Banda larga: emergenza contesto italiano

Tramite la Relazione 2011, Calabrò presidente Agcom, lancia l’allarme sulla necessità di potenziamento della banda larga italiana e delinea l’attuale situazione della società dell’informazione

Presentando al Parlamento, martedì 14 giugno, la Relazione annuale Agcom sull’attività svolta e su quella in programma, Corrado Calabrò, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha evidenziato le carenze di un Paese che, nell’attuale situazione, rischia di rimanere irrimediabilmente indietro nella rapida corsa mondiale allo sviluppo della banda larga.

La rete – sottolinea il presidente – “è la spina dorsale della moderna intelligenza collettiva, della nuova economia; è il tessuto connettivo della società non localizzata d’oggi, dell’ecosistema digitale”. Tuttavia, prosegue, “c’è scarsa consapevolezza delle potenzialità delle tecnologie della società dell’informazione; il che relega queste ultime a uno dei tanti strumenti di sviluppo economico, mentre esse possono invece dare una spallata a un sistema imballato”.

In particolare, sarebbe il settore delle Tlc la possibile “chiave di volta della rivoluzione digitale”, poiché tale settore, “abilitando l’innovazione”, può giungere a “cambiare radicalmente i paradigmi dell’economia e della società. Al giorno d’oggi nessun altro settore è in grado di accelerare in misura comparabile la crescita e lo sviluppo del Paese, in un momento in cui ne abbiamo assoluto bisogno. Soprattutto per le generazioni future”.

La forza di tali polemiche dichiarazioni risiede soprattutto nei numeri presentati: una percentuale di abitazioni italiane connesse alla banda larga (connessioni fisse e mobili) inferiore al 50%, contro una media europea del 61%; un 18% della popolazione servita da ADSL sotto i 2 Mbit al secondo; un 4% di digital divide ancora da colmare. “Siamo sull’orlo della retrocessione in serie B. E questo potrebbe precludere all’Italia la possibilità di estendere il servizio universale alla banda larga”.

Il quadro di sintesi realizzato non trascura alcuni aspetti dal segno positivo. Buoni, ad esempio, i dati relativi alla penetrazione della telefonia mobile, visto il numero crescente di utenti per la banda larga in mobilità: con la media di una sim e mezza per abitante, si contano 12 milioni di italiani che navigano dal cellulare e il valore complessivo di Internet in mobilità ha conosciuto nel 2010 un incremento del 7% rispetto al 2009, attestandosi a oltre 1.100 milioni di euro. Nel primo trimestre 2011, inoltre, erano ben 6 milioni le chiavette Internet utilizzate.

Calabrò ha parlato anche di una crescita italiana nella penetrazione della banda larga fissa, con un passaggio dal 20,6% dello scorso anno, al 22% di quest’anno; si tratta di un segnale certamente positivo, tuttavia non sufficiente a colmare lo scarto nei confronti del contesto europeo, dove la percentuale di penetrazione è del 26%. Rispetto al mobile, “nella rete fissa la situazione è più stagnante, sebbene oltre 5 milioni di linee siano attive in unbundling e nonostante il miglioramento della qualità della rete”. Il problema non sarebbe soltanto di natura infrastrutturale, ma anche e soprattutto culturale: “Il modello della connessione dal computer fisso ancora non si afferma: non ci si abbona alla banda larga anche quando è disponibile e spesso anche con tariffe promozionali convenienti”.

Doppio è stato, poi, l’appello per il potenziamento, da una parte, della rete cellulare e, dall’altra, del network a banda larga.
L’ipertrofia di dati rischia di generare un collasso della rete mobile; da qui la richiesta di liberare le frequenze destinate alla banda larga mobile, chiedendo uno sforzo al governo nell’offrire incentivi alle emittenti private: “più che mai necessaria, più che mai indifferibile, è dunque la gara per l’assegnazione di ulteriori frequenze alle telecomunicazioni mobili prevista dalla Legge di Stabilità 2011”. “Condizione fondamentale per il successo della gara è però la disponibilità in tempi ravvicinati di frequenze da assegnare, liberando senza indugi quelle ancora occupate dal Ministero della Difesa e dalle televisioni private, e prevedendo anche degli incentivi per la liberazione anticipata”.

Con riferimento alla rete di nuova generazione a banda larga, Calabrò ha spinto per una soluzione al tavolo Romani, sottolineando il ruolo determinante della Cassa depositi e prestiti e i limiti eccessivi del quadro regolatore europeo per gli interventi pubblici sull’Ngn. A tal proposito, la situazione sembra essere anche penalizzata dalla presenza dei cosiddetti “over the top” (Google e Facebook tra tutti), i quali “sviluppano servizi ad alto margine e non pagano agli operatori di telecomunicazione un pedaggio proporzionato al valore che estraggono dalla rete, proprio nel momento in cui gli operatori avrebbero maggior bisogno di risorse per investire nelle reti di nuova generazione”.

Esploso e consolidato ormai il fenomeno dei social network: 19 milioni sono gli italiani iscritti a Facebook (siamo al settimo posto) e 200 milioni sono i frequentatori di Twitter. Tale fenomeno “sta cambiando la società, il costume, le forme di democrazia, l’uso dei diritti”; “i social network si rivelano ineguagliabili per fare degli individui gruppo” e, di conseguenza, “anche i comportamenti personali ne risultano fortemente influenzati: alla riservatezza è subentrata l’ostensione, e talora l’ostentazione, dell’intimità”. La sfera privata diventa “di dominio pubblico”.

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Italia digitale tesa tra decrescita e opportunità emergenti

Il Rapporto Assinform 2011 delude le previsioni di crescita e delinea una situazione di reale incertezza circa il futuro del mercato ICT italiano, anche se non mancano i segnali positivi. Ecco un’analisi dettagliata

I dati emersi dal Rapporto Assinform 2011, e presentati a Milano il 20 giugno 2011 sembrano confermare un quadro di forte incertezza per il settore ICT italiano, tra delusione delle previsioni di crescita e nuove opportunità emergenti: ripercorrere i punti principali della “fotografia piuttosto dettagliata” (come l’ha definita il direttore Federico Barilli) fatta da Assinform ci aiuterà sicuramente a comprendere meglio i pregi, le carenze e le contraddizioni del nostro contesto nazionale.

