Google Plus entra nella cerchia del Web

Il nuovo network di Google introduce numerose novità a livello di funzionalità ed approccio, inaugurando quella che si preannuncia essere una vera battaglia tra piattaforme a colpi di social

“I would like to have an invite to google+. When is it going to be open?”; “oh ragazzo fortunato… non è che per caso hai inviti per #googleplus?”; “anyone want a Google+ invite?”; “Ma chi devo conoscere per avere un invito a #googleplus?”; “I’m looking for an invite to #google+ plz!”; “is there anyone who can #invite me to #GooglePlus?”; “I’ve got access to #GooglePlus now 🙂 it’s amazing, so cool.. Anyone needs an #invitation? ;)”.

Sono questi solo alcuni dei numerosissimi “cinguettii” che, contenenti l’hashtag #googleplus, hanno popolato nell’ultima settimana il social network Twitter: un perfetto esempio di trasversalità mediatica; un sintomo di schizofrenia comunicativa digitale, direbbe qualcuno; un simbolo, in definitiva, dell’agitazione che attualmente anima il popolo dei social network per l’avvento del nuovo fenomeno che va sotto il nome di Google plus+.

Dopo i flop di Google Buzz, Google Wave, e Googl Orkut (popolare solo in Sud America), il colosso di Mountain View c’ha riprovato e lo ha fatto con un prodottino che a molti è sembrato un buon cocktail dei principali canali social attualmente in auge nella Rete.

Ad una home fatta a tre colonne, molto simile a quella di Facebook – come del resto buona parte della struttura sottesa al nuovo network – si aggiungono alcune particolarità che denotano, in fondo, il tentativo di compiere un salto di qualità (il tempo dirà se in positivo o in negativo), imparando, forse, dai tentativi pregressi propri e dei propri competitors. Innanzitutto la possibilità aggiuntiva di condividere, attraverso i post, la propria precisa posizione geografica anche da PC e non solo da mobile. Il “+1” al posto del tasto “like”, che si estende a qualsiasi risultato di ricerca all’interno del motore, conquistando una sezione appositamente dedicata. La visualizzazione completa, nella stessa pagina, di tutte le foto dei propri contatti, con possibilità, ovviamente, di rendere visibili solo le foto che rispondano a particolari criteri di selezione (le proprie immagini possono, inoltre, essere modificate tramite alcuni filtri predefiniti). I videoritrovi (Google Hangouts), accessibili direttamente senza dover scaricare alcun programma e ai quali possono partecipare fino a dieci persone contemporaneamente; con questo sistema “gli incontri casuali entrano per la prima volta nel Web”, sottolineano i suoi ideatori: “non sarà il teletrasporto, ma poco ci manca”. La sezione Spunti (Sparks), che permette di ricevere regolarmente i feed di notizie e video riguardanti alcune categorie da noi scelte, per guardare, leggere e condividere tutto ciò che potrebbe essere di nostro interesse: un approccio del tutto nuovo alla condivisione via web, che cerca di incentivare la comunicazione attiva degli utenti, stimolando “passivamente” l’originarsi della stessa, malgrado alcune riserve siano state avanzate circa i criteri di selezione delle notizie, non sempre congruenti alla reale sete informativa dei fruitori. La facoltà di aggiungere unilateralmente contatti, senza bisogno della loro accettazione (funzione mutuata da Twitter), ma semplicemente inserendoli in delle “cerchie”. Queste ultime, le cerchie, rappresentano, in definitiva, la novità più rilevante, che interviene risolvendo, almeno in parte, le problematiche di privacy lamentate sugli altri circuiti.

A tal proposito, gli ideatori del nuovo sistema devono certo aver avuto ben presenti le brillanti osservazioni fatte, in tempi tutt’altro che sospetti, dal sociologo tedesco Georg Simmel, secondo il quale la società andrebbe intesa come l’insieme di tutte le interazioni formali che ogni singolo individuo produce; compito della sociologia o – per usare una terminologia più attuale – delle nuove piattaforme virtuali sarebbe, allora, quello di indagare le forme concrete con cui si presentano tali interazioni, i modelli attraverso i quali le persone si associano fra di loro e interagisco. Da questa considerazione deriva l’idea che l’individuo appartenga a delle “cerchie sociali”, delle strutture, cioè, fondamentali per lo sviluppo dell’azione sociale; tali cerchie, da strette e concentriche quali erano un tempo, si son fatte sempre più larghe e solo parzialmente sovrapposte, imponendo, di fatto, una tensione verso la realizzazione individuale: la differenziazione delle cerchie implica il passaggio dall’omogeneità all’eterogeneità, dall’uniformità all’individualizzazione, dall’assimilazione alla differenziazione.

