contenuta, invece, la riduzione delle vendite per la fiction (-3,7% a valore e -3,2% a volume) e per la non fiction generale (la saggistica, che registra un  -1,9% di fatturato e un -1,2% di copie vendute).
All’interno di un quadro certamente negativo” – ha commentato il Presidente di AIE Marco Polillo, nell’ambito del convegno torinese “Scene di paesaggio all’uscita dal tunnel. Editori e canali di vendita con lo sguardo puntato al di là della crisi” – “aggrappiamoci al dato in controtendenza che ci arriva dal settore dei libri per ragazzi”. “Ci auguriamo che questi nuovi ‘lettori’, che si avvicinano al libro fin dalla tenera età, riescano a mantenere quel rapporto anche per gli anni a venire, invertendo quell’avvilente dato che contraddistingue il nostro Paese, che vede ancora più della metà della popolazione totalmente estranea al libro”.
Al Salone del Libro si è cercato anche di comprendere come sia cambiata la comunicazione per le case editrici librarie, presentando i risultati di un’indagine condotta dall’Ufficio studi dell’AIE, in collaborazione con IE-Informazioni Editoriali, nel periodo che va da settembre 2012 a marzo 2013, sui 13 più noti blog letterari in Italia, selezionati in base a criteri di rappresentatività e notorietà. Ciò che è emerso è, in particolare, l’importanza crescente dei blog virtuali nel garantire una sorta di coda lunga in termini di visibilità, apprezzamento e vendite. I blog rappresentano una nuova piazza per gli editori: quasi il 3% dei titoli pubblicati in Italia è presente sui post analizzati (sono stati considerati solo i post in cui si parla in maniera estensiva di un singolo libro, escludendo quelli in cui i titoli vengono solo brevemente citati), il 39,1% dei quali rappresentano opere dei piccoli editori. In base all’analisi di alcuni casi specifici, il report mostra come il parlare di un libro in una simile vetrina digitale sposti al rialzo le vendite reali, soprattutto quando il titolo di cui si parla rientra nei gusti del pubblico cui fa riferimento la vetrina. Si tratta di cifre molto lievi, nell’ordine delle decine o centinaia di copie, ma che permettono comunque di delineare una tendenza percorribile nei prossimi anni.
Se il Web rappresenta una sede privilegiata per la comunicazione di un titolo nel suo intero ciclo di vita, la televisione sembra essere la sede ideale per garantire un più intenso “effetto lancio”. Programmi come “Che tempo che fa” risultano molto utili nell’ottimizzare la fase di lancio di un libro, anche se il loro forte effetto sulle vendite si indebolisce in circa una settimana. Questa politica comunicativa coinvolge solo lo 0,1% dei libri, per l’88% di grandi editori.
L’indagine mostra – come ha sottolineato Giovanni Peresson, Responsabile Ufficio studi AIE – “la consapevolezza diffusa da parte delle case editrici del ruolo che iniziano ad avere forme di comunicazione legate al web e quindi la creazione di competenze necessarie a gestire questo processo dal punto di vista dei linguaggi, dei tempi, della community”. “L’uso di una trasmissione di successo come ‘Che tempo che fa’ in fase di lancio, con risultati importanti, e dei blog come modo per gestire le altre parti del ciclo di vita del titolo con effetti minori ma di tutto interesse” rappresentano “altri tasti di un pianoforte comunicativo a disposizione dell’editore che li può suonare a seconda dei titoli o generi, o in relazione alla vita del libro”.
Ultimo spiraglio torinese aperto sul futuro dell’editoria italiano ha riguardato il mondo dei social network. L’Ufficio studi AIE ha mostrato anche come l’uso di simili piattaforme sia sempre più ampio, fornendo una sede di grande visibilità per i libri.
Cresce la percentuale di quanti scelgono un determinato titolo da acquistare attraverso il Web: era l’11% nel 2007, il 15% nel 2009 e arriva al 19% nel 2012 (contro il 68% di chi lo sceglie in base all’interesse per l’argomento, il 36% che si affida ai consigli degli amici, il 15% che punta a sconti o campagne promozionali, il 12% che fa riferimento a recensioni trovate sulla carta stampata, il 5% che si lascia guidare dall’esposizione nel punto vendita, un ulteriore 5% che va a vedere le classifiche di vendita, infine un 3% che è spinto dalla semplice pubblicità).
Il 58,9% delle case editrici che pubblicano più di 16 titoli l’anno usa i social, pari a 506 su 8440 editori. In primis utilizzano Facebook (circa la metà di tutti gli editori italiani, ma ben l’84,2% di chi è attivo in rete con un proprio canale), seguito da Twitter (il 39,3% degli editori, ma ben il 66,8% di quelli attivi in rete), YouTube (18,8% e 31,9%), Pinterest (12,6% e 21,1%), aNobii (7,7% e 13,1%), LinkedIn (7,3% e 12,4%), Google+ (4,5% e 7,7%), Flickr (1,6% e 2,7%) e Instagram (0,6% e 1%). Il 41,8% delle case editrici attive in rete usa più di tre strumenti simultanemente.
L’attenzione crescente verso questi mezzi multimediali evidenzia un mutamento nelle politiche comunicative degli editori, laddove alle copertine dei libri da sfogliare si va sostituendo un mix di video, booktrailer e immagini per catturare l’attenzione. Questo risulta vero tanto per le case editrici grandi, mainstream, quanto per le più piccole, specializzate su nicchie di domanda di lettura.
A fronte di un’ampia diffusione delle nuove tecnologie, non corrisponde tuttavia una costanza e intensità nell’utilizzo, se si considera che il 90% degli editori che usano Twitter non crea più di 5 tweet al giorno. Solo il 2,5% crea 10 o più tweet giornalieri, solo il 2,5% totalizza più di 90mila followers e solo il 3,5% più di 1.000 following. È dal 2007 che le case editrici italiane si sono avventurate su Twitter. La prima a farlo è stata la Elliot, seguita, l’anno successivo, da Apogeo, Edizioni Piemme, Minimum fax, Edizioni Coocole&Caccole. Nel 2012 se ne sono aggiunte ben 53, segnando un +11,3% sul 2011. Complessivamente sono 199 le aziende editoriali che cinguettano.
I tre mesi che precedono il Natale sembrano essere i preferiti dagli editori per attivare un profilo Twitter, dato che uno su tre (il 33,8%) sceglie proprio questo periodo, forse sulla scia di precisi piani commerciali, in vista di uno dei momenti più caldi a livello di vendite.
Si intravede, sottolineano in conclusione i promotori, la necessità di compiere investimenti in nuove competenze, linguaggi e paradigmi, capaci di cogliere l’essenza delle nuove forme comunicative che si stanno diffondendo accanto a quelle tradizionali. Allo stesso tempo il ritardo degli editori italiani, lamentato dai più con riferimento alla sfida digitale e social, viene giustificato con l’esigenza di seguire le tendenze del pubblico di riferimento: “Credo che” – ha sottolineato Peresson – “come qualunque impresa, gli editori non possono non aver tenuto conto di due elementi: i bassi indici di lettura nella popolazione, e il fatto che i ‘forti lettori’, quelli più motivati ad accedere a nuove fonti informative su cosa leggere, sono comunque il 12-13% dei lettori di libri. Dall’altro, il fatto, che abbiamo ancora scarsi (o occasionali) utilizzi ‘evoluti’ del web da parte della popolazione, al di fuori di community o di appassionati molto riconoscibili attorno ad alcuni generi”.
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Resistere alla crisi e puntare sull’innovazione: l’editoria punta sui più piccoli

Leggono più della media italiana, soprattutto in età prescolare. Sono maggiormente alfabetizzati al mezzo digitale rispetto ai genitori, che invece continuano a preferire il libro di carta, per paura di perderne la magia, e lamentano la carenza di titoli in italiano tra gli e-book