Assinform è una delle associazioni più numerose di Confindustria, inquadrando oltre 500 imprese (tra dirette e territoriali), sintomo del fatto che “l’IT è un settore estremamente importante in Italia”: in particolare esso risulta il quarto per importanza, con 390 mila addetti e quasi 100 mila imprese.

Come sottolinea innanzitutto il presidente Paolo Angelucci in una delle slide di presentazione, il Rapporto Assinform, “giunto alla sua 42esima edizione”, “rappresenta un punto di riferimento consolidato ed esaustivo per l’analisi del settore ICT in Italia, a confronto con le principali economie mondiali: abbiamo cercato di dare al rapporto oltre che al classico ruolo di enumeratore dei risultati, anche un ruolo di momento di discussione sulle prospettive future”.

Il quadro del mercato italiano ICT è stato interpretato alla luce di alcuni risultati dell’andamento congiunturale: ogni tre mesi Assinform realizza una survey sui propri associati, basandosi su un campione significativo dell’industria italiana; la composizione dell’ultimo panel era di 43 aziende (su circa 180,) equamente distribuite tra piccole, medie e grandi imprese, e il mercato rappresentato da questo panel era di 4,423 miliardi di Euro: si tratta delle risposte di circa il 20% del mercato italiano, quindi una percentuale piuttosto significativa. Con riferimento a tale analisi, si è in primo luogo cercato di cogliere il confronto tra l’andamento globale degli ordini nella rilevazione di febbraio, relativa al 31 dicembre dell’anno scorso, e l’andamento della rilevazione di aprile, relativa al 31 marzo: “da una grandissima positività […], la migliore da quando è partito il panel (attualmente noi siamo alla decima rilevazione), si è passati sempre ad un un ottimismo, perché siamo passati dall’82% di aumento di ordini al 53% di aumento degli ordini”, però le imprese che giudicano come “molto migliorato” l’andamento degli ordinativi, è passata dal 64,7% al 7,3%. Quindi “mentre a dicembre c’era una grande euforia sull’andamento degli ordini, adesso a marzo si è ridimensionata”, e questo anche in relazione alle dimensioni dell’azienda: “c’è un ottimismo meno forte nelle piccole, buono nelle medie e migliore nelle grandi; però mentre a febbraio il 100% delle grandi imprese prevedeva un aumento degli ordinativi, attualmente solo il 58%” lo prevede. “Non sono dati negativi – continua Angelucci – ma c’è sicuramente un ridimensionamento delle aspettative”.

L’analisi è stata estesa anche alla valutazione del sentiment sul budget e sulle previsioni di spesa dei clienti Assinform (“ciò che noi associati Assinform pensiamo che i nostri clienti siano disposti a spendere”), dividendo tale valutazione in due parti: spesa corrente e nuovi progetti o investimenti. Con riferimento alla prima parte, si nota un andamento costante da circa un anno e mezzo, nel senso che il 40% delle imprese continua a dichiarare di voler risparmiare sulla spesa corrente. Con riferimento, invece, alla seconda parte, si è toccato il massimo dell’ottimismo nel febbraio 2011, quando si pensava che il 65% dei clienti Assinform “volesse investire o spendere di più in nuovi progetti; questo dato purtroppo si è ridimensionato e siamo tornati indietro esattamente di 15 mesi”. “È come se – commenta Angelucci – il clima […] non [di] pessimismo, ma di nebulosità del futuro (sia quello economico, che quello finanziario, che quello politico), faccia sì che le imprese […] abbiano ridimensionato le prospettive di investimento”. Tutto questo con inevitabili e pesanti ripercussioni nel futuro e nella vitalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Sono stati poi ripercorsi gli elementi fondamentali del piano digitale nazionale, dell’“Agenda digitale per l’Italia”, ricordando l’importanza della cosiddetta “Agenda UE 2020”, quella serie di “obiettivi comuni a tutta Europa, che noi dobbiamo porci”, punto di riferimento per tutti gli stati membri. Tuttavia, uno dei limiti di tali obiettivi – evidenzia Angelucci – è che essi sono quasi tutti di natura quantitativa; secondo Assinform, invece, ci si dovrebbe porre anche degli obiettivi di natura qualitativa e uno dei mezzi con i quali l’associazione pensa di poter incidere in tal senso è la neonata “Confindustria digitale”: si tratta di una nuova Federazione ICT, creata da quattro associazioni (Assotelecomunicazioni-Asstel, Anitec, Aiip e Assinform) con l’appoggio di Confindustria e “chiamata a elaborare e proporre un progetto di digitalizzazione del Paese”, portando all’attenzione di tutti gli stakeholder, sia quelli centrali sia quelli periferici, i diversi problemi e le numerose opportunità che derivano dall’adozione di un’agenda digitale.

Si è posto, inoltre, l’accento sulla diffusione definita “carsica” dell’ICT nel Paese, intendendo, con tale definizione, il fatto che imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini hanno adottato in modo pervasivo e spontaneo le tecnologie ICT.
Sulla base degli elementi sin d’ora rilevati, Angelucci si è interrogato sulle strade da percorrere, giungendo alla conclusione che sia necessario innanzitutto assumere la consapevolezza della situazione e dell’uso delle tecnologie e subito dopo passare all’azione concreta, dando delle regole ben precise. In particolare, tre sono i filoni di interventi necessario, diretti al raggiungimento di tre specifici obiettivi.

Il primo riguarda l’efficienza dei servizi pubblici, il che significa: servizi condivisi e cooperazione applicativa tra le PA, accesso semplificato ai servizi (anche a pagamento), attivare un processo di switch-off (cioè di passaggio “forzato” ai servizi on-line) per le imprese e per i cittadini, che riduca  drasticamente il cartaceo; semplificazione, digitalizzazione e sburocratizzazione sono le tre parole d’ordine.

