Il business sportivo? Be social. Be fit. Be gymmit!

Gymmit, la nuova piattaforma pensata per gli sportivi, promette innovative formule di gestione e divulgazione dell’attività sportiva professionale

Un nuovo paradigma del benessere, in linea con i più attuali fenomeni sociali. Un approccio inedito all’amministrazione e alla promozione dell’attività di quanti intendono lo sport come la propria vocazione professionale. Un originale modello comunicativo, fondato sull’interazione diretta e integrata tra i diversi attori della filiera sportiva italiana.

In questo è racchiuso il potenziale innovativo di Gymmit, “il motore di ricerca/social network per sportivi e centri sportivi”, un “Social Wellness Network”, con tanto di slogan: “Be social. Be fit. Be gymmit!”.

La piattaforma appare piuttosto ordinata nella struttura, rendendo altrettanto intuitiva la fruizione. Essa è stata pensata sia per un’utenza generica – interessata a portare la propria passione per lo sport oltre i confini fisici di una palestra, di una piscina o di un campo da gioco – sia per un’utenza business, che può trarre vantaggi reali nella gestione della propria attività, grazie anche ad alcune funzionalità aggiuntive a pagamento.

Quattro sono, in particolare, i destinatari principali cui Gymmit intende rivolgersi. Le persone comuni che praticano o seguono uno o più sport possono, innanzitutto, conoscere altri sportivi con i quali condividere non solo interessi e obiettivi, ma anche “momenti di svago o di allenamento”, possono “restare in contatto con compagni di squadra e organizzare partite, incontri o eventi”. Attraverso la gestione di gruppi, squadre e partite e attraverso l’attivazione di un sistema di disponibilità e rispettive notifiche, viene agevolata la ricerca di nuovi amici o gruppi di amici, con i quali tradurre in forma concreta le comuni passioni sportive.

I professionisti dello sport (istruttori, personal trainer, fisioterapisti…) trovano nel network una via di autopromozione, un modo per farsi conoscere e rintracciare “dai centri sportivi e dagli sportivi che necessitano di aiuto nella preparazione atletica, nel dimagrimento o nella riabilitazione”. Essi possono, inoltre, divulgare liberamente la propria perizia, attraverso la stesura di articoli sulla materia e attraverso la partecipazione attiva e competente alle discussioni altrui, potendo sperare, così, in un ritorno in termini di immagine e credibilità.

Ai gestori di palestre, piscine, centri sportivi e SPA, poi, l’essere presenti potrebbe permettere di “farsi trovare facilmente dagli sportivi” e di divulgare le proprie attività, “amministrando i dati pubblicati sul sito, esponendo caratteristiche, categorie, contatti, fotogallery, mappa e molto altro attraverso un’interfaccia semplice ed intuitiva”. Il proprio centro viene reso disponibile in versione virtuale e social, in versione Web 2.0 insomma, moltiplicandone la visibilità e la fidelizzazione e stimolando, di conseguenza, la conversazione pubblica circa i fondamentali valori che si intende diffondere attraverso la propria iniziativa; la forza del passaparola, generato dall’apparato sociale sotteso alla piattaforma, dovrebbe permettere di aumentare i propri affiliati, convertendo gli utenti digitali in frequentatori reali del centro. Allo stesso modo ci si potrebbe, ovviamente, esporre alle critiche di quanti non si siano trovati bene nella nostra struttura, rendendo necessaria un’attività di monitoraggio costante della propria online reputation e di pronta risposta agli eventuali attacchi.

Gymmit agevola certamente la gestione amministrativa: tra i servizi aggiuntivi a pagamento, troviamo, ad esempio, la pubblicazione online, in modo semplice, immediato e autonomo, del calendario corsi (con informazioni su intensità, personal trainer, orari) e il controllo virtuale delle prenotazioni.

Il fatto che alcuni servizi richiedano un’esposizione economica da parte dei gestori di centri e palestre, non dovrebbe – secondo Davide Senatore, ideatore del progetto, socio fondatore di Ingenium s.a.s., premiato anche quest’anno, per ben tre anni di seguito, con il riconoscimento Microsoft Most Valuable Professional MVP – fungere da disincentivo alla piena diffusione della piattaforma, «in quanto si tratta di costi veramente limitati, se confrontati ai benefici che offre la piattaforma. Pensa ad esempio al costo che dovrebbe sostenere una palestra per attrezzarsi con una soluzione proprietaria di pubblicazione calendari su dispositivi mobili in modalità multipiattaforma! Inoltre considera che, investendo nel sistema, la palestra cresce al crescere del servizio, ovvero ogni nuova funzionalità sviluppata, sarà immediatamente disponibile per i centri abbonati. Noi crediamo che queste funzionalità vadano offerte in modalità SAAS, ciò Software As A Service, e per questo devono essere a disposizione di tutti. Del resto, se ci pensi, nessuno di noi produce in casa l’energia elettrica o il gas, lo acquistiamo da una azienda di servizi. Sarà così anche per il software nel prossimo futuro».

La potenziale forza della piattaforma risiede, tuttavia, per i gestori, soprattutto nell’opportunità di raccogliere il feedback della propria utenza di riferimento, consentendo di plasmare su esso la propria attività e di correggere, se necessario, la propria mission aziendale, riportandola sui binari della prosperità ed estendendo le vie promozionali da percorrere: si incentivano, ad esempio, meccanismi di invito, “referral”, che il centro può gestire autonomamente, offrendo vantaggi reali agli utenti che riescano a far atterrare nuovi contatti nel proprio centro virtuale; si rafforza, inoltre, il proprio branding, creando un forte senso di appartenenza alla struttura.

Quanti vedono nello sport la propria dimensione professionale sono liberi di sperimentare nuove forme pubblicitarie e comunicative attraverso la piattaforma, «con il massimo rispetto, però, della privacy e delle preferenze dell’utente», ricorda Davide. «È nostra intenzione sviluppare anche un sistema per “collocare” i professionisti all’interno dei centri sportivi. Pensa ad esempio quando un centro cerca un nuovo istruttore di spinning. Come fa oggi a trovarlo? Se il network permettesse di inserire delle Offerte di lavoro, si potrebbe creare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, cosa quanto mai importante visti i tempi che corrono».

Agli investitori pubblicitari specializzati nel settore sport, infine, Gymmit consente di “effettuare campagne pubblicitarie, pubblicare banner in home page o sponsorizzare eventi pubblici”, raggiungendo, per questa via, “un pubblico di sportivi di qualsiasi livello che sono sicuramente interessati ad acquistare prodotti o servizi sportivi”.

Lo sforzo ideativo alla base di Gymmit è da ricondurre – l’abbiamo accennato – ad Ingenium s.a.s., la società di consulenza informatica attiva dal 2010 nella provincia di Treviso, la quale professa “un mondo dove il software sia al servizio delle necessità di chi lo impiega, dove la tecnologia sia un mezzo per realizzare i progetti e soddisfare le richieste” dei clienti.

Il risultato di tale sforzo ideativo è stato, allora, un motore di ricerca che potenzialmente permette di consultare le schede di migliaia d’impianti sportivi italiani, ciascuna dotata di particolari caratteristiche e inquadrata in base alle attività che qui vi si svolgono, un sistema che consente di visualizzare i commenti e i voti lasciati dai frequentatori di tali impianti, di partecipare attivamente alla discussione e di arricchire con foto e mappe le varie schede. A tal proposito, si sottolinea come il sistema permetta l’integrazione e condivisione di parte dei dati appartenenti a Gymnasium System, il software di natura amministrativa “leader in Italia nella gestione delle aziende sportive” e facente capo ad INFORYOU S.r.l.

La collaborazione con INFORYOU «nasce proprio – rivela Davide Senatore – perché Gymmit offre servizi “aggiuntivi” rispetto alla piattaforma Gymnasium, estremamente potente e dedicata al mondo della gestione del centro sportivo». Del resto, prosegue, «INFORYOU è l’azienda leader in Italia per la produzione di software gestionale per impianti sportivi. Considera che è anche preferred vendor di Technogym». Non si escludono – evidenzia ancora Davide – altre fruttuose collaborazioni nel futuro: «Gymmit nasce come sistema aperto, con in mente l’integrazione e l’interoperabilità, per cui partnership con gruppi o con altri produttori di software, anche esteri, sono sicuramente possibili».

