Acquisti online e offline, alla ricerca di un’integrazione

Sulla scia di una tendenza globale, cresce anche in Italia il volume d’affari del commercio elettronico e aumentano gli acquirenti, diventando nel 2013 quasi 14 milioni. Negozi fisici e virtuali devono sempre più collaborare per consentire ai clienti esperienze multicanali e personalizzate

Pur essendo ancora lontana dal colmare lo storico gap digitale che la allontana da altri paesi ben più avanzati, l’Italia cavalca l’onda della crescita sul fronte del commercio elettronico, incalzata da una tendenza che sembra essere mondiale. Ciò si traduce in un consumatore sempre più attento ed esigente, alla ricerca di un’integrazione ampia tra virtuale e reale nelle proprie esperienze percettive, nel nome della multicanalità e dell’interattività.
Nel 2012 gli italiani online si sono attestati a quota 26 milioni e, tra essi, sono ben 13 milioni coloro che hanno effettuato almeno un acquisto online. A fronte di un calo generalizzato dei consumi tradizionali, le vendite realizzate attraverso il canale digitale continuano ad aumentare, di anno in anno, a doppia cifra (+32,1% nel 2011 e +25,5% nel 2012), raggiungendo un volume di affari pari a 12,8 miliardi di euro. A evidenziarlo è stato l’istituto di ricerca Eurispes, attraverso il suo “Rapporto Italia”, giunto nel 2013 alla 25a edizione.
Nelle sezioni dedicate a e-commerce e contenuti digitali, le stime riferite al Belpaese vengono innanzitutto inquadrate nel contesto globale, che vede gli Stati Uniti protagonisti incontrastati, come singolo paese, con 297 miliardi di dollari. I paesi europei, a livello aggregato, arrivano a quota 307 miliardi di dollari, con ricavi che sono aumentati del 22% nel 2012, grazie al contributo significativo dell’Est (Polonia e Repubblica Ceca in testa), e con il 70% del mercato occupato da Regno Unito, la Francia e la Germania. Alla fine del 2012 – ci dice ancora il rapporto Eurispes – sono più di 2 miliardi le persone collegate alla Rete in tutto il mondo (il 78% della popolazione statunitense e il 64,5% di quella europea) e si prevede che entro il 2013 il giro di affari complessivo del settore e-commerce business to consumer supererà l’1 trilione di euro. Malgrado la crisi abbia frenato, soprattutto nei paesi più sviluppati, tanto la produzione quanto l’offerta in quasi tutti i settori economici, ovunque si segnalano indicatori di crescita, con riferimento al commercio elettronico. L’americana Amazon risulta la piattaforma leader nelle vendite online, con un giro d’affari pari a 60 miliardi di dollari, seguita dalla cinese Alibaba (40 miliardi di dollari di fatturato). Non a caso la Cina rappresenta uno dei mercati più dinamici in ambito digitale, con 550 milioni di utenti collegati (40% della popolazione) e 220 milioni di acquirenti online.
Il report Eurispes non dimentica, a questo punto, di sottolineare, accanto ai successi, anche il ritardo tricolore nello sviluppo del settore e-commerce: nel 2011 solo il 38,5% degli utenti italiani aveva effettuato acquisti online, contro l’82,5% del Regno Unito e il 74,6% della Germania (anche se la spesa media italiana è più elevata, giungendo a quota 1.380 dollari); soltanto il 29% delle aziende ha dichiarato poi di possedere e utilizzare un canale elettronico (il 58% sfrutta il Web, il 13% un channel shop, il 12% i social network e il 9% il mobile).
Stime in negativo confermate di recente anche da GlobalWebIndex con l’edizione 2013 – la prima – del suo “State of global e-commerce”, che ha inteso esplorare quale sia l’impatto della Rete sullo scenario dei consumi online e offline. I promotori del report collocano l’Italia all’ultimo posto in Europa e tra gli ultimi al mondo, per quanto riguarda l’e-commerce, puntando il dito contro la scarsa maturità del nostro mercato online, dovuta alla bassa qualità delle connessioni, a una tendenziale mancanza di fiducia nelle transazioni online e ad un inadeguato sistema di spedizioni.
Poco più del 50% degli utenti Internet – sottolinea GlobalWebIndex – dichiara di aver acquistato qualcosa online (contro il 66% rilevato a livello mondiale) e, nonostante il 40% di essi acceda regolarmente alla Rete tramite  smartphone, solo 1 su 10 utilizza simili dispositivi per portare a termine degli acquisti (contro una media mondiale di 1 su 4). Siamo, inoltre, uno dei paesi che meno discute delle proprie esperienze di acquisto online, in particolare sui social network, dove l’influenza delle conversazioni attorno ai brand è piuttosto scarsa.