L’ampia diffusione della Rete e dei diversi devices mobili ha imposto un processo di rinnovamento che ha coinvolto interi settori. Questa non è certo una novità. Il processo di digitalizzazione che ha riguardato, in particolare, l’editoria è stato oggetto di un vivace dibattito culturale che ancora oggi non può dirsi concluso e che ha schierato, da un lato, gli intramontabili avversari dell’e-book, convinti che nulla potrà mai scalfire il fascino sensibile della carta, e, dall’altro lato, i sostenitori dell’innovazione ad ogni costo, che fin da subito hanno profetizzato la fine di un’era, quella del libro tradizionale. Le stime più recenti vedono – almeno con riferimento al contesto italiano – un mercato degli e-book ancora piuttosto embrionale, ma con tassi di crescita costanti e margini di sviluppo sempre più elevati, per quanto riguarda il numero di titoli e di lettori e il volume di vendite e fatturato.
Siamo ancora ben lontani dal poter delineare con certezza il destino riservato alla miriade di storie e trattazioni racchiuse in versi, capoversi e capitoli. I due mezzi – cartaceo e digitale – non dovrebbero essere concepiti come opposti, ma piuttosto come manifestazioni alternative di una stessa florida (almeno teoricamente) cultura collettiva. Scrivere la parola carta sulla tomba dell’apprendimento e dell’intrattenimento sembra essere più un esercizio di provocazione che non una reale consapevolezza. Allo stesso modo fingere di non vedere le numerose funzionalità rese disponibili dalla virtualità e dall’innovazione significa non avere la benché minima coscienza dello stato attuale dei fatti.
Quando si tratta di discutere pro e contro dei due veicoli, non vi è comunque alcun dubbio circa la necessità di attuare una diversificazione per generi. Scritture tecniche, scientifiche e giuridiche si prestano forse maggiormente ad una consultazione digitale, permettendo di effettuare ricerche maggiormente mirate, di seguire link ad approfondimenti e chiarimenti, di costruire segnalibri, librerie personalizzate, preferiti e appunti. Non molti, per contro, sembrano ancora pronti ad abbandonare il piacere di sfogliare delle pagine stampate, mentre sono immersi in avventure mozzafiato o in racconti dal finale strappalacrime.
Particolarmente interessante è, a questo proposito, concentrare l’attenzione su un genere che – tra i più vitali – delinea, negli ultimi mesi, delle tendenze particolarmente degne di nota. Ci si riferisce al segmento bambini e ragazzi, il quale, rispetto agli altri, mostra segni di sofferenza decisamente meno marcati, resistendo ad una crisi che ha imposto forti contrazioni del settore nel suo complesso. Stando ai dati Nielsen realizzati per l’Associazione Italiana Editori (AIE), il 2012 è il primo anno in cui anche tale segmento (che rappresenta il 14,1% del mercato) registra un rallentamento (-6,2% sul 2011), seppur decisamente inferiore rispetto alla media del mercato trade del libro (-8% circa). “La crisi non risparmia nessuno, ma per il mercato ragazzi è prevedibile un più rapido attraversamento del tunnel”, ha commentato Antonio Monaco, responsabile del gruppo editori per ragazzi dell’AIE.
Il settore dei più piccoli è stimato allora, a fine 2012, in circa 155,5 milioni di euro a prezzo di copertina. Queste rilevazioni Nielsen si concentrano sul mercato trade, dunque sulle librerie di catena, su quelle indipendenti e sugli store online, mentre restano esclusi la grande distribuzione organizzata e tutti i vari canali alternativi (cartolerie, uffici postali, negozi specializzati in articoli per bambini, collezionabili per bambini venduti in edicola…). Aggiungendo anche l’apporto della GdO, il valore realizzato dal comparto si aggirerebbe attorno ai 200 milioni di euro (-6,8% sul 2011).
Secondo stime AIE su dati IE – Informazioni editoriali, nel 2012 in Italia sono stati pubblicati 5.164 titoli di libri per bambini e ragazzi (per oltre 33 milioni di copie stampate), pari al 7,8% dell’intera produzione editoriale delle case editrici italiane. Il segmento 0-13 anni si conferma al terzo posto tra i generi più venduti nelle librerie fisiche (dati forniti dal servizio Arianna+ di IE), preceduto dalla narrativa e dalle biografie (al primo posto) e dalle scienze sociali e umane (al secondo) e con un peso (10,8%) in linea con il 2011 (quando rappresentava il 10,7%). Osservando poi l’andamento mese per mese, emerge come i picchi nelle vendite di libri per ragazzi siano nel periodo natalizio e all’inizio delle vacanze estive (quando queste arrivano a superare le vendite del settore adulti), a sottolineare l’importanza che la lettura detiene sia come regalo sia come sostituto temporaneo delle lezioni, infine come mezzo di intrattenimento per bambini e ragazzi.
A registrare i volumi più elevati di vendite nel 2012, sono, più in dettaglio, i libri della fascia 3-4 anni (27,8%), probabilmente grazie al forte successo editoriale dei libri di Silvia D’Achille su Peppa Pig. Al secondo posto per vendite troviamo le pubblicazioni pensate per la fascia 7-8 anni (21,9%), con la forza dei long-seller Geronimo Stilton e Harry Potter, e al terzo la fascia 5-6 anni (18,51%). Salendo oltre gli 8 anni, i pesi percentuali diminuiscono drasticamente: 13,47% per i 9-10, fino ad arrivare a un 9,58% per gli 11-13 anni.
La spesa media annua per bambino (0-14 anni, solo canali trade) è stata, nel 2012, pari a 18,7 euro, un valore bassissimo e che quasi triplica (48,5 euro) se la spesa viene calcolata per bambino lettore (6-14, solo canali trade).
Stando agli ultimi dati stimati da Liber, nel 2011 gli editori italiani attivi nel settore ragazzi risultano essere 184 (erano 198 nel 2010), le novità pubblicate sono 2.267 (-4,6%) e i Paesi da cui si sono acquisiti i diritti per i titoli pubblicati sono stati (guardando solo alle novità) soprattutto il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, Paesi Bassi e Spagna.
Se il settore non si flette completamente alla crisi, il merito è proprio dei più piccoli, che leggono più della media italiana: stando agli ultimi dati Istat, il 46% degli italiani con più di 6 anni legge almeno un libro in un anno (circa 26,2 milioni di persone), ma le percentuali salgono notevolmente se si considerano le sole fasce più giovani. La lettura coinvolge, infatti, il 54,3% dei bambini tra i 6 e i 10 anni (nel 2002 era il 45,2%), il 60,8% dei ragazzi tra gli 11 e 14 anni (percentuale praticamente identica a dieci anni fa) e il 59,8% dei 15-17enni (contro 53,7% del 2002). Percentuali di penetrazione ancora più elevate per la lettura prescolare: il 63,3% dei bambini di 2-5 anni legge, colora, sfoglia libri o albi illustrati tutti giorni al di fuori dell’orario scolastico. Sembra, dunque, che i bambini diminuiscano la propria attitudine alla lettura con l’inizio delle scuole elementari, a dimostrare come siano probabilmente più i genitori che gli insegnanti i veri promotori dell’importanza di questa esperienza percettiva e formativa.
La nostra forza sta nel fatto che i ragazzi leggono più degli adulti” – ha evidenziato ancora Monaco – “È in questa fase della vita che se si semina, si semina bene per sempre: la vera sfida che ci attende è dunque quella di accrescere ulteriormente lo sviluppo della lettura nei primi anni di vita e poi di saperlo conservare”.
Il motivo del forte attaccamento al libro dei bimbi più piccoli viene intravisto nel cambiamento d’approccio operato dai genitori italiani, i quali, essendo maggiormente scolarizzati, investono più delle generazioni precedenti nel futuro dei propri figli e nella loro formazione. A ciò si aggiungono la maggior diffusione di settori dedicati nelle librerie e le trasformazioni (nei materiali, formati, colori, storie…) che le case editrici hanno apportato ai propri prodotti pensati per la prima infanzia.
L’offerta editoriale rivolta ai più piccoli ha continuato, dunque, a crescere in maniera significativa negli ultimi anni, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, e questa crescita ha coinvolto in particolare il comparto digitale. Mentre nel 2011 i titoli e-book in commercio nelle librerie italiane online erano 1.182, nel 2012 si è giunti a quota 2.177 (+84%), sulla scia dell’elevata alfabetizzazione al mezzo da parte dei piccoli lettori digitali. Il 53,1% di coloro che hanno tra i 6 e i 10 anni utilizza, infatti, il pc (il 32,8% con cadenza settimanale) e il 76,3% nella stessa fascia d’età dichiara di accedere a Internet (dati Istat).
L’e-book rappresenta, inoltre, solo una delle molte declinazioni che l’editoria può raggiungere in tempi di multicanalità e villaggio globale. Contenuti multimediali, enhanced books, libri interattivi, applicazioni: forti sono anche in Italia le attenzioni per queste manifestazioni, come ha dimostrato il “Bologna Ragazzi Digital Award 2013”, il premio internazionale – giunto quest’anno alla seconda edizione – promosso da Bologna Fiere in collaborazione con la rivista statunitense Children’s Technology Reviewal, al fine di incoraggiare le produzioni eccellenti ed innovative nell’ambito delle app derivate da libri e indirizzate a bambini e ragazzi dai 2 ai 15 anni di età. Tra oltre un centinaio di candidature, il premio della categoria “fiction” è andato a “Four Little Corners” (Spagna), quello per la categoria “non fiction” a “War Horse” (Gran Bretagna); in mezzo alle 10 finaliste, è finita anche una app italiana, “IdentiKat”.
I vincitori sono stati proclamati durante il “TOC Bologna 2013” (Tools of Change for Publishing), la conferenza internazionale sulle ultime novità dell’editoria digitale, che, con oltre 300 operatori da 40 Paesi di tutto il mondo, si è svolta il 24 marzo scorso, alla vigilia della 50a edizione della Fiera del Libro per Ragazzi (25-28 marzo).
In tale occasione, sono stati diffusi anche alcuni dati che ben si inseriscono nel dibattito sul digitale riferito a questa precisa fetta del mercato editoriale: si tratta dei risultati di un sondaggio online lanciato, nel mese di gennaio, da Filastrocche.it, Happi ideas, Mamamò e Nati per Leggere, in collaborazione con AIB (Associazione Italiana Biblioteche), MLOL (MediaLibraryOnLine) e FattoreMamma. Hanno risposto in 1000 tra genitori (il 78,5% del campione), insegnanti o educatori (9%) e bibliotecari (7%), coinvolti principalmente con bambini dai 3 ai 10 anni. I rispondenti sono soprattutto donne (87,8%), hanno un’età media di 39 anni, un livello d’istruzione piuttosto alto (circa il 68% possiede una laurea o titolo post laurea) e una propensione tecnologica superiore alla media italiana (intuibile anche dalle modalità di raccolta dei dati): utilizza abitualmente il computer oltre l’85% del campione, lo smartphone il 53% e un tablet il 44% (anche se solo il 29,3% degli insegnanti e il 25,9% dei bibliotecari usano un tablet).
È emerso che – nonostante sia aumentata la qualità editoriale dei libri digitali per ragazzi – solo il 30,3% dei genitori italiani utilizza e-book con i propri bambini (nel caso di bibliotecari la percentuale scende al 25,7%), mentre quasi il 70% preferisce leggere loro libri cartacei.
La motivazione principale di chi dichiara di non aver mai usato e-book è la preferenza per i libri cartacei (62,7%); i timori più grandi sono di perdere la “magia del libro” (nel 78% dei casi), l’esperienza cioè sensoriale e tattile, e la possibilità che si disincentivino creatività, concentrazione e autonomia nella lettura. Tra le motivazioni che portano a preferire la carta, si evidenzia anche un buon 13,9% che ancora dichiara di non sapere dell’esistenza di libri digitali per bambini e un 23,7% che dice di non avere i supporti necessari alla lettura (percentuale che arriva al 33,3% tra gli insegnanti e al 44% tra i bibliotecari); da quest’ultimo dato si può rilevare una tendenza ad associare il libro digitale a devices mobili più che al computer.
Sulla scelta di fare uso di libri digitali per bambini, incide, infatti, soprattutto il possesso di un tablet, tanto che esso rappresenta il device più utilizzato per la lettura (68,6%) e tanto che il formato più sfruttato per fruire i libri virtuali risulta essere l’applicazione (oltre il 51%). Le caratteristiche maggiormente apprezzate nel libro digitale sono l’illustrazione e una bella veste grafica e, a seguire, l’interattività.
I libri digitali vengono usati soprattutto quando si è in viaggio, negli spostamenti in auto o quando occorre intrattenere i bambini (oltre 61%). I libri di carta rimangono i preferiti per le storie della buonanotte (oltre il 71% ne fa uso). Ciò è legato, in particolare, alle aspettative che si hanno quando si sceglie uno dei due mezzi: da un libro cartaceo ci si attende una buona storia, capace di stimolare la fantasia, mentre a un libro digitale si chiede il coinvolgimento, il divertimento, lo stimolo all’autonomia e una capacità educativa.
Nel 50,8% dei casi i bambini leggono libri digitali in compagnia di un adulto, contro il 31,4% che legge da solo ma in presenza di un adulto e un 17,8% che ha un approccio totalmente autonomo. Oltre il 72% di chi usa libri digitali per bambini considera la qualità dei contenuti abbastanza buona o buona. La problematica maggiore rilevata riguarda la carenza di titoli in italiano.
Per trovare buoni titoli digitali, le fonti maggiormente usate sono gli articoli e le recensioni online, seguiti dal passaparola e dai motori di ricerca. Genitori ed educatori sono disposti (oltre il 55% dei casi) a spendere almeno 4,99 Euro per un libro digitale di pregio (solo il 15,8% li scarica esclusivamente se offerti in forma gratuita). Qualità e disponibilità di contenuti in lingua italiana vengono indicati come i due elementi più influenti sulla propensione all’acquisto. Tuttavia ben l’88% di chi ha scaricato libri digitali si è rivolto a contenuti in lingua straniera.
Ci si imbatte, dunque, in conclusione, in un vero e proprio gap generazionale: da una parte abbiamo i piccoli nativi digitali che hanno buona familiarità con la tecnologia, di certo superiore a quella dei propri genitori; questi ultimi, dall’altra parte, riconoscono ancora il fortissimo valore pedagogico della carta. Resta da vedere, dunque, come si evolverà il rapporto tra queste due diverse anime dello stesso fenomeno.

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Multitasking, ibridazione, mobile: le molte anime del consumatore multicanale

Il 2012 segna il passaggio della multicanalità a fenomeno di massa, coinvolgendo il 53% della popolazione italiana. L’e-commerce diventa sempre più ideale per la vendita, la pubblicità rafforza il proprio ruolo chiave nel processo d’acquisto e si creano nuovi bisogni informativi e di relazione per gli utenti