Al grande database che, in definitiva, compone Gymmit, si è cercato di conferire un valore aggiunto, proprio attraverso la partecipazione attiva degli utenti alla piattaforma; ciò che si intende promuovere è, infatti, il cosiddetto “Social Wellness”, ovvero “l’introduzione della componente sociale nello sport”: se in origine – sottolineano i promotori – l’attività sportiva svolta nelle palestre veniva associata al termine “Fitness”, dunque, “alla ricerca della forma fisica come fine ultimo dell’attività stessa”, a partire dalla metà degli anni Novanta si è diffuso il termine “Wellness”, legato alla “ricerca del benessere della persona non solo come forma fisica, ma più generalmente come benessere psico-fisico”. A tale concetto deve oggi necessariamente unirsi una dimensione “sociale dell’amicizia e dei rapporti interpersonali”, “Social Wellness”, appunto. Sport, quindi, inteso come confronto, come condivisione, come mezzo di conoscenza, come stimolo alla socializzazione e alla crescita sociale.

«L’idea di Gymmit – rivela Davide – è nata osservando il comportamento delle persone in palestra. Moltissimi non vanno, infatti, in palestra per aumentare la muscolatura o migliorare la forma fisica, bensì per trovare compagnia. Inoltre il centro sportivo da sempre agisce come “centro di aggregazione”, pensa ad esempio anche un centro di atletica o dei campi da tennis; i frequentatori spesso sono anche amici al di fuori del centro». Non solo: Gymmit promuove «la pratica di “nuovi” sport: ad esempio, io ho cominciato a praticare il kitesurf solamente dopo aver trovato una persona che me lo ha descritto. Ecco che il centro quindi può fungere anche da “centro di consulenza”, in modo che i frequentatori possano trovare tra le altre persone dei nuovi compagni di sport».

A tutto questo uniamo due ulteriori funzionalità che potrebbero decretare la fortuna di Gymmit: la registrazione e autenticazione integrata con Facebook, innanzitutto, che consente di raccogliere un maggior numero di adesioni, abbassando le remore e le barriere all’ingresso nel nuovo network; la possibilità, poi, di fruire della piattaforma in mobilità. All’indirizzo http://m.gymmit.com si trova il sito mobile, consultabile da qualsiasi dispositivo (iPhone, iPad, Android, Blackberry, Windows Phone) che supporti un browser di ultima generazione, compatibile con HTML5, e nell’Android Market è possibile scaricare direttamente l’app per il proprio dispositivo Android.

Guardando al futuro, inoltre, Davide annuncia l’intenzione «di estendere la parte mobile, dando ancora più funzionalità e accessibilità alle funzioni di prenotazione, grazie al Social Booking, ovvero una forma di prenotazione “sociale” che coinvolge gli amici nella prenotazione di una risorsa sociale, ad esempio un campo da tennis o un campo da calcetto». Molte sono, poi, evidenzia ancora Davide, le risorse investite «nello sviluppo di applicazioni per il nuovo Windows Phone, piattaforma nella quale crediamo moltissimo. Non ultimo, il progetto di portare in modalità multilingua tutta la piattaforma ci permetterà di rivolgerci anche all’estero».

La piattaforma sembrerebbe ben prestarsi all’integrazione con uno dei fenomeni che maggiormente ha avuto successo nel corso dello scorso anno, il social shopping, siti, cioè, che propongono offerte giornaliere e apparentemente esclusive per l’acquisto di prodotti e prestazioni: «in effetti – anticipa Davide – abbiamo un progetto di acquisto online dei servizi offerti dalle palestre, ma al momento è un’idea ancora da sviluppare. Abbiamo già però la possibilità di inserire avvisi e/o promozioni per raggiungere gli utenti “iscritti” al centro con le ultime offerte a loro disposizione. Direttamente sul loro smartphone!»

Ovviamente le migliorie da apportare al sistema ci sono, ma la loro precisa determinazione sarà possibile solo se e quando esso avrà acquisito reale diffusione presso il pubblico italiano. Attualmente, infatti, la piattaforma risulta ancora un po’ vuota, perciò ci auguriamo che il moltiplicarsi delle situazioni di presentazione pubblica del progetto (i promotori di Gymmit sono stati presenti alla Fiera Forum Club 2012, che si è tenuta a Bologna nei giorni 23-24-25 Febbraio 2012, presso lo stand di INFORYOU, e sono stati ospiti della trasmissione Smart&App, in onda su La3, il giorno 26 febbraio 2012 alle ore 17.00) apporti dei concreti benefici alla piattaforma stessa, attraverso il confluire di nuovo traffico utenti.

In fondo, sottolinea infine Davide, «Gymmit è un progetto che vive in rete ma non vuole far vivere in rete. Gymmit serve a portare la gente in palestra, alle palestre serve per farsi conoscere e fondamentalmente ha come obiettivo il “Social Wellness”. Pensiamo che una volta che le palestre ne comprenderanno la potenzialità, saranno loro stesse a promuoverne l’utilizzo».

Nemmeno il confronto con gli altri network sembra scoraggiare i promotori di Gymmit: «non temiamo Facebook, né Twitter, in quanto ci “integriamo” felicemente e ne impieghiamo le funzionalità. Considera infine che Facebook non svilupperà mai servizi dedicati alle palestre, per cui investire su Gymmit è sicuramente una scelta intelligente per tutte le Palestre, Piscine e Centri Sportivi!».

I nostri complimenti, dunque, a Davide e al suo team di lavoro per aver ideato e sviluppato un progetto davvero innovativo e certamente di possibile successo.

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Cresce la voglia di fare impresa

Aumenta il tessuto imprenditoriale di ben 50mila unità nel 2011, con un tasso di crescita dello 0,8%, leggermente inferiore all’anno precedente

Una crescita più lenta nel 2011 rispetto all’anno precedente, ma decisamente migliore nel confronto con il triennio 2007-2009. Un segno positivo che – visto il momento di generale sfiducia – viene comunque salutato come buona notizia. È quanto emerge, in estrema sintesi, da un’indagine Movimpresa di qualche settiman fa; l’analisi statistica trimestrale sulla natalità e mortalità delle imprese italiane, condotta da InfoCamere, per conto di Unioncamere, sugli archivi di tutte le Camere di Commercio italiane, e presentata dal Presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello lo scorso 25 gennaio a Reggio Emilia, nel corso delle celebrazioni per i centocinquant’anni della legge istitutiva delle Camere di commercio.

“L’impresa – ha sottolineato Dardanello in quell’occasione – resta un’àncora fondamentale per la tenuta del tessuto sociale, oltre che economico, del Paese. Soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo attraversando”.

Entriamo, allora, nello specifico dei dati rilevati: tra gennaio e dicembre 2011 sembrano essere nate ben 391.310 nuove imprese (contro le oltre 410mila nate nel 2010), mentre 341.081 sono state costrette a chiudere la propria attività (contro le 338mila che hanno chiuso i battenti nel 2010). La differenza tra i due dati porta alla conclusione che a fine anno il saldo imprese si sia attestato sulle 50.229 unità in più rispetto alla fine del 2010, facendo raggiungere la quota complessiva di 6.110.074 imprese iscritte ai Registri delle Camere di commercio (pari a circa un’impresa ogni dieci abitanti).

In termini percentuali, nell’ultimo anno il tasso di crescita è stato pari allo 0,82%, percentuale in leggera contrazione rispetto al +1,19% rilevato nel 2010 (corrispondente a 72mila unità in più), ma – l’abbiamo detto – superiore alla dinamica rilevata nel triennio 2007-2009 (quando era pari a +0,5%, con un minimo storico registrato nel 2009, quando si era arrivati appena ad un + 0,28%).
La diminuzione del tasso di incremento pare essere dovuta soprattutto alla riduzione delle nuove aperture (sono nate circa 20mila unità in meno rispetto al 2010) piuttosto che all’aumento delle chiusure (solo 3mila imprese in più hanno cessato l’attività rispetto al 2010).