Il sistema di relazioni presente in Google+ sembra proprio rifarsi alla “grammatica” di vita sociale studiata da Simmel. Dal diventare “amici”, al “seguire”, fino all’“entrare in una specifica cerchia sociale”, l’evoluzione più attuale del social networking digitale passa attraverso quello che pare a molti essere un recupero della propria individualità, intendendo con tale termine la padronanza nella scelta di cosa condividere con chi. Si riduce l’ansia da prestazione, dettata dalla necessità di compiacere in egual misura differenti personalità; ci si riappropria delle molte “maschere” con cui si è soliti muoversi nella vita quotidiana, quella stessa vita che Erving Goffman assimila alla rappresentazione teatrale, tesa tra ribalta, retroscena e ruoli differenti (cfr. “La vita quotidiana come rappresentazione”, E. Goffman).

In realtà, una simile funzionalità era già prevista in Facebook, ma pare non abbia ottenuto, in sostanza, un forte riscontro nell’utilizzo, se non limitatamente a quella ristretta cerchia (appunto) di persone – blogger, programmatori, comunicatori, giornalisti, investitori – attente ad ogni nuovo stimolo virtuale, a maggior ragione se funzionale ai propri obiettivi professionali; ed è proprio su questa èlite digitale che, sostengono alcuni (forse a torto, forse a ragione), farà colpo il nuovo network di Google, poiché per essi «l’idea di spendere ore nella tassonomia di centinaia di propri contatti è utile ed eccitante. Porta ordine nella loro vita caotica», come sostiene Matteo Lenardon in un articolo dal titolo piuttosto significativo “Perché tua mamma non userà Google+”.

Sia vera o meno una simile previsione, per il momento pare non placarsi – l’abbiamo visto – l’assalto mediatico alla novità sociale, dettato, quasi sicuramente, dal meccanismo di apparente esclusività del circuito, aperto solo a chi viene invitato a parteciparvi, e dalla conseguente curiosità che si viene a creare. Si aggiunga poi che, in seguito ad un numero di richieste considerato “folle”, lo stesso accesso ad invito è stato bloccato, accogliendo, quindi, solo in parte le richieste delle persone invitate e incrementando notevolmente l’aspettativa di quanti sono restati fuori. Per rendere l’idea del fermento in tal senso della rete, basti pensare che su eBay sono stati venduti inviti anche a 70 $. Il sistema “ad invito”, ricordiamolo, non è certo una novità per i dirigenti di Mountain View, avendo fatto la fortuna di Gmail qualche anno fa ed essendo stato adottato, con un riscontro decisamente inferiore, anche per Google Wave.

Se Facebook impone di creare una rete basata sull’eterogeneità dei rapporti e la massima condivisione; se Twitter permette di collegare a questa stessa rete chiunque solletichi il nostro interesse, prescindendo da una logica primariamente collaborativa e con funzione forse più informativa, di aggiornamento e assistenza piuttosto che emotiva; se LinkedIn crea relazioni basate sulla fiducia e l’affidabilità; se tutto questo è vero, Google Plus sembra riversare sull’utente la scelta di come e cosa condividere, di comprendere quale sia il perfetto mix tra gli approcci finora proposti nelle reti sociali, facendosi costruttore del proprio edificio relazionale.

Nella situazione attuale non sono presenti applicazioni esterne a Google, tuttavia si è diffusa la notizia secondo la quale l’apertura agli sviluppatori dovrebbe essere imminente: l’attesa è stata, probabilmente, motivata dalla volontà di presentare innanzitutto una versione definitiva del mezzo, che si dimostri capace di superare la fase momentanea di test. Altra indiscrezione riguarda la sicura introduzione di profili business, aperti alle aziende.