Grazie alla progressiva alfabetizzazione informatica e alla massiccia diffusione delle nuove tecnologie, è mutato radicalmente, negli ultimi anni, il ruolo che l’utente sembra ritagliarsi all’interno del panorama dei media, del commercio e dell’agire aziendale. Non più un semplice bersaglio della filiera, ma parte attiva della stessa, sia in qualità di bisogni che chiedono soddisfazione sia in quanto ago di una bilancia capace di far spostare l’opinione degli altri consumatori, attraverso un nuovo potere che egli ha di divulgare ampiamente la propria esperienza.
Costantemente impegnato a monitorare l’evoluzione del consumatore multicanale e l’influenza di Web e tecnologia nelle dinamiche d’acquisto è l’Osservatorio Multicanalità, frutto della collaborazione tra Nielsen, Nielsen Online, Connexia e School of Management del Politecnico di Milano. Giunto al sesto anno di attività, esso ha presentato lo scorso 13 dicembre, presso il Politecnico di Milano, i risultati dell’indagine 2012 “Dai mass media alla multicanalità di massa?”, con tanto di hashtag ufficiale #OM12.
Il trend che innanzitutto sorprende è quello relativo all’evoluzione attuale della multicanalità, costretta a trasformarsi da fenomeno relativamente di nicchia (nel 2007, anno di fondazione dell’Osservatorio, toccava 15,7 milioni di italiani) a fenomeno di massa, che arriva ora ad interessare il 53% della popolazione over 14 (+13% sul 2011). L’indagine individua l’anno in corso come decisivo per la svolta verso tale inclinazione, trainata dall’inarrestabile diffusione della tecnologia e dal perdurare della crisi economica, la quale costringe sempre più a coinvolgere i consumatori in tutte le fasi del processo d’acquisto.
È un cambiamento radicale, insomma, quello portato dalla rete e dalle sue manifestazioni nello scenario economico-sociale italiano e globale. E il cambiamento – ha sottolineato Cristina Papini, Research & Analytics Director di Nielsen – passa anche attraverso un’istituzione millenaria come la Chiesa, che sembra dare segnali per un’apertura verso il nuovo, consapevole del potere sempre più forte dei new media: “il Papa parlava ai fedeli la domenica da piazza San Pietro, oggi parla ai fedeli chiamandoli amici via Twitter”.
La componente sociale è da sempre molto importante nell’agire aziendale, la differenza è che ora, grazie al successo delle molte piattaforme di social networking, essa è diventata essenziale nelle agende dei responsabili delle aziende e non più soltanto accessoria. Il digitale diventa sempre più essenziale nelle strategie di comunicazione e di vendita. Si pensi, ad esempio, all’advertising online, che – ha evidenziato ancora Papini – “sta crescendo e sta diventando parte del media mix delle aziende”: “solo 4 anni fa, nel 2008, tra le top 100 aziende in Italia investivano online solo 88. Sembra un numero elevato, in realtà oggi tutte e 100 investono online e l’investimento medio per azienda è, in questi 4 anni, triplicato”. Si fa strada una convinzione sempre maggiore, nell’agire aziendale, circa le potenzialità dei nuovi mezzi e, chi ora ci si avvicina, non lo fa in modo timido, ma sempre più massivo.
Non poche sono le opportunità del multiscreen (multischermo), della simultaneità, cioè, nell’uso di diversi devices per accedere ai contenuti. “I dati più recenti ci dicono che tra i possessori di iPad, il 45% fa shopping mentre guarda la televisione”, ha proseguito Papini. Affinché l’esperienza si faccia realmente ed efficacemente multicanale, è necessario permettere all’utente di portare a termine nella sua interezza la fruizione, consentendogli, ad esempio, di effettuare l’acquisto all’interno della propria esperienza di navigazione multicanale, senza imporgli di doversi spostare. Cambia, quindi, il paradigma di riferimento, poiché si “comprime il processo d’acquisto”, che diventa sempre più rapido e veloce. Una comunicazione aziendale efficace sarà, dunque, in grado di ridurre notevolmente i tempi impiegati dal consumatore per dare seguito al proprio desiderio di acquisizione. Ciò impone una maggiore sinergia tra comunicazione e canale distributivo, tra comunicazione e processo di organizzazione aziendale e si traduce in una grandissima opportunità per le imprese, ma, allo stesso tempo, in un elemento di ulteriore complessità.
Altro aspetto fondamentale del fenomeno multiscreen è l’interazione: gli utenti, mentre sono esposti ai contenuti prodotti dall’azienda, mentre sono bersaglio delle sue campagne comunicative, possono condividere, riportare le proprie esperienze, interagire. Viene superato, dunque, il rapporto tradizionale azienda-consumatore, si arriva a toccare il vissuto dei consumatori stessi. Le aziende non possono fare a meno, a questo punto, di sfruttare questo vissuto, comprendendo pienamente i confini e le prospettive delle trasformazioni in corso.
Emblema della possibilità di creare un legame esperienziale tra azienda e consumatore in Italia è stato, nelle scorse settimane, lo show televisivo X Factor: il successo del legame creato attraverso meccanismo di votazione, applicazione e tweet da condividere, ha reso il telespettatore protagonista della rappresentazione e ha permesso di superare il muro del milione di telespettatori nel corso della serata conclusiva (quota molto elevata per un canale pay).
A rendere possibile l’esperienza multiscreen sono ovviamente i canali mobile, divenuti ormai parte integrante della vita personale e aziendale. In Italia gli smartphone sono diffusi tra oltre la metà della popolazione (56%), superando addirittura gli Stati Uniti (50%). La penetrazione dei tablet è del 5%, percentuale ancora contenuta, tuttavia con ampissimi margini di crescita. Il mobile costringe a trasformare ancor di più il paradigma d’acquisto, consentendo a chiunque di comprare dove e quando vuole, liberando dai vincoli del negozio fisico e pure da quelli dell’hardware fisso della propria casa e del proprio ufficio.
Integrazione, mobilità e ibridazione rendono sempre più sfumato il confine tra mondo fisico e virtuale. La crescita esponenziale dell’e-commerce fa sì che i retailer si sentano minacciati dalle vendite online e dalle offerte sempre più vantaggiose da esse proposte. Nel contesto statunitense si diffondono pratiche di concorrenza sempre più spinta tra i settori dell’off e online, tra le quali il showrooming (i retailer online forniscono delle app che consentono al consumatore di controllare il prezzo praticato dai retailer offline e incentivano, quindi, l’acquisto online al prezzo più conveniente) e il pricematching (l’utente che si reca nel negozio fisico può consultare una app che indica il prezzo online e, se questo è più basso di quello offline, può chiedere alla cassa che gli venga applicato).
Cambiano le esperienza di vendita, costrette a modellarsi sulle mutate esigenze degli utenti. Secondo i risultati di una ricerca conclusasi poche settimane fa per conto di Marco Polo Expert – ricorda infine Cristina Papini – il punto di vendita ideale per il consumatore mantiene le sue caratteristiche base (poter toccare con mano i prodotti, poter provare, potersi rivolgere a un addetto per farsi consigliare, ma non dirigere, dato che consumatore arriva al punto vendita già informato), integrandole con formule innovative, che consentono, ad esempio, di andare a ritirare dei beni precedentemente ordinati online, di prenotare online un prodotto al momento out of stock, di leggere direttamente dal cartellino le recensioni e le esperienze degli altri utenti, di accedere a contenuti multimediali relativi al prodotto o di pagare direttamente attraverso il proprio cellulare.
La rivoluzione digitale sembra aver messo nelle mani del consumatore una sorta di nuovo potere, che le aziende sono costrette a prendere in considerazione, adattando il prodotto, la comunicazione, la distribuzione e il prezzo alle esigenze di tale potere.
I consumatori digitali rappresentano oggi la parte prioritaria della popolazione italiana e ciò comporta lo sviluppo di nuove sfide non solo per le aziende ma anche per coloro che si occupano professionalmente di analizzare il fenomeno: “I consumatori digitali sono diventati troppi, mettendo in crisi il sistema di riferimento usato in questi anni per studiarli”, ha rilevato Christian Centonze, Targeting & Segmentation Manager di Nielsen. Da qui la scelta dell’Osservatorio di cambiare prospettiva, limitando l’approfondimento al solo segmento degli utenti della rete. L’oggetto di studio non sarà dunque, più, da questa edizione in poi, l’intera popolazione italiana, ma – ad oggi – quei 31 milioni di consumatori digitali “evoluti”. “Se fino ad oggi bastavano due variabili per classificare i consumatori multicanale – essenzialmente quanto sono importanti le tecnologie digitali nel determinare il mio comportamento d’acquisto e quanto le utilizzo in modo interattivo […] – adesso queste variabili non bastano più, ne servono almeno altre due: la prima è la propensione all’e-commerce, la seconda, ancora più importante, è il ruolo dei devices mobile nella propensione all’acquisto”, ha sottolineato sempre Centonze. Utilizzando queste quattro variabili si passa dalla precedente definizione di due stili d’acquisto all’identificazione di quattro distinti comportamenti di consumo multicanale, raccolti in altrettanti cluster.
Troviamo innanzitutto i cosiddetti Newbie, che, pari a 5,3 milioni di individui, rappresentano i neofiti dell’approccio multicanale. Dal punto di vista sociodemografico, questo cluster è caratterizzato da una prevalenza di donne (60%), dalla presenza consistente di over 55 (34%), infine da una scolarità e una disponibilità economica adagiata sulla media italiana. Sotto il profilo psicografico, si tratta di individui con comportamenti piuttosto tradizionali: sono abitudinari, dedicano gran parte del tempo libero alla cura della casa e della famiglia, si dimostrano poco aperti all’innovazione, rappresentano un target ancora sostanzialmente televisivo, utilizzano un cellulare classico, non si impegnano per un processo d’acquisto particolarmente strutturato o pianificato, ma sono semplicemente orientati ad un prezzo basso. In questo segmento l’intensità di utilizzo del mezzo digitale non è particolarmente forte, si determina una multicanalità poco sviluppata, che si traduce in una bassa interazione con le aziende e con gli altri utenti, nella presenza di forti barriere all’accesso di un’esperienza e-commerce e nel ruolo ancora marginale dei devices mobili nel processo d’acquisto. La cosa interessante è che questo è un cluster molto piccolo: ciò significa che la multicanalità rappresenta una soluzione radicale, una volta che l’utente decide di intraprenderla, la abbraccia in modo massivo.
Gli Old Style Sufer, pari a 7,7 milioni di consumatori, si caratterizzano per un approccio al web “vecchio stile” e strumentale, pensato per agevolare il proprio processo d’acquisto. Dal punto di vista sociodemografico, si nota una moderata prevalenza di uomini (54%) e di giovani (gli under 35 sono il 35%), una scolarità medio alta e un reddito in media. Giovanili anche nell’atteggiamento: gli Old Style Surfer sono razionali e pianificatori, amano le novità, hanno fiducia nella tecnologia e nel progresso, nel tempo libero fanno sport, navigano molto in rete e giocano ai videogames; non sono particolarmente inseriti nel processo d’acquisto (non amano, infatti, fare shopping), ma utilizzano le tecnologie per rendere più efficiente tale processo e spendere, così, meno tempo possibile. Questi utenti sono ben immersi nella multicanalità, tuttavia il loro approccio non si discosta molto da quello tipico dei neofiti: bassa interazione con le aziende, leggono le opinioni di altri utenti ma non interagiscono a pieno con loro, hanno una propensione media all’e-commerce e i devices mobili possiedono un ruolo marginale nel loro processo d’acquisto.
I Social Shopper sono i veri protagonisti dell’attuale scenario digitale, rappresentano il gruppo più numeroso, pari a 10,7 milioni, e si caratterizzano per il forte ruolo che la rete gioca nella loro esperienza di spesa. Dal punto di vista sociodemografico, anche tra essi vi è una prevalenza di uomini (56%), una scolarità medio alta e un reddito in media; ben il 58% appartiene alla fascia degli over 45. Centonze li definisce il “ceto medio illuminato”: sono curiosi, amano le novità, l’innovazione e la tecnologia, praticano attività culturali, il bricolage, navigano molto su internet, sono persone estroverse e al tempo stesso solide e razionali; sono i veri professionisti dello shopping, il loro processo d’acquisto risulta particolarmente strutturato e la tecnologia è la loro migliore alleata nella costante ricerca della “smart choice”, ossia di acquisti intelligenti (coupon, deal, offerte vantaggiose) e del miglior rapporto qualità/prezzo. Utilizzano le nuove tecnologie in modo non solo intenso, ma anche particolarmente maturo: interagiscono in modo elevato con le aziende, partecipano attivamente alle discussioni con gli altri utenti, hanno una propensione medio-alta all’e-commerce, tuttavia anche per loro il ruolo dei devices mobili è piuttosto marginale nel processo d’acquisto. Sono proprio la numerosità e il profilo dei Social Shopper ad attestare come ormai la multicanalità possa essere definita un fenomeno di massa.