Tale andamento si inverte, però, nel Mezzogiorno, dove vi sono state 3.500 imprese nuove in meno e ben 7.400 chiusure d’attività in più rispetto al 2010; il saldo annuale rimane, comunque, positivo per il Sud, con 13.986 imprese in più (saldo tra le 129.181 iscrizioni e le 115.195 cessazioni) nel 2011, pari ad un tasso di crescita dello 0,7%. Dal punto di vista territoriale, è, tuttavia, il Centro ad esprimere un maggior desiderio di fare impresa, con ben 16.633 imprese in più (saldo tra le 85.719 iscrizioni e le 69.086 cessazioni), corrispondenti ad un +1,29%. Segue il Nord-Ovest, con 13.501 imprese in più (saldo tra le 103.610 iscrizioni e le 90.109 cessazioni) e un incremento dello 0,84%. La minor vitalità è stata, infine, rilevata nel Nord-Est, dove il saldo tra le nuove imprese (72.800) e le imprese che hanno cessato la propria attività (66.691) è stato pari a 6.109 unità, con un tasso di crescita dello stock di imprese dello 0,51%.


A livello regionale, sono Lazio, Lombardia, Campania, Toscana e Sicilia ad aver registrato degli incrementi nel numero di imprese superiori alla media nazionale, rispettivamente con un +1,94% (e un saldo di 11.672 imprese, tra 39.955 iscrizioni e 28.283 cessazioni), un +1,21% (saldo di 11.530 imprese, tra 61.393 nuove iscrizioni e 49.863 cessazioni), un +1,06% (saldo di 5.862 imprese, tra 36.696 iscrizioni e 30.834 chiusure), un +1,05% (saldo di 4.375 imprese, tra 28.865 aperture e 24.490 chiusure) e un +0,96% (saldo di 4.482 imprese, tra 29.953 iscrizioni e 25.471 cessazioni).

In alcune regioni si è giunti, invece, al segno negativo, come in Basilicata, con un -0,43% (pari a -270 imprese, saldo tra 3.106 nuove attività e 3.376 chiusure), in Valle d’Aosta, con un -0,32% (pari a -45 unità, saldo tra 799 aperture e 844 chiusure) e in Friuli Venezia Giulia, con un -0,16% (pari a -174 unità, saldo tra 6.410 iscrizioni e 6.584 cessazioni).
Con riferimento alla forma giuridica, sono le società di capitali ad aver contribuito maggiormente (per circa l’85%) all’incremento del tessuto imprenditoriale italiano, con un ritmo di crescita nel 2011 del 3,15%, pari a 42.592 unità in più rispetto al 2010, saldo tra 80.744 iscrizioni e 38.152 cessazioni.

Segno negativo invece per le società di persone, che, con un tasso del -0,03% e un saldo di -388 imprese (tra 45.187 nuove attività e 45.575 chiusure), sembrano rallentare la crescita del sistema imprenditoriale. Discreto l’apporto (9%) delle imprese con forma di cooperativa o consorzio, le quali sono aumentate di 4.644 unità (pari ad un tasso di crescita del 2,35%), saldo tra 11.857 nuove aperture e 7.213 chiusure; più in particolare, le sole cooperative hanno incrementato il proprio numero per 2.881 unità, corrispondente ad un tasso di crescita dell’1,97%, e le regioni che hanno rappresentato un terreno particolarmente fertile sono state il Lazio (un tasso di crescita del 3,20% e un saldo di 597 unità), la Lombardia (tasso del 3,11% e saldo di 586 imprese), la Sardegna (tasso del 2,78% e saldo di 127 attività), la Toscana (tasso del 2,43% e saldo di 161 unità) e il Veneto (tasso del 2,40% e saldo di 137 attività).

Le imprese individuali, infine, hanno contribuito per il solo 6% al saldo complessivo, pari a 3.381 nuove unità (253.522 nuove iscrizioni e 250.141 cessazioni) e ad un tasso di crescita dello 0,39%; tra queste, una buona parte – 8.227 unità, frutto dello scarto tra 31.657 iscrizioni e 23.430 cessazioni – ha visto come titolare una persona immigrata. L’apporto dell’imprenditoria immigrata pare, quindi, particolarmente importante per garantire la tenuta della forma aziendale individuale, in un percorso di sempre più ampia integrazione nel tessuto economico e sociale italiano.


A livello settoriale si conferma il trend di declino per le imprese che si occupano di agricoltura, silvicoltura e pesca (che rappresentano il 13,7% dell’intero tessuto aziendale italiano), con un saldo in negativo di 18.922 unità e un tasso di decrescita del 2,20%.

In calo anche i dati riferiti alle imprese attive nell’estrazione di minerali da cave e miniere (-0,89% e un saldo di -45 unità), nella manifattura (-0,50% e un saldo di -3.137 unità), nel trasporto e magazzinaggio (-0,21% e -375 unità) e nell’amministrazione pubblica e difesa.

Cresce, per contro, in maniera significativa il numero di imprese che operano in altri settori, come la fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata (+36,28% e saldo di 1.797 unità), l’istruzione (+6,61% e saldo di 1.640 unità), la sanità e l’assistenza sociale (+5,28% e saldo di 1.715 unità), le attività artistiche, sportive e di intrattenimento (+3,72% e saldo di 2.409 unità), il noleggio, le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese (+3,64% e saldo di 5.545 unità), le attività professionali, scientifiche e tecniche (+3,13% e saldo di 5.929 unità) e i servizi di alloggio e ristorazione (+3,01% e saldo di 11.537 unità).

L’indagine concentra, infine, la propria attenzione sulle imprese artigiane, per le quali sembra delinearsi un momento non particolarmente favorevole: a fine 2011 ne risultano attive 1.461.183, ben 6.317 in meno rispetto al 2010 (saldo tra 104.438 nuove iscrizioni e 110.755 cessazioni), pari ad un tasso di decrescita di 0,43 punti percentuali. Si tratta di una tendenza negativa avviata nel 2009, quando la riduzione della base imprenditoriale artigiana è stata addirittura dell’1,06%.


Dal punto di vista territoriale, è soprattutto nel Mezzogiorno che si registrano degli esiti fallimentari, con un saldo in negativo per oltre 3mila unità: in Sardegna, ad esempio, è stato rilevato un tasso di decrescita del 2,07%, in Calabria dell’1,24%, in Basilicata dello 0,99%, in Molise dello 0,78% e in Sicilia un saldo negativo per 1.222 unità.

A livello settoriale, invece, le imprese artigiane risentono della crisi nel manifatturiero (registrando un saldo di -4.224 unità nell’ambito e un tasso di crescita del -1,20%), nel trasporto e magazzinaggio (-2.684 e calo di 2,59 punti percentuali) e nell’estrazione di minerali da cave e miniere (-29 imprese per una riduzione del 3,20%). Molte le cessazioni d’attività anche nel commercio all’ingrosso e al dettaglio (dove si arriva ad un saldo di -1.176 unità e ad una riduzione del tessuto imprenditoriale artigiano di 1,29 punti percentuali) e nel settore delle Costruzioni (saldo di -1.695 unità e tasso del -0,29%), che occupa, in ogni caso, la quota più ampia  (40%) sul totale imprese artigiane. Variazione in forte ribasso anche per il settore immobiliare, con un -7,62%, pari a -17 imprese artigiane.

Vanno relativamente bene, di contro, le attività artigiane che riguardano noleggio, agenzie di viaggio e servizi di supporto alle aziende (saldo di +1.950 imprese e tasso di crescita del 4,93%) e quelle che riguardano servizi alloggio e ristorazione (1.101 unità e crescita del 2,31%).

Al di là, comunque, dei dati meno incoraggianti, “siamo un Paese – ha concluso Dardanello – che ha tutte le carte in regola per mantenere alto il proprio prestigio nel mondo a partire dalle proprie produzioni di qualità, dalla creatività diffusa, dalla capacità di innovare. Tutte doti che si ritrovano nelle nostre imprese, anche le più piccole, a cui bisogna dare fiducia e strumenti per crescere e competere”. E ancora: “a chi fa impresa nel rispetto delle regole e con l’obiettivo di costruire qualcosa di duraturo, deve andare il rispetto e l’incoraggiamento di tutti, a partire dalle istituzioni”.