Il Web risulta comunque fondamentale per il processo decisionale degli utenti italiani, dato che – ci dice, infine, GlobalWebIndex – oltre l’85% di essi utilizza il mezzo come fonte di informazione, per poi procedere all’acquisto nel punto vendita fisico.
Tale pratica viene definita info-commerce ed è stata oggetto, pochi mesi fa, di uno studio approfondito firmato ContactLab, sulla base dei risultati emersi dal suo “E-Commerce Consumer Behaviour Report 2012”. Le cifre diffuse in quell’occasione delineano un fenomeno dai contorni ancor più ampi, facendo salire al 94% il numero di utenti Internet italiani che si informano online prima di un acquisto, anche se offline (più della metà, il 52%, sono uomini). A ciò si aggiunga che ben tre utenti su dieci (28%), tra coloro che hanno già comprato online, si informano da mobile, percentuale che sale al 38% se si considera la fascia dei 15-24enni.
Per informarsi gli acquirenti online utilizzano – riporta ancora ContactLab – il sito ufficiale (69%), le recensioni su altri portali o i siti web (59%), i forum e i blog (34%) e in parte anche i social network (12%, che sale al 34% per la fascia dei 15-24%).
Molto sfruttati, ai fini dell’esperienza d’acquisto, anche i metacomparatori, motori di ricerca che comparano i prezzi dei retailer online, per trovare l’offerta migliore. Il 66% dei compratori online ha fatto ricorso a questi strumenti, anche se solo la metà ha poi deciso di portare a termine l’acquisto tramite questo canale. L’immagine che ne esce è, allora, quella di un consumatore sempre più consapevole e attento, che non acquista a caso o sulla base di una spinta esclusivamente emotiva, ma in modo estremamente ragionato, servendosi della rete anche ai fini dell’esperienza offline.
Sembra cadere, sulla scia di simili considerazioni, il noto luogo comune in base a quale l’ampia diffusione della Rete porterebbe alla morte dei negozi e delle attività tradizionali. Su questo stesso punto insiste anche il rapporto Eurispes, rifacendosi ai dati Portaltech Reply (riferiti però al contesto britannico) e sottolineando come – in una prospettiva futura – potrebbero aumentare le visite nei punti fisici tradizionali, proprio attraverso l’utilizzo dei cataloghi online e degli smartphone. Se catene internazionali come Virgin Megastore, Tower Records, Blockbuster, Target e Bestbuy sono state costrette a ridimensionare notevolmente la propria difusione sul territorio, lo sfruttamento di innovative soluzioni digitali potrebbe permettere di risollevare le sorti della vendita al dettaglio, creando nuovi modelli di business e paradigmi di distribuzione. Gli sforzi dei retailer dovrebbero, allora, essere concentrati sullo sviluppo di strategie multicanali dinamiche, capaci di coinvolgere tutti i canali potenzialmente interessati nel processo di acquisto. Integrando soluzioni multipiattaforma, il commercio elettronico non si riduce a mero sostituto del commercio tradizionale, ma diventa complementare e benefico per lo sviluppo di questo.
Ma cosa spinge gli utenti italiani ad acquistare online? Eurispes, riportando i dati ContacLab (presi dal sopracitato “E-Commerce Consumer Behaviour Report 2012”), mette al primo posto la prospettiva di un vantaggio economico (89%); seguono la facilità di reperimento dei beni (84%), l’ampia scelta disponibile (80%), la possibilità di fare comparazioni tra prezzi e prodotti (77%), l’opportunità di raccogliere informazioni prima dell’acquisto (76%), il fatto di poter acquistare in ogni momento (75%), con conseguente risparmio di tempo (65%).
Quali sono le tipologie di piattaforme utilizzate dagli italiani per lo shopping online? Il 58% del campione ContactLab ha acquistato almeno una volta da una biglietteria online, il 52% da siti dedicati a vendite private, il 40% da siti per la vendita tra privati (annunci e aste) e il 30% da siti di gruppi d’acquisto (attraverso coupon). I biglietti rappresentano il bene maggiormente acquistato online (37% relativo a trasporti e 19% a eventi), seguiti da libri, cd, quotidiani e riviste (44%), abbigliamento (33%), prodotti tecnologici ed elettrodomestici (24%), viaggi e vacanze (23%).