Infine gli Hyper Reloaded, che sono 7,6 milioni e rappresentano la punta massima del consumatore multicanale. Si tratta di un cluster fortemente maschile (59%), concentrato nelle fasce centrali d’età (i 25-44enni rappresentano il 57%) e con un livello socioeconomico alto (alta scolarità e ottima disponibilità di reddito). Gli Hyper Reloaded possiedono il profilo del consumatore ideale: sono estroversi, eclettici, sperimentatori, alla ricerca di avventura, di divertimento e dei più recenti devices tecnologici; hanno una vita sociale molto intensa, spendono il proprio tempo libero in svariate attività in e outdoor, viaggiano spesso all’estero e passano molto tempo fuori casa. Il loro processo d’acquisto è molto strutturato, possiedono un elevato fabbisogno informativo e rincorrono la “smart choice”, ma sono disposti a spendere in misura elevata. Utilizzano in modo assiduo le nuove tecnologie, che permettono loro un’interazione medio-alta con le aziende, una partecipazione attiva alle discussioni con gli altri utenti e un’alta propensione all’e-commerce. Per questo cluster i devices mobili sono fondamentali nel processo d’acquisto.
Ad essi sarà necessario guardare per comprendere come si evolverà lo scenario della multicanalità in Italia, da ciò l’importanza che la dimensione mobile dovrà avere nell’orientare le risorse e gli investimenti ideativi delle aziende: “Se da una parte i Social Shopper testimoniano la rilevanza della multicanalità nel presente, dall’altra gli Hyper Reloaded prefigurano quali traiettorie evolutive possiamo immaginare per la multicanalità nel futuro e in particolare come tali traiettorie siano intimamente connesse al crescente ruolo che smartphone e tablet si stanno ritagliando nel processo d’acquisto degli italiani”, ricorda ancora Centonze.
Cresce in maniera esponenziale l’e-commerce: Internet diventa per il 56% dei rispondenti il canale di vendita adatto alle proprie esigenze personali e migliora la percezione dell’esperienza d’acquisto online: tra gli elementi considerati positivi, vi sono la comodità (41%), convenienza (27%, in crescita di 3 punti percentuali sul 2011), assortimento (29%, +4%) e shopping experience (18%, +4%); migliorabili gli aspetti di percezione relativi a sicurezza e post vendita (comunque in crescita).
Con riferimento alle categorie merceologiche più acquisite online, accanto a quelle storicamente affini al commercio elettronico (ricariche telefoniche, prodotti di editoria, elettronica di consumo, viaggi, ticketing…), crescono notevolmente l’abbigliamento, che si colloca al secondo posto (il 29% di chi ha fatto shopping online si è collocato in questa categoria), e i prodotti per la cura della persona, che rappresentano la prima categoria di largo consumo acquistata online.
In relazione agli strumenti di pagamento utilizzati, la carta di credito tradizionale si conferma il metodo più diffuso (31% di chi ha effettuato acquisti online), ciononostante alcuni metodi alternativi hanno conosciuto uno sviluppo sensibile, come PayPal (29%) e sprepagate (22%).
L’Osservatorio ha cercato, inoltre, di quantificare la disponibilità crescente degli italiani a fare e-commerce, chiedendo agli intervistati se negli ultimi 6 mesi avessero effettivamente acquistato beni o servizi in rete: a rispondere positivamente è stato in media il 46% del campione, pari a 14,4 milioni di italiani, con una propensione all’acquisto irrisoria da parte dei Newbie (14%, pari a 0,7 milioni di individui), ridotta da parte degli Old Style Surfer (41%, pari a 3,2 milioni di persone) e consistente da parte dei Social Shopper (50%, cioè 5,4 milioni di individui) e soprattutto degli Hyper Reloaded (66%, pari a 5,9 milioni di utenti).
Con quale device si fa e-commerce in Italia? Da questo punto di vista emerge il divario rispetto allo scenario oltreoceano, con quel 92% di transazioni che ancora avvengono tramite pc tradizionale. Tuttavia notevoli sono i margini di crescita per i tablet, considerando che essi si posizionano al secondo posto per utilizzo in fase d’acquisto (4%), sopravanzando gli smartphone (3%), nonostante la loro bassissima diffusione tra la popolazione italiana rispetto ai telefoni cosiddetti intelligenti.
L’indagine ha inteso poi rilevare la sede virtuale dell’acquisto: il 34% del campione compra direttamente sul sito di chi produce il prodotto o il servizio, decretando, di fatto, una contrazione della filiera della vendita, quella che Centonze chiama “disintermediazione”. Aumenta parallelamente la fiducia per i venditori che operano esclusivamente online, con il 31% di surfer che affermano di aver acquistato sul sito di un e-store e il 10% che ha sfruttato un sito di social shopping. Tutte queste tendenze sembrano minacciare i punti vendita e le catene tradizionali, ancorati nell’online a una misera percentuale del 15% di utenti che acquistano sul loro sito.
Il processo d’acquisto sotteso all’online risulta – ci dice ancora l’Osservatorio – completamente diverso rispetto a quello tradizionale, definendosi in forma sostanzialmente monomediale: il 54% di coloro che hanno fatto shopping online dichiara di essere venuto a conoscenza del prodotto o servizio acquistato proprio attraverso la rete, contro un 11% che deve l’acquisto al passaparola di amici e parenti e un 10% alla televisione. Più in particolare, lo strumento virtuale più utilizzato sembra essere il motore di ricerca, tuttavia, spostandosi sui cluster più avanzati, salgono di rilevanza anche tutte le altre fonti di informazione: per i Social Shopper, ad esempio, i motori di ricerca (31%) sono seguiti dalle newsletter (18%), dal passaparola online (17%) e dall’advertising online (7%); quest’ultimo diventa addirittura la seconda fonte più importante per gli Hyper Reloaded (22%), dopo i motori (28%) e prima di adv (17%) e newsletter (10%). Un processo d’acquisto, quindi, certamente monocanale, ma abbastanza complesso e articolato.
Con riferimento al ruolo della rete nella ricerca di informazioni su beni e prodotti – al di là del processo d’acquisto vero e proprio – rimane pressoché stabile la quota di quanti vedono il Web come fonte principale in tal senso (84%) e aumenta la quota di quanti lo utilizzano per confrontare i prezzi (dal 74% del 2010 al 78% del 2012). Le informazioni vengono ricercate da casa per il 78% del campione (percentuale che sale all’84% con riferimento ai Social Shopper e addirittura al 93% per gli Hyper Reloaded), dall’ufficio per il 21%, in mobilità per il 18% e direttamente nel punto vendita per un misero 17%: si tratta di una svolta epocale rispetto all’approccio tradizionale che vede il punto vendita come principale referente del potenziale cliente.
I siti dedicati ai confronti tra i prodotti si confermano, per gli utenti, la fonte d’informazione più rilevante sul Web (55%), seguiti, subito dopo, dalle opinioni degli altri utenti (54%), opzione in forte crescita rispetto agli scorsi anni. Alle porte del 2013 sembrano essere, dunque, gli stessi consumatori il mezzo prioritario che le aziende devono sfruttare per ottenere la sperata fiducia nell’affidabilità dei propri prodotti e servizi. Al terzo posto tra le fonti considerate più affidabili, vi sono i siti delle aziende (40%) e articoli di esperti e opinion leader (28%).
Al centro dello sviluppo multicanale dell’agire imprenditoriale, vi è allora il cliente, i cui giudizi e la cui interazione arrivano oggi ad influenzare notevolmente lo stesso processo d’acquisto: aumentano negli anni le percentuali di quanti apprezzano la lettura delle opinioni di altri consumatori (dal 58% del 2010, al 62% del 2010, fino al 68% del 2012) e quella di coloro a cui piace partecipare attivamente alle discussioni online su prodotti e servizi (dal 23% del 2010, al 24% del 2011, fino al 27% del 2012). Tra le principali categorie merceologiche in cui il buzz gioca un ruolo chiave, troviamo l’elettronica di consumo, i ristoranti/locali, i viaggi e i prodotti alimentari. Un commento positivo letto su Internet può, in definitiva, spingere un qualsiasi utente a comprare il bene oggetto di commento, al contrario un giudizio negativo può facilmente indurre ad abbandonare l’acquisto. Questa consapevolezza è alla base del clamore suscitato nei mesi scorsi dai presunti fenomeni di scambio di commenti e crowdturfing su piattaforme quali TripAdvisor, in grado di deviare, proprio grazie alla massiccia e attiva presenza degli utenti, gusti e scelte generali, a favore di alcuni operatori e a discapito di altri.
Il consumatore reso così forte dall’innovazione tecnologica non sembra, tuttavia, mettere in crisi il mondo della comunicazione pubblicitaria, che, al contrario, continua a giocare un ruolo chiave nel processo decisionale d’acquisto. La televisione si conferma il mezzo che maggiormente invoglia a comprare (40%, contro il 37% del 2011), seguita dal punto vendita (23%, stabile rispetto al 22% del 2011) e da Internet (17%, contro l’11% dello scorso anno). Tutti e tre i mezzi comunque si dimostrano, con riferimento a questo parametro, in crescita rispetto al 2011, con un tasso che raggiunge per la rete quasi il 50%.
Se si scompongono questi dati in relazione ai cluster individuati, si nota come comunicazione sullo schermo televisivo e su Internet siano correlate positivamente in termini di efficacia (tanto più è efficace è l’una, tanto più lo sarà l’altra), creando una logica di sinergia più che di competizione tra i mezzi (sinergia che esclude però i punti vendita, le cui comunicazioni risultano inefficaci per invogliare l’acquisto degli Hyper Reloaded)
A ciò è legato il fenomeno del multitasking, che sembra assumere quest’anno dimensioni enormi: 8,4 milioni di individui passano almeno la metà del tempo davanti alla televisione con un PC, 5,7 milioni con un cellulare e 1,4 milioni con un tablet. Complessivamente, allora, utilizza un qualsiasi device per almeno la metà del tempo trascorso davanti alla tv ben il 34% del campione, pari a 10,6 milioni di individui, con una netta prevalenza degli Hyper Reloaded.
Questo dato rischia di imporre un cambiamento radicale negli obiettivi da dare ad una qualsiasi comunicazione pubblicitaria aziendale: se fino a ieri – ha sottolineato infine Centonze – lo scopo di uno spot televisivo “era sedimentarsi nella testa del consumatore sperando poi di influenzare il suo comportamento d’acquisti più in là, adesso un altro obiettivo concreto diventa quello di influenzare il suo comportamento subito, magari portandolo a interagire”.
Mobile e multi-tasking sembrano essere, dunque, in definitiva, i due grandi fenomeni capaci di trasformare ulteriormente il processo d’acquisto degli utenti.
Lo scenario delineato appare piuttosto stimolante per il tessuto imprenditoriale italiano, la sfida in capo all’agire aziendale non riguarda soltanto un cambiamento del media mix pubblicitario (in cui cresce la quota di internet, pari ormai al 13,1% del totale investimenti pubblicitari), ma impone di prendere in seria considerazione i mutamenti nei comportamenti d’acquisto multicanale dei diversi cluster, progettando di conseguenza opportune strategie: “I nuovi segmenti di consumatori multicanale pongono sfide importanti alle imprese. Conoscerli in dettaglio è importante per evitare di bombardarli di informazioni su tutti i canali ma per coinvolgerli in esperienze nuove di interazione con l’impresa, che creino un legame più profondo con la marca” – ha dichiarato Andrea Boaretto, Head of Marketing Projects School of Management Politecnico di Milano – “specialmente in un periodo come l’attuale in cui le marche vivono una crisi di identità e di capacità di essere rilevanti per i consumatori”, facendo leva solo su promozioni e sconti.
In questo contesto” – ha evidenziato in conclusione Giovanni Pola, Managing Director di Connexia – “per le aziende dialogare con i consumatori proponendo contenuti e iniziative di engaging non è più sufficiente. Il consumatore si vuole vedere premiato per ‘spendere’ il proprio time budget nella relazione con l’azienda. Come dire ‘Ci tieni a me? Dimostramelo non solo a parole’. Ecco che mantenere una relazione stretta basata su interessi comuni e premiare questa relazione in modo tangibile con iniziative di rewarding diventa fondamentale
Pubblicato su: PMI-dome