Sono stati già posti i primi problemi in tema di privacy, dunque in un terreno sul quale, l’abbiamo visto, si basa la possibile fortuna di Google+. Il giornalista del Financial Times, Tim Bradshaw, ha, infatti, spiegato come la funzione di “resharing” possa in parte ledere le volontà di condivisione degli utenti: «diciamo che un mio caro amico posti una fotografia dei suoi figli nel suo cerchio degli “amici”. Con l’opzione “condividi” presente su ogni post di Google+, possiamo ri-condividre con altri cerchi di contatti ai quali il mio amico non appartiene. Questo vale per qualsiasi tipo di post, non solo per le foto. Se il mio amico fosse consapevole di questo rischio, potrebbe aver disabilitato il resharing usando il menu a tendina che si trova sulla destra di ogni post, ma non sembra che questa opzione sia attivabile prima di aver condiviso il post. Google+, inoltre, per adesso non consente di disattivare il resharing di tutti i post dalle impostazioni».

A questo punto pare che lo scontro tra piattaforme sia inevitabilmente aperto: Facebook blocca Facebook Friend Exporter, il plugin per esportare gli amici su Google+, e propone – solo la prima, a suo dire, di una serie di novità – un nuovo servizio di videochat in collaborazione con Skype; BigG sceglie di non rinnovare l’accordo con Twitter per far comparire i tweet nei risultati delle ricerche; e in ambito business? Chi la spunterà?

Al via, dunque, alle scommesse sui futuri vincitori e vinti…

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“INPS Servizi Mobile” per Android

Disponibile anche per il sistema operativo di Google l’applicazione per controllare l’estratto conto contributivo senza limiti di spazio e tempo
INPS Servizi Mobile”, questo il nome dell’applicazione che permette di controllare il proprio estratto conto contributivo tramite dispositivi mobile, tablet, smartphone e cellulari di ultima generazione.

La novità sta nel fatto che tale applicazione, sviluppata un paio di mesi fa per iPhone e iPad (dunque per sistema operativo iOS), sarà da oggi disponibile anche per dispositivi dotati di sistema operativo Android; scaricabile gratuitamente, essa è compatibile, in particolare, con la versione 2.1 o con le versioni successive, per funzionare necessita ovviamente del Codice Fiscale dell’utente e consente l’accesso ai soli soggetti in possesso di un PIN rilasciato dall’Istituto, o di una carta nazionale dei servizi.

Un percorso votato dunque all’innovazione, quello pensato dall’INPS, finalizzato – come si legge in una nota ufficiale diffusa nel sito – “a dare una risposta alla domanda crescente di utilizzo di informazioni e servizi da parte della propria utenza attraverso gli apparati mobili, coerentemente con la diffusione delle piattaforme mobili in Italia, con l’obiettivo di raggiungere un numero sempre più elevato di utenti”.

Lo scopo dell’applicazione INPS Servizi Mobile è quello di permettere ai cittadini di interfacciarsi ed interagire con alcuni servizi disponibili online, in un regime di maggiore libertà, privo di vincoli (escludendo l’ovvia necessità di connessione) e sfruttando la particolare predilezione e alfabetizzazione italiana alla fruizione in mobilità. Nuove forme di comunicazione, dunque, per rinnovati modelli comportamentali.

Oltre alla versione mobile del sito istituzionale, l’INPS aveva già reso disponibile per iPhone e iPad anche l’applicazione “INPS Ufficio Stampa”, che permette agli utenti di consultare comunicati stampa, documenti ufficiali e contenuti multimediali curati dall’ufficio stampa dell’Istituto.

Un’attenzione particolare, fanno sapere, è stata posta nella necessità di raggiungere trasversalmente un pubblico inevitabilmente eterogeneo, dunque di “andare incontro alle esigenze delle diverse fasce di utenza dell’Istituto”. Per questo vengono fornite “informazioni e servizi fruibili sia dai telefoni di moderna generazione che dai dispositivi meno ricchi di funzionalità”: “modalità di navigazione semplificata, contenuti immediati, sintetici e completi”.

Il portale m.inps.it completa, allora, la rosa delle soluzioni mobile pensate dall’Inps, accessibile anche da cellulari meno evoluti ma comunque capaci di navigare in rete: si parla di un “sito adattativo”, poiché “capace di riconoscere il dispositivo che accede al portale e presentare automaticamente l’interfaccia più adatta alla tipologia di utente collegato”.

