Le dinamiche della domanda-offerta lavoro in tempi di crisi e Web 2.0

I candidati italiani consultano gli annunci per un posto dietro ai fornelli, ma le maggiori opportunità sono tra le scrivanie di un ufficio. Sempre più importante l’online reputation nel processo di reclutamento, il 12% dei selezionatori ha scartato nominativi dopo aver informazioni raccolto in rete

Quelli attuali non sono certo tempi d’oro per il mercato del lavoro. Pochi giorni fa il Ministero del Lavoro ha evidenziato come, nell’arco del 2012, i licenziamenti – sia quelli collettivi sia quelli singoli, per giusta causa o giustificato motivo – abbiano superato quota un milione (1.027.462), con un aumento del 13,9% sul 2011 (quando furono 901.796) e a fronte di 200 mila assunzioni in meno. Nel solo ultimo trimestre si sono registrati 329.259 licenziamenti, in incremento del 15,1% rispetto allo stesso periodo 2011. Nell’intero 2012 sono stati attivati circa 10,2 milioni di rapporti di lavoro, contro i quasi 10,4 milioni complessivamente cessati, tra dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti. L’ANSA, elaborando gli archivi Istat, ha, inoltre, rilevato come sia aumentato nel 2012 il numero degli scoraggiati nel Belpaese, stimati in 1,6 milioni di unità. Si tratta di coloro che non cercano più lavoro perché sono convinti di non riuscire a trovarlo. Essi rientrano nella categoria degli inattivi (che non fanno parte della forza lavoro, poiché non classificati come occupati o in cerca di occupazione), che comprende anche studenti, casalinghe e pensionati. Se gli inattivi sono, nel complesso, diminuiti del 3,9%, a causa della crisi, gli scoraggiati sono invece aumentati del 5,3%; tale crescita ha coinvolto soprattutto le fasce d’età più alte (+13,3% tra i 45-54enni e +23,1% tra i 55-64enni) e le donne (+8,6%, giungendo a quota 1 milione 96 mila unità). Tra gli scoraggiati, 1 milione e 150 mila ha un’età compresa tra i 35 e 64 anni (+10,1%).
In un contesto così drammaticamente mutato, si rinnova la struttura stessa del gioco domanda-offerta lavoro e si evolvono, di conseguenza, i processi di reclutamento. Su questi ultimi si sono, in particolare, concentrate due interessanti indagini, promosse recentemente da due realtà che basano la propria intera attività sul cercare di far incontrare esigenze lavorative con posti vacanti. I risultati possono aiutarci a comprendere meglio la portata del cambiamento in atto.
INDAGINE SUBITO.IT
Subito.it – il famoso portale di annunci per la compravendita e il lavoro – ha evidenziato, a inizio 2013, un’inattesa crescita nelle richieste di personale, pari al 17% rispetto a inizio 2012. Parallelamente sale, tuttavia, anche il numero degli annunci di candidati alla ricerca di lavoro, che raggiungono quota 200mila, registrando un +37% sul 2012. Finisce così per accentuarsi lo scarto tra candidature spontanee e posizioni aperte: se a febbraio 2012 le prime superavano le seconde del 134%, nello stesso periodo di quest’anno la percentuale sale al 175%.
Un ulteriore scostamento si rileva anche dal punto di vista qualitativo, con riferimento alle posizioni aperte e quelle invece più ambite da chi è in cerca di occupazione: le maggiori opportunità (52%) sono nell’ambito del “lavoro d’ufficio” (responsabili commerciali e agenti di vendita, specialisti IT, programmatori, grafici, manager e operatori di call center) e, a seguire, nel campo del turismo e della ristorazione (7%), infine nel commercio o all’interno di vari negozi (6%); per contro le oltre 670 mila ricerche di lavoro (in crescita di 24 punti percentuali sul 2012) sembrano più orientate ai fornelli. I candidati italiani recuperano le proprie tradizioni gastronomiche e ambiscono primariamente ad una professione nel settore Food & Beverage o nella ristorazione: il 16% circa di coloro che navigano su Subito.it alla ricerca di lavoro aspira alla posizione di chef/cuoco (27,50%), aspirante tale (5,57%), barman (21,15%), pizzaiolo (20,38%) o, ancora, pasticcere, gelataio, fornaio, lavapiatti e maître di sala.
Al secondo posto tra le figure più ambite troviamo quella dei collaboratori domestici, che occupa il 13,4% delle ricerche di occupazione, suddivisa tra le posizioni di badante (52,13%), dama di compagnia (0,44%), baby sitter (29,19%), colf/domestico (16,51%) e dog sitter (1,30%). Quest’ultima categoria è stata, in particolare, oggetto di ben 2500 candidature spontanee (quasi la metà distribuite, nell’ordine, tra Lombardia, Lazio e Piemonte), trasformando quella che nasce come passione in una vera e propria professione.
In terza posizione troviamo gli aspiranti autisti (7%).
Gli aumenti individuati possono essere in parte spiegati con “la crescita dell’utilizzo di Internet che, nel periodo considerato, è stata di circa il 7% (dati Audiweb)” – come ha sottolineato l’Amministratore Delegato di Subito.it, Daniele Contin – e che ha imposto agli utenti un’evoluzione nei modelli di fruizione del mezzo. I segni più riflettono, dunque, una tendenza più generale, ciononostante è importante notare come “a fronte di una contrazione generale del mercato” del lavoro, la Rete venga sempre più considerata come “strumento immediato e affidabile di ricerca di opportunità professionali e di business, sia dal lato della domanda che dell’offerta”.