Il secondo obiettivo è rappresentato dall’innovazione nelle imprese: Assinform chiede “che venga rafforzato il concetto di utilizzo del credito d’imposta come misura coerente e costante, perché il credito d’imposta automatico è l’unica cosa che ci consente di rispettare i tempi dell’innovazione”. L’associazione, dal canto suo, deve “avere più stretti contatti e fare più sistema con le grandi filiere produttive” del Made in Italy (moda-tessile, alimentare, legno-arredo…), partendo dall’esperienza dei distretti e delle reti; questo perché lo sviluppo dell’economia italiana sarà legata principalmente all’expert, possibile solo attraverso un sistema di reti integrato, nel quale l’IT potrebbe fungere da “collante”. Assinform si dovrà, quindi, adoperare per attivare progetti basati sull’ICT, allo scopo di facilitare l’aggregazione per contesto produttivi tra grandi medie e piccole imprese.

Terzo e ultimo canale d’intervento coinvolge l’infrastrutturazione avanzata: la banda larga attualmente disponibile è sufficiente solamente per uso privato, per le imprese non sembra esserci abbastanza banda, soprattutto con riferimento ai distretti, dove “è indispensabile avere reti ad alta velocità, cioè reti ottiche”.

Allo scopo ottenere una reale integrazione, sarà necessario uno sforzo comune per combattere la disomogeneità nell’elaborazione e attuazione delle agende digitali da parte delle varie regioni italiane, con l’intento ultimo di giungere ad un allineamento delle agende digitali regionali all’agenda nazionale; questo sarà possibile, ovviamente, solo attraverso l’utilizzo di piani condivisi e tra loro coerenti e con lo sfruttamento delle best practices: “io credo – rivela Angleucci – che copiare in questo settore non sia mai un male, anzi un bene, e possibilmente […] copiare migliorando”.

Utilizzando un’azzeccatissima metafora, Giancarlo Capitani (amministratore delegato NetConsulting, che ha illustrato nel dettaglio i risultati del rapporto Assinform) descrive la situazione attuale del mercato ICT utilizzando “l’immagine del baco da seta che diventa farfalla: […] il baco a farfalla non perde la natura del baco, ma è un’evoluzione del baco”. Mentre, tuttavia, in natura questa metamorfosi avviene in quattro giorni, nel settore considerato questo processo di cambiamento è molto più faticoso e lento: nella fase attuale si assiste al passaggio dall’ICT tradizionale, come lo conosciamo, ad un’era digitale, quindi, rimanendo nella metafora, “dalla solidità un po’ vintage del baco, alla leggerezza e alla velocità della farfalla”. Vediamo, allora, un mercato fatto “a macchie”, con punti di crescita e di rallentamento, anche se una simile disomogeneità non rappresenta una prerogativa italiana, ma rappresenta un andamento generalizzato.

Il mercato mondiale dell’ICT nel 2010 è tornato ai livelli di crescita pre-crisi, ma anche in questo caso ragioniamo “a macchie”, a diverse velocità di sviluppo, con la zona Asia-Pacifico che ha quasi raggiunto l’Europa per dimensioni del mercato ICT, grazie alla presenza, in molti Paesi, di una classe media sempre più consistente e in grado di imporre un simile indice di sviluppo. Con riferimento alla crescita in volumi, complessivamente gli acquisti di tecnologie sono stati molto massicci: nel 2010 sono stati venduti quasi 1,5 miliardi di telefoni cellulari, 300 milioni di smartphone, 340 milioni di IPC; questo si è ripercosso nell’aumento del parco utenza legato alle nuove tecnologie: 2 miliardi di utenti internet (450 milioni solo in Cina), 537 milioni di utenti per la banda larga, quasi 5,3 miliardi gli utenti di cellulari (su una popolazione di 6,5 miliardi), 500 milioni gli utenti Facebook (ca. 18 milioni in Italia), 175 milioni gli utenti Twitter (1,3 in Italia). Questo indica che “siamo entrati nella fase di digitalizzazione di massa a livello mondiale”, ricorda Capitani.

Con riferimento non tanto alla penetrazione, ma soprattutto all’uso e al consumo delle nuove tecnologie, nel 2010 ci si è trovati di fronte ad una popolazione digitale ormai dipendente da tali tecnologie, costantemente connessa e, per questo, sempre più in grado di interagire e influenzare le scelte delle pubbliche amministrazioni, delle imprese e delle banche. Per questo motivo le nuove strategie di convergenza al digitale non sono più disegnate dai grandi strateghi dell’ICT, dai vendor ICT, ma sono le stesse modalità, gli stessi stili di utilizzo innovativo che impongono una ridefinizione dell’innovazione tecnologica e della formazione dell’ecosistema digitale.

Limitando la prospettiva al solo mercato italiano, è ovvio che la realtà delineata si ridimensioni e i tassi di sviluppo si appiattiscano: nel 2010 l’andamento di crescita ha conosciuto un segno negativo, con un – 2,5% rilevato, e all’interno di tale andamento, il settore dell’IT è decresciuto dell’1,4% e quello delle TLC del 3% (rispetto al -2,3% evidenziato nel 2009). A tal proposito si rileva un fenomeno in parte nuovo, secondo il quale a pagare il prezzo della decrescita sarebbero soprattutto le TLC mobili, con un -3,2%, rispetto al -2,6% riportato dal segmento del fisso. A nulla sembra servire, allora, il recupero di quasi dieci punti percentuali da parte dell’IT (“non è stato un anno bello – ha sottolineato Angelucci – anche se è stato un forte recupero rispetto all’anno precedente che vedeva un -8 addirittura”), visto che i tassi di crescita italiana non reggono il confronto con quelli registrati dagli altri grandi Paesi del mondo (che pure, lo abbiamo detto, sono legati a logiche definite “a macchia”, dunque non uniformi).

Si registrano degli andamenti costantemente negativi, in primis per il settore dei servizi, dovuti innanzitutto alla mancanza di nuovi progetti innovativi che diano un impulso significativo alla domanda e anche al permanere del processo vizioso di down pricing delle tariffe professionali, processo che sta rendendo il nostro Paese protagonista di un fenomeno di nearshoring, tale per cui numerose aziende straniere cominciano a trovar economicamente conveniente spostare in Italia, dove i costi sono convenienti, i propri processi di produzione. Non sembra essere sufficiente, per supplire le carenze in tal senso, il miglior andamento registrato nell’ambito del software e la tenuta di quello dell’hardware (grazie anche ai nuovi tablet pc).

