Resistere alla crisi e puntare sull’innovazione: l’editoria punta sui più piccoli

Leggono più della media italiana, soprattutto in età prescolare. Sono maggiormente alfabetizzati al mezzo digitale rispetto ai genitori, che invece continuano a preferire il libro di carta, per paura di perderne la magia, e lamentano la carenza di titoli in italiano tra gli e-book

L’ampia diffusione della Rete e dei diversi devices mobili ha imposto un processo di rinnovamento che ha coinvolto interi settori. Questa non è certo una novità. Il processo di digitalizzazione che ha riguardato, in particolare, l’editoria è stato oggetto di un vivace dibattito culturale che ancora oggi non può dirsi concluso e che ha schierato, da un lato, gli intramontabili avversari dell’e-book, convinti che nulla potrà mai scalfire il fascino sensibile della carta, e, dall’altro lato, i sostenitori dell’innovazione ad ogni costo, che fin da subito hanno profetizzato la fine di un’era, quella del libro tradizionale. Le stime più recenti vedono – almeno con riferimento al contesto italiano – un mercato degli e-book ancora piuttosto embrionale, ma con tassi di crescita costanti e margini di sviluppo sempre più elevati, per quanto riguarda il numero di titoli e di lettori e il volume di vendite e fatturato.
Siamo ancora ben lontani dal poter delineare con certezza il destino riservato alla miriade di storie e trattazioni racchiuse in versi, capoversi e capitoli. I due mezzi – cartaceo e digitale – non dovrebbero essere concepiti come opposti, ma piuttosto come manifestazioni alternative di una stessa florida (almeno teoricamente) cultura collettiva. Scrivere la parola carta sulla tomba dell’apprendimento e dell’intrattenimento sembra essere più un esercizio di provocazione che non una reale consapevolezza. Allo stesso modo fingere di non vedere le numerose funzionalità rese disponibili dalla virtualità e dall’innovazione significa non avere la benché minima coscienza dello stato attuale dei fatti.
Quando si tratta di discutere pro e contro dei due veicoli, non vi è comunque alcun dubbio circa la necessità di attuare una diversificazione per generi. Scritture tecniche, scientifiche e giuridiche si prestano forse maggiormente ad una consultazione digitale, permettendo di effettuare ricerche maggiormente mirate, di seguire link ad approfondimenti e chiarimenti, di costruire segnalibri, librerie personalizzate, preferiti e appunti. Non molti, per contro, sembrano ancora pronti ad abbandonare il piacere di sfogliare delle pagine stampate, mentre sono immersi in avventure mozzafiato o in racconti dal finale strappalacrime.
Particolarmente interessante è, a questo proposito, concentrare l’attenzione su un genere che – tra i più vitali – delinea, negli ultimi mesi, delle tendenze particolarmente degne di nota. Ci si riferisce al segmento bambini e ragazzi, il quale, rispetto agli altri, mostra segni di sofferenza decisamente meno marcati, resistendo ad una crisi che ha imposto forti contrazioni del settore nel suo complesso. Stando ai dati Nielsen realizzati per l’Associazione Italiana Editori (AIE), il 2012 è il primo anno in cui anche tale segmento (che rappresenta il 14,1% del mercato) registra un rallentamento (-6,2% sul 2011), seppur decisamente inferiore rispetto alla media del mercato trade del libro (-8% circa). “La crisi non risparmia nessuno, ma per il mercato ragazzi è prevedibile un più rapido attraversamento del tunnel”, ha commentato Antonio Monaco, responsabile del gruppo editori per ragazzi dell’AIE.