Ecosistema media Italia: personalizzazione e integrazione

La televisione e la radio si confermano i media più diffusi, ma mutano le esperienze fruitive, che sempre più vedono protagonisti il Web e il mobile. Decolla la “app economy”, boom di rete e piattaforme social, segno meno per la carta stampata, positivo l’andamento degli e-book
Personalizzazione e integrazione. Sembrano essere queste le parole d’ordine nell’evoluzione del panorama mediatico italiano. L’individuo si pone sempre più al centro delle proprie prassi fruitive, rafforza la propria presenza in qualità di lettore, telespettatore e radioascoltatore e si fa contenuto egli stesso. Declinazione 2.0 del Web, crescita esponenziale del social networking, miniaturizzazione dei dispositivi hardware, proliferazione delle connessioni mobile e delle applicazioni: sono alcuni dei fattori che hanno imposto la centralità dell’io nell’attuale modo di intendere i media. Un io che si fa al tempo stesso soggetto e oggetto delle sempre più complesse logiche comunicative. A ciò si aggiunge una progressiva commistione tra le funzionalità di mezzi di divulgazione un tempo considerati unici e indivisibili.
L’istituto di ricerca Censis ha rilasciato pochi giorni fa il suo 46esimo “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, relativo all’anno in corso. Nato come strumento di analisi e interpretazione di fenomeni, processi, tensioni e bisogni sociali emergenti, lo studio ha inteso approfondire, tra gli altri, proprio il settore media e comunicazione, tracciandone la fisionomia, le criticità e le prospettive, in un contesto teso tra crisi e spiragli di innovazione.
Gli utenti italiani dei media, ad uno sguardo generale, sembrano essere un po’ degli “Esploratori, per dirla con una delle tipizzazioni scelte da Jean Marie Floch per il suo noto studio sui percorsi effettuati dai viaggiatori della metropolitana. Il semiologia francese (tra i primi a sperimentare un approccio socio-semiotico allo studio dei comportamenti di consumo e dei processi comunicativo-pubblicitari) definisce gli Esploratori come coloro che valorizzano la discontinuità, che ricercano e apprezzano i “percorsi” discontinui, le variazioni, rimanendo comunque attaccati a dei valori di riferimento, preferendo cioè ritrovare quanto già conoscono piuttosto che scoprire qualcosa di completamente nuovo.
I dati Censis sui consumi mediatici degli italiani nel 2012 evidenziano, allora, come gli unici mezzi di comunicazione capaci di riscuotere un successo crescente e di incrementare la propria utenza di riferimento siano proprio quelli che sostanzialmente integrano le funzioni dei vecchi media in una rinnovata dimensione Web. Si pensi, ad esempio, agli smartphone, frutto di un connubio tra il classico telefono e le potenzialità aggiuntive del Web, o ai tablet, che uniscono, in un’unica esperienza percettiva, la tradizionale visione a schermo da TV, la lettura di libri e giornali, la visualizzazione da PC e la navigazione in rete.
Regina incontrastata tra i media continua a essere la televisione, con un pubblico di utenti che sostanzialmente coincide con la totalità della popolazione (il 98,3%, con un incremento dello 0,9% nell’utenza complessiva rispetto al 2011). Cambiano tuttavia le modalità scelte per guardare la TV, il telespettatore diventa sempre più protagonista dell’esperienza percettiva, creando spesso palinsesti totalmente personalizzati: si consolida il successo delle TV satellitari (+1,6% di utenza), si diffondono le mobile TV (+1,6%) e le Web TV (+1,2%).
La crescita di queste ultime, nonostante i forti ritardi infrastrutturali presenti nel territorio nazionale, è del resto confermata da numerose stime, come quelle costantemente prodotte e diffuse dall’Osservatorio Altratv.tv, che vedono il Belpaese al sesto posto, a livello europeo, per consumo di questo tipo di contenuti, con 642 Web TV attive. In una recente indagine, realizzata in collaborazione con la Fondazione Rosselli, l’osservatorio ha previsto che i servizi video in rete frutteranno, entro il 2012, ben l’8% del fatturato totale della televisione, percentuale che, entro il 2020, dovrebbe salire addirittura al 10%. Questo grazie soprattutto ai forti investimenti nel settore da parte dei grandi player mondiali.
Il percorso verso la personalizzazione del consumo diventa ancor più rapido se si considera il solo segmento più giovane della popolazione: ci dice il Censis che oggi un quarto degli italiani collegati alla rete (il 24,2%) ha l’abitudine di guardare i programmi dai siti Web delle emittenti televisive e il 42,4% cerca tali programmi su YouTube (o altri siti simili), per ritagliare un’esperienza totalmente su misura; tra gli internauti 14-29enni, tali percentuali salgono, allora, rispettivamente al 35,3% e al 56,6%.
Anche la radio rimane un mezzo a larghissima diffusione, raggiungendo l’83,9% della popolazione, con un tasso di crescita del 3,7% rispetto al 2011. Anche in questo caso a risultare vincente è la commistione tra esperienze percettive un tempo separate: a fronte di un calo di 2,7 punti percentuali nel consumo di radio tradizionale e di 1,7 punti percentuali nell’utilizzo di un mezzo digitale di prima generazione come il lettore portatile di file MP3, si rileva un incremento del 2,3% tra coloro che ascoltano la radio via Web tramite il PC (il 10,1% della popolazione) e dell’1,4% tra coloro che la ascoltano per mezzo dei cellulari (il 9,8% della popolazione).
Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai da 8 italiani su 10) aumentano ulteriormente la propria utenza complessiva (+2,3% sul 2011), venendo utilizzati ormai da 8 italiani su 10 (81,8%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata dal 15% del 2009 al 27,7% del 2012.
È ancora la fascia dei 14-29enni a innalzare la media di diffusione degli smartphone (54,8%) e pure quella dei tablet (13,1%, contro il 7,8% riferito alla media nazionale). È di certo un’utenza ancora di nicchia quella dei tablet, tuttavia si notano interessanti trend e margini di crescita.
Nel primo semestre 2012 il traffico dati registrato sulle carte SIM è cresciuto del 12,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; si contano ben 21 milioni di schede che effettuano traffico dati e il volume medio prodotto da ciascuna di esse è del 21% in più rispetto al 2011.
Decolla di conseguenza la cosiddetta “App Economy”: nell’ultimo anno il 37,5% di chi usa smartphone o tablet ha scaricato applicazioni e il 16,4% ha dichiarato di averlo fatto spesso (il restante 21% qualche volta). Tra le molteplici funzionalità messe a disposizione da questo ecosistema digitale, le più apprezzate sembrano essere quelle riferite alla dimensione ludica: in cima alla classifica delle app più scaricate figurano i giochi (ricercati dal 63,8% di chi ha scaricato applicazioni). Seguono informazioni meteo (33,3%), informazioni stradali (32,5%) – con un utilizzo prevalente da parte del pubblico maschile (40,6%) rispetto a quello femminile (21,5%) – e mondo della condivisione e dei social network (27,4%). Il download di applicazioni per le news interessa il 25,8% della popolazione di riferimento, soprattutto uomini (29,5%), 45-64enni (30,7%) e più istruiti (31,3%). Il 23,8% ha scelto app multimediali, il 23,2% app per telefonare e inviare messaggi istantanei via Internet, infine il 16,2% ha preferito scaricare app relative al settore trasporti, turismo e viaggi.
Il mezzo che complessivamente registra nel 2012 il tasso di crescita maggiore sul 2011 è Internet (+9%), con una penetrazione che passa dal 53,1% al 62,1% (e che solo dieci anni fa, nel 2002, era pari al 27,8% della popolazione). Il dato sale notevolmente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%).
Continua parallelamente la crescita dei network sociali: il 66,6% delle persone che hanno accesso a Internet risulta iscritto a Facebook (lo scorso anno la stima era del 49%), pari al 41,3% dell’intera popolazione e al 79,7% dei giovani tra i 14 e i 29 anni. YouTube, che nel 2011 raggiungeva un tasso di diffusione pari al 54,5% delle persone con accesso alla rete, arriva ora al 61,7% (cioè al 38,3% della popolazione complessiva). Messenger raggiunge il 14% dell’utenza Web (9,2% del totale), Twitter l’8,8% (5,4% del totale).
Segno meno anche quest’anno per la carta stampata: i lettori di quotidiani registrano un -2,3% rispetto al 2011 e passano da un tasso di diffusione del 67% nel 2007 a una penetrazione che coinvolge il 45,5% degli italiani. Per contro, guadagnano quote i quotidiani online (+2,1% sul 2011), arrivando al 20,3%. Perdono lettori anche free press (-11,8%, con una penetrazione pari al 25,7% della popolazione), i settimanali (-1%, diffusione al 27,5%) e l’editoria libraria (-6,5%, utenza del 49,7%).
Meno della metà degli italiani, insomma, legge almeno un libro all’anno e diminuiscono i cosiddetti “lettori forti” (quelli che di libri ne leggono almeno dieci all’anno), che passano dal 25,6% (su un totale di lettori del 59,4%) di soli cinque anni fa all’attuale 13,5% (dei 49,7% lettori complessivi); crescono di conseguenza i lettori occasionali (che leggono uno o al massimo due libri all’anno), saliti dall’11,2% del 2007 al 41,1% del 2012.
Nella fascia dei più giovani si aggrava l’allontanamento dalla carta stampata, con i lettori di quotidiani fermi al 33,6% (contro il 35% del 2011) e lettori di libri bloccati al 57,9% (contro il 68% del 2011).
Positivo – prosegue il Censis – l’andamento degli e-book, con un +1% che, tuttavia, non si dimostra in grado di invertire lo scenario buio. I lettori abituali (almeno tre e-book letti all’anno) sono appena lo 0,7% della popolazione, ma aumenta il numero di titoli digitali immessi sul mercato dalle case editrici (37.662 a settembre 2012, contro i 19.884 di dicembre 2011) e il 37% delle novità editoriali viene oggi pubblicato anche in versione e-book.
Alcuni tenui segnali di ripresa sono stati, inoltre, di recente individuati da Nielsen, che ha stimato una perdita di 7,5 punti percentuali sui consumi di libri a fine ottobre (pari a 82milioni di euro di spesa in meno): si tratta di una perdita importante, che tuttavia lascia spazio all’ottimismo, se si considera che il mercato registrava un -11,7% a fine marzo e un -8,6% a inizio settembre.
Inizia poi a farsi strada una nuova tendenza, quella del self publishing, cioè l’auto-pubblicazione di libri: secondo l’Aie (Associazione Italiana Editori), nel 2011 sarebbero stati rilasciati 1.924 codici Isbn direttamente ad autori per auto-pubblicazioni e sarebbero circa 40.000 i titoli auto-pubblicati attualmente in catalogo, pari al 5% di tutti i titoli in commercio (dei quali 6.500 sono stimati essere in formato e-book).
A fare da contraltare alla riduzione dei consumi di quotidiani è il successo dei portali Web d’informazione generica (che non fanno cioè riferimento a testate giornalistiche), utilizzati ormai da un terzo degli italiani (il 33% nel 2012); non sarebbe, dunque, il bisogno di informazione a essere diminuito, bensì sarebbero mutate le vie scelte per soddisfare tale bisogno. Gli esperti del Censis parlano di “autoreferenzialità dell’accesso alle fonti di informazioni”, intendendo la deriva alla personalizzazione che ha subito, nel tempo, attraverso la rete, l’esperienza di lettura degli utenti della notizia. Il rischio è, allora, che il Web diventi uno strumento per cercare conferma alle opinioni, ai gusti e alle preferenze che già si possiedono, facendo cadere il mito romantico di un’informazione capace di sollevare la riflessione a prescindere da preconcette convinzioni.
L’intensa diffusione nell’utilizzo del Web e delle piattaforme social ha posto, infine, non poche problematiche in tema di privacy, vista l’immensa quantità di dati e informazioni personali messa – più o meno consapevolmente – a disposizione dagli stessi utenti ogni giorno. Lo studio Censis ha inteso, allora, indagare anche su questo rovescio di medaglia, rilevando come ben il 75,4% di chi accede a Internet ritenga vi sia un rischio concreto di violazione in tal senso. In particolare, il 23,5% teme la registrazione da parte dei motori di ricerca dei propri percorsi di navigazione, il 21,4% si preoccupa della possibile acquisizione e dell’utilizzo a scopi commerciali di proprie informazioni, da parte delle applicazioni utilizzate, il 14,7% teme la geolocalizzazione, la possibilità cioè che alcune applicazioni possano registrare la propria posizione.
Esistono, poste queste premesse, delle soluzioni al problema della riservatezza in rete? Il 54,3% degli italiani ritiene che siano necessarie maggiori tutele, attraverso una normativa più severa che preveda sanzioni e rimozione dei contenuti sgraditi; il 29,3% pensa, al contrario, che sia impossibile garantire la privacy nella virtualità, dove non vi è distinzione tra pubblico e privato; l’8,9% ritiene di poter tranquillamente sacrificare la privacy sull’altare della condivisione e dei benefici che ne derivano; infine un residuale 7,6% crede non ci siano rischi e che le attuali regole a garanzia siano sufficienti.
Pubblicato su: PMI-dome