L’analisi di Subito.it si spinge poi all’individuazione di alcune differenze di ordine territoriale. Assumendo una prospettiva regionale, si nota una sostanziale omogeneità nella distribuzione delle opportunità professionali: al primo posto per numero di posizioni aperte si colloca la Lombardia (16%), subito seguita da Campania (13%) e Lazio (11%). Le sproporzioni più elevate tra offerte di lavoro sul sito e annunci dei candidati (a sfavore, come abbiamo visto, delle prime) si hanno in Sardegna (310%), in Sicilia (270%) e in Piemonte (229%), mentre quelle più basse si rilevano in Umbria (88%), Calabria (79%) e Basilicata (73%).
Dal punto di vista provinciale, la posizione di cuoco o chef è in assoluto la più ambita ad Ancona, Genova, Palermo e Trieste. Quella di autista è la più ricercata a Milano (11%, seguita da badante al 10% e cuoco al 5%), a Roma (10%, seguita da cuoco al 7% e segretaria al 6%) e a Firenze (14,5%, seguita da badante al 5% e operaio al 5%).
A Torino si cercano soprattutto lavoro come badante (13%), operatore specializzato (12% tra operai, muratori, elettricista, saldatori, fresatori, serramentisti, imbianchini) e autista (7%). Qui chi offre lavoro si orienta invece più sul personale specializzato in ambito IT o vendite.
A Palermo le aziende cercano poi soprattutto personale qualificato per lavori “di ufficio”, mentre i potenziali candidati aspirano a fare il cuoco (9%), la badante (8%) e, a pari merito, il baby sitter e l’autista (6%).
A sorpresa, il pizzaiolo è una delle posizioni più ambite in laguna: a Venezia è al terzo posto tra le più ricercate (6%) e a Padova addirittura al secondo (8%).
INDAGINE ADECCO ITALIA
Sempre più il Web assume, quindi, un ruolo di primo piano nella dinamica dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e sempre più le relazioni sociali costruite online sembrano influire sulle probabilità di trovare un’occupazione. Avere una rete ricca e integrata di rapporti, tanto nell’offline quanto nelle diverse piattaforme di social network, permette di incrementare il proprio “capitale sociale integrato”. Ciò significa avere la possibilità di allacciare nuove relazioni con persone di status superiore, di rafforzare, allo stesso tempo, la frequenza e la stabilità dei legami già esistenti e, di conseguenza, di intercettare più facilmente tutte le informazioni utili a trovare lavoro. Tale capitale sociale integrato viene ormai considerato un aspetto fondamentale da parte dei responsabili risorse umane, incaricati del processo di reclutamento.
È questa una delle principali evidenze emerse nell’indagine 2013 “Il lavoro ai tempi del #socialrecruiting e della #digitalreputation” condotta sotto forma di sondaggio online da Adecco Italia, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, tra novembre 2012 e febbraio 2013. Giunta alla terza edizione, la rilevazione ha inteso far emergere il ruolo che i legami personali hanno, in tempo di Web 2.0, nella ricerca di una posizione professionale. A essa hanno partecipato 13.283 candidati e 479 selezionatori, dei quali si è cercato innanzitutto di costruire un identikit.
I responsabili HR hanno un’età distribuita in modo piuttosto omogeneo tra le diverse fasce, con una prevalenza di 36-45enni (37%), e risiedono prevalentemente al Nord (73%, contro il 15% che risiede al Centro e il 12% al Sud). Quest’ultimo dato riflette il fatto che molte aziende abbiano il proprio dipartimento HR a Milano, soprattutto quando si tratta di realtà di grandi dimensioni. Singolare, a tal proposito, è l’evidenza che la maggior parte dei responsabili intervistati (57%) appartenga a grandi aziende (con più di 250 addetti), nonostante il tessuto imprenditoriale italiano sia composto in prevalenza da PMI; ciò potrebbe, in parte, essere dovuto allo svolgimento online del sondaggio, dunque dalla potenziale esclusione da parte delle realtà meno digitalizzate.
Tra i candidati prevale la fascia dei 26-35enni (36%), con un 21% di giovanissimi (18-25enni) e un 25% di 36-45enni; bassa risulta la percentuale degli over 45 alla ricerca di lavoro (15%), probabilmente a causa della modalità online del sondaggio. Anche la maggior parte dei candidati si trova al Nord (ma il tasso di concentrazione è meno elevato, essendo pari al 54%, contro il 19% situato al Centro e il 27% al Sud).
Sia tra i responsabili HR sia tra i candidati, la presenza di donne e uomini è pressoché omogenea, con una leggerissima prevalenza di donne.
L’utilizzo dei social network è molto diffuso tra i selezionatori che vi ricorrono per uso personale e professionale nell’88% dei casi (percentuale che sale al 94% se si considerano anche gli utilizzi come azienda). Meno rilevante è invece l’uso di questi strumenti per la ricerca di lavoro da parte dei candidati (53%), nonostante il 99% di essi vi ricorra in generale, anche per altri scopi. Più nel dettaglio, Linkedin sembra essere il canale privilegiato dei recruiter per trovare nuovi profili, con il 42% delle preferenze, seguito da Facebook (29%) e da Twitter (9%), mentre tra i candidati la ricerca di lavoro in Rete avviene prevalentemente attraverso i siti di lavoro (94%), le App (39%) e Facebook (30%); solo il 26% usa Linkedin e solo il 5% Twitter.