Accanto a quelli che Capitani ha definito dei “bachi”, troviamo – è bene sottolinearlo – pure qualche “farfalla”. Ecco allora che un andamento positivo si riscontra in quei 13 milioni di accessi a banda larga, in crescita di quasi il 7%, ma anche nel numero di Sim che, nel nostro Paese hanno superato quota 95 milioni, a fronte di 46 milioni di utenti. Gli operatori virtuali di telefonia mobile (Mvno) hanno raggiunto, poi, i 3,7 milioni di utenti, anche se l’unico interlocutore realmente importante sembra essere Poste Italiane.

Con riferimento, poi, all’ultimo trimestre del 2011, la tendenza del mercato italiano continua a deludere le aspettative, disattendendo il segno positivo, nonostante la crescita dell’economia italiana, ma in linea con l’andamento di alcuni fondamentali indicatori rilevati dall’Istat: i consumi e la spesa corrente della Pubblica amministrazione sono fermi rispettivamente allo 0,7% e allo 0,1%, con investimenti fissi lordi in crescita di un solo punto e mezzo percentuale.
Più in particolare, il settore dell’Information Technology ha subito una nuova battuta d’arresto in questo intervallo di tempo, con un -1,3% registrato (contro il -2,9% nel primo trimestre 2010). La scomposizione della domanda rivela, in realtà, andamenti diversi: cresce dello 0,4% (contro un -1,5% del 2010) la parte software, dove la componente middleware si conferma la più dinamica, poiché di supporto a iniziative di datacenter trasformation e implementazione di architetture cloud; come nel primo trimestre del 2010, la parte hardware decresce (-2,1%, contro un -2,3% del 2010), evidenziando livelli di vendite superiori al milione di pezzi per tutto il 2011 ma solo per i tablet pc. I servizi it si attestano a -1,5% (-3,8% nel 2010) e l’assistenza tecnica a -2,9% (-4,9% nel 2010).

Il calo più forte, comunque, si è registrato nel settore delle TLC, con un -4,2%.
Con riferimento alle imprese che utilizzano la banda larga, la media italiana si attesta all’83%, definendo il nostro Paese a metà nella classifica europea: più precisamente, Calabria, Sardegna, Basilicata, Puglia, Molise e Trentino, con 77%, si collocano in posizioni inferiori (affiancandosi a Rep.Ceca, Irlanda, Ungheria), mentre Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con oltre l’86%, si collocano nella parte alta (confrontandosi con Paesi come la Germania, la Gran Bretagna e la Svezia).
Complessivamente considerata, comunque, l’Italia digitale si situa al di sotto delle medie raggiunte dai 27 paesi Ue: le Pmi che vendono online sono il 3,8%, contro la media europea del 13,4%; le imprese che acquistano online sono il 16,5%, contro 26,4%; la popolazione che usa frequentemente Internet è il 45,7%, contro 53,1%; la popolazione che usa servizi di online banking è il 17,6%, contro 36%; i cittadini che usano servizi di eGovernment sono il 17,4%, contro 31,7%; le famiglie con accesso a banda larga sono il 48,9%, contro 60,8%; le famiglie con accesso a Internet sono il 59%, contro 70,1%; la popolazione che acquista online è il 14,7%, contro 40,4%; il fatturato delle imprese attraverso eCommerce rappresenta il 5,4%, contro 13,9%.

Bisogna quindi essere ottimisti o pessimisti per il futuro? Partendo dal presupposto che l’imprenditore deve, per definizione, essere ottimista, ci dice Angelucci, l’analisi di alcuni ulteriori dati impone una riflessione sulle prospettive future.

Tali dati mostrano un Paese che, malgrado tutto “si sta strutturando”: gli accessi broadband si sono attesti nel 2010 intorno ai 13,2 milioni, con una crescita quasi del 10% in un anno; gli utenti internet mobili (6,2 milioni) sono aumentati di 44,4 punti percentuali in un anno; il numero di app medio per ogni utente smartphone è stato di 30; l’e-commerce, dove le carenze del contesto italiano sono piuttosto accentuate, è cresciuto del 14%; l’advertising del +15%; 1,3 milioni sono stati gli account su Twitter e 17,8 milioni gli utenti di Facebook, dei quali 4 miloni hanno preferito la soluzione mobile; l’anno scorso sono stati venduti circa 430.000 di tablet, mentre quest’anno tra gli 800mila e gli 1,2 milioni. Tutti questi dati sottolineano il fatto che “gli italiani sono più veloci di chi dovrebbe fare la politica industriale: noi abbiamo le infrastrutture, allora dobbiamo utilizzarle”. Il valore del cloud computing in Italia è stato stimato l’anno scorso in 130 milioni di Euro e si prevede che nel 2013 tale cifra possa salire a 410 milioni, con una crescita annuale di quasi 50 punti percentuali: “è un nuovo modo di fare informatica, è un nuovo modo di fruire, soprattutto, informatica e quindi c’è tutta un’opportunità di crescita” (Angleucci).

Si è cercato anche di capire quale percentuale della domanda ICT provenga da componenti classiche e quale da componenti innovative. Nei servizi di telecomunicazioni, la componente innovativa dal 2009 al 2010 è aumenta del 4,7%, quindi, mentre nel 2009 la componente innovativa occupava il 27,7% (pari a 9.475 milioni di Euro) della totalità dei servizi telco, nel 2010 ha raggiunto il 30% (pari a 33.070 milioni); di conseguenza, la componente cosiddetta “classica” è diminuita del 6,4% (da un valore di 24.740 milioni di Euro, ad un valore di 23.145 milioni). Il valore complessivo stimato per il settore telecomunicazioni era di 34.215 milioni nel 2009 e di 33.070 nel 2011, con una diminuzione del 3,3%. “Vuol dire che è un Paese che è pronto per fare un salto di qualità”.

Tuttavia le incertezza in merito alle previsioni sul 2011 non cadono, oscillando tra una prospettiva pessimistica ed una ottimistica: nel primo caso, di sostanziale conferma del quadro attuale, il mercato ICT continuerà a scendere di circa 4,5 punti percentuali, con il settore delle TLC in maggior spinta verso il basso (-5,8%) e il settore IT in discesa attenuata (-0,8%). Nel caso, invece, in cui l’economia nazionale migliorasse e si attivassero fruttuose politiche di innovazione, la crescita del mercato ICT si potrebbe attestare ad un -0,1%, con un -0,6% per le TLC e un +1,3% per il mercato IT.
Il problema centrale – suggerisce sapientemente Angelucci – non è tanto capire se sia meglio essere ottimisti o pessimisti nei confronti della situazione presente e futura del mercato ICT italiano: “bisogna essere semplicemente innovatori”!