Lo shopping nell’era della mobile mania e del web 2.0

Una recente indagine condotta da Nielsen spinge a riflettere sulla portata del fenomeno e-commerce, sulle sue più attuali tendenze e sulle radicali modificazioni introdotte nelle abitudini d’acquisto dei consumatori

Avranno probabilmente l’amaro in bocca i molti bambini abituati all’amata gita settimanale a bordo del carrello della spesa, in compagnia di mamma e papà. Pare, infatti, che, tra qualche tempo, supermercati e ipermercati potrebbero veder notevolmente ridotto il numero di frequentatori, venendo sostituiti dai comodi e convenienti negozi on-line.
Si tratta, ovviamente, di una prospettiva ancora lontana, eppure alcuni segnali lasciano intuire come molti operatori del largo consumo stiano iniziando a comprendere la portata potenzialmente rivoluzionaria della rete, nelle proprie scelte di distribuzione.
Alla luce delle complesse dinamiche economiche dell’ultimo periodo, gli utenti stanno modificando le proprie abitudini di spesa, ricorrendo a Internet per rafforzare il proprio potere informativo e la propria inclinazione al risparmio. In un simile contesto, “essercirappresenta per le aziende una via di sperimentazione sempre più obbligatoria e non soltanto alternativa, offrendo il Web le maggiori potenzialità in termini di crescita.
Le difficoltà non sono poche, le imprese hanno l’esigenza di monetizzare gli investimenti in marketing e molti sono i fattori tecnologici e logistici implicati, ma, prima ancora di tutto questo, gli ostacoli da superare sono di ordine culturale.
Nielsen – azienda leader nelle misurazioni e analisi relative ad acquisti e consumi, a utilizzo e modalità di esposizione ai media – ha da poco pubblicato i risultati relativi ad uno studio su “Come la connettività influenza lo shopping globale”, utili a comprendere la portata delle trasformazioni in corso sulle prassi d’acquisto dei consumatori, in seguito alla capillare diffusione della rete.
Alla base dell’indagine vi sono le interviste rivolte a oltre 28.000 utenti Internet in 56 Paesi e dalle elaborazioni emerge che sono i software per computer e giochi la categoria che nel 2012 ha conosciuto la percentuale di crescita maggiore (18 punti percentuali rispetto al 2010) nella propensione all’acquisto online da parte degli utenti: il 29% degli intervistati prevede, infatti, di acquistare prodotti simili, entro i prossimi sei mesi, tramite un qualsiasi dispositivo connesso alla rete, contro l’11% rilevato nel 2010.
L’intenzione di comprare online biglietti per eventi di intrattenimento è aumentata poi di 10 punti, passando dal 20% al 30%, mentre l’hardware per computer e giochi ha visto un incremento di 6 punti, arrivando al 25%, le pubblicazioni video e musicali (CD, VCD, DVD) di 5 punti (dal 18% al 23%), gli accessori per auto e moto di 4 punti, raggiungendo l’11%, i prodotti per l’igiene personale e i cosmetici di 3 punti (dal 22% al 25%), il settore abbigliamento/accessori/scarpe/gioielli di 1 solo punto, passando dal 36% al 37%, imponendosi comunque, in termini assoluti, al primo posto per propensione degli utenti all’acquisto tramite web. Al secondo posto di tale classifica spunta poi il comparto libri/riviste/giornali in formato cartaceo, che tuttavia perde 11 punti sul 2010 (dal 44% al 33%), causa – come vedremo – il parallelo aumento di propensione all’acquisto per le versioni digitali. Al terzo posto (a pari merito con l’acquisto di biglietti per eventi d’intrattenimento) le prenotazioni di viaggio (treno, aereo, auto, nave), anch’esse in calo, seppur decisamente lieve, sul 2010, passando dal 32% al 30%.
Il 26% dei consumatori prevede di acquistare cellulari (inclusi relativi accessori) e il 20% e-books e abbonamenti a quotidiani e riviste online (complice la diffusione sempre più ampia dei vari devices mobile, come smartphone e tablet), entrambe categorie di nuova introduzione nella ricerca 2012.
Tuttavia la vera novità emersa dall’indagine riguarda la spesa quotidiana nel settore del Food & Beverage: sottolineano i promotori dell’indagine come la propensione ad acquistare online prodotti di questo tipo sia cresciuta del 44% in due anni, con oltre un quarto del campione (26%) che prevede di comprare alimenti e bevande, entro i prossimi sei mesi, collegandosi a Internet tramite computer, smartphone o tablet.
Mentre i beni durevoli come l’abbigliamento, i libri e l’elettronica mostrano il livello più alto di propensione all’acquisto online”, ha evidenziato John Burbank, President Strategic Initiatives di Nielsen, “l’influenza di Internet per l’acquisto di beni di largo consumo è chiaramente in crescita”. Chi si occupa di marketing, ha proseguito, “dovrà necessariamente individuare chi si sta convertendo al digitale per la spesa quotidiana in modo tale da focalizzarsi sulla corretta tipologia di consumatore, utilizzando strategie digitali adeguate per migliorarne l’esperienza di acquisto online”.
Molte sono, inoltre, le attività collegate alla spesa quotidiana che gli utenti compiono in rete: il 61% degli intervistati ha dichiarato di fare ricerche legate alla spesa, per controllare prezzi o leggere recensioni dei consumatori, il 45% per avere informazioni su prodotti di genere alimentare, il 43% ha cercato offerte, il 33% ha letto le informazioni relative alle promozioni dei negozi, il 33% ha cercato buoni spesa, il 26% ha cercato il sito internet dei produttori, il 18% ha commentato prodotti attraverso i social media e l’11% ha usato una lista della spesa digitale.
Si nota, in particolare, come gli utenti dell’area Asia-Pacifico ricorrano a Internet principalmente per effettuare ricerche (70%), confrontare prezzi (48%) e commentare attraverso i social media (26%); quelli dell’America Latina per cercare offerte (64%) e informazioni sui siti dei produttori (41%), mentre quelli dell’America del Nord trovare dei coupon (43%).
Gli acquisti online soddisfano esigenze considerate fondamentali come la convenienza, la qualità e la varietà dell’offerta”, ha proseguito Burbank. “Tuttavia il successo di Internet, e più specificamente dell’e-commerce per l’acquisto di beni di largo consumo, sarà diverso per le diverse categorie di prodotto. Chi acquista online beni di largo consumo, infatti, tenderà ad avere un approccio multicanale e ad effettuare acquisti continuando ad usare anche il punto vendita tradizionale”.
Con riferimento, infine, alle stime temporali, dal report emerge come quasi la metà degli intervistati (47%) dedichi almeno il 25% del tempo relativo alla propria attività di ricerca online ad argomenti legati alla spesa e il 23% ve ne dedica almeno la metà.
La maggior parte di coloro che hanno affermato di utilizzare Internet per attività legate alla spesa (63%-91% secondo il tipo di attività) sostiene di farlo settimanalmente o mensilmente. Un terzo degli intervistati ha dichiarato, infine, di usare quotidianamente Internet per fare ricerche (37%), per dare il proprio feedback attraverso i social media (33%), per cercare offerte (31%) e per cercare informazioni relative ai prodotti (31%).
Il 46% degli intervistati ha usato i social network per informarsi e orientarsi negli acquisti online ed è aumentato il numero di coloro che affermano di acquistare frequentemente sugli e-store (il 37% degli intervistati).
In un mondo in cui i consumatori hanno un ruolo sempre maggiore nell’influenzare la percezione del brand attraverso i social media, le recensioni e i punteggi, fornire risposte autentiche e ottenere il supporto dei consumatori è fondamentale. Chi si occupa di marketing deve necessariamente incoraggiare tali risposte e fornire esperienze coinvolgenti al fine di aumentare la fedeltà alla marca e creare una relazione continuativa e bilaterale tra la marca e il consumatore” ha concluso Burbank.
Le ultime stime relative alle dimensioni del mercato e-commerce che arrivano da oltreoceano sembrano confermare il trend di crescita: comScore – leader mondiale nella misurazione del mondo digitale – ha pubblicato ad agosto i dati relativi al secondo trimestre 2012, i quali individuano un aumento del fenomeno pari al 15% rispetto allo scorso anno, con una spesa in acquisti online pari a circa 43,2 miliardi di dollari negli Stati Uniti e segnando il settimo trimestre consecutivo di crescita a due cifre. Si noti in particolare come, stando a tale indagine, un forte incentivo agli acquisti online è rappresentato dal servizio di spedizione gratuita (il 42% degli acquisti effettuati include questa opzione). Le prospettive delineate appaiono dunque piuttosto incoraggianti, malgrado alcuni segnali di rinnovata incertezza economica (la percezione dei consumatori sulle condizioni dell’economia sembra essere – ha sottolineato il presidente di comScore Gian Fulgoni – attualmente peggiorata) e un tasso di disoccupazione ancora alto.
Calando la visuale sul mercato italiano, lo scenario individuato dalle più recenti ricerche istituzionali concede ampio spazio all’ottimismo, pur mantenendo stabile un certo ritardo nella diffusione del fenomeno e-commerce.
L’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm-School of Management del Politecnico di Milano è costantemente impegnato a stimare il volume dell’e-commerce nel contesto nazionale, il quale avrebbe nel 2011 registrato un +19%, con vendite che superano gli 8 miliardi di euro. La previsione per il 2012 è poi di una crescita pari al 18%, giungendo ai 9,5 miliardi di euro.
A giugno sarebbero inoltre saliti a 11,3 milioni gli utenti che hanno fatto acquisti online almeno una volta nei tre mesi precedenti, ovvero il 42,5% dell’intera utenza Internet in Italia, in crescita del 22% rispetto a un anno fa; tra essi sarebbero 7,06 milioni gli acquirenti abituali (26,5% dell’intero universo internet italiano). A dirlo è stata l’ultima ricerca realizzata da Netcomm (il consorzio del commercio elettronico italiano) in collaborazione con Human Highway (l’istituto di ricerca italiano specializzato nell’analisi dei servizi, della comunicazione e del marketing online) e, tra i prodotti acquistati, spiccano al primo posto i biglietti di viaggio per aerei, treni o navi (16,8% del campione), a conferma del peso che il settore turismo possiede sul totale dell’e-commerce nel Belpaese (peso stimato in 55 punti percentuali, che lo rendono il settore principale del commercio elettronico italiano) e della parallela importanza che il web sta avendo per tale settore. Seguono libri, computer e periferiche per Pc, capi di abbigliamento, ricariche telefoniche e soggiorni (hotel, villaggi, pacchetti vacanze).
Ulteriori indagini hanno, nelle scorse settimane, cercato, in varia forma, di individuare il fenomeno e-commerce nel nostro contesto nazionale: eMarketer ha sottolineato come il trend positivo coinvolga tutta l’Europa, con il Regno Unito in testa per volume di vendite e utenti coinvolti e con un’Italia che, nonostante il lento inizio, sembra stia, negli ultimi anni, recuperando parzialmente il proprio ritardo, facendo sì che questa forma di commercio rappresenti ora una voce importante del proprio bilancio. eMarketer prevede in particolare un aumento dell’e-commerce del 25,5% per il 2012 (pari a 16,16 miliardi di dollari) e un fatturato complessivo di 31,25 miliardi di dollari per il 2016. Una crescita sostanziale ma probabilmente non sufficiente a colmare il divario con le realtà più sviluppate, poiché il tasso di incremento del fatturato generato dall’e-commerce sembra essere in costante rallentamento (linea rossa del grafico).
Alcuni dati sembrano ricondurre, almeno in parte, il ritardo italiano alla scarsa capacità delle piccole e medie imprese di innovarsi e proporre soluzioni di commercio elettronico, dunque, in sostanza, alla carente inclinazione all’innovazione: secondo la società di consulenza aziendale Between , solo il 5% delle aziende italiane utilizza una qualche forma di vendita online, contro una media europea del 15% (in Norvegia la percentuale raggiunge il 36%), ponendo in tal senso il nostro Paese al penultimo posto in Europa, seguito soltanto dalla Romania. La situazione peggiora ulteriormente se ci si focalizza sulle aziende di minori dimensioni: utilizza l’e-commerce solo l’11% delle medie imprese italiane (contro il 30% delle medie aziende tedesche) e il 5% di quelle piccole (contro il 19% di quelle tedesche).
Eppure quella portata dall’e-commerce può essere considerata una trasformazione vera e propria nel panorama economico, trasformazione che ogni anno si arricchisce, grazie all’innovazione tecnologica e al parallelo sviluppo di nuove tendenze di consumo e nuovi comportamenti d’acquisto da parte degli utenti. Cambiano innanzitutto le logiche distributive: le aziende di produzione possono, grazie alla rete, raggiungere direttamente il consumatore finale, eliminando la tradizionale intermediazione del distributore sul territorio. I veri concorrenti diventano, allora, i grandi distributori online internazionali, capaci di competere sul prezzo dei prodotti e dei servizi accessori (come le spese di spedizione).
Uno degli esiti più attuali del fenomeno e-commerce riguarda poi la sua commistione con strumenti e piattaforme sempre nuove, in un sistema che sempre più si fa multicanale e coinvolgente per l’utente: social media e applicazioni rappresentano ormai una componente essenziale delle strategie di marketing e comunicazione aziendale e iniziano, per questo, a essere sfruttati anche come vere e proprie piattaforme di vendita. I social network sono comunque utilizzati principalmente come mezzo per creare valore attorno al brand e ai prodotti/servizi offerti. Il passaparola generato dalla condivisione di contenuti e una efficace integrazione con il sito aziendale di e-commerce possono decretare in poco tempo un sostanziale incremento delle vendite.
Stando a quanto riportato nel report “E-commerce in Italia 2012, andamenti, trend di sviluppo e strategie di un mercato in crescita”, presentato ad aprile 2012 dalla Casaleggio Associati, in partnership con Adobe Systems, i social ritenuti più efficaci dalle aziende italiane, per la promozione del proprio brand o per sostenere le vendite, sono Facebook, YouTube, Twitter e Google+, con una netta preferenza per il primo, ritenuto “molto efficace” dal 23% delle aziende, e “abbastanza efficace” dal 42%. Youtube è considerato utile complessivamente dal 31% delle aziende, molte delle quali possiedono, infatti, un proprio canale per la pubblicazione di spot pubblicitari o video che supportano operazioni promozionali. Twitter e Google+ sono apprezzati dal 26% delle aziende, mentre importanza inferiore viene attribuita a LinkedIn (10%), Flickr e Foursquare (entrambe efficaci per il solo 4%).
Interessi crescenti, seppur ancora in termini di sperimentazione, stanno coinvolgendo una piattaforma social relativamente recente come Pinterest (divenuta in poco tempo la terza più promossa nelle e-mail dei retailer a livello mondiale), sfruttata per la presentazione di immagini e fotografie commentate dei prodotti offerti. Moltissime sono le potenzialità offerte da questo strumento, come hanno ben immaginato alcuni grandi nomi del turismo (Visit Trentino), dell’abbigliamento (Sisley, Tezenis), dei serivizi (Poste italiane) e pure del settore Food & Beverage (Barilla e Caffè Carbonelli): l’impatto evocativo delle immagini suscita certamente uno slancio intenso ad abbracciare l’universo di valori veicolato dal brand e il grande successo che la piattaforma sta avendo permette il moltiplicarsi continuo di tale slancio, offrendo una reale garanzia di viralità al messaggio aziendale. Si può decidere, ad esempio, di inserire immagini di alta qualità e creatività relative ai prodotti venduti oppure immagini capaci di evocare filosofia e mission aziendale, dando il via ad una sorta di comunicazione visiva con i propri clienti effettivi e potenziali.
Un altro processo di cui le aziende devono tener conto è la capillare diffusione dei dispositivi mobile (in Italia vi sono più di 20 milioni di smartphone e oltre 1 milione di tablet), sempre più utilizzati dagli utenti per soddisfare le proprie esigenze informative in fatto di spesa quotidiana. Mobile-commerce e servizi di geolocalizzazione sono, dunque, due tendenze che devono essere necessariamente prese in considerazione: un recente studio commissionato da Deloitte, su un campione di 1.557 consumatori americani, dimostra come i dispositivi mobile condizionino attualmente il 5,1% delle vendite annuali al dettaglio, l’equivalente di 159 miliardi di dollari solo nel 2012, con la previsione di giungere ai 689 miliardi entro il 2016. L’influenza che i cellulari esercitano nel consumatore si esercita, più che nella vendita diretta, nell’avvio del processo di guida verso i punti di vendita, dove l’azione di ricerca delle informazioni viene convertita in acquisto.
Affianco al concetto di e-commerce si sviluppa allora quello di info-commerce: tutti i siti che le persone visitano per avere notizie circa prodotti e servizi, per confrontare i prezzi, per leggere o lasciare commenti e recensioni consentono un aumento indiretto degli acquisti off-line e aiutano a incrementare la familiarità e la fiducia con il mezzo informatico, con effetti presumibilmente positivi sulle vendite future. Le aziende del retail, nella loro presenza online, devono puntare sulla creazione di un rapporto con i clienti basato sul coinvolgimento e sulla fedeltà. L’indagine Global Trust in Advertising di Nielsen rivela come ben il 92% dei consumatori di tutto il mondo manifesti la propria fiducia nel cosiddetto “earned advertising” fondato sul passaparola e sulle raccomandazioni di altri utenti, considerando questa la forma più affidabile di promozione.
La diffusione dei tablet potrebbe condurre anche all’incremento di un altro fenomeno, definitivo “couch-commerce”: si tratta della tendenza a fare shopping on line, stando – come lo stesso nome suggerisce – comodamente sdraiati sul divano. Questo è tanto più vero se si considera che i tablet sembrano essere utilizzati principalmente nel tempo libero, da ricondurre alla fascia oraria di prime-time (tra le 19:00 e le 22:00).
Dinamicità e flessibilità sono, in conclusione, i requisiti resi obbligatori per le aziende, in seguito alla diffusione dell’e-commerce. I nuovi servizi offerti ai clienti implicano necessariamente un adattamento dell’attività, dal punto di vista logistico e di gestione del magazzino, con una conseguente integrazione multi-canale. Comprendere pienamente il target di riferimento e creare delle offerte personalizzate, capaci di sfruttare i molti meccanismi resi possibili dalla rete (vendite istantanee, aste online, microflash sales…) rappresenta, infine, la più attuale sfida per le aziende che vogliano intraprendere con successo la strada dell’e-commerce.
Pubblicato su: PMI-dome

La promozione virtuale impone la cura della propria identità reale

Alcune recenti indagini dimostrano come gli utenti dei principali social network interagiscano con i propri contatti replicando di fatto i modelli fruitivi propri della loro quotidianità, rendendo sempre più sfumati i confini tra virtualità e realtà

Identità virtuale cercasi. Solida, credibile e, soprattutto, sopportabile.

Pare questi siano tempi particolarmente duri per i maghi di age- e genderswitching, per chi ama, insomma, fingersi qualcun altro, in un eterno – a volte spassoso, altre volte dannoso – carnevale virtuale. Gli utenti dei network sociali, sempre più disincantati, non sembrano, nelle proprie scelte di condivisione, cercare un approccio generalizzato, ma, al contrario, privilegiano quelle relazioni che, in un modo o in un altro, possiedono per loro un qualche legame con la propria personale quotidianità.

Alcune recenti indagini hanno mostrato come si sia assottigliato il confine tra mondo reale e mondo digitale, teorizzando una sostanziale compenetrazione tra le due e una singolare manifestazione del concetto di “realtà aumentata”: la simulazione sottesa all’utilizzo dello strumento web muta, allora, la propria essenza e si fa realtà essa stessa; la rete diventa uno spazio sociale in cui si realizzano delle pratiche fruitive legate, in primo luogo, all’universo di appartenenza e all’identità reale degli attori coinvolti, con delle conseguenze che devono inevitabilmente essere prese in considerazione da chi si occupa di comunicazione e marketing online.

In un articolo pubblicato sulla rivista dell’Accademia Nazionale delle Scienze Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) sono stati riportati i risultati di uno studio condotto da alcuni ricercatori della Harvard University che ha inteso indagare quanto le similitudini rilevate tra profili “amici” sui social network siano da ricondurre all’effetto cosiddetto “virale” dei contenuti veicolati e quanto dipendano, invece, da altri fattori. Ad esser stati presi in esame sono i comportamenti e le abitudini di duecento studenti di college, seguiti su Facebook per quattro anni di vita accademica, dal 2006 al 2010.

Viene confermata l’importanza del network virtuale nell’avvicinare persone che hanno una certa affinità di pensiero e di passioni, come avviene, del resto, anche al di fuori dell’ambito digitale. Tuttavia pare molto improbabile ai ricercatori di Harvard che possano essere mutuati gusti, interessi e preferenze dei propri amici digitali, se non inizialmente condivisi.
Si inverte, dunque, il processo: le vicinanze tra profili non sarebbero conseguenza dell’amicizia virtuale, ma ne costituirebbero la causa. Stando a tale interpretazione, inoltre, sarebbe necessario abbandonare l’idea di piattaforma aperta, inclusiva e potenzialmente in grado di connettere chiunque, per ripiegare, al contrario, su una visione ghettizzante del mezzo, che vede confermata la segmentazione sociale ed economica propria della vita reale.

Alcune critiche sono state avanzate circa il metodo utilizzato per l’indagine, basato sull’utilizzo dei dati segnalati come preferiti nelle schede informative personali dei profili analizzati e non anche sui contenuti postati, forse maggiormente rappresentativi delle reali inclinazioni dei soggetti. Allo stesso modo alcuni sostengono la fondamentale importanza dei network sociali – ai fini di una qualunque campagna marketing – come strumento di data mining, a prescindere dalla loro forza virale. Tuttavia l’esito delineato dalla ricerca, frutto di un canale istituzionale, non può essere ignorato da chi giornalmente spera nel contagio virale e sociale di un proprio messaggio, magari di velata natura commerciale o funzionale alla creazione della brand identity.