Quali sono i vantaggi che derivano dall’utilizzo di questi canali online? Per chi è alla ricerca di un’occupazione, questi risiedono nella possibilità di trovare un maggior numero di offerte (44%), poi nell’opportunità di dare maggiore visibilità al proprio CV (38%) e di trovare offerte di lavoro più interessanti (32%) specialmente all’interno delle pagine aziendali; solo il 16% considera l’importanza nel creare relazioni professionali e solo il 6% è interessato a monitorare in questo modo la propria reputazione online. I responsabili HR ricorrono invece agli strumenti di recruiting online principalmente per allargare il bacino dei candidati (16%) e verificare la completezza e la solidità dei CV ricevuti (16%), oltre che per trovare profili più mirati (15%), per informarsi sulle relazioni professionali del candidato (14%) e per controllare i contenuti da questo pubblicati (10%).
Adecco passa poi ad analizzare la valutazione che selezionatori e candidati danno circa l’utilità di alcune piattaforme online. In linea con le proprie prassi fruitive, i primi apprezzano principalmente Linkedin (78% valutazioni positive) e i siti di matching (72%). I candidati mettono invece al primo posto per utilità i siti (70%) e al secondo Linkedin, che, nonostante raggiunga solo il 29% delle valutazioni positive, conquista comunque una posizione di estremo rilievo, che non trova corrispondenza nelle scelte di utilizzo prima descritte: in sostanza chi cerca lavoro considera Linkedin più utile di Facebook (29% contro 20%), ma sfrutta primariamente – e paradossalmente – quest’ultimo come canale per la ricerca.
Stando a quanti un lavoro l’hanno trovato, la formula più efficace per trovare un posto è quella di utilizzare un mix di differenti strumenti che comprenda in primo luogo gli annunci online (40%), le agenzie per il lavoro (34%) e la rete di parenti e amici (32%).
Per il 50% dei responsabili risorse umane i social media hanno reso più facile la ricerca di candidati e il 34% ha effettivamente utilizzato questi strumenti  per assumere. Per contro il 75% dei candidati sostiene che i social non sono stati d’aiuto e solo un misero 2% dice di aver trovato lavoro esclusivamente attraverso essi (su un 30% che ha inviato la propria candidatura e un 8% che è stato in seguito contattato), ma – a giudicare dalle precedenti risposte – ciò potrebbe dipendere da un uso scorretto e poco ragionato del mezzo.
La forza di questi strumenti risiede soprattutto nel potere delle relazioni. Il 50% di chi ha trovato lavoro attraverso i social network dispone di una rete sociale ricca, contro il 27% di chi lo ha trovato tramite i centri per l’impiego, il 30% di chi si è rivolto alle agenzie per il lavoro e il 33% di chi si ha sfruttato reti sociali tradizionali (amici e famiglia). Usare queste piattaforme semplicemente per recuperare nuovi annunci rappresenta un’operazione piuttosto sterile; la vera utilità sta nella possibilità di allargare e rafforzare la propria rete di contatti professionali. “Questi risultati sono molto interessanti”, ha commentato Ivana Pais, docente di Sociologia economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, “perché mostrano il valore delle relazioni che si stabiliscono e si alimentano attraverso la Rete. In particolare, l’uso di social network si rivela molto efficace nella fase di ricerca di un lavoro in quanto consente di facilitare i flussi informativi tra persone già in contatto tra loro, di entrare in relazione con persone chiave nei processi selettivi e di abbattere alcune barriere comunicative rendendo più diretta e veloce la comunicazione”.
L’importanza della digital reputation viene comunque percepita sia dai recruiter sia dai candidati. Il 70% di questi ultimi verifica le informazioni personali che circolano online “googlando” il proprio nome, lo stesso fa il 77% dei recruiter con i nominativi dei candidati. Due sono, infine, i dati che hanno fatto particolarmente discutere: il 12% dei selezionatori dichiara di aver escluso dei candidati proprio per le informazione reperite su di essi in Rete; il 5% sostiene di aver chiesto al candidato di accedere al proprio profilo Facebook, con una evidente lesione della privacy (pratica confermata però solo dall’1% dei candidati).
“Il problema è che con la carenza di lavoro che c’è, i recuiter si trovano ad avere una sovrabbondanza di profili validi, e la presenza sui social media e il loro uso corretto diventano un ulteriore filtro per scremarli”, ha spiegato Silvia Zanella, Marketing e Communication Manager di Adecco Italia. “Quello che infastidisce di più è la mancata corrispondenza fra ciò che si scrive sui profili social e il Cv in mano al selezionatore; molti fingono, esagerano…”. Curare i propri profili può rivelarsi, allora, utile anche ai fini di una possibile assunzione. Ciò non significa scadere nell’autopromozione smaccata, al contrario ogni voce digitale deve essere comprovata da fatti reali. Condividere, partecipare, allacciare nuovi rapporti permette di curare la propria online reputation, con effetti benefici anche nell’offline.