Il settore dei più piccoli è stimato allora, a fine 2012, in circa 155,5 milioni di euro a prezzo di copertina. Queste rilevazioni Nielsen si concentrano sul mercato trade, dunque sulle librerie di catena, su quelle indipendenti e sugli store online, mentre restano esclusi la grande distribuzione organizzata e tutti i vari canali alternativi (cartolerie, uffici postali, negozi specializzati in articoli per bambini, collezionabili per bambini venduti in edicola…). Aggiungendo anche l’apporto della GdO, il valore realizzato dal comparto si aggirerebbe attorno ai 200 milioni di euro (-6,8% sul 2011).
Secondo stime AIE su dati IE – Informazioni editoriali, nel 2012 in Italia sono stati pubblicati 5.164 titoli di libri per bambini e ragazzi (per oltre 33 milioni di copie stampate), pari al 7,8% dell’intera produzione editoriale delle case editrici italiane. Il segmento 0-13 anni si conferma al terzo posto tra i generi più venduti nelle librerie fisiche (dati forniti dal servizio Arianna+ di IE), preceduto dalla narrativa e dalle biografie (al primo posto) e dalle scienze sociali e umane (al secondo) e con un peso (10,8%) in linea con il 2011 (quando rappresentava il 10,7%). Osservando poi l’andamento mese per mese, emerge come i picchi nelle vendite di libri per ragazzi siano nel periodo natalizio e all’inizio delle vacanze estive (quando queste arrivano a superare le vendite del settore adulti), a sottolineare l’importanza che la lettura detiene sia come regalo sia come sostituto temporaneo delle lezioni, infine come mezzo di intrattenimento per bambini e ragazzi.
A registrare i volumi più elevati di vendite nel 2012, sono, più in dettaglio, i libri della fascia 3-4 anni (27,8%), probabilmente grazie al forte successo editoriale dei libri di Silvia D’Achille su Peppa Pig. Al secondo posto per vendite troviamo le pubblicazioni pensate per la fascia 7-8 anni (21,9%), con la forza dei long-seller Geronimo Stilton e Harry Potter, e al terzo la fascia 5-6 anni (18,51%). Salendo oltre gli 8 anni, i pesi percentuali diminuiscono drasticamente: 13,47% per i 9-10, fino ad arrivare a un 9,58% per gli 11-13 anni.
La spesa media annua per bambino (0-14 anni, solo canali trade) è stata, nel 2012, pari a 18,7 euro, un valore bassissimo e che quasi triplica (48,5 euro) se la spesa viene calcolata per bambino lettore (6-14, solo canali trade).
Stando agli ultimi dati stimati da Liber, nel 2011 gli editori italiani attivi nel settore ragazzi risultano essere 184 (erano 198 nel 2010), le novità pubblicate sono 2.267 (-4,6%) e i Paesi da cui si sono acquisiti i diritti per i titoli pubblicati sono stati (guardando solo alle novità) soprattutto il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, Paesi Bassi e Spagna.
Se il settore non si flette completamente alla crisi, il merito è proprio dei più piccoli, che leggono più della media italiana: stando agli ultimi dati Istat, il 46% degli italiani con più di 6 anni legge almeno un libro in un anno (circa 26,2 milioni di persone), ma le percentuali salgono notevolmente se si considerano le sole fasce più giovani. La lettura coinvolge, infatti, il 54,3% dei bambini tra i 6 e i 10 anni (nel 2002 era il 45,2%), il 60,8% dei ragazzi tra gli 11 e 14 anni (percentuale praticamente identica a dieci anni fa) e il 59,8% dei 15-17enni (contro 53,7% del 2002). Percentuali di penetrazione ancora più elevate per la lettura prescolare: il 63,3% dei bambini di 2-5 anni legge, colora, sfoglia libri o albi illustrati tutti giorni al di fuori dell’orario scolastico. Sembra, dunque, che i bambini diminuiscano la propria attitudine alla lettura con l’inizio delle scuole elementari, a dimostrare come siano probabilmente più i genitori che gli insegnanti i veri promotori dell’importanza di questa esperienza percettiva e formativa.