A risultati in parte simili conduce anche una recente indagine di NM Incite, la società di ricerca fondata dalla Nielsen e dalla McKinsey, attiva nella raccolta dati e consulenza marketing; tale indagine (titolata “State of Social Media Survey”) ha cercato di circoscrivere i fattori che spingono gli utenti dei social network ad accettare o cancellare qualche profilo dai propri contatti e le motivazioni che portano alla creazione stessa di un proprio profilo sociale. Si è scelto di analizzare – per un periodo compreso dal 31 marzo al 14 aprile 2011 – un campione rappresentativo composto da 1.865 individui adulti e utenti di social media, intendendo, con questo termine, chiunque sia solito condividere informazioni e partecipare a discussioni sul web, tramite Facebook, Twitter e altre piattaforme di social networking.

Veniamo ora ai risultati: in media un utente di Facebook possiede 130 contatti e, in linea con la tendenza evidenziata, le principali motivazioni che spingono gli utenti ad aggiungere qualcuno ai propri amici sono la conoscenza reale della persona (82% di preferenze) e l’esistenza di amicizie comuni (60%). Al terzo posto le questioni di lavoro – l’11% chiede o accetta il legame sociale per l’esistenza di un legame di collaborazione effettivo o per sfruttare la conoscenza a livello professionale – mentre l’attrazione fisica influenza solo l’8% del campione nella scelta di accettare o meno l’amicizia. Smentiti, dunque, tutti i luoghi comuni che vedono nella virtualità di questi mezzi un luogo privilegiato per l’approccio sociale e l’estensione a non finire della propria rete reale di amicizie. In penultima posizione, con il 7% ciascuna di preferenze, troviamo la volontà di incrementare le proprie conoscenze, la qualità della foto di profilo visualizzata (una versione contemporanea della cosiddetta “prima impressione”, che, in questo caso, pare non essere così importante) e la prassi di accettare la richiesta di amicizia da chiunque provenga. Infine un misero 4% si dichiara influenzato nella scelta dal numero di contatti rientranti nella cerchia di chi ha avanzato la richiesta.

La ricerca ha poi analizzato le motivazioni che spingono a chiudere un contatto virtuale su Facebook: anche in questo caso in testa alla classifica si collocano la scasa conoscenza nella realtà della persona (41%) e la pubblicazione di commenti considerati offensivi (55%) e, dunque, potenzialmente lesivi della propria social identity. Al terzo posto (36%) troviamo il tentativo di vendere qualcosa, a conferma dell’impossibilità di utilizzare i network sociali a scopi puramente commerciali e della necessità, al contrario, di identificare nuove forme di diffusione dei messaggi aziendali. Nel 23% dei casi, poi, la rottura avviene perché non si riesce più a sopportare i commenti tristi e depressi postati in bacheca dal contatto, nel 20% per mancanza di interazione effettiva con esso e nel 14% per un eccesso di messaggi politici.
Dovrebbero riflettere su questo dato, in particolare, i molti personaggi della sfera politica impegnati nella discesa in campo social, in particolare quelli meno conosciuti, che non possono contare sulla visibilità mediatica per strappare un’amicizia: per incrementare i propri consensi, la tecnica potrebbe, forse, essere quella di alternare, ai messaggi di stampo prettamente politico, quelli di natura più personale, relativi ai gusti e alle abitudini quotidiane, messaggi che – volenti o nolenti – raccolgono maggiormente l’attenzione di chi abita i network sociali.

Una rottura o un divorzio nella vita reale costituisce la causa dell’eliminazione per l’11% del campione, mentre per l’8% questa va rintracciata nel mancato interesse che si nutre verso gli amici del contatto che si decide di eliminare.
L’eccessiva invadenza del contatto (modificare troppo frequentemente il proprio profilo e chiedere l’amicizia a troppe persone) conduce il 6% degli utenti ad eliminare lo stesso, mentre la prassi di modificare solo raramente il proprio profilo è quasi ininfluente (3%).

La ricerca ha poi approfondito un altro aspetto riferito alle piattaforme sociali, l’uso, cioè, che gli utenti fanno delle stesse. Pare che i motivi principali di utilizzo siano la necessità di rimanere in contatto con la propria famiglia (89%), la volontà di ritrovare o mantenere vecchie amicizie (88%) e la voglia di cercare nuove conoscenze (70%). Con riferimento alla sfera dell’entertainment e lifestyle, il sondaggio ci dice che il 67% degli utenti si collega ad un social network per semplice divertimento e intrattenimento, il 64% come sbocco di creatività, il 47% per giocare, il 45% per offrire e ottenere informazioni, il 35% per seguire qualche celebrità e il 16% per trovare l’anima gemella.

Per quanto riguarda, invece, l’area prodotti/servizi, ci si connette principalmente per leggere i feedback degli altri consumatori (66%) o per avere informazioni e dettagli in merito ai prodotti prima di procedere con l’acquisto (60%), il 58% lo fa per sfruttare promozioni e acquistare coupon convenienti, il 54% per offrire un proprio feedback positivo e il 51% per offrirne uno negativo. Un po’ meno diffuso, invece, è l’utilizzo per motivi di lavoro: il 48% vede nei network un mezzo per mantenere contatti professionali e il 28% un modo per trovare un lavoro.

Vita digitale e vita reale dai confini sempre più sfumati, quindi. Un’amara consapevolezza per chi ha sperato e ancora spera di trovare un riscatto personale nella virtualità: curare la propria quotidianità e i propri rapporti reali sembra essere, in definitiva, la forma migliore di promozione sociale, per ottenere il successo ricercato in rete.

Pubblicato su: PMI-dome

La rivoluzione è mobile

Stando a quanto riportato da The Economist, il 2011 sarebbe l’anno in cui ha inizio dell’era “post-pc”

The revolution is mobile” scriveva qualche giorno fa il settimanale britannico The Economist  compiendo una serie di riflessioni circa la portata attuale e futura del paradigma mobile.

Tra quelli riportati, il dato che maggiormente ha creato stupore è stato quello riferito alla vendita combinata di smartphone e tablet che, in base alle stime fornite dalla banca d’affari Morgan Stanley, sarebbe, per l’anno in corso, superiore a quella dei personal computer, portatili compresi.

Secondo alcuni si tratterebbe di una svolta storica, l’inizio dell’era cosiddetta “post Pc”, come profetizzato anche da Steve Jobs: l’anno della sua morte verrebbe, allora, a coincidere con la fine dell’epoca definita “Wintel” (termine che sta ad indicare, con un’accezione leggermente negativa, il regime di monopolio instaurato dal connubio tra Microsoft e Intel per la realizzazione di computer dotati di sistema operativo Windows e hardware Intel) e con il parallelo ed effettivo avvio dell’epoca mobile e delle sue molteplici manifestazioni, quasi una celebrazione del mondo intero alla sua visione sul futuro dell’innovazione tecnologica e sociale.

Il mercato dei PC, fissi e portatili, non pare certo in totale declino, anzi, dicono le previsioni, saranno tra i 350 e i 360 milioni gli esemplari venduti quest’anno, segnando una tendenza di crescita, seppur piuttosto lenta. Ovviamente, poi, alcune attività rimarranno ancora per molto tempo di esclusivo appannaggio dei PC, i quali, grazie a tastiera, grande schermo e connettività veloce, consentono delle prestazioni che, al contrario, mal si conciliano con gli inevitabili limiti fisici del mobile; rimane, allora, in capo a questi strumenti il primato relativo alla produzione di contenuti (al contrario dell’esperienza fruitiva, conquistata dal mobile). I PC tradizionali, inoltre, stanno attraversando una sottile rivoluzione interna, con l’uscita di modelli sempre più leggeri, come l’“ultrabook”. Tuttavia il decennale dominio dei personal computer, che ha visto un passaggio da cento milioni di esemplari nel 1993, a un miliardo nel 2008, viene ora superato dal vero e proprio boom nel mobile, con l’attesa di dieci miliardi di device (smartphone e tablet) nel 2020.

Termina, dunque, si sottolinea dalle file del settimanale The Economist, il dominio, che per una trentina d’anni è stato incontrastato, del PC, mezzo fondamentale di democratizzazione, nel permettere un incremento nella produttività personale e nel dare libero accesso, tramite la rete, ad una serie di servizi, rimanendo comodamente a casa o in ufficio. In questa chiave vanno forse letti i recenti rumors in base ai quali Hewlett-Packard (HP) starebbe valutando lo scorporo della divisione Personal Systems Group.

Si procede, a ben guardare, lungo la strada della miniaturizzazione tecnologica, con degli strumenti che, grazie al loro essere estremamente maneggevoli, leggeri e portatili, continuano ad incontrare il crescente favore del pubblico. A questo si aggiungano i passi avanti compiuti nel senso della velocità di connessione e dello sviluppo di applicazioni ad hoc, capaci di rendere la fruizione del tutto originale e ritagliata sulle specifiche esigenze dell’hic et nunc. Una fruizione, dunque, ancor più intima e personale di quella sviluppata con i personal computer, che pure nel nome rimandano a questo rapporto di unicità. Una fruizione, in definitiva, che potrebbe facilmente tradursi in una sorta di dipendenza, nel dialogo con il dispositivo e, attraverso questo, con la cerchia dei nostri conoscenti.

Alcuni hanno cercato di ridimensionare il dato riferito al sorpasso, collocandolo in una situazione di semi-saturazione del mercato PC, nella quale i nuovi acquisti vanno semplicemente a sostituire i vecchi dispositivi, le cui prestazioni, con riferimento all’utente medio, possono durare anche quattro-cinque anni.

Dal mio punto di vista, invece, simili confronti, seppur estremamente significativi, mancano di cogliere come, in realtà, ci si stia riferendo a due strumenti molto diversi tra loro, accumunati da alcune funzionalità di base, ma destinati a due modelli percettivi e fruitivi completamente differenti. I dispositivi mobile ben si prestano, ovviamente, ai ritmi di vita sempre più frenetici e dinamici e si candidano – in Italia lo sappiamo meglio di chiunque altro – a diventare indice immancabile di un particolare status symbol. Tuttavia la loro esistenza termina laddove vengano richieste delle performance più tecniche e pensate, appunto, per una attuazione non mobile. Ben vengano, dunque, i confronti, mantenendo, però, sempre ben presente il fatto che l’evoluzione tecnologica implichi sempre una riformulazione dei rapporti tra media, ma ciò non significa che vi siano necessariamente dei vinti e dei vincitori.

La diffusione riflette, forse, il cambiamento sociale, laddove si confondono sempre più sfera lavorativa e personale, con la tendenza a portare le pratiche anche fuori dall’ufficio, e si utilizza sempre più il mezzo internet per portare a termine qualsiasi azione, dall’informarsi, al fare shopping, al socializzare.

Altri due sono, poi, gli aspetti sui quali è necessario concentrare l’attenzione: innanzitutto l’aumento esponenziale, nei prossimi anni, della diffusione di laptop, aumento che pare essere molto simile a quello che conosceranno i tablet portatili; inoltre l’aumento nelle vendite di smartphone si accompagna ad una riduzione nelle vendite di cellulari tradizionali, il che starebbe ad indicare non una crescita incredibile dei cosiddetti cellulari intelligenti, ma una graduale sostituzione dei vecchi cellulari, a vantaggio di dispositivi simili ma dotati di maggiori funzionalità.

Ofcom, l’autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione nel Regno Unito, ha recentemente rilevato come più di un adulto su quattro possieda ed utilizzi uno smartphone. Anche Nielsen, “leader mondiale nelle informazioni di marketing e nella rilevazione di dati sui consumi e sull’utilizzo dei media”, ha evidenziato come simili dispositivi costituiscano la maggior parte della spesa in telefonia mobile realizzata in America.

Secondo Yankee Group, una società di ricerche di mercato, le vendite di smartphone supereranno quelle dei telefoni normali nei prossimi anni; la loro diffusione sta coinvolgendo anche i mercati dei Paesi emergenti: in Indonesia, ad esempio, i dispositivi BlackBerry realizzati dalla canadese Research in Motion (RIM) stanno diventato uno status symbol tra la classe media del Paese, in rapida ascesa.

Parallelamente aumentano, seppur in misura inferiore, anche le vendite di tablet; in particolare, da quando l’iPad di casa Apple ha fatto la sua comparsa lo scorso anno, si è materializzata una serie di epigoni concorrenti, dal Playbook di RIM, al Galaxy Tab di Samsung, al Tablet di Sony, fino al nuovissimo Fire Kindle di Amazon.

Il sorpasso di smartphone e tablet sui computer evidenzia, inoltre, anche un grande cambiamento in atto nel mondo stesso della tecnologia digitale: i principali progressi registrati nell’ambito dei personal computer sono stati, per molto tempo, frutto di ricerche sviluppate tra le file delle forze armate e del big business, ricerche capaci di realizzare innovazioni e scoperte successivamente adattate e destinate al consumo di massa; la stessa rete Internet, ad esempio, è stato ispirato da una tecnologia sviluppata, in piena guerra fredda, dal sistema della difesa degli Stati Uniti. Tale tendenza pare essersi invertita negli ultimi dieci anni, con un mercato del consumo di massa destinato a farsi sempre più promotore di nuove formule e prassi digitali, da applicarsi solo in un secondo momento ad ambienti sofisticati e complessi. “Il consumatore è il re”, evidenzia, allora, il The Economist, rilevando un fenomeno che gli addetti ai lavori definiscono “consumerizzazione” dell’IT.

È ragionevole affermare che eserciti, università e altre istituzioni continueranno a spendere ingenti somme per finanziare la ricerca tecnologica, tuttavia alcune recenti tendenze fanno capire come tale fenomeno sia in continua crescita; l’aumento dei redditi in primis ha portato alla formazione di un vasto e globale pubblico early adapter per questi dispositivi: “queste persone saranno in grado di assorbire la nuova tecnologia su una scala che è semplicemente stupefacente”, afferma Craig Mundie, responsabile ricerca e strategia di Microsoft. Il costo, poi, di queste nuove tecnologie è in progressiva discesa, dando un continuo impulso ai consumi; l’e-reader Kindle, ricorda il settimanale, è arrivato ora a costare 79$, contro i 399 $ previsti per la prima versione lanciata nel 2007, inoltre vi sono alcune compagnie di telecomunicazioni che propongono l’acquisto a rate dei devices, accompagnato a piani tariffari per il loro utilizzo particolarmente convenienti. La crescita nella diffusione della rete e della connettività a banda larga hanno favorito i consumi, per questo motivo società forti quali Apple, Google e Amazon continuano a rivolgere in via preferenziale le proprie proposte innovative ai consumatori finali piuttosto che agli interlocutori istituzionali o a partner aziendali.