Il 57% dei navigatori abituali – riporta ancora Eurispes – è iscritto ad almeno un gruppo d’acquisto, il 43% a nessuno. Il 29,6% ha fatto anche concretamente acquisti attraverso uno di questi gruppi, il 27,4% si è invece solo iscritto. Il 31,7%, pur non essendo iscritto, sa di cosa si tratta, mentre l’11,3% non sa nemmeno cosa siano. L’iscrizione non corrisponde, quindi, all’effettiva partecipazione ai gruppi di acquisto online, dato che solo poco più della metà degli iscritti ha acquistato realmente qualcosa. Attraverso i gruppi online si comprano soprattutto pranzi, cene e aperitivi (il 50% di coloro che hanno fatti acquisti), apparecchiature tecnologiche (41,2%), trattamenti estetici e pacchetti benessere (40,3%), viaggi (39,2%); seguono biglietti per spettacoli e mostre (26%), visite mediche (20,3%), corsi (17,5%) e prodotti alimentari (17,1%).
Il giro d’affari del couponing dovrebbe raggiungere, nel 2016, i 46 miliardi di dollari.
La comodità di una fruizione “anytime, anywhere” ha consentito poi l’ampio sviluppo del cosiddetto m-commerce, mobile commerce: si prevede che, a livello mondiale, le transazioni su terminali mobili – utilizzando tecnologie di prossimità (Nfc, Near field communication) o applicazioni specifiche per smartphone – raggiungeranno i 700 miliardi nel 2015, con circa 3 miliardi di euro riferiti al mercato italiano (Agcom, Relazione annuale, 2012).
Il grado di conoscenza della tecnologia Nfc su telefonini e tablet è stato recentemente indagato, nell’ambito di una ricerca realizzata da Human Highway e Netcomm sui comportamenti degli acquirenti online, presentata nel corso dell’evento Netcomm e-Payment 2013, tenutosi a Milano lo scorso 27 marzo. Il 50,4% degli intervistati sostiene di non possedere o non pensa di possedere un cellulare abilitato della comunicazione via Nfc; il 12,8% non è sicuro ma crede di avere un telefono con comunicazione NFC e solo il 9,5% ha un cellulare abilitato a questo tipo di tecnologia. Il restante 27,3% non capisce la domanda, dunque probabilmente non conosce il sistema NFC.
Lo studio Human Highway- Netcomm lascia poi intravedere, per il 2013, ampi margini di crescita per l’intero settore e-commerce: tra dicembre 2012 e febbraio 2013 – rileva – sono 13,8 milioni gli italiani che hanno fatto acquisti online, ovvero il 47,7% dell’utenza Internet (era il 35,8% a febbraio 2012). Tra questi, il 24% dichiara di aver comprato più di 5 volte nel trimestre e complessivamente sono stati registrati 47,6 milioni di atti d’acquisto sulla rete.
Per quanto riguarda i sistemi di pagamento utilizzati in occasione dell’ultimo acquisto fatto in rete, al primo posto troviamo PayPal (36,6%), seguito dalla carta prepagata (24,4%), quindi dalla carta di credito (19,2%) e dal bonifico (3,7%). La maggioranza (poco meno del 90%) delle transazioni online è realizzata attraverso un PC tradizionale. Sorprende, tuttavia, l’aumento a tripla cifra (stimato in 165 punti percentuali) nel numero di acquisti da smartphone e tablet, che rappresentano oltre il 10% del totale transazioni online (contro il 4% di un anno fa).
La soddisfazione in merito all’esperienza di acquisto online, in una scala da 1 (pessima) a 10 (ottima), si attesta ad una valutazione media di 8,34. Positive anche le prospettive per i prossimi mesi, con una quota pari al 9% di cosiddetti “hot prospects”, persone cioè che non hanno mai usato l’online per fare shopping, ma che si dichiarano propensi cambiare idea nei prossimi tre mesi. Essi rappresentano circa il 3% dell’intera utenza Internet italiana, pari a 950 mila individui.

In conclusione possiamo sottolineare come la tendenza del prossimo decennio sarà, secondo gli osservatori internazionali, l’integrazione di Internet delle cose, in una realtà aumentata che consentirà di moltiplicare le funzionalità dei singoli oggetti e di rinnovare le possibilità d’acquisto dell’utente. In un simile scenario, non sono poche le sfide in capo agli operatori del retail, che dovranno essere in grado di formulare e proporre ai propri clienti esperienze percettive sempre più personalizzate e multicanali.