La nostra forza sta nel fatto che i ragazzi leggono più degli adulti” – ha evidenziato ancora Monaco – “È in questa fase della vita che se si semina, si semina bene per sempre: la vera sfida che ci attende è dunque quella di accrescere ulteriormente lo sviluppo della lettura nei primi anni di vita e poi di saperlo conservare”.
Il motivo del forte attaccamento al libro dei bimbi più piccoli viene intravisto nel cambiamento d’approccio operato dai genitori italiani, i quali, essendo maggiormente scolarizzati, investono più delle generazioni precedenti nel futuro dei propri figli e nella loro formazione. A ciò si aggiungono la maggior diffusione di settori dedicati nelle librerie e le trasformazioni (nei materiali, formati, colori, storie…) che le case editrici hanno apportato ai propri prodotti pensati per la prima infanzia.
L’offerta editoriale rivolta ai più piccoli ha continuato, dunque, a crescere in maniera significativa negli ultimi anni, non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi, e questa crescita ha coinvolto in particolare il comparto digitale. Mentre nel 2011 i titoli e-book in commercio nelle librerie italiane online erano 1.182, nel 2012 si è giunti a quota 2.177 (+84%), sulla scia dell’elevata alfabetizzazione al mezzo da parte dei piccoli lettori digitali. Il 53,1% di coloro che hanno tra i 6 e i 10 anni utilizza, infatti, il pc (il 32,8% con cadenza settimanale) e il 76,3% nella stessa fascia d’età dichiara di accedere a Internet (dati Istat).
L’e-book rappresenta, inoltre, solo una delle molte declinazioni che l’editoria può raggiungere in tempi di multicanalità e villaggio globale. Contenuti multimediali, enhanced books, libri interattivi, applicazioni: forti sono anche in Italia le attenzioni per queste manifestazioni, come ha dimostrato il “Bologna Ragazzi Digital Award 2013”, il premio internazionale – giunto quest’anno alla seconda edizione – promosso da Bologna Fiere in collaborazione con la rivista statunitense Children’s Technology Reviewal, al fine di incoraggiare le produzioni eccellenti ed innovative nell’ambito delle app derivate da libri e indirizzate a bambini e ragazzi dai 2 ai 15 anni di età. Tra oltre un centinaio di candidature, il premio della categoria “fiction” è andato a “Four Little Corners” (Spagna), quello per la categoria “non fiction” a “War Horse” (Gran Bretagna); in mezzo alle 10 finaliste, è finita anche una app italiana, “IdentiKat”.
I vincitori sono stati proclamati durante il “TOC Bologna 2013” (Tools of Change for Publishing), la conferenza internazionale sulle ultime novità dell’editoria digitale, che, con oltre 300 operatori da 40 Paesi di tutto il mondo, si è svolta il 24 marzo scorso, alla vigilia della 50a edizione della Fiera del Libro per Ragazzi (25-28 marzo).
In tale occasione, sono stati diffusi anche alcuni dati che ben si inseriscono nel dibattito sul digitale riferito a questa precisa fetta del mercato editoriale: si tratta dei risultati di un sondaggio online lanciato, nel mese di gennaio, da Filastrocche.it, Happi ideas, Mamamò e Nati per Leggere, in collaborazione con AIB (Associazione Italiana Biblioteche), MLOL (MediaLibraryOnLine) e FattoreMamma. Hanno risposto in 1000 tra genitori (il 78,5% del campione), insegnanti o educatori (9%) e bibliotecari (7%), coinvolti principalmente con bambini dai 3 ai 10 anni. I rispondenti sono soprattutto donne (87,8%), hanno un’età media di 39 anni, un livello d’istruzione piuttosto alto (circa il 68% possiede una laurea o titolo post laurea) e una propensione tecnologica superiore alla media italiana (intuibile anche dalle modalità di raccolta dei dati): utilizza abitualmente il computer oltre l’85% del campione, lo smartphone il 53% e un tablet il 44% (anche se solo il 29,3% degli insegnanti e il 25,9% dei bibliotecari usano un tablet).