 

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Le scelte giuste per il futuro!

La laurea è certamente l’investimento più importante per i giovani. Ecco quali settori richiedono la specializzazione

Parallelamente a previsioni negative per il nostro tessuto imprenditoriale, alcuni indizi rilevati da Unioncamere Ministero del Lavoro cercano di delineare una nuova strada allo sviluppo occupazionale. Dopo aver intravisto nel settore cultura la nuova strada per il rilancio, i due enti sembrano ora lanciare un nuovo appello ai giovani italiani, incoraggiandoli a collocarsi in una posizione strategica, nelle proprie scelte di formazione.
Studiare continua ad essere l’investimento più importante per i giovani per contrastare sia la disoccupazione, sia il precariato”, è, infatti, l’invito del presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello: “Pur in un momento difficile come quello che stiamo vivendo, tante imprese mostrano di voler continuare a puntare sulla qualità. Senza l’apporto di risorse umane competenti, infatti, è difficile innovare, accrescere la produttività, essere competitivi”.
Sottolinea Unioncamere come la crisi stia portando ad un incremento della competizione aziendale, inducendo molte imprese a investire sempre più nella qualità dei prodotti e servizi da immettere sul mercato. Aumenta, di conseguenza, per l’anno in corso, il peso che la laurea ha sul totale delle assunzione programmate dalle imprese. Ciò non toglie che anche i “dottori” italiani saranno costretti a subire la generale tendenza di riduzione nelle assunzioni previste, con 15.000 unità in meno rispetto allo scorso anno.
Delle 407.000 assunzioni a carattere non stagionale complessivamente programmate dalle imprese per il 2012 (contro le 595.000 del 2011), 59.000 riguardano, allora, laureati (il 14,5% del totale, pari a 2 punti percentuali in più rispetto al 2011), 166.000 diplomati (il 40,9%, percentuale prossima a quella dello scorso anno, 41%), 50.000 qualifiche professionali (il 12,3%, in diminuzione di 1,2 punti sul 2011) e circa 132.000 persone prive di un titolo di studio specifico (il 32,3%, pari a -0,7% sul 2011).
Per quanto riguarda i laureati, il titolo di studio più ricercato dalle imprese, nella propria programmazione di assunzioni, è quello in Economia (più di 17.000 posti di lavoro previsti per i laureati in questa disciplina), seguito da quello in Ingegneria elettronica e dell’informazione (più di 7.000 posti richiesti, anche se, considerando tutti i diversi indirizzi di ingegneria, si superano addirittura i 15.000 posti), dagli indirizzi sanitari-paramedici e da quelli diretti all’insegnamento e alla formazione (circa 5.000 assunzioni previste in entrambi i casi). Con riferimento alla tipologia contrattuale, al 51,7% dei laureati le imprese intendono offrire un contratto a tempo indeterminato, al 7,7% l’apprendistato di alta formazione recentemente riformato, al 2,9% il contratto di inserimento e al 36,7% un contratto a tempo determinato.
Tra gli indirizzi più ricercati nelle previsioni di assunzioni di diplomati, troviamo quello amministrativo-commerciale (quasi 40.000 posti), quello meccanico (più di 15.000) e quello turistico-alberghiero (oltre 9.000), confermando il podio dello scorso anno. Sale l’indirizzo socio-sanitario (quasi 7.000 assunzioni previste, 1.000 in più del 2011), che “scalza” quello informatico (4.600 assunzioni previste) e quello elettrotecnico (oltre 4.000). Il 39,7% dei diplomati sarà assunto con contratto a tempo indeterminato, il 12,3% con apprendistato, l’1,8% con inserimento e il 43,8% con tempo determinato.
Gli indirizzi di qualifica professionale, infine, più richiesti dalle imprese sono quello turistico-alberghiero (più di 10.000 posti), quello socio-sanitario (circa 8.500 posti), quello meccanico (circa 7.600) e quello edile (circa 5.500 assunzioni previste). Al 40,4% dei giovani in possesso di qualifica professionale verrà offerto un contratto a tempo indeterminato, al 12% contratto di apprendistato, allo 0,6% contratto di inserimento e al 43,8% contratto a tempo determinato.
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Le professioni e i titoli di studio più richiesti dalle imprese

Il Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro ha indagato sui profili professionali considerati “introvabili” dalle aziende italiane e sul grado di formazione maggiormente richiesto

Cosa vuoi fare da grande? Quando porrete questa domanda ai vostri figli, auguratevi che la risposta sia idraulico, farmacista, sviluppatore software, progettista meccanico, operatore di mensa, tornitore.

Sono queste, infatti, alcune delle professioni che, stando al Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro, risulterebbero “introvabili” nel contesto economico italiano: su un totale di 595 mila assunzioni non stagionali previste dalle imprese entro la fine del 2011, sono quasi 117 mila (il 19,7%) quelle considerate di difficile reperimento dal totale delle imprese dell’industria e dei servizi e, tra queste, sono 28.540 quelle richieste dalle sole aziende artigiane.

“La delicatezza del contesto economico – sottolinea il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – mette ulteriormente in luce il difficile incontro tra domanda e offerta di lavoro: il lavoro viene offerto dalle imprese ma queste ultime hanno talvolta, e soprattutto per alcune professioni, grandissima difficoltà a trovare il candidato con i requisiti giusti”.

Tuttavia quel 19,7% riferito alle professioni considerate “introvabili” non sembra costituire di per sé una grande novità nel contesto italiano, poiché fa, al contrario, riferimento ad una tendenza in sensibile decrescita rispetto al 2010, quando la percentuale era del 26,7%.