Pubblicato su: PMI-dome

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Il settore moda conquista l’e-commerce

Le recenti stime di Human Highway e Netcomm evidenziano come i prodotti fashion più venduti siano i capi di abbigliamento (43,7%) e come a spingere all’acquisto sia innanzitutto la convenienza dell’offerta (38,4%)

Le logiche sottese alla virtualità, alla multimedialità e al Web 2.0 hanno imposto a tutti i settori economici di rivedere le proprie strategie comunicative e distributive, nella ricerca costante di nuove feconde vie da percorrere per scongiurare gli effetti negativi dell’attuale situazione economica. Anche il comparto moda ha subito una profonda trasformazione, decidendo spesso di sacrificare parte della propria dimensione elitaria sull’altare dei canali social e dei molti blog e forum tematici. Qualcuno ha addirittura parlato di democratizzazione del settore, considerando il fenomeno talmente forte da influenzare trends e mercati. La nuova dialettica coinvolge ora in maniera più attiva i consumatori e rinnova la rosa degli influencer da far scendere in campo per indirizzare il gusto collettivo. Si moltiplicano le stesse strategie di vendita, i fashion brands cercano sempre più di sfruttare le potenzialità dell’e-commerce a supporto della relazione multicanale con i clienti.
Come rilevato dall’undicesimo rapporto dell’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm-Politecnico di Milano, nel 2012 sembra crescere in modo piuttosto marcato il fenomeno e-commerce in Italia, pur persistendo un certo ritardo rispetto ad altre eccellenze europee. La causa di questo momento favorevole è stata in parte ricondotta proprio alla crisi, la quale obbliga a rivedere le proprie abitudini di consumo, nella speranza di ottenere un qualche vantaggio economico. Altri fenomeni sembrano aver contribuito parallelamente alla crescita di questo canale, come il mobile, il social networking e l’evoluzione dell’offerta virtuale, con l’ingresso di alcuni produttori del made in Italy e con il moltiplicarsi dei siti di social shopping (o couponing) e dei club online.
A confermare il trend è anche Human Highway (l’istituto di ricerca italiano specializzato nell’analisi dei servizi, della comunicazione e del marketing online), che parla del 2012 come dell’“anno dell’e-commerce”: negli scorsi dodici mesi gli acquirenti online sarebbero cresciuti del 35%, con ben 3 milioni di nuovi individui che hanno preferito o affiancato internet ai canali e alle modalità di acquisto tradizionali. Quest’anno – ci dice ancora l’istituto – gli italiani muoveranno in rete ben 12 miliardi di euro per le proprie compere online, pari a circa 1.000 euro per acquirente nei dodici mesi e al 20% in più rispetto al 2011.
In base alle rilevazioni di ottobre 2012, condotte da Human Highway e da Netcomm (il consorzio del commercio elettronico italiano), negli ultimi tre mesi avrebbe acquistato prodotti e servizi in rete ben il 43,4% dell’universo dei navigatori internet, pari a 12,3 milioni di individui (erano 9,2 milioni l’anno scorso). Gli e-shopper hanno, inoltre, comprato con un frequenza media di 3,5 transazioni per trimestre, poco più di una al mese, e si sono orientati principalmente su libri (16,5% del campione), capi di abbigliamento (12%), biglietti di viaggio (11,3%) e ricariche telefoniche (8,2%).
Il settore “fashion” si inserisce da protagonista in questo generale andamento positivo: “L’abbigliamento ormai pesa per l’11% sul totale dell’e-commerce italiano” – rileva Roberto Liscia, presidente di Netcomm – “ed è stato in grado nell’ultimo anno di mettere a segno una crescita del 33%, confermandosi la seconda voce di spesa dopo il Turismo”. Alla base di questa spinta all’acquisto sembrano esservi, oltre alla buona crescita di yoox.com e dei club online, anche l’ingresso di nuovi player, quali Benetton, Intimissimi, Stefanel: “solo il 2% di coloro che hanno acquistato capi di abbigliamento online non hanno comprato prodotti di marca, a significare che il brand è un traino fondamentale per orientare all’acquisto”.
L’evoluzione dell’offerta e il moltiplicarsi delle occasioni di acquisto hanno, dunque, permesso alla domanda di attivarsi, inoltre gli spazi di crescita del settore sembrano essere piuttosto ampi, se si considera che – a differenza di altre categorie di prodotti, ritenute ormai mature nell’online (viaggi, libri, prodotti ICT) – il volume degli acquisti sul Web di abbigliamento è ancora limitato a pochi punti percentuali (2-3%) rispetto al volume complessivo generato nel canale tradizionale.