È emerso che – nonostante sia aumentata la qualità editoriale dei libri digitali per ragazzi – solo il 30,3% dei genitori italiani utilizza e-book con i propri bambini (nel caso di bibliotecari la percentuale scende al 25,7%), mentre quasi il 70% preferisce leggere loro libri cartacei.
La motivazione principale di chi dichiara di non aver mai usato e-book è la preferenza per i libri cartacei (62,7%); i timori più grandi sono di perdere la “magia del libro” (nel 78% dei casi), l’esperienza cioè sensoriale e tattile, e la possibilità che si disincentivino creatività, concentrazione e autonomia nella lettura. Tra le motivazioni che portano a preferire la carta, si evidenzia anche un buon 13,9% che ancora dichiara di non sapere dell’esistenza di libri digitali per bambini e un 23,7% che dice di non avere i supporti necessari alla lettura (percentuale che arriva al 33,3% tra gli insegnanti e al 44% tra i bibliotecari); da quest’ultimo dato si può rilevare una tendenza ad associare il libro digitale a devices mobili più che al computer.
Sulla scelta di fare uso di libri digitali per bambini, incide, infatti, soprattutto il possesso di un tablet, tanto che esso rappresenta il device più utilizzato per la lettura (68,6%) e tanto che il formato più sfruttato per fruire i libri virtuali risulta essere l’applicazione (oltre il 51%). Le caratteristiche maggiormente apprezzate nel libro digitale sono l’illustrazione e una bella veste grafica e, a seguire, l’interattività.
I libri digitali vengono usati soprattutto quando si è in viaggio, negli spostamenti in auto o quando occorre intrattenere i bambini (oltre 61%). I libri di carta rimangono i preferiti per le storie della buonanotte (oltre il 71% ne fa uso). Ciò è legato, in particolare, alle aspettative che si hanno quando si sceglie uno dei due mezzi: da un libro cartaceo ci si attende una buona storia, capace di stimolare la fantasia, mentre a un libro digitale si chiede il coinvolgimento, il divertimento, lo stimolo all’autonomia e una capacità educativa.
Nel 50,8% dei casi i bambini leggono libri digitali in compagnia di un adulto, contro il 31,4% che legge da solo ma in presenza di un adulto e un 17,8% che ha un approccio totalmente autonomo. Oltre il 72% di chi usa libri digitali per bambini considera la qualità dei contenuti abbastanza buona o buona. La problematica maggiore rilevata riguarda la carenza di titoli in italiano.
Per trovare buoni titoli digitali, le fonti maggiormente usate sono gli articoli e le recensioni online, seguiti dal passaparola e dai motori di ricerca. Genitori ed educatori sono disposti (oltre il 55% dei casi) a spendere almeno 4,99 Euro per un libro digitale di pregio (solo il 15,8% li scarica esclusivamente se offerti in forma gratuita). Qualità e disponibilità di contenuti in lingua italiana vengono indicati come i due elementi più influenti sulla propensione all’acquisto. Tuttavia ben l’88% di chi ha scaricato libri digitali si è rivolto a contenuti in lingua straniera.
Ci si imbatte, dunque, in conclusione, in un vero e proprio gap generazionale: da una parte abbiamo i piccoli nativi digitali che hanno buona familiarità con la tecnologia, di certo superiore a quella dei propri genitori; questi ultimi, dall’altra parte, riconoscono ancora il fortissimo valore pedagogico della carta. Resta da vedere, dunque, come si evolverà il rapporto tra queste due diverse anime dello stesso fenomeno.