Come considerazione generale, si può dire che le maggiori difficoltà si incontrano, da un lato, per le professioni high skill intellettuali, scientifiche e tecniche, dall’altro, quelle operaie, specializzate e non, e quelle qualificate nelle attività commerciali e nei servizi.

Una simile tendenza viene spiegata da Unioncamere come la conseguenza, nel primo caso, della “richiesta di competenze specifiche legate all’esperienza on the job” o, talvolta, come effetto di una “oggettiva carenza di offerta”; nel secondo caso, la carenza dell’offerta viene spiegata “dal fatto che si tratta di profili professionali ritenuti meno gratificanti, o che vengono intrapresi con una buona dose di improvvisazione che non è certamente garanzia di  qualità nell’offerta del servizio o del prodotto”.

Le professioni prese in considerazione dall’indagine sono quelle che hanno conosciuto nel 2011 almeno mille assunzioni e difficoltà di reperimento superiori alla media. I profili che rispondono a tali requisiti risultano essere 59, distinti tra high skill, medium skill e low skill.

Per quanto riguarda la prima categoria, le professioni più ricercate sono: farmacisti (circa 600 gli introvabili, pari al 36,5% sul totale di 1640 assunzioni previste soprattutto in Lombarida), gli sviluppatori di software (1.000 introvabili, pari al 33,6% delle 2.900 assunzioni, previste prevalentemente nel Lazio), i progettisti meccanici (570, pari al 31,6% delle 1.820 assunzioni totali da registrare soprattutto in Emilia Romagna) e metalmeccanici (510 su 1.410 assunzioni totali, cioè il 35,9%), gli infermieri (1.620 su 4.710, pari al 34,4%) e gli addetti alla consulenza fiscale (370 su 1.080, dunque il 34,2%).
Con riferimento, invece, al livello medio di qualificazione richiesta, le figure professionali considerate più introvabili sono: addetti alla reception (4 su 10 sono difficili da reperire, pari 610 su 1.620 assunzioni, il 38%, previste soprattutto in Lombardia), operatori di mensa (3.070, pari al 50,1% delle 6.130 assunzioni totali), addetti alle vendite specializzate (1.070 su 2.180 assunzioni, pari al 49%); si sente, inoltre, la carenza, secondo le imprese, di molte figure operaie qualificate, come l’installatore di impianti termici (760 su 1.130, pari al 67,5%, percentuale che raggiunge il culmine del 100% in Veneto), installatore di impianti idraulici (650 su 1.130, cioè il 57,5%), il termoidraulico (il 50,6%, quindi 980 su 1.940) e il montatore di macchinari industriali (470 su 1.160, cioè il 40%), il carpentiere in metallo (difficili da reperire sono 1.270 su 3.280, il 38,7%).

Per i profili professionali a più bassa qualifica, le imprese lamentano le difficoltà a raggiungere tornitori (1.210 su 2.660, pari al 45,7%), autisti di pullman (470 su 1.360, cioè il 34,4%) e cucitori di macchine per abbigliamento (420 su 1.240 ricercati).

Infine, sui profili low skill, le imprese lamentano l’irreperibilità di tornitori (circa 1.200 su 2.700 sono difficili da trovare), autisti di pullman (470 su 1.360) e cucitori di macchine per abbigliamento (34%, cioè 420 su 1.240 ricercati).
Ristringiamo l’analisi e cerchiamo, ora, di capire quali siano le figure ricercate con maggiori difficoltà dalle sole imprese artigiane: copritetti (95,8% le unità introvabili, cioè 590 su 610, a causa esclusivamente dell’inadeguatezza professionale dei candidati e non della mancanza di offerta), pavimentatori (440 su 600 gli introvabili, pari al 73,6%, per il 54,3% dei casi la motivazione è l’inadeguatezza dei candidati, per il 19,3% alla mancanza di candidati), valigiai e borsettieri (340 su 610, il 56,2%), fabbri e lingottai (440 su 970, 45,6%).

In termini assoluti, comunque, sono soprattutto parrucchieri ed estetisti, idraulici e posatori di tubazioni idrauliche e del gas le figure maggiormente difficili da recuperare: nel primo caso sono 2.190 le assunzioni difficili su un totale di 5.940 previste, con una ricerca stimata di quasi sei mesi; nel secondo caso sono 2.170 su 5.340, con addirittura 12 mesi di ricerca.

Con riferimento al titolo richiesto, quelle 595 mila assunzioni non stagionali previste entro la fine del 2011 – dicono altre stime del Sistema informativo Excelsior – verranno così ripartite: oltre 74 mila laureati, 244 mila diplomati e 80 mila persone con la qualifica professionale, 196 mila candidati con la sola scuola dell’obbligo.

Dai dati raccolti può essere in parte delineata la dinamica del mercato lavorativo italiano, che vede un aumento (stimato in 16 mila unità) della domanda di qualifiche professionali e un incremento in termini assoluti della richiesta di diplomati e, ancor più, di laureati. Nonostante quest’ultimo, tuttavia, la percentuale di richiesta rimane identica a quella dell’anno scorso (12,5% del totale di assunzioni non stagionali), con riferimento ai “dottori”, e un tantino inferiore (41%, contro 44% nel 2010), con riferimento ai diplomati.