 

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Lavoro: undicimila impieghi per me posson bastare!

Turismo, grande distribuzione, industria, food&beverage, agricoltura, banche: tra vecchi e nuovi settori, le principali agenzie del lavoro italiane svelano i profili richiesti nell’offerta stagionale

Cercasi “portiere notturno per stagione estiva. Richiesta pregressa esperienza in analoga mansione e buona conoscenza della lingua inglese”;

“per farmacia sita nel litorale cagliaritano ricerchiamo per il periodo estivo (maggio – settembre) 2 farmacisti con esperienza pluriennale nel ruolo. Possibilità di alloggio Il candidato ideale è una persona flessibile e motivata […]”;

“per struttura turistica […] ricerchiamo operatori per lavoro di vendita/animazione. Selezioniamo persone dinamiche, spigliate, intraprendenti, predisposte al contatto con il pubblico, automunite. Sono richieste buone doti comunicative e relazionali. […] Inserimento con contratto di somministrazione a termine a partire da giugno prorogabile fino a settembre”;

cerchiamo per importante società operante nel settore della ristorazione 40 giovani da inserire come operatori pluriservizio e spaltisti durante i concerti della stagione estiva […]”;

“per azienda cliente settore Fashion, ricerchiamo un’addetta/o vendite che abbia maturato esperienza nel lusso e sia disponibile a lavorare durante la stagione estiva 2011 […]”;

“per la stagione estiva, cerchiamo studenti disponibili ad un lavoro tecnico in fabbrica”; si necessita di “un cuoco con esperienza disponibile per la stagione estiva da giugno a settembre […]”;

“per rinomato ristorante […], ricerchiamo cameriere con esperienza. Disponibilità a lavorare per tutto il periodo estivo, con buone possibilità di inserimento definitivo c/o organico azienda […]”.

Questa rapida carrellata di annunci, attualmente disponibili sulle bacheche di alcune tra le principali agenzie del lavoro italiane, aiuta a comprendere la reale dimensione dell’offerta lavorativa di tipo “stagionale”: ben undicimila sembrano essere le proposte totali per l’estate 2011, in prevalenza a tempo determinato, individuate da nove tra le principali agenzie nazionali, espressione dei due terzi del mercato (pur considerando che qualche offerta potrebbe presentarsi duplicata negli archivi di più agenzie).

Le figure professionali richieste sono sempre più varie e non si limitano a coinvolgere il mondo del turismo, tipicamente legate al periodo estivo, ma impongono competenze, esperienze e condizioni dal raggio ben più ampio. Grande distribuzione, industria, food&beverage, agricoltura, banche: studenti e giovani possono approfittare di una vastissima risorsa per muovere i primi passi nel mondo del lavoro, impegnandosi in un’attività retributiva che, pur nei limiti della temporaneità, permetta loro di interfacciarsi concretamente con circostanze, contingenze e problematiche proprie di un qualsiasi apparato organizzativo professionale. Non sono, tuttavia, solo i “lavoretti” a riempire le vetrine dell’offerta lavorativa più afosa dell’anno, ma, al contrario, i profili e i requisiti richiesti implicano spesso delle capacità, delle idoneità e delle padronanze che non possono certo essere il semplice frutto di una originale attitudine o predilezione al lavoro. Ecco, allora, che stagionalità diventa sinonimo di arricchimento per curriculum già gonfi o, meglio ancora, di reimpiego per chi il proprio lavoro di una vita l’ha perso in seguito alla recente – e forse attuale, ma chi lo sa? – crisi. Alla scelta di rinunciare alle vacanze estive si sostituisce, allora, la necessità per molti di farlo, nella speranza non solo di poter mettere qualcosa in tasca, ma anche, e forse soprattutto, nella volontà di ritrovare una prospettiva: quasi sempre ci si imbatte in incarichi a termine, lo abbiamo detto, ma, stando a quanto rivelano i selezionatori, la possibilità di guadagnare un posto fisso esiste. Ottimismo, dunque, per un trend che si registra ormai da qualche mese, seppur salutato da dei toni piuttosto tiepidi.

«Un dato interessante – segnala Domenico di Gravina, direttore generale di Articolo1, dalle file de “Il Sole 24 ore” del 4/05/2011 e con riferimento al contesto laziale – di quest’anno è l’aumento di richieste nel settore moda e lusso in cui si ricercano figure di alto profilo con conoscenza di almeno due o tre lingue (inglese, cinese, giapponese e russo) e un’ottima presenza».

Un dato, questo, confermato del resto anche da Umana, che sembra stia reclutando manager e addetti vendita per grandi marchi internazionali da impiegare nelle boutique del centro storico di Roma.

1.350, in particolare, le occasioni estive offerte, da nord a sud, dall’agenzia Articolo1: tra i profili più richiesti non solo venditori di lusso, possibilmente dal cinese fluente, ma anche tutti quelli riferiti ai settori dell’intrattenimento, della ristorazione e della grande distribuzione organizzata. Con riguardo a quest’ultima, 900 sono le opportunità a livello nazionale (stando ad un articolo del 25 aprile 2011 firmato da Ilaria Alfani su “Lavorare”), 300 delle quali si concentrano nel solo Lazio, e coinvolgono, più nel dettaglio, sei diverse figure professionali: hostess di cassa, scaffalasti, addetti al banco ortofrutta, addetti al banco pescheria, addetti al banco gastronomia, addetti al banco macelleria. Tra Lazio, Lombardia, Campania e Sicilia si concentrerebbero poi circa 250 richieste di impiego nel settore della ristorazione e del turismo (addetti mensa, cuochi, aiuto cuochi, capi animatori, animatori, bagnini, istruttori di nuoto, maitre di albergo, portieri di notte, facchini, camerieri di sala, camerieri ai piani, eddetti al breakfast e barman); infine il settore dell’intrattenimento e della rete, dunque responsabili sale giochi, hostess e receptionist, addetti di sala, commerciali, croupier, sistemisti IT, di rete e Sql Server, programmatori .net e Java, help desk.