“Il sistema camerale – ha assicurato il Presidente di Unioncamere – ha elaborato e sta mettendo in pratica un arco di proposte e iniziative a sostegno del fare impresa che può dare un contributo concreto a riprendere il percorso della crescita”. Infine un invito, rivolto al governo, ad “intensificare gli sforzi per non far mancare il credito a chi investe, produce e crea occupazione” e ad “attuare con scrupolo, in tutti i prossimi passaggi normativi, i principi contenuti nello Small Business Act puntando a sostenere la piccola impresa, senza la quale non c’è made in Italy, non c’è occupazione, non c’è sviluppo”.

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POLTRONE – Michela Bellini è il nuovo Client Manager di TheBlogTV

Un curriculum fatto di preziose collaborazioni e stretto contatto con il web, per la new entry della prima social media company in Europa
Le temperature glaciali di questi giorni pare abbiano portato pure una ventata di cambiamento ai vertici di TheBlogTV – la prima social media company in Europa, fondata nel 2006 dall’italiano Bruno Pellegrini ma attiva, oltre che in Italia, anche in Francia, Spagna e Regno Unito – che dà il benvenuto a Michela Bellini, nuovo Client Manager.

Di TheBlogTV abbiamo già parlato: si tratta di una società specializzata innanzitutto nella realizzazione di progetti partecipativi, capaci, cioè, di creare valore attraverso la partecipazione attiva delle communities dei propri clienti (brand, imprese, istituzioni e organizzazioni); essa è, inoltre, attiva anche nella produzione di social video content per la televisione e per la rete, in modalità tradizionale (sfruttando le potenzialità del web partecipativo) o in modalità crowdsourcing, user generated, attraverso Userfarm.

Cerchiamo ora di conoscere un po’ meglio la new entry della società e il bagaglio d’esperienza che essa vi introdurrà.
Una formazione – laurea in Architettura al Politecnico di Milano e Master in Marketing presso la SDA Bocconi – che un tantino si discosta dal ruolo che andrà a ricoprire, ma che sicuramente l’avrà aiutata nel maturare l’intenso approccio creativo obbligatorio per operare in un ambiente così dinamico. Gli esordi e l’intera carriera professionale si rivelano a stretto contatto con la rete e le sue problematiche, attraverso una prima esperienza, iniziata nel 1998, presso Madeinitaly.com, uno dei primi portali b2b italiani, e attraverso successive collaborazioni con agenzie internazionali quali E-tree, Dada e Zodiak Media Group.

Per giungere a TheBlogTV la Bellini lascia il suo ruolo di Direttore Clienti (particolarmente orientato a strategia di contatto con il pubblico basate sulle piattaforme social) presso l’agenzia di comunicazione integrata IAKI. Impreziosisce, infine, il suo curriculum la gestione del rapporto con clienti di grosso calibro, quali Intesa Sanpaolo, RCS, Seat Pagine Gialle, Unilever; anche per TheBlogTV sarà chiamata ad occuparsi della relazione con alcuni tra i clienti di maggiore rilevanza, come, ad esempio, Wind e Lottomatica, recentemente acquisito.

Michela è una professionista che stimo”, afferma Bruno Pellegrini, amministratore delegato di TheBlogTV, accogliendo la nuova arrivata. “Il suo arrivo contribuirà a dare un ulteriore forte impulso allo sviluppo di progetti partecipativi per i nostri clienti corporate, che potranno anche disporre della nuova piattaforma proprietaria TheBlogTV — Mangusta — per la realizzazione di branded communities ed ecosistemi ‘social’ proprietari fortemente integrati con i principali social network”.

Non ci resta, a questo punto, che augurare in bocca al lupo alla nuova formazione di TheBlogTV.

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Dati e tendenze della mobile economy

Al Forum della Comunicazione Digitale 2012 gli addetti al settore si sono interrogati circa le reali dimensioni del fenomeno mobile

un’Italia insolita quella vista alla terza edizione del Forum della Comunicazione Digitale, l’appuntamento annuale imperdibile per top manager, tecnologi e comunicatori che intendano creare nuove opportunità di business, condividere know how e fondare solidi legami con istituzioni, media e associazioni, allo scopo di promuovere l’innovazione nella comunicazione digitale e, per questa via, lo sviluppo del nostro stesso Paese.

Insolita perché viva, partecipativa, innovatrice e, soprattutto, fiduciosa.

Più di 2.500 partecipanti, 53 partner e oltre 100 relatori di altrettante sessioni di lavoro (tra keynote, workshop, dibattiti, interviste e conferenze) si sono ritrovati lo scorso martedì 7 febbraio 2012, presso nell’esclusiva location di Palazzo Mezzanotte, sede della Borsa Italiana, a Milano. Organizzato da Comunicazione Italiana – “il primo ‘Business Social Media’ italiano” che unisce 20 associazioni di categoria e oltre 45.000 top manager e professionisti del settore – il Forum della Comunicazione Digitale 2012 ha avuto come focus principale “l’Italia che innova”.

Uno slogan piuttosto significativo, “apriamo i cancelletti“. Uno spot ufficiale realizzato da Keyframe, un team di giovani registi e videomaker, attraverso la piattaforma di video crowdsourcing Userfarm.

Centinaia di tweet con hashtag #forumdigitale2012. Diverse tematiche – frutto delle preferenze espresse dalla stessa community dei partecipanti, attraverso un apposito sondaggio online – legate all’innovazione tecnologica, alle nuove opportunità messe in campo dalla rete, ai fenomeni digitali di più ampia diffusione sociale e alle nuove strategie di divulgazione aziendale.

Alle visioni e ai trend della mobile economy è stata dedicata, in particolare, la sessione plenaria di apertura, condotta da Giovanni Iozzia, Condirettore di Panorama-Economy.
Illuminante l’intervento di Carolina Gerenzani, technology sector head di Tns Italia, la quale ha presentato i dati riferiti al contesto italiano e ricavati da una campione di 1.064 utenti, ma provenienti da un’indagine mondiale realizzata su 70mila internauti.
Da tale indagine emerge come il 91% degli italiani utilizzi la rete da pc, il 28% da smartphone (registrando un aumento di ben 80 punti percentuali rispetto al 2010) il 5% da tablet, il 7% da game console e il 5% da connected tv.
“Gli internauti da mobile sono una punta avanzata dello spaccato socio-demografico, ma soprattutto sono un target molto attivo in rete a livello di ricerca informativa da un lato e di elaborazione dell’informazione dall’altro”, ha affermato da Gerenzani; “conoscono la tecnologia e la utilizzano per migliorare la propria vita”.
I dispositivi mobili vengono utilizzati primariamente per inviare e ricevere le mail, ma anche per il social networking: “l’82% dei mobile surfer – continua la Gerenzani – ha fatto attività di social networking nelle ultime 4 settimane e dedica circa 6 ore alla settimana a questa attività via mobile. Di loro, due internauti su tre hanno meno di 34 anni”.

In media un utente italiano possiede 206 amici, 30 in più rispetto al 2010, e il 63% interagisce con la metà degli amici; se a questo si aggiunge il fatto che il 48% è connesso socialmente a un brand, si relaziona ad esso per conoscerne le novità e per esprimere le proprie opinioni, ci si rende facilmente conto di come sia sempre più concreta, per le aziende, la possibilità di fare azioni virali di marketing e comunicazione. Sempre con riferimento alla dimensione social, pare che la maggior parte degli utenti (ben tre quarti) conosca il servizio di geolocalizzazione, tuttavia soltanto l’11% risulta effettivamente connesso, il 13% pensa che lo diventerà, mentre, dato assai più rilevante, il 53% non intende esserlo.
A coinvolgere gli utenti in mobilità sono anche banking online e gaming: “il 36% tra i mobile surfers gioca giornalmente”, ha spiegato la Gerenzani; “tra coloro che giocano, il 75% gioca nei social network”.