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150 milioni di euro per le PMI bresciane

Accordo tra UBI Banco di Brescia e AIB per destinare risorse all’approvvigionamento di materie prime e alla copertura dei fabbisogni aziendali

Le piccole e medie imprese bresciane potranno contare su un plafond di 150 milioni di euro, messo loro a disposizione da UBI Banco di Brescia in seguito ad un accordo con l’A.I.B., l’Associazione Industriale Bresciana che associa circa 1300 imprese e che svolge, “accanto ai compiti di rappresentanza nei confronti delle parti politiche e sociali […], funzioni di assistenza alle imprese attraverso una vasta gamma di servizi mirati a rendere agevole la gestione ed a costruire una vera e propria cultura imprenditoriale”.

L’ingente somma sarà destinata, da una parte, all’approvvigionamento delle materie prime necessarie allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e, dall’altra, servirà a coprire i reali fabbisogni aziendali.

Con riferimento a quest’ultimo punto, l’obiettivo, sottolineano i promotori, è sostenere le pmi associate ad AIB e, nel concedere il finanziamento, verranno scelte, in particolare, le imprese con un rating interno alla banca classificato con rischio “medio e basso”. Un’ulteriore discriminante sarà la motivazione della richiesta: verranno prese in considerazione le richieste funzionali a nuovi investimenti o dettate da esigenze connesse alla gestione del capitale circolante a medio e lungo termine; potrebbero poi essere finanziati anche acquisti e rinnovi di beni materiali (non terreni) e investimenti in ricerca e sviluppo.

Con riferimento, invece, al primo punto, l’istituto bancario sosterrà finanziariamente imprenditori e aziende associate ad AIB nella loro attività di reperimento delle materie prime e nella fornitura di strumenti di copertura e gestione del rischio di volatilità dei prezzi.

L’accordo – siglato lunedì 15 marzo presso la sede AIB di via Cefalonia a Brescia dal presidente Giancarlo Dallera e dal direttore generale del Banco di Brescia Elvio Sonnino – viene presentato nel corso di un convegno dal titolo “Il cambio del paradigma di un’impresa e di un territorio che competono e vincono: nuove idee e nuovi strumenti”, dalle 15.45 alle 18.00. In tale occasione vengono presentati nuovi strumenti per l’analisi delle dinamiche economico-finanziarie che coinvolgono le imprese lombarde, allo scopo di trovare nuove strade da percorrere per facilitare il dialogo tra banca e impresa. In particolare, si cerca di approfondire le modalità di determinazione del rating interno, alla luce delle novità introdurre da Basilea 3, e di capire come supportare l’impresa nell’analisi del proprio posizionamento e nella valutazione, in prospettiva, dei propri reali fabbisogni finanziari. Il focus passa poi sulle materie prime, sul contesto attuale del mercato loro riferito e sulle soluzioni di copertura relative. L’analisi passa, infine, agli strumenti per la gestione del capitale circolante.

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Confindustria: entro il 2015 superamento del Digital Devide

In occasione del “Summit 2010 – col ferro e col silicio” si è riflettuto sul rapporto tra imprese e digitalizzazione, sostenendo la necessità di un cambiamento nell’impostazione e di interventi rivolti più specificatamente al territorio

Gestire il passaggio da una situazione di Digital Divide ad una di Digital Prosperity: questo l’obiettivo dichiarato da Confindustria, in occasione del “Summit 2010 – col ferro e col silicio”, organizzato da Aib (Associazione industria bresciana) e Csmt (Centro servizi multisettoriale e tecnologico).

Stando a quanto dichiarato da Gabriele Galateri di Genola, delegato di Confindustria per le Comunicazioni e la Banda Larga, oltre che Presidente di Telecom Italia, fondamentale sarebbe «realizzare entro il 2015 il superamento del divario digitale, garantendo una copertura a 20 mega su tutto il territorio e ultrabroadband per i grandi centri urbani e le aree a forte concentrazione industriale, completando la digitalizzazione della Pa».