Ad uno sguardo d’insieme, le occupazioni tradizionalmente ed inevitabilmente legate alla bella stagione rimangono, ovviamente, quelle più gettonate; basti pensare alle molte figure legate al turismo, come gli animatori di villaggi e parchi divertimento (il cui stipendio mensile è pari o superiore ad 800 Euro), agli inventaristi disposti a lavori serali, ai camerieri, agli chef, ai portieri notturni, ai facchini, ai pizzaioli e alle numerose possibilità offerte dalle campagne (un vendemmiatore guadagna in media 50 Euro al giorno).

Con riferimento a quest’ultimo settore, e in controtendenza rispetto all’andamento generale, il 2010 ha conosciuto un forte incremento nell’occupazione, soprattutto in quella giovanile, dato che, afferma Coldiretti,è giovane addirittura un lavoratore dipendente su quattro”. Questo dato si ripercuote anche nella generale offerta di impieghi stagionali: è stato, infatti, stimato che saranno almeno duecentomila i giovani impegnati durante l’estate nella raccolta di frutta, verdura e nella vendemmia. “Le opportunità di lavoro – continua la Coldiretti – si registrano per figure professionali tradizionali che vanno dal trattorista al taglialegna fino al potatore, ma anche per quelle innovative all’interno dell’impresa agricola come l’addetto alla vendita diretta di prodotti tipici, alla macellazione, alla vinificazione o alla produzione di yogurt e formaggi”. Il termine della scuola coincide con il periodo di maggior impiego di lavoro nelle campagne, poiché iniziano le attività di raccolta di “verdura e frutta come ciliegie, albicocche o pesche”, fino alla vendemmia “che si concentra nel mese di settembre”. Lavorare sui campi significa per i giovani “oltre che prendere contatto con il mondo del  lavoro”, anche avere la possibilità di vivere un’esperienza nuova, a diretto contatto con la natura, con i suoi prodotti e con “una cultura che ha fatto dell’Italia un Paese da primato a livello internazionale nell’offerta di alimenti e vini di qualità”. Un’occasione, quindi “per conoscere la genuinità e le caratteristiche dei veri prodotti del Made in Italy per imparare a distinguerli da quelli importatati spacciati come nazionali anche sugli scaffali dei mercati al momento di fare la spesa”.

Adecco, a tal proposito, segnala che è in corso per loro la selezione dei CV per scegliere gli addetti alla vendemmia e alla raccolta delle mele, nonostante call center, albeghi, villaggi turistici, ristoranti e Gdo rappresentino le destinazioni principali delle 3.300 proposte giunte all’agenzia.

Un’importante novità proprio sulla destinazione settoriali dell’offerta, ci arriva da Obiettivo Lavoro: «quest’anno per la prima volta – osserva Marco Maggi, direttore corporate identity dell’agenziaabbiamo l’industria metalmeccanica al primo posto tra i settori con il maggior numero di posizioni aperte». Tra le 1.068 richieste complessive identificate, il settore metalmeccanico fa la parte del leone (17%), seguito da pulizia, logistica e tessile, commercio, edilizia e alberghi. Tra i profili più richiesti vi sono responsabili di produzione, contabili, tecnici meccanici, elettronici ed elettrotecnici, addetti alle pulizie e alla mnsa, aiuto cuoco . «La nostra economia – aggiunge Maggi – sta recuperando nei fondamentali, anche se i numeri ci dicono che la ripresa è lieve e a macchia di leopardo».

Per l’agenzia Gi Group il maggior numero di annunci di natura stagionale (complessivamente sono 610) riguarda, invece, il settore dei servizi. «Call center e negozi – spiega il responsabile nazionale selezione e organizzazione Barbara Bruno – sono gli ambiti più interessanti, sia per la sostituzione delle ferie dei dipendenti, sia per le campagne estive»; ma anche commiss di sala, addetti per la Gdo, operatori per il settore bancario e assicurativo.

Per Stefano Agarossi, field operation director di Manpower, il settore dei servizi, il banking e l’healthcare «sono vere calamite di opportunità, principalmente per le sostituzioni ferie: dagli operatori di sportello agli addetti al front office bancario, dagli infermieri ai farmacisti». In questo caso sono fondamentali, si capisce bene, una particolare formazione, perizia e specializzazione: «non dimentichiamo – continua Agarossi – che i cosiddetti lavori estivi possono rivelarsi importanti vetrine per futuri inserimenti nelle aziende che hanno già avuto modo di testare il valore del lavoratore e pertanto vanno svolti con impegno e serietà». Tra le figure più richieste nei 1.950 annunci presenti nella bacheca di questa agenzia, troviamo camerieri, cuochi, pizzaioli, facchini, hostess e stewart, educatori di centri estivi ed esperti di strutture termali, per una durata media di impiego pari a due/tre mesi e con il fondamentale requisito dell’esperienza pregressa.

Altro settore in cui vi è notevole richiesta è quello del food&beverage, sia per gli ordini sia per la produzione: «molte imprese alimentari – sottolinea l’Umana – stanno ricercando addetti per l’imbottigliamento di acqua e di bibite, tecnici manutentori e addetti alla vendita». Anche nel manifatturiero si concentrano molte delle 750 proposte giunte dall’agenzia, seppur la maggior parte di esse faccia comunque riferimento al turismo (soprattutto concierge, hostess, addetti alla reception, camerieri, chef e barman).

Pure per Metis (700 proposte totali) il turismo è un settore trainante (in particolare, receptionist, addetti sala e cucina, anche privi di esperienza), ma ad esso si aggiunge quello della grande distribuzione organizzata: «le figure di cassiere e banconisti – riferiscono dall’agenzia – registrano un aumento della richiesta nei mesi che vanno da luglio a settembre, soprattutto in Lombardia, Lazio e Veneto. In questo caso l’esperienza pregressa nel ruolo è molto importante, così come la disponibilità a lavorare nei week end». Con riferimento sempre alla Gdo, si sottolinea, poi, come «le missioni seppur di breve durata si ripetono in maniera costante e continuativa durante l’intero periodo».

La durata media delle proposte, in termini generali, è di tre/quattro settimane, oscillando da un minimo di tre giorni ad un massimo di tre mesi, spesso con possibilità di proroga allo scadere del contratto (nel settore della sanità la durata sembra allungarsi, arrivando fino ai sei mesi).