Più in particolare, poi, la domanda di lavoro per chi ha conseguito una laurea aumenta di oltre 5.300 unità (su una domanda complessiva che ha visto un aumento di 43 mila assunzioni non stagionali) rispetto al 2010 e la laurea più apprezzata si conferma, ormai da due anni, quella in Economia (30%, con 22 mila assunzioni previste, delle quali il 48% circa sono riservate a giovani in uscita dal sistema formativo), seguita da quella in ingegneria elettronica e dell’informazione (oltre 9 mila assunzioni non stagionali in programma) e, infine, da quelle riferite al settore sanitario e paramedico, che, con quasi 7 mila unità da integrare entro l’anno, si presenta sempre molto ricercato.

Ad ogni modo è il profilo del diplomato a confermarsi il più richiesto dalle imprese italiane, con un aumento di 1.500 unità rispetto allo scorso anno; l’indirizzo prediletto è quello amministrativo e commerciale (oltre 68 mila, pari al 28% delle 244 mila assunzioni di diplomati previste), seguito da quello meccanico (25 mila) e quello turistico alberghiero (oltre 11 mila). In media le imprese hanno intenzione di destinare quasi il 46% dei posti di lavoro disponibili a neo-diplomati, quota che raggiunge il 55% con riferimento al settore turistico-alberghiero.

Le richieste di qualifiche professionali sono quasi 16 mila in più rispetto al 2010, con un incremento di due punti percentuali (13,5% nel 2011, contro l’11,7% nel 2010) dell’incidenza sul totale delle assunzioni non stagionali previste; gli indirizzi più richiesti sono quello meccanico, quello socio-sanitario e quello edile. Ridotte le possibilità, in questo senso, per chi ha qualifica professionale ma non ha esperienza di lavoro, assumibile per il solo 38,3% dei casi.
Nonostante la lamentata crisi economica, nonostante le conseguenti difficoltà a trovar lavoro da parte di molti giovani e meno giovani, sono, inoltre, considerati introvabili dalle imprese quasi 20 mila laureati, oltre 45 mila diplomati, 17 mila qualifiche professionali e 34.500 persone prive di formazione specifica. Questo perché – sottolinea Unioncamere – “i candidati al posto di lavoro sono pochi o inadeguati per la loro preparazione scolastica o, più in generale, per le competenze possedute”.

La maggior difficoltà di reperimento, sempre con riferimento al grado di istruzione, viene lamentata dalle imprese per la figura del laureato, considerato introvabile per il 26,1% (quota che sale al 27,3% per il titolo specialistico) e per quella del diplomato che abbia conseguito una specializzazione (sempre 26,1%).

Un’esperienza pregressa, già acquisita dal candidato, è richiesta dal 56,5% delle assunzioni programmate nel 2011, percentuale che arriva al 64% per i laureati e al 66,3% per le qualifiche professionali.

Si assottiglia, dunque, la disponibilità delle imprese ad assumere quanti si affaccino per la prima volta sul mercato del lavoro, poiché “rispetto agli ultimi due anni, le imprese prevedono oggi di assumere in numero maggiore soprattutto figure operaie e impiegatizie a più elevata specializzazione, nella cui individuazione per le aziende è fondamentale l’esperienza acquisita in precedenti esperienze lavorative”.

L’analisi di Unioncamere, dimostra, dunque, come un’istruzione plasmata sulle specifiche esigenze delle imprese sia la via migliore che i giovani possono percorrere per trovare lavoro. Certo nella scelta della destinazione formativa devono rientrare considerazioni che vanno oltre la mera aderenza a criteri utilitaristici, considerazioni che riguardino, ad esempio, la motivazione e l’inclinazione personale dello studente; tuttavia non si può chiudere gli occhi di fronte a simili stime, specialmente se si considera il periodo particolarmente buio dal punto di vista occupazionale, e certo genitori ed educatori dovrebbero saper orientare i propri figli o studenti in tal senso, rispettandone comunque le volontà e le predisposizioni. A questo si dovrebbe accompagnare un percorso duplice di arricchimento formativo, non solo teorico, quindi, ma anche pratico, che permetta al giovane di attualizzare le proprie conoscenze in un contesto reale e non solo fittizio: “sempre più preziosa, quindi, diventa – evidenzia ancora Dardanello – la possibilità di integrare meglio il momento della formazione scolastica e universitaria con quello della formazione sul lavoro, valorizzando quindi tutte quelle modalità che consentano di avvicinare i giovani alla realtà delle imprese, attraverso, ad esempio, percorsi di alternanza scuola-lavoro, stage e tirocini formativi”.

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Trovare lavoro? Meglio puntare sul curriculum!

Sarebbe in aumento il numero di assunzioni frutto di una conoscenza diretta del candidato. E sembrano calare le assunzioni frutto di segnalazioni terze e della mediazione privata e istituzionale

Dimenticate zii, cugini, amici di famiglia e amici di amici: avere le giuste conoscenze pare non essere più così importante per chi sia alla ricerca di un’occupazione. Non si allertino troppo i figli di papà, siamo certi che per loro un posticino si troverà sempre e comunque, ma certo le dichiarazioni rilasciate dalle imprese interpellate nell’ambito del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro rivelano come la promozione personale passi ormai prevalentemente attraverso l’azione diretta dei candidati, a discapito, dunque, di una qualunque operazione di intercettazione o pressione da parte di terze parti.