La combinazione tra nuovi dispositivi, connettività diffusa e abbondanza di contenuti online sta incrementando le aspettative dei cittadini circa i traguardi che la tecnologia può raggiungere. Allo stesso modo si tende a portare con sé tali dispositivi anche all’interno del proprio ambiente di lavoro, laddove, cioè, le tecnologie messe a disposizione sembrano non reggere il confronto in quanto a prestazioni; per questo motivo molte sono le aziende che sono chiamate a rivedere la propria abitudine a considerare i dipendenti del dipartimento IT come servi digitali, capaci di eseguire solo ciò che viene detto loro.

Il fiorente mercato della tecnologia intelligente di consumo può, in definitiva, rappresentare una forza fondamentale per dare nuovo impulso all’energia imprenditoriale, capace di creare nuovi prodotti dal forte impatto; esso, inoltre, incoraggia le organizzazioni di qualsiasi tipo ad adattare ai propri specifici scopi le innovazioni provenienti dal mondo consumer. Molte, quindi, in questo senso, le possibilità per emergere offerte alle imprese.

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I capelli bianchi conquistano la Rete

Stando ad un’analisi di Nielsen, il 24 % dell’intero popolo del Web è rappresentato da consumatori over 50 e la percentuale sale in Germania, Regno Unito e Stati Uniti

Una ricerca di Nielsen Italia sembra abbattere il luogo comune piuttosto diffuso che considera la rete come esclusivo appannaggio dei giovani.

Stando, infatti, ai dati raccolti, i consumatori con età superiore ai 50 anni rappresentano, in Italia, circa il 24% dell’intero popolo attivo della rete e la percentuale sale se si considerano altri Paesi, quali Germania (30%), Regno Unito (31%) e Stati Uniti, in testa alla classifica per numero di utenti “anziani” (32%). In sei dei nove Paesi misurati da Nielsen nel dicembre 2010 la proporzione tra fruitori anziani e fruitori complessivi del web è, in media, di circa un terzo. Per quanto riguarda, poi, l’entità del consumo digitale, in testa alla classifica si situano gli anziani australiani e francesi, con una media di tempo trascorso in rete pari, rispettivamente, a poco più di 69 ore e 66 ore al mese; gli over 50 negli Stati Uniti hanno speso, invece, quasi 62 ore, mentre in Italia non hanno superato le 42 ore.

Nielsen estende la propria analisi al concetto di anzianità, cercando di coglierne i confini semantici nell’immaginario collettivo di 53 Paesi analizzati. Le risposte ottenute riflettono forti variazioni in relazioni alle diverse aree geografiche: nei 14 Paesi più “anziani” tra i quali è stata condotta la ricerca (quelli in cui l’età media è di 42 anni), il 70% ritiene che una persona sia vecchia a 70 anni e 1 su 3 a 80; nei 14 Paesi più “giovani” (età media 27 anni), il 27% ritiene che intorno ai 60 anni una persona possa essere considerata vecchia e il 27% a 70 anni. In Italia il 49% degli intervistati ritiene che tra i 70 e i 79 anni si possa essere considerati anziani, percentuale tra le più alte (Francia 38%, Gran Bretagna 33%, Germania 31%). La percezione di anzianità, poi, varia anche in relazione all’età dell’intervistato: più essa è elevata, più aumenta tale percezione; a livello globale circa la metà degli intervistati oltre i 60 anni pensa che essere vecchi significhi avere più di 80 anni, mentre, tra gli intervistati al di sotto i 60 anni, uno su tre ritiene che significhi averne circa 70, il 26% circa 60 anni e il 25% oltre gli 80.

Si passa poi ad analizzare la percezione in tema di pensione: complessivamente il 49% degli intervistati pensa che andrà in pensione tra i 60 e i 69 anni, percentuale che raggiunge il 60% in Europa. Ad essere indicate come voci principali di sostentamento durante la pensione sono soprattutto piani di pensionamento statali, piani governativi e risparmio privato, anche se, in generale, la fiducia verso i programmi del governo (relativi, ad esempio, alla previdenza sociale) è molto più bassa nelle persone più giovani rispetto a quelle più anziane: sotto i 60 anni sono molti di più coloro che dichiarano che finanzieranno le loro pensioni soprattutto attraverso risparmi personali. Per quanto riguarda il modo in cui verrà speso il tempo a disposizione durante la pensione, la maggior parte degli intervistati si dichiara intenzionato a viaggiare (62%), mentre, tra le altre preferenze, troviamo: prendersi cura dei nipoti, partecipare a club e attività, il giardinaggio e il volontariato. In America Latina e Medio Oriente/Africa i consumatori si sono dichiarati quasi tre volte più interessati ad una seconda carriera rispetto al Nord America e all’Europa; in Asia Pacifico e Medio Oriente/Africa è molto più elevata la percentuale di coloro che pensano di trascorrere la propria vecchiaia in un centro per anziani, per avere una vita sociale migliore.

L’invecchiamento della popolazione – sottolinea una nota ufficiale di Nielsen Italia – non è un problema che riguarda solo i Paesi più sviluppati” e ricorda come, “secondo il United Population Division World in tutto il mondo solo la Nigeria non avrà un incremento dell’età media della popolazione nei prossimi 10 anni”. Il tasso di fertilità sarebbe in declino: da un punto di vista globale pare esso sia sceso quasi del 48% dagli anni Cinquanta ad oggi e le previsioni parlano di un continuo decremento pari al 18% per le prossime quattro decadi. Al di là delle cause – rintracciate nel “passaggio da una società agraria ad una industriale”, nell’“urbanizzazione” e nell’“aumento del livello di educazione, in modo particolare quella della donna” – le considerazioni del mondo economico, ed in particolare del settore marketing, non possono prescindere da tale fondamentale dato, dal quale deriva la necessità di creare nuovi modelli e paradigmi che sappiano cogliere con precisione i bisogni delineati dai – usando un ossimoro – nuovi vecchi consumatori.

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Nielsen: investimenti pubblicitari in aumento

Stando ad un’analisi di The Nielsen Company, nel 2010 si sarebbe verificato un generale incremento, rispetto al 2009, nel livello di pubblicità realizzato in Italia

Gli investimenti pubblicitari in Italia hanno chiuso il 2010 con un segno positivo. A rivelarlo sono le stime elaborate da The Nielsen Company, l’azienda con sede a New York, diffusa in oltre 100 Paesi e leader mondiale nell’offerta di misurazioni e informazioni marketing relative a consumer, retail, advertising, televisione, internet, mobile e altri media.

Ultimo trimestre brillante e l’anno chiude meglio del previsto” si legge in una nota ufficiale, dalla quale si apprende, in particolare, che nel 2010 l’aumento del livello di pubblicità nazionale è stato pari al 4,7%, dato ridimensionato ad un buon 3,8% se si considera anche la pubblicità locale e tutti gli altri veicoli utilizzati.

A crescere è stato principalmente l’advertising delle aziende che si occupano di largo consumo e distribuzione: tra i primi dieci settori in termini di spesa pubblicitaria, si è registrato un tasso di crescita del 14,0% per gli investimenti riferiti al settore della cura alla persona, un +13,6% per la distribuzione e un +10,4% per bevande e alcolici. Ritmi meno incalzanti, ma comunque positivi, nell’aumento del mercato pubblicitario di tutti gli altri settori principali: alimentari +5,3%, toiletries +4,7%, abbigliamento +4,4%. Aumenti molto lievi, infine, per l’ambito automobilistico (+3,0%), per quello dei media e dell’editoria (+1,4%), per quello finanziario-assicurativo (+0,6%). L’unico a chiudere in leggero calo è stato il settore delle telecomunicazioni (-1,1%).

Sono cambiate, poi, le scelte aziendali relative alla pianificazione pubblicitaria; le aziende dell’abbigliamento, ad esempio, hanno diminuito del 4,3% la propria spesa sui periodici e del 12,1% la spesa nelle affissione, in un 2010 nel quale l’abbigliamento è diventato il primo settore per i quotidiani, con un aumento del 13,2% rispetto all’anno precedente. Per quanto riguarda il mondo delle automobili, si è assistito ad una forte riduzione della spesa su quotidiani (-12,7%) e periodici (-12,0%), alla quale ha fatto da contraltare l’incremento della spesa su internet (+16,5%) e tv (+7,6%), con un forte impatto, in particolare, della tv satellitare. Quello dei media e dell’editoria è diventato il primo settore per l’advertising in rete, scavalcando, grazie ad un aumento del 44,5%, quello finanziario-assicurativo.

Dal punto di vista dei mezzi utilizzati, le crescite maggiori rispetto al 2009 si sono viste nella pubblicità su internet (+20,1%), appunto, sul cinema (+12,2%), tramite direct mail (+10,3%), sulle emittenti radiofoniche (+7,7) e sulla tv via etere e satellitare (+6,0%); con riferimento a quest’ultima, l’andamento è stato particolarmente favorevole nel periodo compreso tra giugno e luglio grazie ai mondiali di calcio. La stampa, pur chiudendo l’anno in negativo (-4,3%) – soprattutto a causa della contrazione degli investimenti su periodici e free press – ha registrato dei segnali di ripresa nell’ultimo trimestre dell’anno. Fondamentalmente stabili le stime per affissione, cards e transit.

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Presentato il nuovo Nielsen Online Campaign Ratings

Un vero e proprio servizio di Auditel per la Rete, che permetterà di monitorare, in un unico sistema, l’audience di annunci realizzati in TV e in Rete

Trasmissioni e telegiornali che sembrano voler imitare la rete e le sue innumerevoli potenzialità; televisione on-demand che, imponendo all’utente di farsi attore dell’esperienza percettiva, ricalcano l’approccio tipico del www; web tv che permettono la riproduzione in streaming della programmazione via etere e satellite, o che sono pensate per essere fruibili unicamente tramite la rete. Commistioni di linguaggi per battaglie a suon di ascolti: web e tv sembrano porsi, nello scenario attuale, in un rapporto che, per certi versi, potrebbe dirsi conflittuale e certo la notizia che qui riportiamo non farebbe che rendere più diretta tale conflittualità.

La televisione, da tempo scalfita nel suo ruolo di padrona assoluta della scena mediatica, è costretta, infatti, oggi, a perdere la propria unicità anche in riferimento ad un altro aspetto che la riguarda da vicino. Stiamo parlando del servizio di Auditel, quello, cioè, in grado di garantire “una stima statistica, autorevole e imparziale, dell’ascolto della televisione in Italia”, “fondamentale per la pianificazione degli spazi pubblicitari”, di cui la Tv vive.

Pochi giorni fa l’azienda Nielsen – “leader mondiale nelle ricerche, informazioni e analisi di mercato” – ha presentato un suo nuovo servizio, che, a sostegno dei pubblicitari, consente di misurare l’audience degli annunci in TV, online e sulle piattaforme come Facebook e Yahoo, riunendo, quindi, in un unico sistema, il monitoraggio degli spot realizzati. Il nome scelto per il progetto è Nielsen Online Campaign Ratings ed esso è stato annunciato nel corso dell’Advertising Week, il fondamentale appuntamento nordamericano pensato per i principali attori nell’ambito della comunicazione, che ha avuto inizio il 27 settembre e terminerà il 1° ottobre.

Vediamo brevemente come funzionerà il nuovo sistema. Il meccanismo sarà molto simile a quello usato attualmente dalla televisione: esso, misurando i dati dei vari siti e social network, cercherà di stabilire quante persone visualizzano gli annunci on-line, catalogando tali persone in base ai classici criteri del sesso, età e frequenza. Rispetto a quello attuale, il sistema sarà orientato ad una maggiore precisione e ad una più ampia copertura. Tramite una struttura che permette di controllare un certo numero di pixel, ogni volta che un video viene visualizzato in un browser da un utente, Nielsen ne raccoglierà le informazioni, senza, tuttavia, intaccare la privacy degli utenti.

Steve Hasket, Presidente Media Products di Nielsen, sottolinea come quello descritto rappresenti «un importante passo in avanti per Nielsen. Il nuovo sistema fornirà una migliore comprensione del marketing e darà alle imprese che lavorano nel settore dei media uno strumento necessario per dimostrare il loro valore al pubblico […]. Ora si avrà un modo più semplice per misurare la portata combinata di televisione, web e persino la pubblicità mobile. Nielsen intende unire le valutazione con metriche pubblicitarie multipiattaforma per fornire una visione completa».

Ad aver spinto verso l’ideazione di questa Online Campaign Ratings è la convinzione, che Nielsen possiede, di una necessaria integrazione multicanale del marketing, che sempre più deve spingere verso campagne pubblicitarie multipiattaforma. Come dichiara Mike Murphy, Vice Presidente, Global Sales, di Nielsen, «le campagne creative sono più efficaci quando combinano il marketing televisivo e digitale».

Uno strumento, quindi, che sarà fondamentale per le imprese che si occupano di marketing e comunicazione, poiché consente un’approfondita comprensione dei vari fenomeni e delle numerose dinamiche che la riguardano. I dati di tv e rete si uniformeranno e diventeranno, così, facilmente confrontabili, con implicazioni, a livello di concorrenza tra i due mezzi, di non poco conto, che porteranno, con ogni probabilità, a rivedere il modo stesso di intendere l’advertising.
Il sistema è pronto ad entrare in funzione nel 2011 e, inizialmente, la sua implementazione riguarderà esclusivamente gli Stati Uniti, con l’inevitabile promessa, da parte di Nielsen, di estenderla ed adeguarla quanto prima ai mercati di tutto il mondo.

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