Flessibilità oraria e disponibilità full-time – sia su turni, sia nei fine settimana e nelle festività – è richiesta a tutti i profili identificati da Openjob (1.000 totali), in prevalenza riferiti al mondo del turismo o destinati alla sostituzione ferie, ma anche operai per i lavori di manutenzione stradale.

Da uno a tre mesi, infine, la durata degli impieghi (500) presentati sulla bacheca di Randstad: le cinque figure più richieste sono perito chimico-elettrico-meccanico, operaio, promoter, operatore di sportello bancario, allievo alla carriera direttiva di reparto/negozio.

Nuovi profili, nuove somministrazioni, nuove realtà si accompagnano alla tradizione stagionale. Nuove opportunità, in definitiva, che solo nei prossimi mesi saremo in grado di identificare come dotate di segno positivo o come semplice illusione.

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India capofila della crescita economica globale

Malgrado alcune stime rivelino una lieve riduzione nel tasso di incremento del PIL indiano, l’India continua a rimanere un partner strategico per le imprese italiane

Nell’ultimo World Economic Outlook, il rapporto sullo stato dell’economia mondiale pubblicato dal Fondo Monetrario Internazionale, sono state leggermente riviste le stime sulla crescita economica mondiale diffuse a gennaio, alla luce dei recenti e drammatici eventi di rilevanza globale – il terremoto in Giappone e le rivolte nel mondo arabo – che, pur con delle inevitabili conseguenze nelle economie avanzate, non sembrano al momento destinati ad avere effetti particolari sulla crescita. Fermo restando un aumento del PIL mondiale pari al 4,4% nel corso del 2011 e al 4,5% nel 2012, si valuta che le economie dei paesi cosiddetti avanzati conosceranno un incremento del 2,4% nel 2011, cioè 0,1 punti percentuali in meno rispetto alle stime di gennaio; per questi ultimi, tuttavia, ci si attende un miglioramento di un decimo di punto nel 2012 rispetto alle stime precedenti, con un PIL in rialzo del 2,6%.

A trainare la ripresa internazionale saranno, sempre secondo il WEO, Cina e India. La crescita dell’economia cinese resta ferma al 9,6% per il 2011 e al 9,5% per il 2012, mentre la previsione d’incremento del PIL in India ha subito un leggero rallentamento: il tasso di crescita sarà dell’8,2% nel 2011 (due decimi di punto in meno rispetto alle stime di gennaio) e del 7,8% nel 2012 (anche in questo caso 0,2 punti percentuali in meno rispetto a quanto in precedenza calcolato).

Tale rallentamento è stato poi confermato dalle ancor più attuali misurazioni di questi giorni, che hanno valutato una crescita del 7,8% nel primo trimestre del 2011, ben al di sotto, quindi, dell’8,2% stimato e dell’8,3% misurato nel trimestre precedente (si tratta dell’incremento del PIL più basso degli ultimi cinque trimestri). La colpa sarebbe da imputare ad una serie di rialzi dei tassi di interesse – nove rialzi in soli quindici mesi, l’ultimo dei quali di ben 50 punti base – realizzati dalla banca centrale (la Reserve Bank of India) allo scopo di frenare le spinte inflazionistiche e scongiurare l’esplosione di bolle.

Malgrado il trend dal segno negativo evidenziato dalle ultime stime, quella indiana rimane sicuramente una delle economie mondiale più brillanti, rilevanti e in fermento. Stiamo parlando di una crescita che, seppur diseguale tra i diversi gruppi sociali e le diverse zone territoriali, è stata costante negli ultimi due decenni e risulta oggi particolarmente appetibile per le spinte all’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese italiane.

Delle incoraggianti prospettive in tal senso si è parlato, in particolare, nel corso di un convegno dal titolo “Fare impresa nel mondo che cambia: l’India”, organizzato da Bnl-Gruppo Bnp Paribas in collaborazione con Assolombarda, presso la sede della fondazione Forma per la fotografia di Milano. L’appuntamento si inserisce nell’ambito del progetto “Women changing India”, una mostra fotografica realizzata per celebrare il 150° anniversario di presenza del Gruppo Bnp Paribas in India (attiva in più di 80 paesi, BNP Paribas possiede delle succursali in ben 8 grandi città nel territorio indiano, una partecipazione nella società di intermediazione mobiliare Geojit BNP Paribas e una partnership con la State Bank of India): 130 immagini catturate da sei fotografi dell’agenzia Magnum, i cui scatti hanno inteso raccontare, nelle sue diverse forme, “la forza delle donne indiane, capaci di cambiare e rivoluzionare il loro Paese”, come leggiamo in un comunicato stampa ufficiale. Una presa di coscienza, quindi, circa la forza che le quote rosa hanno anche nel contesto imprenditoriale indiano, che rispecchia il forte impegno del Gruppo BNP Paribas per superare le barriere della disuguaglianza sociale. Esso, infatti, leggiamo ancora nel sito, “ha recentemente accordato un’importante operazione di rifinanziamento a favore di Swayam Krishi Sangam (SKS), uno dei principali istituti di microfinanziamento in India, che assegna finanziamenti a circa 450.000 imprenditori, per lo più donne”. Attraverso SBI Life, una joint venture tra BNP Paribas e la State Bank of India, il Gruppo ha, inoltre, creato “prodotti di microassicurazione, come Grameen Shakti e Grameen Super Suraksha, progettati per gruppi di auto-aiuto, il 90 per cento dei quali sono creati da donne”. Geojit BNP Paribas ha poi “aperto le agenzie di intermediazione al dettaglio in diverse città indiane esclusivamente dedicate alle donne e con personale interamente rappresentato da donne”. Infine si sottolinea come BNP Paribas svolga anche pienamente “il proprio ruolo di banchiere finanziando l’economia reale unitamente ad importanti aziende indiane. Alcune, tra cui Thermax, Britannia Industries, HT Media, Rajshree Sugars e TAFE, sono dirette da donne, le quali mantengono stretti legami con il nostro Gruppo”.