Alle lodevoli dichiarazioni di intenti sembrano essersi sostituiti i fatti: quasi un’azienda su due (percentuale corrispondente al 49,2%) nel 2010 ha assunto per conoscenza diretta, dato sensibilmente in crescita rispetto all’anno precedente, quando la percentuale riservata a questa modalità di assunzione era pari al 28,7%. Entrando maggiormente nel dettaglio della questione, questo canale è stato preferenziale per le imprese di minori dimensioni (1-9 dipendenti), che l’hanno utilizzato con una percentuale del 53%, ed è stato sfruttato soprattutto nel settore industriale (51,6%), meno nel settore dei servizi (47,9%). Con riferimento alla distribuzione geografica, quella diretta è stata la via principale per ottenere un’occupazione al Sud e nelle Isole (57,1%), mentre al Centro è stata scelta dal 50,2% delle imprese, percentuale che scende al 44,8% nel Nord-ovest e al 43,9% nel Nord-est.

“Il clima economico che stiamo vivendo – ha commentato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello – impone alle imprese grande attenzione nella selezione del personale. In un contesto del genere, il ‘fiuto’ dell’imprenditore e il rapporto di fiducia che può essersi creato tra quest’ultimo e un giovane alla ricerca di lavoro magari in occasione di uno stage o tirocinio diventa premiante ai fini di una assunzione”.

Il secondo posto tra i metodi di selezione più utilizzati dalle imprese italiane nel 2010 è riservato alle banche dati interne aziendali, dove vengono conservati i curriculum dei candidati: ad esse ha fatto riferimento il 24,6% delle aziende, contro il 21,5% del 2009. Tale canale risulta essere privilegiato, in particolare, dalle imprese con più di 50 dipendenti (nel 46,3% dei casi vi ricorrono le imprese dai 50 ai 499 dipendenti, nel 48,9% dei casi le imprese con 500 o più dipendenti). Esso è utilizzato complessivamente in misura maggiore con riferimento al settore dei servizi (26,7%), rispetto a quello industriale (20,8%), più al Nord (26,1% nel Nord-ovest, 26,2% nel Nord-est), rispetto al Centro (23,7%) e al Mezzogiorno (22,6%).
Come conseguenza alla tendenza rilevata, si riduce considerevolmente l’importanza, per la scelta d’assunzione, delle segnalazioni ricevute da conoscenti e fornitori, alle quali ha fatto ricorso solo l’11,9% delle imprese, contro il 21% riferito al 2009. Ad aver utilizzato questa modalità sono state, rispetto alle altre, soprattutto le aziende con meno di 9 dipendenti (12,8%) e, tutto sommato, la percentuale di riferimento risulta omogenea nell’intero territorio nazionale (12,3% al Sud e nelle Isole, 12,6% al Centro, 11,5% al Nord-est e 11,3% al Nord-ovest), maggiore nel settore industriale (13,3%) rispetto a quello dei servizi (11,1%).

Ad essere in calo è pure il ricorso ad intermediari specializzati nel reclutamento di personale, sia per quanto riguarda gli intermediari privati, sia per quelli istituzionali. Con riferimento ai primi, emerge che il 2,7% delle imprese si è rivolto nel 2010 alle società di lavoro interinale (contro il 5,1% dell’anno precedente) e che il 2,9% ha fatto affidamento a società di selezione e associazioni di categoria, internet (contro il 5% del 2009). Questo canale di selezione rimane comunque abbastanza significativo per le imprese con più di 50 dipendenti e, mentre il ricorso ad agenzie interinali è maggiore nel settore dell’industria (4%) rispetto a quello dei servizi (2%), il ricorso a società di selezione e associazioni di categoria è maggiore nel settore dei servizi (3,4% contro 2,1%); in entrambi i casi di intermediazione privata, comunque, la percentuale è maggiore al Nord-ovest (rispettivamente 4,2% e 3,6%) e al Nord-est (3,7% e 3,5%), rispetto al Centro (2,2% e 2,6%) e al Mezzogiorno (0,8% e 2,1%).

Con riferimento, invece, agli intermediari istituzionali, si rileva il passaggio da una percentuale del 6,3% nel 2009 ad una del 2,9% nel 2010 per le imprese che sono ricorse all’utilizzo di centri per l’impiego. Usato più nel settore industriale (3,8%) che in quello dei servizi (2,3%), questo metodo è maggiormente diffuso nel Nord-ovest (3,9%) e nel Centro (3,8%), rispetto al Nord-est (2,6%) e al Sud (1,7%).
Sottolinea ancora Dardanello come, nonostante il mutamento delle condizioni economiche, “il sistema delle agenzie e dei servizi – pubblici e privati – per il lavoro vada sostenuto e supportato perché può allargare le opportunità di incontro domanda-offerta. In questa direzione si muove una parte delle norme contenute nella manovra finanziaria recentemente approvata, che introduce proprio in tale ambito una maggiore liberalizzazione, semplificando il regime e le procedure per un ingresso più agevole nel mercato dell’intermediazione di soggetti, tra cui le Camere di commercio, che sono espressione dei tessuti produttivi territoriali e sono dunque pienamente consapevoli delle necessità, spesso difficili da soddisfare, che essi manifestano”.

Quattro i punti percentuali persi, rispetto al 2009, anche da quel 2,3% relativo alle imprese che hanno fatto ricorso a quotidiani e a stampa specializzata per la selezione del proprio personale: l’uso maggiore si è attestato nel settore dei servizi (2,7% contro l’1,7% nell’industria) e al Nord (3% al Nord-est, 3,1% al Nord-ovest, contro 2,1% al centro e 1,2% al Sud nelle Isole).