In un video di presentazione presente nel sito, Marco Barbieri, direttore centrale comunicazione INPS, spiega come l’Istituto sia “da sempre all’avanguardia nella tecnologia ed è da sempre attento a mettere l’innovazione al servizio dei nuovi costumi e delle nuove abitudini degli italiani”. Con riferimento al portale web, egli sottolinea, poi, come in esso si riconoscano “le caratteristiche del sito web […]: stessa grafica, stessi riferimenti, per due modi diversi di navigare in rete”.
Prosegue, poi, Guido Ceccarelli, dirigente area portali, gestione documentale e posta elettronica INPS, affermando che “costruire un portare mobile significa realizzare un sito con caratteristiche proprie, complementari a quelle di un sito tradizionale, ma specificatamente pensate per l’utilizzo da parte di terminali mobili”; gli sforzi si sono concentrati nel “rendere i contenuti facilmente accessibili anche su un telefono cellulare che ha uno spazio di visualizzazione ridotto rispetto a quello a cui siamo normalmente abituati. Si è trattato di un lavoro mirato ed accurato di selezione dei contenuti dal portale istituzionale e relativo adattamento tecnologico a questo tipo di dispositivi […]”. Le attese maggiori sembrano ora rivolte in direzione di un feedback degli utenti, che consenta di “rifinire e ottimizzare maggiormente l’usabilità del portale mobile”.

Chiude, infine, Barbieri dichiarando che “il lavoro che l’Inps sta facendo in questa direzione non si ferma in questo modo, continua, visto che l’Inps è sempre in evoluzione, pronto a cogliere le opportunità che la tecnologia offre”: la notizia di questi giorni non fa che confermare positivamente tale dichiarazione di intenti.

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Il fattore internet nell’economia italiana

Uno studio realizzato da BCG per conto di Google cerca di stabilire l’impatto che la Rete produce nel contesto nazionale, non solo a livello di PIL, ma anche di benefici indiretti

Tre le linee direttive da seguire: completamento del processo di avvicinamento alla Rete da parte delle piccole e medie imprese, avanzando, attraverso il coinvolgimento diretto di tutti gli attori, delle pretese di natura internazionale; sfruttamento di nuovi modelli di business basati sulla fruizione del Web in mobilità (mobile commerce) e sulle numerose opportunità che essa crea – applicazioni e georeferenziazione in primis – puntando su una florida collaborazione tra aziende, sviluppatori software, società di telecomunicazioni, produttori di smartphone e aziende produttrici di sistemi operativi; promozione della rivoluzione culturale che inevitabilmente deve accompagnare la rivoluzione tecnologica, attraverso un’operazione di “educazione digitale” che, rimuovendo gli ostacoli alla diffusione di Internet, sia capace di stimolare e guidare i comportamenti dei consumatori.

In questa triade prospettica si riassume il senso dell’intero studio “Fattore Internet” commissionato da Google e realizzato da Antonio Faraldi, Mauro Tardito e Marc Vos di Boston Consulting Group (BCG), “una multinazionale di consulenza di management e uno dei leader mondiali nella consulenza strategica di business”, grazie anche al contributo del Professor Carlo Alberto Carnevale Maffè, e disponibile sul sito www.fattoreinternet.it.

L’obiettivo dichiarato è quello di fornire una valutazione quanto più oggettiva circa l’impatto che la rete produce sull’economia italiana, cercando di stabilire, cioè, “perimetro e dimensione dell’Internet economy”: si tratta di una questione estremamente delicata, sulla quale mondo accademico e professionale ancora non sono stati in grado di esprimersi pienamente, vista la dinamicità e l’evoluzione continua del mezzo indagato.

Si parte da alcuni considerazioni di carattere generale circa il rapporto tra il web e gli attori che contribuiscono alla sua forza evolutiva (consumatori finali, aziende e pubblica amministrazione): si ricorda come il primo dominio italiano – http://www.cnr.it, del Consiglio Nazionale delle Ricerche – sia stato registrato nel 1987, quando in tutto il mondo esistevano solamente 10.000 computer connessi alla rete, e come, a fine 2010, i siti .it abbiano superato la quota dei 2 milioni. Circa 28 milioni sono, oggi, gli italiani che navigano almeno una volta al mese (16% in più rispetto al 2009), 13 milioni sono, invece, le famiglie che hanno accesso alla rete (più della metà del totale), con una crescita, rispetto al 2007, di quasi 50 punti percentuali. Studenti e lavoratori si dimostrano i più attivi fruitori della rete: il 70% circa degli italiani con un’età compresa tra i 6 e i 45 anni è connesso alla rete, mentre la percentuale scende al 44% se si considera la fascia che va dai i 45 e i 64 anni. Gli internauti over-65 presentano, invece, una percentuale di penetrazione pari al 7%, tuttavia hanno registrato un incremento del 40% tra il 2009 e il 2010 e gli studiosi di BCG sono pronti a scommettere che l’attuale digital divide di origine anagrafica “andrà auspicabilmente a chiudersi nel prossimo futuro”.