L’intenzione dichiarata dell’incontro dello scorso lunedì è stata la predisposizione di un tavolo di incontro e confronto tra Bnl e imprenditori, per esplorare assieme nuove possibili iniziative di espansione delle attività all’estero: la Banca si è posta, infatti, come un vero e proprio partner delle aziende, per accompagnarle verso la dimensione internazionale, sfruttando la presenza del Gruppo Bnp Paribas in tutti i continenti. Ad uscirne vincente è stata una visione sicuramente ottimistica delle possibilità di mercato offerte dal territorio indiano, considerato moderno e avviato ad uno sviluppo inarrestabile: «l’India rappresenta una eccezionale opportunità per il mondo delle imprese italiane. E’ un paese che cresce, con una classe media che si sta affermando, con un potere di acquisto più rotondo e necessità di investimenti, a partire dalle infrastrutture», ha commentato Fabio Gallia, Amministratore Delegato di Bnl. A discuterne sono intervenuti, oltre a Gallia, il Presidentete di Assolombarda, Alberto Meomartini, il giornalista e scrittore Federico Rampini, il Ceo & Country Manager di Bnp Paribas in India, Jacques Michel, il Ceo del Gruppo Bonfiglioli, Sonia Bonfiglioli, e il Ceo di Vrv Group, Alessandro Spada. «Questa nostra iniziativa – ha continuato Gallia – è volta a promuovere una maggiore conoscenza delle occasioni di sviluppo all’estero per le imprese italiane»: «noi ci proponiamo di aiutare i nostri imprenditori ad approcciare questo mercato e ad aiutarli concretamente». «Bnl, grazie alla rete di Bnp Paribas presente in oltre 80 Paesi al mondo, è in grado di accompagnare e sostenere concretamente le imprese nei propri progetti di internazionalizzazione, offrendo servizi bancari, consulenziali e informativi direttamente in quei Paesi», ha proseguito Gallia.

Il tailleur sostituisce, quindi, il tradizionale sari, mentre i numeri snocciolati dagli analisti di Bnl diventano i nuovi incantatori di serpenti. Si sono riportati alcuni dati del Fmi, i quali hanno evidenziato, tra il 2006 e il 2011, un incremento del PIL reale indiano pari al 50%, incremento che potrebbe arrivare al 120% nel decennio 2006-2016, contro un 14% stimato per la Germania e un 4% per l’Italia (tasso di crescita trenta volte inferiore a quello indiano).

Si è sottolineato, poi, come l’India possa contare su un capitale umano fondamentalmente giovane e in crescita dal punto di vista qualitativo: le persone al di sotto dei 15 anni rappresentano il 30% del totale, contro il 20% misurato in Cina e il 14% in Italia; la spesa in istruzione sarebbe, poi, pari al 4% del PIL, il doppio rispetto alla Cina. Quello indiano è anche un popolo di risparmiatori, con percentuali di “saving rates” stimate tra il 30 e il 40% del reddito. Allo stesso tempo si è notata un’apertura ai consumi per la classe media, con redditi annui compresi tra i sei e i trentamila dollari.

L’India rimane certo un paese rurale – l’agricoltura pesa per il 17% del PIL, contro il 2% dell’Italia – ma è anche l’unico ad vere tre proprie città tra le prime dieci megalopoli del mondo: Delhi, Mumbai e Kolkata hanno complessivamente un numero di abitanti che si avvicina ai 60 milioni (pari all’intera popolazione italiana). A capeggiare lo sviluppo indiano sono gli investimenti infrastrutturali: il piano quinquennale 2007-12 del governo prevede una spesa di 482 miliardi di dollari e, attualmente, oltre la metà degli interventi sono stati realizzati. Le previsioni per il prossimo piano quinquennale 2013-2017 parlano di progetti per 1,1 trilioni di dollari (la metà del PIL dell’Italia). Ad esempio, i piani di modernizzazione della rete stradale indiana prevedono la realizzazione di oltre 50mila chilometri l’anno (20 chilometri di nuove strade al giorno).

Il Department of Industrial Policy & Promotion del ministero del Commercio e dell’Industria indiano ha recentemente pubblicato la nuova normativa in materia di investimenti diretti esteri, entrata in vigore il 1° aprile 2011, con l’obiettivo di attrarre investimenti produttivi capaci di accrescere l’industrializzazione, l’innovazione tecnologica e lo sviluppo socio-economico del paese e di offrire ai potenziali investitori stranieri un contesto normativo trasparente, semplice e non eccessivamente burocratizzato. Nella nuova normativa si identificano, in particolare, i settori nei quali non è possibile investire (commercio al dettaglio, eccetto il commercio di un prodotto a marchio unico, business delle lotterie e dei casinò, real estate, energia atomica, settore ferroviario, settore del tabacco…) e i settori per i quali esistono limiti in termini di quote di capitale o di formalità nella registrazione dell’operazione (agricoltura, settore minerario, energia, partecipazioni nelle PMI, difesa, aviazione civile, settore bancario, assicurativo, ICT…).

Malgrado questo sforzo in nome della trasparenza e della semplificazione, alcune recenti stime dell’istituto nazionale per il commercio estero sugli investimenti esteri diretti in India non sembrano essere particolarmente incoraggianti: ci si riferisce, in particolare, agli investimenti nel settore dei servizi (finanziari e non finanziari), che contribuiscono per più della metà alla crescita del PIL e che sarebbero diminuiti del 22.5% nell’anno finanziario 2010-2011, attestandosi a 3,4 miliardi US$, contro i 4,39 miliardi US$ del periodo 2009-2010. Le cause di una simile riduzione – ricorda l’ICE – sono da ricondurre ai problemi finanziari globali, presenti soprattutto nei mercati europei, problemi che hanno comportato un atteggiamento più cauto da parte degli investitori esteri. Ad aver investito maggiormente sul mercato indiano nel periodo in esame sono stati, in ordine: Mauritius, Singapore, USA, UK, Paesi Bassi, Giappone, Germania e EAU.

I segnali negativi, abbiamo visto, non mancano, ma essi – in conclusione – si legano ad una tendenza generalizzata e certo non possiamo non concordare sul fatto che l’India, capofila della crescita globale, rappresenti per l’Italia un partner commerciale strategico, grazie al quale essa potrebbe fruttuosamente esportare quel suo particolare know-how della struttura produttiva, basata sulle piccole e medie imprese.

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