L’incontro, presso la sede di Aib, ha riunito rappresentanti e top manager di aziende medio-grandi, responsabili Cio delle multinazionali, vertici della Camera di commercio locale, Università di Brescia, docenti del Politecnico di Milano, come l’Amministratore delegato Cefriel Alfonso Fuggetta, Andrea Masini dell’Hec (l’Ecole des hautes études commerciales Paris). Esso è stato occasione di riflessione sulle opportunità di creazione o trasformazione del business messe a disposizione dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nella profonda convinzione che le PMI italiane possano riemergere più forti dall’attuale situazione di cosiddetta “crisi”, grazie anche – e forse soprattutto – all’uso sapiente e innovativo delle tecnologie ICT. Digitale e banda larga sono, sottolinea ancora Galateri di Genola, «strategici per la competitività del paese, con Confindustria impegnata in un progetto di sistema che si traduce in efficienza aziendale, risparmio, dematerializzazione cartacea e business».

Pare che le aziende e gli apparati decisionali italiani stiano iniziando a cogliere l’importanza strategica dei sistemi informatici, investendo risorse e sforzi lungo questo percorso di digitalizzazione; «gran parte delle nostre proposte sono state recepite nel piano del ministro Romani per l’abbattimento del digital divide e nel Piano e-gov 2012 del ministro Brunetta. Tuttavia, ad oggi, anche a causa della crisi economica, questi piani sono stati realizzati solo in parte». Il problema pare essere soprattutto di impostazione: il processo di informatizzazione viene ancora considerato esclusivamente un veicolo di innovazione, non uno strumento utile alla riorganizzazione della gestione, funzionale alla costruzione di nuovi modelli di business. Secondo Galateri di Genola ciò avverrebbe a causa della scarsa «alfabetizzazione digitale».

Conferma il professor Fuggetta: «l’ICT nelle aziende è stato considerato per molto tempo come un’insieme di strumenti per far funzionare meglio l’impresa a supporto dei metodi classici. Era utilizzato soprattutto per la gestione interna e per il sito web ma non incideva direttamente sul funzionamento dell’impresa. Oggi l’informatizzazione aziendale ha però un ruolo diverso, è entrata pesantemente in tutti gli aspetti della vita dell’impresa».

È un divario dal doppio volto, insomma, quello esistente tra chi ha accesso alle tecnologie dell’informazione e chi ne è escluso, implicando non solo carenze nel lato tecnico, ma anche in quello della consapevolezza sulle reali potenzialità. Si pensi, ad esempio, ai risparmi che deriverebbero dalla dematerializzazione dei documenti cartacei della Pa, o dall’utilizzo di fascicoli sanitari elettronici, posta elettronica certificata, firma digitale e fatturazione elettronica. «Secondo il IV rapporto della Fondazione PromoPA il costo delle pratiche burocratiche per una piccola impresa è pari al 7% del proprio fatturato» continua Gabriele Galateri. «In Europa occidentale secondo una analisi di Forrester Research, si passerà dai 68 miliardi di euro del 2009 ai 114,5 miliardi del 2014 per le vendite realizzate con commercio elettronico. E in Europa è stimato un tasso di crescita dell’11% per le vendite online». «Per ogni euro investito nel settore Ict si sviluppa un euro e 45 di Pil (dati Ocse) e gli investimenti in Ict hanno contribuito al 50% della crescita della produttività europea negli ultimi 15 anni».

Da qui la necessità di inserirsi nel flusso di una nuova coscienza gestionale, che faccia dell’ICT il proprio punto di forza: pur conservando «la personalizzazione dei codici e dei procedimenti, per non perdere specificità rispetto alla concorrenza», considera Andrea Masini, «è necessario capire che l’informatizzazione può cambiare il modello di business».

Come strategia per superare il gap digitale nelle piccole e medie imprese, Confindustria sta sviluppando, in collaborazione con Aldo Bonomi (vicepresidente per le Politiche Territoriali) un progetto per la creazione di distretti industriali e, in generale, intende rendere più forte la propria presenza sul territorio, così da poter cogliere e dare soddisfazione alle reali esigenze, anche di natura finanziaria, in capo alle aziende.

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