Dal punto di vista geografico le differenze nella diffusione di Internet non sono così evidenti come avviene in relazione ad altri indicatori di ricchezza: nelle regioni centro-settentrionali più della metà delle famiglie è connessa, mentre al sud troviamo regioni come la Sicilia, la Calabria e la Basilicata, in cui la percentuale scende attorno al 40%. Poco marcate anche le differenze relative ad aree metropolitane – dove le famiglie con accesso alla rete rappresentano il 58% – e zone rurali, dove ci si ferma al 45%. Significativo, invece, con riferimento a quest’ultima distinzione, il divario sulla penetrazione della banda larga: nelle grandi città il 67% delle famiglie con accesso alla rete utilizza connessioni ADSL, mentre nei comuni fino a 2 mila abitanti si arriva solo al 49%. Il web viene utilizzato sia sul posto di lavoro, sia nel tempo libero, il numero di utenti attivi nelle fasce orarie tra le 9 e le 24 è compreso tra i 5 e i 7 milioni e, in media, gli italiani trascorrono 1 ora e 35 minuti al giorno online.
Nel 2010 i consumatori italiani avrebbero acquistato prodotti, servizi (soprattutto nel settore turismo) e contenuti digitali (soprattutto nel comparto del gaming) per un valore complessivo di circa 11 miliardi di euro (nel 2009 era di 9,5 miliardi), dato non ancora ai livelli delle eccellenze europee, ma tuttavia in forte crescita: le sole vendite on-line di prodotti e servizi hanno raggiunto i 6,5 miliardi di euro, con un incremento del 14% rispetto al 2009, superiore a quello registrato negli Usa (8%), nel Regno Unito (8%) e in Germania (12%). I risultati più positivi si sono registrati nei settori tradizionali del Made in Italy: l’apertura, ad esempio, alla vendita online da parte di alcune grandi firme del settore moda ha contribuito a fare del comparto abbigliamento quello con la più elevata crescita (più del 43% rispetto al 2009, con un fatturato pari a 490 milioni di euro nel 2010) in termini di e-commerce. A tal proposito si registra l’importanza di una serie di fenomeni legati alla convenienza nell’acquisto in rete, come i cosiddetti “buying club”, siti che, puntando sull’esclusività degli aventi diritto, permettono l’acquisto di un’ampia gamma di prodotti a prezzi scontatissimi (leader nel territorio è il sito spagnolo BuyVip, seguito dal nostrano SaldiPrivati); o come Groupon, società di Chicago che giornalmente propone delle offerte davvero vantaggiose su pacchetti di servizi o prodotti: oggi il 15% degli internauti italiani sfrutta queste possibilità, percentuale che ci colloca al terzo posto a livello europeo, preceduti solo da Francia (21%) e Regno Unito (17%).
Internet ha rappresentato, allora, una risorsa particolarmente utile per l’ammodernamento di alcuni settori chiave dell’economia italiana, apportando benefici in ogni passaggio della catena e contribuendo ad aumentarne la competitività a livello internazionale. In particolare sono stati analizzati tre settori particolarmente rappresentativi dell’Italia nel mondo: quello alimentare, quello della moda e quello del turismo. Con riferimento al primo, si sottolinea come la rete abbia permesso la tracciabilità dell’intera filiera produttiva e come i motori di ricerca e i social network abbiano rivoluzionato il modo di comunicare delle imprese nei confronti di partner, fornitori e consumatori. In relazione al secondo, si evidenzia l’importanza del web non solo – lo abbiamo visto – con riferimento alle vendite, ma anche per la creazione di innovative attività di marketing, come può essere la trasmissione in streaming delle sfilate. Infine la rete è certamente diventata la principale fonte di informazioni per chi intende viaggiare: i motori di ricerca sono i più utilizzati sia da chi si sposta per motivi di lavoro (40%), sia da chi lo fa per piacere (48%).