Ci si aspetta, allora, nei prossimi mesi, consistenti aumenti sia nel numero di e-shopper attivi che nella frequenza di acquisto: le indagini recenti mostrano come chi inizia ad acquistare non smetta più, ma aumenti al contrario, nel tempo, la propria frequenza di acquisto.
Ciò deriva, in particolare, dall’elevato grado di soddisfazione che coinvolge l’esperienza online, al di là delle situazioni negative (truffe, problemi con le spedizioni, mancata ricezione del bene) segnalate alle associazioni in difesa dei consumatori. Possibilità di risparmio, facile reperibilità dei prodotti e comodità aumentano la gratificazione esperita dal cliente. A ciò va aggiunta anche la tradizionale dimensione dell’intrattenimento, dello svago personale, della relazione e della volontà di emulazione sociale, la stessa in cui si colloca lo shopping reale. In questa precisa dimensione, un ruolo di primo piano è svolto dai canali social, i quali permettono di individuare trend e novità, di legarsi a particolari universi valoriali, di stimolare curiosità e voglia di sperimentare.
Agli aspetti già abbastanza consolidati del social shopping (come la condivisione delle wish list, il tagging e il geotagging, la recensione dei prodotti, gli outlet privati, i like su Facebook), si prevede lo sviluppo nel prossimo futuro di nuove modalità di interazione, funzionali alla crescita del fashion e-commerce: si pensi, ad esempio, alla condivisione delle proprie caratteristiche fisiche con altre persone, che – superate le reticenze, tipicamente femminili, a diffondere delle misure mai abbastanza adeguate – permetterebbe di mettere in atto immediati comportamenti emulativi; si pensi, ancora, alla possibilità di creare pressioni sul prezzo di certi prodotti, attraverso sistemi sociali di price-dropping o all’eventualità di proporre ai propri amici online una propria linea di abbigliamento.
Oggi il processo di acquisto online di abbigliamento e accessori non è molto diverso da quello tipico di prodotti tecnologici o alimentari: troviamo sempre un sito, un catalogo, la possibilità di ricerca e scelta dei prodotti sulla base della loro descrizione. Tuttavia alcuni aspetti emozionali e simbolici, legati specificatamente al settore moda, e l’avanzamento del processo di innovazione tecnologico fanno ben sperare ad una prossima evoluzione nelle modalità di offerta online.
Alcuni marchi già hanno scelto di sfruttare le potenzialità della realtà aumentata (augmented reality) sviluppando delle virtual fitting rooms: si tratta della possibilità di provare abiti e accessori proprio come se ci si trovasse nel camerino di un negozio, stando in realtà di fronte allo schermo di un computer dotato di webcam. Simili tecnologie possono essere presenti anche all’interno dei negozi reali, per permettere di “indossare” un capo di un altro colore o un modello non disponibile in quel momento in negozio. Altra strada percorribile è lo sfruttamento di modelli virtuali che si prestino a provare alcuni prodotti al posto del cliente: in prospettiva si potrebbe pensare ad un modello capace di ricalcare precisamente le misure e le caratteristiche fisiche del potenziale acquirente. Ad esplorare soluzioni di questo tipo sono stati, ad esempio, Ray-ban ed H&M. Per rendere più piacevole la ricerca e la valutazione dei prodotti rispetto ad una sito tradizionale, si potrebbe ricorrere anche ad un virtual store, capace di riprodurre in un ambiente virtuale l’esperienza di visita tipica di un negozio di moda reale, come di recente ha fatto Zegna. Altra soluzione prospettata riguarda la stampa 3D, che, secondo gli analisti, potrebbe permettere, tra non troppo tempo, di stampare comodamente da casa i propri modelli personalizzati.
Torniamo ora ai dati riferiti a questo preciso momento storico: stando all’indagine Human Highway – Netcomm, i prodotti “fashion” più acquistati online sono i capi di abbigliamento (43,7%), seguiti da scarpe (34%), accessori, cioè guanti, calze, cappelli e sciarpe (31,6%), infine borse da donna (18%). Il 36% degli acquirenti online dichiara, invece, di non aver mai acquistato alcun prodotto di queste categorie.