Stando poi sempre ai numeri forniti dal sistema informativo Excelsior, una delle vie preferenziali per entrare nel mondo del lavoro sembra essere lo stage formativo: più di 38 mila sono i giovani che, dopo aver affrontato nel 2010 uno stage o un tirocinio, sono stati assunti dalle imprese ospitanti, dato in crescita rispetto al 2009, quando gli stagisti poi integrati furono quasi 37 mila.

La tendenza evidenziata risulta ancor più significativa se si considera che il numero di imprese coinvolte è in diminuzione: mentre nel 2009 esse rappresentavano il 14,8% del totale, nel 2010 esse hanno costituito il 13,3%; all’interno di quest’ultima percentuale, possiamo identificare un 32% di imprese che hanno ospitato giovani laureati o prossimi alla laurea. La disponibilità ad accogliere tirocinanti, in particolare giovani laureati e laureandi, sembra aumentare in modo proporzionale all’aumento delle dimensioni aziendali: le imprese con meno di 9 dipendenti ad ospitare tirocini sono state il 9,9% di tutte le imprese di tali dimensioni (percentuale scesa rispetto all’11,6% nel 2009), mentre quelle con oltre 500 dipendenti sono state il 73,9% (percentuale in aumento rispetto al 65,8% del 2009).
Anche il numero complessivo degli stage attivati lo scorso anno è in diminuzione: 310.820 nel 2010, contro i 321.850 del 2009. La contrazione ha riguardato soprattutto il settore dei servizi e, più in particolare, quello dei servizi di alloggio e ristorazione, tradizionalmente il più disponibile a questo tipo di esperienze: nel 2010 i giovani stagisti sono stati quasi 44 mila, 11 mila in meno rispetto al 2009.
Il 60% degli stage dura almeno due mesi e il 7,1% arriva anche a superare i 6 mesi, evidenziando quindi la tendenza a realizzare stage dal carattere davvero formativo, funzionali alla continuazione successiva del rapporto lavorativo.
Dal punto di vista settoriale, le imprese che maggiormente hanno assunto in seguito a stage sono, all’interno del manifatturiero, quelle chimiche, farmaceutiche e petrolifere (dove il numero di tirocinanti laureati o laureandi ha superato la metà del totale) e le aziende della meccanica. Nel settore dei servizi, si può puntare soprattutto sulle imprese del commercio al dettaglio, dei servizi di trasporto e logistica (la media è di quasi uno stagista assunto ogni quattro), dei servizi informatici e telecomunicazioni (uno su cinque).

Seguendo una distinzione geografica, invece, le assunzioni maggiori di stagisti si sono evidenziate al Centro (13,6%), quelle minori nel Nord-est (10,9%).

Cerchiamo ora di allargare un tantino la prospettiva. Tracciando un breve excursus sull’andamento congiunturale dell’economia italiana, ciò che si evidenzia nella prima edizione a carattere trimestrale dell’indagine Excelsior, relativa al trimestre luglio-settembre 2011, è una “marcia con freno a mano tirato”: la ripresa italiana prosegue senza interruzioni dall’inizio 2010, ma non riesce ad acquistare piena velocità, alternando, quindi, risultati incoraggianti a risultati poco brillanti. La causa viene identificata nella “scarsa dinamica o il basso livello assoluto della domanda interna, a partire dai consumi delle famiglie”; nonostante il recupero di un punto e mezzo del PIL nel primo trimestre del 2011 (rispetto all’ultimo di recessione, il quarto del 2009), i consumi finali interni sono, infatti, risaliti in misura inferiore al mezzo punto e gli investimenti di circa tre punti. Nello stesso periodo le esportazioni, invece, sono cresciute quasi del 10%. Trainano, quindi, la ripresa proprio gli investimenti e le esportazioni, essendo stati questi i settori che più subirono gli effetti delle recessione (nel biennio 2008-2009 gli investimenti erano diminuiti, rispetto ai livelli pre-crisi, cioè quelli medi del 2007, di quasi il 10%, le esportazioni di oltre il 12%, mentre PIL e consumi erano scesi del 3,6% e dell’1,3%).

Un simile scenario economico si riversa ovviamente nel mercato del lavoro, mercato che sta conoscendo segni di miglioramento, pur denotando nel complesso una situazione negativa. Il primo segno meno nel tasso occupazionale si è riscontrato a novembre 2008 ed esso ha toccato il punto più basso nell’agosto 2010, (- 1,8% rispetto ai valori medi del 2007); da allora la tendenza è ancora in negativo, ma si è attenuata, con un tasso medio annuo che a marzo e aprile 2011 era del -0,4% (a fine 2010 era ancora del -0,7%). In parallelo già alla fine del 2007 si è assistito ad un aumento della disoccupazione e ad aprile 2010 si è toccato il livello più elevato, superiore di oltre il 43% alla media del 2007, fino ad arrivare al +1,3% annuo di aprile 2011 (dato piuttosto incoraggiante visto che a dicembre 2010 il tasso di crescita annuale era ancora dell’8%).

I segnali di ripresa, dunque, seppur lievi, ci sono. A questo punto sembra essere necessario, per i giovani alla ricerca di un’occupazione, acquisire fiducia nelle proprie potenzialità e puntare sulla propria individuale capacità di promozione: si tratta certo di una strada non semplice e non per forza destinata al successo, ma, sicuramente, quella che potrebbe offrire le maggiori gratificazioni.

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