Il turismo, con un fatturato pari a quasi 3,5 miliardi di euro nel 2010 (in aumento del 15% rispetto al 2009), rappresenta il settore più rilevante per l’e-commerce italiano e nel 2011 ci si aspetta che un volo su cinque e un hotel o pacchetto vacanza su dieci vengano acquistati in rete.
Un altro elemento non trascurabile è la trasparenza veicolata dalla transazione digitale: “in un paese dove la componente del ‘nero’ nell’economia nazionale ha tutt’oggi una rilevanza non trascurabile”, si comprenderà facilmente “il risvolto positivo di aumentare la trasparenza fiscale complessiva del sistema delle imprese, a tutto vantaggio della comunità”.
Internet, è bene precisarlo, non apporta benefici alle sole grandi aziende dei settori trainanti l’economia nazionale, ma – i dati lo confermano ampiamente – risulta una risorsa essenziale anche allo sviluppo delle piccole e medie imprese, le quali, ricordano i ricercatori di BCG rifacendosi a dati ISTAT, rappresentano più del 99% delle aziende italiane e producono circa il 70% del fatturato totale, dando lavoro agli 80% degli occupati. Le PMI che usano Internet attivamente, si sottolinea, “crescono più in fretta”, “raggiungono una clientela più internazionale”, “assumono più persone” e “sono più produttive”; tuttavia la penetrazione del mezzo è ancora piuttosto bassa: l’87% delle aziende con più di 50 dipendenti ha un sito, ma tra quelle con meno di 10 dipendenti la percentuale scende al di sotto del 50%, con una punta negativa del 15% nelle aziende che ne hanno 1 o 2 (dati Eurisko). BCG ha pensato allora di suddividere le PMI in tre categorie, sulla base del loro rapporto con la rete: troviamo quelle “online-attive” che possiedono un sito ed effettuano attività di marketing virtuali o di e-commerce, le quali, negli ultimi tre anni, hanno conosciuto una crescita media dei ricavi dell’1,2%, contro un calo del 2,4% registrato per le PMI “online” – quelle, cioè, che semplicemente possiedono un sito web – e del 4,5% per le PMI “offline”, prive persino di un sito. Il 65% delle PMI online-attive ha affermato, poi, di aver aumentato la propria produttività grazie all’uso del web, percentuale che scende al 28% per quelle online e al 25% per quelle offline (che comunque possono avere connessione alla rete); l’incidenza nelle vendite all’estero è stata del 14,7% per le online-attive, del 7,7% per le online e del 4,1% per le offline.

Anche a livello occupazionale l’impatto della rete si è dimostrato estremamente positivo: negli ultimi 5 anni il 34% delle aziende online-attive ha registrato un aumento del personale, contro un misero 11% delle aziende offline, grazie non solo all’aumento del fatturato, ma anche alla creazione di nuove figure professionali. Attraverso un’analisi settoriale, apprendiamo anche che lo sviluppo occupazionale ha colpito soprattutto le PMI online-attive che operano nel marketing (per il 73% di esse internet ha portato nuovi posti di lavoro), seguite dalle società tecnologiche (45%) e del retail (41%); i benefici inferiori si sono invece registrati nelle realtà che si occupano di media (22%), di produzione (26%) e di real estate (27%). Sicilia (46%), Lombardia (42%) e Lazio (39%), infine, risultano le regioni con il più alto tasso di imprese online-attive a creare assunzioni.

Il principale beneficio nell’utilizzo della rete sembra essere, per le PMI online-attive, il miglioramento del targeting pubblicitario, con la possibilità di realizzare campagne pubblicitarie mirate con un maggior ritorno sull’investimento; sono poi considerati fattori importanti anche i cambiamenti nell’interazione con i clienti, grazie ai feedback diretti che permettono di ottimizzare i prodotti e servizi offerti, l’ampliamento dei mercati e della clientela e la semplificazione nei mezzi di pagamento.