La tipologia più richiesta, tra i capi di abbigliamento, è la maglietta/maglia (20,3%), seguito da jeans (7,5%), giacche/giacconi (5,8%) e pantaloni (5,5%). Il 7,8% di coloro che hanno comprato capi di abbigliamento online non cita un prodotto, bensì un brand specifico (es. Trussardi, Dolce&Gabbana, Promod, Guess, Nike, ecc.) e la marca più acquistata è Bon Prix (6,5%), cui seguono Nike (4,5%) e Lacoste (2,6%), mentre solo il 2,1% non ha acquista capi di marca.
Tra gli e-shopper di scarpe intervistati, solo il 38% ne ha citato la tipologia: le più acquistate sono le scarpe da ginnastica (14,7%), seguite dalle scarpe da uomo (3,5%) e dalle scarpe per bambino (3,1%). Il restante 62% ha risposto, invece, citando brand famosi, come Hogan, Geox, Merrel, Melluso, Birkenstock, ecc.
Il 43,5% di coloro che hanno comprato in rete borse da donna cita il tipo di prodotto: il 30% afferma genericamente di aver acquistato una borsa, il 7,6% una tracolla e il 5,9% una pochette o una valigia o uno zaino. Il rimanente 56,5% ha citato direttamente un brand, come Guess, Gucci, Louis Vuitton e altri.
Tra le tipologie di accessori acquistabili online, le più apprezzate sono le cinture (20,1%), seguite da sciarpa (7,8%), guanti (7,6%) e portafogli (6,3%). Solo il 6,9% risponde citando direttamente un brand, come Gucci, Guess, Tiffany, Just Cavalli e North Sails.
In media la spesa maggiore riguarda le borse da donna (107 euro), seguite dalle scarpe (78 euro) e dai capi di abbigliamento (80 euro), mentre per gli accessori la stima media di spesa scende a 63 euro.
L’analisi ha, inoltre, indagato i fattori considerati dagli utenti determinanti ai fini della decisione d’acquisto online: al primo posto la convenienza, intesa come buon rapporto qualità/prezzo, importante per il 38,4% degli acquirenti di articoli fashion. Seguono la credibilità del sito venditore (24,9%), il fatto che si tratti di un’occasione irrinunciabile e irripetibile (18,3%), la difficoltà a trovare quel prodotto in un altro modo (14,6%), infine la marca del prodotto in vendita 13,9%.
Non va dimenticato, infine, il ruolo dell’online sul potenziamento dell’esperienza d’acquisto offline: gli utenti navigano per ottenere informazioni circa capi d’abbigliamento o accessori che intendono acquistare in negozio e spesso scelgono di sfruttare i meccanismi di “prenota online e ritira in negozio” messi a disposizione da alcuni merchant, capaci di rendere più efficienti i processi di vendita.
Quello del Digital Fashion appare, in conclusione, un settore in gran fermento che, se si dimostrerà capace di sfruttare pienamente le molte funzionalità rese disponibili dallo sviluppo tecnologico, non mancherà di riempire gli ampi margini di crescita e di rinnovare efficacemente il proprio intero processo di produzione e distribuzione.
 
Pubblicato su: PMI-dome

Lo shopping nell’era della mobile mania e del web 2.0

Una recente indagine condotta da Nielsen spinge a riflettere sulla portata del fenomeno e-commerce, sulle sue più attuali tendenze e sulle radicali modificazioni introdotte nelle abitudini d’acquisto dei consumatori

Avranno probabilmente l’amaro in bocca i molti bambini abituati all’amata gita settimanale a bordo del carrello della spesa, in compagnia di mamma e papà. Pare, infatti, che, tra qualche tempo, supermercati e ipermercati potrebbero veder notevolmente ridotto il numero di frequentatori, venendo sostituiti dai comodi e convenienti negozi on-line.
Si tratta, ovviamente, di una prospettiva ancora lontana, eppure alcuni segnali lasciano intuire come molti operatori del largo consumo stiano iniziando a comprendere la portata potenzialmente rivoluzionaria della rete, nelle proprie scelte di distribuzione.
Alla luce delle complesse dinamiche economiche dell’ultimo periodo, gli utenti stanno modificando le proprie abitudini di spesa, ricorrendo a Internet per rafforzare il proprio potere informativo e la propria inclinazione al risparmio. In un simile contesto, “essercirappresenta per le aziende una via di sperimentazione sempre più obbligatoria e non soltanto alternativa, offrendo il Web le maggiori potenzialità in termini di crescita.
Le difficoltà non sono poche, le imprese hanno l’esigenza di monetizzare gli investimenti in marketing e molti sono i fattori tecnologici e logistici implicati, ma, prima ancora di tutto questo, gli ostacoli da superare sono di ordine culturale.