Il 74% degli intervistati, poi, “conosce l’m-commerce, sia tramite app che tramite sito ed il 12% ha già acquistato qualcosa tramite il telefono cellulare”. Le app hanno, in particolare, agevolato notevolmente l’esperienza di navigazione degli utenti e sempre più si va alla ricerca di consumer generated media; cresce, di conseguenza, la forza dei gruppi di acquisto, tanto che il mobile commerce arriva sempre più ad identificarsi con il social shopping.

Ci si connette in mobilità mentre si fanno altre cose: mentre si guarda la tv, si fanno acquisti, si ascolta la radio, mentre si legge o si gioca; i dispositivi mobile permettono, infatti, agli utenti di essere sempre connessi (abilitano il cosiddetto “always on”), moltiplicano i touchpoints di comunicazione e fanno evolvere le pratiche fruitive e il ruolo stesso degli internauti: “l’utente – ha concluso la Gerenzani – legge post (74%) e scrive (48%), diventando egli stesso media, produttore di contenuti, come sappiamo nei formati più disparati, evolvendo il suo ruolo da mero attore passivo della comunicazione broadcast a fruitore ed elaboratore, soggetto proattivo nella filiera di comunicazione globale”.

Diventa, quindi, necessario, per le aziende, riuscire ad intercettare e coinvolgere il nuovo pubblico dei mobile surfer, un pubblico attivo, vivo, che parla al brand e del brand, che influenza i comportamenti d’acquisto del proprio network sociale di riferimento, che è capace, in definitiva, di contribuire attivamente alla creazione dell’universo valoriale dell’impresa.
Nel corso della sessione di apertura, è intervenuto anche Alessandro Colafranceschi, Head of Global Online Banking Unicredit, secondo il quale la strada del social rappresenterebbe una grande opportunità, da sfruttare non tanto allo scopo di fare brand awareness, quanto piuttosto per il product development, dunque per imparare a conoscere le opinioni del proprio pubblico, sempre più presente e attivo nella rete; un’alternativa, dunque, potenzialmente in grado di abolire la centralità dei focus group nella comprensione delle dinamiche di approccio dell’utente.

Attivata la discussione attorno alla mobile economy, non sono mancate, ovviamente, neppure le testimonianze di quanti vedono il nostro Paese ancora un tantino indietro nell’esplorazione delle reali potenzialità derivanti dall’innovazione mobile. Andrea Prandi, ad esempio, Senior Vice President Communications Edison, ha sottolineato come ancora nessuna agenzia arrivi a consigliare ai propri clienti l’utilizzo del mobile per ottimizzare le proprie campagne di comunicazione, perdendo, in questo modo, l’occasione di diffondere nuovi stimoli – come quelli derivanti dal binomio mobile e gamification – e, di conseguenza, di avere un ritorno maggiore in termini d’immagine e in termini prettamente economici.

Tutti gli anni è l’anno del mobile, ma poi spunta sempre un problema”, ha ricordato, inoltre, con ironia, Lorenzo Barbantini Scanni, Presidente di The Name Group (società di Flumen Communications Companies), passando, poi, ad analizzare i meccanismi virtuosi innescati dal mobile e utili a sostenere il brand nell’aumento dell’engagement, meccanismi che è necessario inquadrare in una strategia ben definita e corale: “il mobile non è uno strumento ‘stand alone’” – ha evidenziato – ma parte di una strategia multicanale che non può prescindere dai diversi touchpoints per mantenere vivo il rapporto con il target dei brand”. Di particolare interesse, poi, l’evoluzione di “servizi prima considerati innovazioni come la localizzazione e la realtà aumentata” e che “adesso prendono piede in aree mainstream” e l’affermazione delle “remote apps, applicazioni che, parlando con un sensore in un oggetto di vita comune, rendono possibili interazioni anche nel mondo digital”. Sembra farsi, quindi, sempre più sottile il confine tra mondo reale e mondo digitale, in un processo di continua compenetrazione tra le due e in una nuova manifestazione del concetto di “realtà aumentata”. “Guardando al futuro – ha concluso Barbantini Scanni – penso si affermeranno sempre più le apps su Facebook che, oltre a interagire con i fans dei brand per creare sistemi di engagement, stimolano una ‘conversion’ verso l’uso dei servizi/prodotti dei clienti”.

Antonio Turroni, Partner e Managing Director The Boston Consulting Group, ha posto l’accento su come non sia più possibile ragionare come si faceva un tempo, “per singolo mezzo”, ma di come si renda necessaria la creazione di strumenti di gestione integrata che aiutino le aziende a coordinare la propria azione su più piattaforme e più devices.

A evidenziare l’importanza di svincolare l’approccio di analisi dall’unicità del supporto fisico, è stato anche Enrico Gasperini, Presidente Audiweb, Presidente e Venture Partner Digital Magics, secondo il quale “è fondamentale il tema della misurazione multischermo, per garantire standard e metriche condivise indispensabili per la comprensione del mercato. Audiweb si sta muovendo in questa direzione, sviluppando un sistema di misurazione esteso ai nuovi schermi, indispensabile per i marketers e per dare ulteriore slancio allo sviluppo del settore”; un sistema fondato sulla volontà di capire “cosa fa la singola testa, non come si comporta il mezzo che naviga”. “Il 2011 – ha rivelato Gasperini – è stato l’anno dello start up del mobile marketing e il 2012 ne vedrà il decollo, mentre l’ADV online è l’unico comparto pubblicitario in crescita”. Stando ai dati preliminari raccolti da Audiweb con il nuovo sistema, sarebbero 10 milioni gli utenti smartphone presenti ogni mese sulla rete, a fronte dei 27 milioni di utenti pc, mentre la pubblicità mobile sarebbe in svantaggio di 5 punti percentuali rispetto a quella su pc e pare persistere un digital divide di natura anagrafica (“sopra i 55 anni decade l’interesse nel digitale”). Le app, poi, “sono un business per chi ha gli store – ha osservato Gasperini – e non pensiamo solo al mobile, ma anche alle facebook apps, come Zynga”. L’agenda digitale dovrà, allora, ha concluso, “favorire l’innovazione, la creazione di start up”, non facendo vivere il comparto di sovvenzioni, ma defiscalizzando “chi crea azienda, favorendo la creazione”.

Oltre alla mobile economy, numerosi sono stati i temi presi in considerazione, dalle Digital PR, ai cambiamenti subiti dall’industria dell’intrattenimento in era digitale, dal social shopping alle sfide poste dalle cosiddette Smart City.
Sono pienamente soddisfatto dei risultati ottenuti dall’ultima edizione del Forum Digitale” ha afferma Fabrizio Cataldi, fondatore di Comunicazione Italiana: “seppur in un periodo caratterizzato da una congiuntura economica negativa, le tematiche inerenti la comunicazione digitale risultano di grande interesse per tutti, dagli addetti ai lavori agli uomini di business fino ai giovani, che hanno partecipato numerosi e con interesse alle sessioni proposte dalla giornata. Nonostante la crisi, il settore della comunicazione si dimostra sempre carico di una spinta innovatrice, della volontà di confrontarsi con gli scenari proposti dalla società e dall’economia e, in questo contesto, possiamo affermare serenamente che ancora una volta Comunicazione Italiana ha saputo cogliere lo spirito dei tempi”.

Tra le novità, infine, in arrivo per la prossima edizione della manifestazione, vi sono una nuova location, più grande e dunque più idonea ad accogliere la grande adesione di pubblico, e un nuovo respiro internazionale – come risulta evidente dal nuovo nome scelto, World Digital Forum – per permettere alle realtà estere di entrare in contatto con gli operatori del settore in Italia.

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Volunia: un progetto teso tra innovazione e criticità

La piattaforma tutta italiana, sviluppata da Massimo Marchiori e ora in fase di test, promette una “differente esperienza del web”, conciliando componente informativa e sociale della rete, ma non convince totalmente chi già l’ha provata

Non siamo di certo abituati a veder crescere in Rete, di giorno in giorno, le attese per la presentazione ufficiale di un progetto digitale che aspira ad essere potenzialmente rivoluzionario. Non se la paternità e il finanziamento dello stesso sono da attribuire interamente a menti e mani italiane. In questa capacità sta, forse, un primo merito di Massimo Marchiori, classe 1970, docente di Reti e Tecnologie Web dell’Università di Padova e noto nell’ambiente dei “cervelloni” (ma, da qualche giorno, non solo in quell’ambiente) soprattutto per aver ideato l’allora innovativo motore di ricerca Hyper Search – presentato nel 1997, a Santa Clara, nel corso della sesta conferenza internazionale del World Wide Web – e per aver contributo, con questi suoi studi, allo sviluppo dell’algoritmo alla base di Google.