Un’altra peculiarità del contesto italiano è rappresentata dall’elevata propensione all’utilizzo di dispositivi per la connessione mobile, come smartphone e tablet: con 15 milioni di unità, l’Italia si presenta come uno dei Paesi europei con il numero maggiore di smartphone presenti, 10 milioni dei quali vengono utilizzati per navigare; tra i possessori, stando ad uno studio Forrester Research, il 3% utilizza già il dispositivo per effettuare acquisti online (m-commerce) e la percentuale sembra destinata a crescere, visto che il 10% si dichiara interessato a farne uso in futuro (contro il 3% registrato in Francia e il 4% in Germania). L’ulteriore aumento della velocità di connessione mobile, grazie alla tecnologia ultrabroadband LTE, consentirà, inoltre, collegamenti “ovunque ed in ogni momento”, amplificando le opportunità di business per le aziende, legate anche alla possibilità, propria di smartphone e tablet, di essere integrati con i sistemi informativi aziendali di back office. Altro aspetto fondamentale del consumo mobile è l’esplosione avvenuta nello sviluppo di applicazioni per le maggiori piattaforme software, in particolare Apple iOs e Google Android: nel 2010 il mercato italiano delle apps valeva 50 milioni di euro, il doppio rispetto al 2009 e pare che la crescita, a livello mondiale, sarà nel prossimo futuro trainata proprio dall’Europa, che si stima raggiungerà gli 8,4 miliardi di dollari (33% del totale) nel 2015.

Uno degli aspetti sicuramente più interessanti dello studio realizzato da BCG riguarda la scomposizione dell’impatto di Internet sull’economia italiana in quattro parti.
Il nucleo centrale di tale impatto è costituito dal valore esprimibile sotto forma di PIL, stimato secondo il metodo delle Spesa. Nel 2009 l’internet economy italiana ammontava a 28,8 miliardi di euro, pari all’1,9% del PIL, mentre nel 2010 essa ha raggiunto un valore di circa 31,6 miliardi di euro, ovvero il 2,0% del PIL; se Internet fosse un settore, il suo appoggio alla crescita del PIL sarebbe stato del 8% nell’ultimo anno: per capire la portata di una simile percentuale, si consideri che agricoltura ed utilities hanno raggiunto, nello stesso periodo, il 2,3% del PIL, mentre la ristorazione si è fermata al 2,0%. Quattro sono, in particolare, le componenti fondamentali dell’effetto positivo che la rete ha prodotto sul PIL: il consumo ha contribuito a circa il 50% del totale, pari a 14,6 miliardi di euro nel 2009 e a 17,4 miliardi di euro nel 201 (a sua volta, il 65% di tale consumo è dato dall’acquisto di prodotti, servizi e contenuti online, il 35% dalla spesa per l’hardware necessario all’accesso alla rete e per l’accesso stesso); gli investimenti del settore privato in tecnologie legate al web ammontavano a 10,6 miliardi di euro nel 2009 e sono aumentate di mezzo miliardo nel 2010; la spesa istituzionale ha raggiunto un valore di circa 7 miliardi di euro sia nel 2009, sia nel 2010; infine le esportazioni nette di tecnologie e e-commerce erano pari a 3,8 miliardi nel 2009 e a circa 4,1 miliardi nel 2010.

Il calcolo del solo effetto sul PIL non esaurisce, tuttavia, l’intero bacino dei benefici apportati dalla rete; ecco allora che lo studio ha indagato i cosiddetti “dintorni del PIL”, cioè tre ulteriori aspetti legati a tale bacino.
Il primo riguarda i benefici economici indiretti: l’e-procurement della pubblica amministrazione (cioè l’insieme dei beni acquistati online dalla PA) ha assunto un valore di 5 miliardi di euro nel 2009 e di circa 7 miliardi nel 2010; il valore del ROPO, cioè dei prodotti comprati nel mondo reale ma per i quali si sono cercate informazioni su Internet, è stato di 17 miliardi nel 2010 (circa 600 euro per utente). Sommando l’e-procurement ed il ROPO al valore catturato dal PIL, l’impatto totale di Internet sull’economia italiana è stato, nel 2010, di circa 56 miliardi di euro.