Nielsen – azienda leader nelle misurazioni e analisi relative ad acquisti e consumi, a utilizzo e modalità di esposizione ai media – ha da poco pubblicato i risultati relativi ad uno studio su “Come la connettività influenza lo shopping globale”, utili a comprendere la portata delle trasformazioni in corso sulle prassi d’acquisto dei consumatori, in seguito alla capillare diffusione della rete.
Alla base dell’indagine vi sono le interviste rivolte a oltre 28.000 utenti Internet in 56 Paesi e dalle elaborazioni emerge che sono i software per computer e giochi la categoria che nel 2012 ha conosciuto la percentuale di crescita maggiore (18 punti percentuali rispetto al 2010) nella propensione all’acquisto online da parte degli utenti: il 29% degli intervistati prevede, infatti, di acquistare prodotti simili, entro i prossimi sei mesi, tramite un qualsiasi dispositivo connesso alla rete, contro l’11% rilevato nel 2010.
L’intenzione di comprare online biglietti per eventi di intrattenimento è aumentata poi di 10 punti, passando dal 20% al 30%, mentre l’hardware per computer e giochi ha visto un incremento di 6 punti, arrivando al 25%, le pubblicazioni video e musicali (CD, VCD, DVD) di 5 punti (dal 18% al 23%), gli accessori per auto e moto di 4 punti, raggiungendo l’11%, i prodotti per l’igiene personale e i cosmetici di 3 punti (dal 22% al 25%), il settore abbigliamento/accessori/scarpe/gioielli di 1 solo punto, passando dal 36% al 37%, imponendosi comunque, in termini assoluti, al primo posto per propensione degli utenti all’acquisto tramite web. Al secondo posto di tale classifica spunta poi il comparto libri/riviste/giornali in formato cartaceo, che tuttavia perde 11 punti sul 2010 (dal 44% al 33%), causa – come vedremo – il parallelo aumento di propensione all’acquisto per le versioni digitali. Al terzo posto (a pari merito con l’acquisto di biglietti per eventi d’intrattenimento) le prenotazioni di viaggio (treno, aereo, auto, nave), anch’esse in calo, seppur decisamente lieve, sul 2010, passando dal 32% al 30%.
Il 26% dei consumatori prevede di acquistare cellulari (inclusi relativi accessori) e il 20% e-books e abbonamenti a quotidiani e riviste online (complice la diffusione sempre più ampia dei vari devices mobile, come smartphone e tablet), entrambe categorie di nuova introduzione nella ricerca 2012.
Tuttavia la vera novità emersa dall’indagine riguarda la spesa quotidiana nel settore del Food & Beverage: sottolineano i promotori dell’indagine come la propensione ad acquistare online prodotti di questo tipo sia cresciuta del 44% in due anni, con oltre un quarto del campione (26%) che prevede di comprare alimenti e bevande, entro i prossimi sei mesi, collegandosi a Internet tramite computer, smartphone o tablet.
Mentre i beni durevoli come l’abbigliamento, i libri e l’elettronica mostrano il livello più alto di propensione all’acquisto online”, ha evidenziato John Burbank, President Strategic Initiatives di Nielsen, “l’influenza di Internet per l’acquisto di beni di largo consumo è chiaramente in crescita”. Chi si occupa di marketing, ha proseguito, “dovrà necessariamente individuare chi si sta convertendo al digitale per la spesa quotidiana in modo tale da focalizzarsi sulla corretta tipologia di consumatore, utilizzando strategie digitali adeguate per migliorarne l’esperienza di acquisto online”.
Molte sono, inoltre, le attività collegate alla spesa quotidiana che gli utenti compiono in rete: il 61% degli intervistati ha dichiarato di fare ricerche legate alla spesa, per controllare prezzi o leggere recensioni dei consumatori, il 45% per avere informazioni su prodotti di genere alimentare, il 43% ha cercato offerte, il 33% ha letto le informazioni relative alle promozioni dei negozi, il 33% ha cercato buoni spesa, il 26% ha cercato il sito internet dei produttori, il 18% ha commentato prodotti attraverso i social media e l’11% ha usato una lista della spesa digitale.
Si nota, in particolare, come gli utenti dell’area Asia-Pacifico ricorrano a Internet principalmente per effettuare ricerche (70%), confrontare prezzi (48%) e commentare attraverso i social media (26%); quelli dell’America Latina per cercare offerte (64%) e informazioni sui siti dei produttori (41%), mentre quelli dell’America del Nord trovare dei coupon (43%).