È lui, infatti, il padre di Volunia, una sorta di nuovo motore di ricerca che promette una “differente esperienza del web”, frutto dell’omonima start up fondata nel 2008 assieme a Mariano Pireddu, l’imprenditore sardo dalla ventennale esperienza nel mercato delle telecomunicazioni e del web. Assieme a loro, protagonisti di questa avventura sono stati alcuni tra i migliori ex studenti dell’Università di Padova (e non solo), scelti dallo stesso Marchiori.

Massimo riserbo circa i dettagli della piattaforma, fino a lunedì 6 febbraio, quando è stata presentata in anteprima e in streaming mondiale, dalla sala dell’archivio antico di palazzo del Bo a Padova, e quando è stata data la possibilità ad una parte degli utenti registrati (i cosiddetti “Power User”) di accedere alla fase beta e lasciare il proprio feedback al team di Volunia.

Una presentazione – occorre sottolinearlo – certamente lontana da quelle di stampo Silicon Valley, fatta di ritardi, imprevisti, problemi tecnici, scuse e discorsi preliminari da parte delle autorità padovane. Un presentazione che, malgrado le aspirazioni internazionali (Volunia è disponibile in ben 12 lingue ed è già pronto per la fruizione mobile), è stata realizzata tutta in italiano, senza traduzione.

Il primo a prendere la parola è stato il Rettore, Giuseppe Zaccaria, il quale ha espresso l’orgoglio e “la soddisfazione grande dell’Ateneo per questa scadenza molto attesa” e per questo “momento di grande innovazione rispetto a dei processi che oggi formano la vita quotidiana delle persone in tutto il mondo“; un traguardo – sottolinea – frutto della “consapevolezza che vi sono delle potenzialità inespresse all’interno del web“; Zaccaria parla di “un segnale molto positivo” del fatto che anche qui in Italia vi è la possibilità “di fare bene“, “di cogliere le innovazioni e integrarle“, e del fatto che “i nostri ricercatori sono competitivi […] a livello europeo e internazionale, non abbiamo nulla da invidiare a nessuno” in quanto a cervelli: “se dobbiamo invidiare qualcosa sono i finanziamenti e le strutture“.

A seguire, il Sindaco di Padova, Flavio Zanonato, ha elogiato il professor Marchiori e, in particolare, il suo “stile sobrio, semplice, il fatto di parlare con chiarezza e schiettezza ai giovani, di non piangersi mai addosso, di dire che bisogna darsi da fare“, annoverandolo tra una delle “formidabili eccellenze di Padova“, che l’intera comunità cittadina deve cercare di tutelare e promuovere.

Il Prorettore alla Ricerca Silverio Bolognani si è congratulato, poi, con Marchiori perché “ha voluto fare questa attività a Padova” e si è augurato che la sua condotta rappresenti “un esempio per il nostro sistema produttivo ed economico, un esempio di come si possa investire a medio termine sulla ricerca, che è una risorsa ricca che abbiamo, abbondante e preziosa“.

Infine, il Vicesindaco Ivo Rossi ha posto l’attenzione su un aspetto fondamentale del momento: “questa è una delle occasioni in cui la ricerca prodotta dalla nostra Università diventa impresa. Noi per anni abbiamo teorizzato la necessità di legare questi due elementi, di far crescere, quindi, anche l’economia del territorio, e oggi siamo nella presentazione di questa condizione che si realizza, tra l’altro in un segmento alto della conoscenza” e con vocazione internazionale; “questo nuovo motore – conclude Rossi – non è soltanto un nuovo motore di ricerca, ma è anche un motore generatore di nuova economia per la nostra città, così ci auguriamo“.

Liquidato con una battuta l’imbarazzo iniziale dovuto agli imprevisti tecnici (“qualcuno diceva: ‘È una presentazione storica’…anche perché: trovate un altro lancio mondiale con un inizio così! Resterà nella storia anche per questi imprevisti, per la suspense” creata) Marchiori è entrato, allora, nel vivo della presentazione e lo ha fatto, come vedremo, con un linguaggio ricco di metafore e similitudine (a cominciare dal paragone tra i problemi tecnici incontrati e lo stato generale della ricerca in Italia: “l’italiano è abituato agli imprevisti, però dopo ne rinasce più temprato di prima”; “una dimostrazione fattuale che poi noi alla fine dobbiamo sempre pensare oltre, aggirare l’ostacolo e da lì ci vengono, poi, le idee buone”).

Quella che vediamo oggi – ha premesso – è solo una parte del progetto”, che si è scelto comunque di presentare, per evitare, pare di capire, che a qualcun altro venga in mente di proporre un’idea simile, vanificando gli sforzi di ben tre anni di lavoro.
Ha cercato, poi, di sfatare il mito secondo cui Volunia rappresenterebbe una sorta di anti-Google: “in realtà […] non è così, anche perché Google è una forza” enorme, per “numero di server, personale” e utenti che unisce: sarebbe “follia per qualsiasi startup mettersi in competizione diretta”. Questo anche in considerazione di “come è proseguita l’evoluzione del motore di ricerca”, un’evoluzione solo parziale, che non ha portato a dei cambiamenti sostanziali nel suo funzionamento: “scrivo quello che voglio sapere, clicco e ho i miei dieci risultati”; “fare un motore simile o uguale a Google, come hanno cercato di fare tanti altri, poi fallendo […], non era la cosa giusta da fare”. “Quello che occorreva fare era cercare un punto di vista diverso”.
Forse motivato dall’intenzione di stupire il suo copioso pubblico, Marchiori ha proposto una curiosa “similitudine tra utenti web e galline”, per spiegare lo spirito con cui è nato Volunia: “vi vorrei parlare […], nonostante la sede molto ambiziosa, di galline […] perché siamo nel 2012” e questo sarà “un anno rivoluzionario per il mondo delle nostre galline”, dato che “una direttiva della comunità europea ha deciso che dal 2012 le galline non possono più essere allevate in gabbia”; “dopo anni di battaglia tutte le nostre galline finalmente sono state liberate” e, “ironia della sorte, è una decisione che la comunità europea aveva preso nel 1999“, periodo in cui sono nati i motori di ricerca.

Questo, dunque, in estrema sintesi, il compito che Volunia si è posto: liberate le galline del web, che “non volano” e “sono chiuse dentro gabbie“.

Cerchiamo di seguire il ragionamento di Marchiori.
I motori di ricerca sono nati per dare un ordine alla “marea informativa“, “alla complessità mostruosa” che è il web, offrono un aiuto concreto, ci permettono di compiere “un piccolo volo” orientativo, salvo farci atterrare, poi, di nuovo, in un ambiente complesso e ricco di difficoltà. Attraverso Volunia si è inteso offrire “una prospettiva più ampia“, poiché “se riesco ad alzare la prospettiva, riesco a capire meglio l’ambiente che mi circonda“, riesco ad avere “una panoramica dell’informazione“.
In questo si realizza la prima parte dello slogan scelto per accompagnare il progetto Volunia, “seek and meet”, quella relativa alla fase di ricerca nella rete.

Una barra in alto accompagna in ogni momento l’utente nella fruizione web, con l’intento di favorirne costantemente l’orientamento. Il sistema è in grado, inoltre, di generare in automatico, per ogni sito, una mappa, consultabile anch’essa in qualsiasi punto della navigazione, mappa che si presume essere piuttosto familiare, poiché riproduce una città tridimensionale, con tanto di case e palazzi rappresentanti le varie pagine, in perfetto stile “Sim City”. Si è resa disponibile anche una seconda forma di visualizzazione, a cartelle e, alle possibili imprecisioni derivanti dall’automatismo di creazione delle mappe, si è cercato di dare soluzione richiedendo l’intervento attivo dei proprietari dei siti web: “permettiamo agli utenti di prendere il controllo della mappa“.