Altri benefici indiretti riguardano l’e-commerce Business to Business (tra le imprese) e la pubblicità online, che ha raggiunto nel 2010 un volume d’affari pari quasi a 1 miliardo (11% del totale del mercato pubblicitario).
Una secondo aspetto dei “dintorni del PIL” da considerare è quello relativo all’incidenza della rete sulla produttività per il settore privato e per la PA, produttività che, grazie alla diminuzione dei costi e dei tempi nelle transazioni e grazie alla semplificazione delle procedure, avrebbe ampi margini di miglioramento.
Infine è necessario considerare i vantaggi di carattere sociale del web, legati alla condivisione di contenuti generati dagli stessi utenti (“User Generated Content”) e alle forme nuove di comunicazione via chat o tramite piattaforme social.
Le ipotesi, infine, riportate dagli analisti di BCG parlano di un raddoppiamento – nel 2015 rispetto al 2009 e in uno scenario di sviluppo lineare alla situazione esistente – del contributo web al PIL, attraverso il raggiungimento di 59 miliardi di euro (3,3% del PIL, crescita annua del 13%). In uno scenario che consideri, invece, anche l’apporto dell’m-commerce, questo valore arriverà ai 77 miliardi di euro (4,3% del PIL, tasso di crescita del 18%).
In conclusione possiamo sottolineare come lo studio sembri lanciare un forte appello alle imprese affinché si affidino alla rete per il proprio rilancio e la propria internazionalizzazione: “se già negli ultimi anni lo sbarco in rete ha significato la sopravvivenza per molte realtà, nel futuro parlare il linguaggio del Web sarà indispensabile anche solo per continuare ad esistere”.

Android supera Symbian

Gli analisti di Canalys hanno evidenziato come nel 2010 il dominio decennale di Symbian sia stato superato dal sistema operativo di Google

Stando ai risultati di un’analisi di mercato condotta dalla società di ricerca Canalys, il software di Google, Android, a soli 2 anni dal suo lancio, sarebbe attualmente il sistema operativo per smartphone più utilizzato al mondo.

Pare, infatti, che nell’ultimo quadrimestre del 2010 Google abbia venduto 32,9 milioni di cellulari dotati del sistema Android (nel 2009 ne aveva venduti 4,7 milioni), con un tasso di crescita annuale corrispondente al 615,1%, arrivando a detenere una quota di mercato pari al 32,9%, contro l’8,4% riferito all’ultimo quadrimestre del 2009.

In altri termini, le vendite di smartphone Android sono cresciute di almeno sette volte in un solo anno, un dato che ha implicato il superamento, per la prima volta dopo dieci anni, del dominio di Symbian, usato da Nokia, che slitta, così, alla seconda posizione: dallo studio emerge che, nello stesso intervallo di tempo riferito al 2010, il concorrente finlandese ha venduto 31 milioni di smartphone Symbian, passando dal 44,4% di share detenuto nel 2009, al 30,6% attuale.

La terza posizione della classifica è occupata, invece, dal sistema operativo iOS di Apple, con circa 16,2 milioni di iPhone venduti tra ottobre e dicembre 2010, quasi il doppio rispetto a quegli 8,7 milioni del 2009; tuttavia, proprio a causa della fortissima diffusione di Android, le quote di mercato di Apple sarebbero scese dal 16,3% del 2009 al 16% attuale.

La Research In Motion (RIM), casa produttrice di Blackberry, ha raggiunto il quarto posto, con 14,6 milioni di unità vendute (contro i 10,7 milioni del 2009) e passando ad una quota di mercato del 14,4% (contro il 20% del 2009).

La società d’analisi sottolinea come tale risultato sia da attribuire principalmente all’ampia disponibilità di terminali Android da parte dei diversi costruttori; a differenza di Apple e Nokia, Google ha, infatti, scelto di non produrre in proprio i cellulari, ma di offrire gratuitamente il sistema operativo ad altre società: ecco allora che, grazie ad Android, Lg Electronics, Samsung Electronics, Acer e Htc hanno registrato crescite rispettivamente del 4.127%, 1.474%, 709% e del 371% anno su anno ed ecco che, al momento, Htc e Samsung detengono, assieme, quasi il 45% delle vendite di cellulari Android.

L’unica società che pare aver subito un calo nelle vendite è Microsoft, con perdite che si aggirano attorno al 20,3%, e attribuite, in parte, dagli analisti, al fatto che le vendite del Windows Phone sono cominciate alla fine dell’ultimo trimestre 2010. Ciononostante le vendite complessive di smartphone sarebbero aumentate dell’89% rispetto all’anno precedente, con 101,2 milioni di unità: da più parti ci si interroga sulla possibilità che i cellulari superino, nel più prossimo futuro, pc e portatili come strumento privilegiato di navigazione in rete.

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