Un’apposita sezione “media” seleziona per noi tutti i contenuti visivi, audio, video e documentali presenti nel sito o parte di essi (in relazione alle indicazioni da noi fornite nella query): essa offre una panoramica ad alto livello, ordinata secondo un criterio di presunta rilevanza, di tutti i contenuti multimediali del sito, offre “un’altra prospettiva“, permettendo, poi, di atterrare sulla pagina corrispondente al determinato contenuto di nostro interesse.

Rispetto alle funzioni di ricerca garantite dai più comuni motori di ricerca, Volunia vorrebbe, insomma, dare la possibilità agli utenti “di essere assistiti e di poter spiccare il volo in ogni momento”.

Passiamo ora alla seconda parte dello slogan, quella relativa al “meet”, all’incontro, alla dimensione sociale, per comprendere la quale è necessario – ci dice Marchiori – analizzare le tendenze più recenti presenti nel web, il cosiddetto “web 2.0 o “web sociale”: “le persone sono entrate a far parte del web“, ma “questo web 2.0 si è messo in antagonismo con il cosiddetto web 1.0“, poiché “da un lato c’è l’informazione e ci sono i motori di ricerca“, “dall’altro nel web 2.0 ci sono le persone” e “questi due mondi sono abbastanza separati, non sono mai stati integrati“, tanto che per poter sperimentare un’”esperienza sociale ricca e appagante” ci andiamo – prosegue la metafora – “a chiudere dentro a delle gabbie, che sono i siti sociali“.

Quello che si è chiesto di fare a Volunia è, allora, di “rompere questa barriera che si è creata storicamente, finora, tra l’informazione e la socialità delle persone“, attraverso l’attivazione di una funzionalità aggiuntiva chiamata “barra sociale”, la quale “unisce il mondo dell’informazione, i siti web che visitiamo, con il mondo delle persone“, in modo da poter sfruttare le potenzialità umane nascoste dietro le pagine di un web in realtà molto più ricco di come siamo abituati ad immaginarcelo. Volunia vuole, quindi, conclude Marchiori, “aprire la gabbia“, permettendo, in ogni momento della navigazione, di vedere “chi c’è attualmente e chi c’è stato” – a condizione, ovviamente, che l’utente abbia concesso di essere visto – e di interagire con la componente sociale del web, attraverso l’attivazione di legami virtuali (richiesta d’amicizia e possibilità di raggiungere i miei amici, ovunque essi siano) e di discussioni corali. Ogni punto della rete diventa, così, un punto di potenziale aggregazione.

Fin qui ci siamo concentrati sull’aspetto – per così dire – “promozionale” di Volunia, sul modo con cui i promotori del progetto hanno scelto di comunicare lo stesso al proprio pubblico di riferimento. La forza virale del messaggio veicolato e le eccessive aspettative hanno, tuttavia, imposto anche l’emergere di numerosi dubbi e critiche, tra i Power User, sulla presunta innovazione alla base della piattaforma, malgrado una certa prudenza sia comunque mantenuta, considerando la fase ancora di test.

Vengono innanzitutto contestate le scelte grafiche, di gusto discutibile e un tantino datato e l’interfaccia di base, eccessivamente caotica.

Ad essere soprattutto oggetto di critica sono, però, le molte problematiche rilevate in fase di ricerca di particolari termini: come sottolineato da Marchiori in conferenza, il sito indicizza, per ora, solo una minima parte della rete, rendendo di fatto molto difficile la corrispondenza dei risultati con le intenzioni dell’utente e ponendosi di fatto ad un livello qualitativo notevolmente inferiore rispetto ai competitors. Volunia, poi, utilizza la tecnologia iframe, che impedisce la visualizzazione di alcuni tra i più popolari siti web (Google, Facebook, Twitter, Youtube…), i quali hanno scelto, appunto, di non supportare tale tecnologia.

L’impossibilità di importare amici da Facebook o Twitter riduce, inoltre, l’aspirazione sociale del progetto, poiché, al di là della possibilità offerta di ricercare i propri amici, l’attivazione di legami dettati da incroci semi-casuali non permette certo la creazione di una struttura sociale solida. Altri interrogativi sono sorti in materia di privacy, anche se – garantiscono i promotori – sarà l’utente a decidere se e cosa condividere e i dati non verranno tracciati.

In attesa di conoscere i perfezionamenti che la fase beta porterà con sé e incuriositi dal modo con cui gli utenti comuni potranno accogliere la nuova piattaforma, non ci resta che rimandare il nostro personale giudizio e sperare di essere presto inseriti nella cerchia dei Power Users.

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Packaging: nuovi scenari e strategie aziendali

Dalla funzione di semplice contenitore per la protezione e conservazione dei prodotti, il packaging si è evoluto diventando espressione dell’identità aziendale.

Il tonno non è un pesce. È una scatoletta. Leggendo questo slogan, un po’ di tempo fa, mi misi a ridere: divertente. Ad idearlo era stato un mio amico, Nicola Zuliani, un webmaster con il vizio della creatività, capace di sintetizzare, in poche semplici parole, un concetto alla base del processo ideativo, produttivo e divulgativo di molti brand. Mi riferisco al packaging, ovviamente – la confezione, l’imballaggio – la cui funzione primaria dovrebbe essere quella di contenere e proteggere un prodotto. Pensando al tonno è automatico il collegamento alla scatoletta, così come pensando di bere una Coca Cola ci immaginiamo di stringere tra le mani una lattina o, ancor meglio, una bottiglietta di vetro; è facile rendersi conto di come si tenda ormai ad identificare prodotti ed esperienze d’utilizzo con l’involucro che fisicamente avvolge loro, in una singolare associazione di idee che pare spingere la metafora al di fuori della dimensione intellettiva per renderla realtà concreta.

Parlare di packaging nell’era del Web 2.0 – in un periodo storico, cioè, caratterizzato dall’immaterialità, da un contenuto svincolato dal limite fisico del contenitore, dalla miniaturizzazione che impone all’utente l’elaborazione di una personale formula fruitiva – può sembrare quasi un anacronismo; in realtà ciò su cui vorrei concentrare la mia riflessione è il modo in cui l’universo semantico veicolato dalla parola “packaging” ha mutato nel tempo la propria forma e dimensione, il modo in cui esso si è evoluto per riuscire a sostenere le strategie aziendali. Del resto, sottolinea Marco Sachet (direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio), “l’imballaggio esiste e continuerà ad esistere perché il consumatore desidera un prodotto perfetto, subito disponibile, e sotto casa”.

In origine l’imballaggio veniva valutato principalmente per il suo essere funzionale, doveva rispettare determinati canoni fisici ed estetici, idonei a proteggere e conservare il prodotto. L’evoluzione del mercato e il mutare della domanda hanno fatto in modo che la valenza di tale funzionalità originariamente ricercata si estendesse anche agli aspetti comunicativi e relazionali del prodotto: il packaging serve oggi a presentare questo stesso prodotto e, di conseguenza, a esibire il marchio e il suo universo valoriale; serve ad offrire un’identità, serve a convincere l’utente a diventare consumatore, non tanto creando in lui un desiderio fittizio, quanto piuttosto cercando di soddisfare i suoi bisogni, plasmandosi su essi. È un utente, infatti, sempre più esigente quello con cui gli operatori del largo consumo devono confrontarsi, un utente che privilegia caratteristiche quali l’efficienza nelle dimensioni, la sostenibilità, la riciclabilità, la flessibilità, l’innovazione, la facilità d’utilizzo e trasporto, la riconoscibilità.

La nuova sfida per le imprese italiane fornitrici di packaging è, allora, in primis quella di riuscire a sviluppare dei progetti realmente efficaci per il proprio mercato di riferimento, tenendo ben presenti le particolarità del consumatore moderno e le dinamiche che lo spingono all’acquisto.

In risposta a questa difficile sfida, gli operatori italiani sembrano essersi concentrati, in particolare, secondo Sachet, su quattro fondamentali trend: unità di vendita più piccole, nuovi settori che danno vita a nuovi contenitori, nuovi servizi per il consumatore e attenzione primaria alla sostenibilità ambientale. Cerchiamo di indagare più nel dettaglio tali tendenze.
Da una parte la crescente presenza di non coniugati e i ritmi di vita frenetici, sempre in movimento, hanno portato, soprattutto in ambito alimentare, alla realizzazione di confezioni monodose e monoporzione che permettano di non sprecare il contenuto e che si prestino ad essere acquistate, ad esempio, presso distributori automatici (con effetti, dunque, anche nel mondo retail, non solo in quello della produzione). Si tende, dunque, in alcuni casi, a privilegiare funzionalità e praticità, facilità di apertura-chiusura, di trasporto e di conservazione

Dall’altra parte la crisi economica degli ultimi anni ha indotto gli utenti a prestare particolare attenzione al rapporto qualità/prezzo, nell’improntare le proprie strategie d’acquisto: ciò ha portato i produttori a diminuire dimensione e peso dei rivestimenti e ad offrire formati famiglia o confezioni idonee alla ricarica; allo stesso modo, il perseguimento di uno stile di vita più casalingo ha portato alla creazione di contenitori pensati per l’intrattenimento domestico, dunque rispondenti anche a criteri estetici. Il fatto, poi, che le persone abbiano sempre meno tempo da passare sui fornelli incrementa il consumo e l’importanza dei prodotti cosiddetti “della quarta gamma” (cioè pronti per il consumo).
Il nuovo cliente – che in precedenza abbiamo definito “esigente” – desidera sempre di più, sottolinea Sachet, “informarsi su quanto acquista: verrà soddisfatto in questa sua necessità da informazioni che potrà fruire sia sulla confezione sia, successivamente, grazie ai codici bidimensionali o ad altri ritrovati della tecnologia via web. Lo sviluppo di questa tendenza sarà colto non solo dai produttori, ma anche dai retailer, e aumenterà il numero dei servizi collaterali: diminuzione delle code o acquisto veloce, per esempio”.

Un consumatore più esigente è anche un consumatore più attento: attento all’ambiente, alla salute e alla sicurezza. Questa constatazione si traduce nella previsione di soluzioni d’imballaggio capaci di ridurre gli sprechi e, una volta esaurita la loro sostanza, di facilitare il loro recupero o, se questo non fosse possibile, il loro smaltimento attraverso la separazione dei materiali (di conseguenza aumenta la tendenza a fornire indicazioni sulla confezione circa la destinazione dei diversi materiali che la compongono alla raccolta differenziata). “Da qui a cinque anni – spiega Luciano Piergiovanni, professore ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari dell’Università degli Studi di Milano e presidente del Gsica, Gruppo Scientifico Italiano di Confezionamento Alimentare – le aziende smetteranno con gli atteggiamenti fittizi, il cosiddetto green washing, per dimostrare una vera attenzione nei confronti di un problema non più rinviabile”. L’attenzione, poi, a salute e sicurezza porta, nuovamente, ad una riduzione delle porzioni e all’utilizzo di materiali tecnologicamente avanzati, in grado di eludere qualsiasi rischio (ad esempio quello di tagliarsi).

Infine l’innovazione e la differenziazione sono altri principi ai quali si affidano i fornitori, attraverso packaging artistici o materiali particolari che spingano l’utente a conservare gli stessi anche quando non vi sia più il contenuto originale.
A tal proposito, i dati forniti dalla Packaging Innovation Survey – realizzata da Accenture, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata e l’Istituto Italiano Imballaggi e basata su circa 100 fornitori italiani di packaging – hanno evidenziato come, per ben il 72% dei fornitori, essere innovativi sia un fattore critico di successo e come l’88% abbia inserito nella propria attività la funzione R&d, funzione sulla quale si intende investire maggiormente nei prossimi anni. Sempre allo scopo di perfezionare grafica e design dei prodotti, circa il 12% degli intervistati ha affermato di aver posto in essere partnership con istituti esterni.

Lo studio appena citato mette, tuttavia, in evidenza anche un elemento di criticità del settore, la mancanza, cioè, di collaborazione tra fornitori e aziende, la cui causa viene rintracciata, innanzitutto, nella molteplicità delle funzioni aziendali con cui i fornitori si trovano obbligati a rapportarsi: solo il 9% ha dichiarato, infatti, di avere un unico interlocutore al lato cliente, con conseguenti rallentamenti e necessarie riformulazioni che rischiano di vanificare il processo di innovazione. Altro aspetto della difficoltà di collaborazione è individuato nell’eccessiva attenzione posta nei costi delle operazioni: per il 49% degli intervistati la negoziazione del prezzo rappresenta il primo tema di discussione con i clienti, mentre solo nel 23% dei casi la discussione verte sull’innovazione. I meccanismi di trasferimento dell’innovazione dal fornitore all’azienda non sembrano essere, infine, particolarmente efficaci, poiché solo il 51%dei fornitori intervistati ha dichiarato di utilizzare un business case quando fa la sua proposta al cliente, nonostante il 75% ne riconosca l’importanza fondamentale per ottenere la fornitura.

Vanno, quindi, ridotte le inefficienze e attivati meccanismi di fruttuosa collaborazione, attraverso un monitoraggio continuo del mercato, capace di rilevare la portata delle innovazioni evidenziate finora (innovazioni che, tutto sommato, sarebbero, secondo Luciano Piergiovanni, piuttosto delle “tendenze che proseguono da anni”), attraverso una cultura aziendale che favorisca il confronto e attraverso un’azione trasversale e congiunta, capace, da un lato, di coinvolgere parimenti fornitori e clienti e, dall’altro lato, di unire le diverse funzioni aziendali (marketing, ricerca e sviluppo, qualità e produzione, acquisto).

Di questi scenari si occuperà Ipack – Ima 2012 (dal 28 febbraio al 3 marzo 2012), “uno dei più importanti appuntamenti internazionali nel settore delle tecnologie di packaging, processing e logistica interna: una grande fiera di sistema che presenta soluzioni tecnologiche per il settore alimentare e non alimentare a utenti provenienti da tutto il mondo”. I dati finora raccolti dall’Osservatorio di Ipack-Ima (diretto da Giampaolo Vitali, segretario del Gruppo Economisti d’Impresa, docente ricercatore del CNR), relativi al primo semestre 2011, parlano di una ripresa congiunturale del settore che, dopo essersi avviata nel 2010, prosegue nell’anno in corso.

L’industria manufatturiera che sarà protagonista dell’evento fieristico vanta nel 2010 un fatturato totale di Euro 37.567 milioni, di cui 25.807 riferiti al settore imballaggi e 11.760 ai settori dei beni strumentali. Stiamo parlando di una filiera che offre occupazione a 143.410 addetti ed esporta quasi il 29% della propria produzione (percentuale che sale addirittura all’88% per le macchine per il packaging).

Nel primo semestre 2011 è aumentato, allora, il fatturato totale per il 40% delle imprese prese a campione dall’Osservatorio e sono aumentate le esportazioni per il 29% di esse, mentre il 60% ha dichiarato una sostanziale stabilità e l’88% una costanza occupazionale. Le previsioni per il secondo semestre parlano, poi, allo stesso modo, di un quasi 40% di imprese che si aspettano una crescita di fatturato e di un 60% che si aspetta una certa stabilità; il 26% prevede un aumento dell’export, il 64% una costanza nello stesso e l’83% una situazione occupazionale immutata.

Malgrado il generale clima positivo che avvolge l’intero mercato di riferimento, si evidenzia una leggera differenza tra i due macrosettori principali: le imprese dei materiali e imballaggi hanno conosciuto una crescita di fatturato pari al 46%, superiore al 36% rilevato per le imprese dei macchinari; per contro crescono maggiormente le esportazioni per queste ultime (34%) rispetto alle prime (21%).

Scenari decisamente ottimistici, dunque, quelli delineati, che devono essere accompagnati da un’azione corale di ascolto e comprensione delle tendenze nella domanda e di promozione dell’innovazione, attraverso logiche che siano realmente collaborative.

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