Gli acquisti online soddisfano esigenze considerate fondamentali come la convenienza, la qualità e la varietà dell’offerta”, ha proseguito Burbank. “Tuttavia il successo di Internet, e più specificamente dell’e-commerce per l’acquisto di beni di largo consumo, sarà diverso per le diverse categorie di prodotto. Chi acquista online beni di largo consumo, infatti, tenderà ad avere un approccio multicanale e ad effettuare acquisti continuando ad usare anche il punto vendita tradizionale”.
Con riferimento, infine, alle stime temporali, dal report emerge come quasi la metà degli intervistati (47%) dedichi almeno il 25% del tempo relativo alla propria attività di ricerca online ad argomenti legati alla spesa e il 23% ve ne dedica almeno la metà.
La maggior parte di coloro che hanno affermato di utilizzare Internet per attività legate alla spesa (63%-91% secondo il tipo di attività) sostiene di farlo settimanalmente o mensilmente. Un terzo degli intervistati ha dichiarato, infine, di usare quotidianamente Internet per fare ricerche (37%), per dare il proprio feedback attraverso i social media (33%), per cercare offerte (31%) e per cercare informazioni relative ai prodotti (31%).
Il 46% degli intervistati ha usato i social network per informarsi e orientarsi negli acquisti online ed è aumentato il numero di coloro che affermano di acquistare frequentemente sugli e-store (il 37% degli intervistati).
In un mondo in cui i consumatori hanno un ruolo sempre maggiore nell’influenzare la percezione del brand attraverso i social media, le recensioni e i punteggi, fornire risposte autentiche e ottenere il supporto dei consumatori è fondamentale. Chi si occupa di marketing deve necessariamente incoraggiare tali risposte e fornire esperienze coinvolgenti al fine di aumentare la fedeltà alla marca e creare una relazione continuativa e bilaterale tra la marca e il consumatore” ha concluso Burbank.
Le ultime stime relative alle dimensioni del mercato e-commerce che arrivano da oltreoceano sembrano confermare il trend di crescita: comScore – leader mondiale nella misurazione del mondo digitale – ha pubblicato ad agosto i dati relativi al secondo trimestre 2012, i quali individuano un aumento del fenomeno pari al 15% rispetto allo scorso anno, con una spesa in acquisti online pari a circa 43,2 miliardi di dollari negli Stati Uniti e segnando il settimo trimestre consecutivo di crescita a due cifre. Si noti in particolare come, stando a tale indagine, un forte incentivo agli acquisti online è rappresentato dal servizio di spedizione gratuita (il 42% degli acquisti effettuati include questa opzione). Le prospettive delineate appaiono dunque piuttosto incoraggianti, malgrado alcuni segnali di rinnovata incertezza economica (la percezione dei consumatori sulle condizioni dell’economia sembra essere – ha sottolineato il presidente di comScore Gian Fulgoni – attualmente peggiorata) e un tasso di disoccupazione ancora alto.
Calando la visuale sul mercato italiano, lo scenario individuato dalle più recenti ricerche istituzionali concede ampio spazio all’ottimismo, pur mantenendo stabile un certo ritardo nella diffusione del fenomeno e-commerce.
L’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm-School of Management del Politecnico di Milano è costantemente impegnato a stimare il volume dell’e-commerce nel contesto nazionale, il quale avrebbe nel 2011 registrato un +19%, con vendite che superano gli 8 miliardi di euro. La previsione per il 2012 è poi di una crescita pari al 18%, giungendo ai 9,5 miliardi di euro.
A giugno sarebbero inoltre saliti a 11,3 milioni gli utenti che hanno fatto acquisti online almeno una volta nei tre mesi precedenti, ovvero il 42,5% dell’intera utenza Internet in Italia, in crescita del 22% rispetto a un anno fa; tra essi sarebbero 7,06 milioni gli acquirenti abituali (26,5% dell’intero universo internet italiano). A dirlo è stata l’ultima ricerca realizzata da Netcomm (il consorzio del commercio elettronico italiano) in collaborazione con Human Highway (l’istituto di ricerca italiano specializzato nell’analisi dei servizi, della comunicazione e del marketing online) e, tra i prodotti acquistati, spiccano al primo posto i biglietti di viaggio per aerei, treni o navi (16,8% del campione), a conferma del peso che il settore turismo possiede sul totale dell’e-commerce nel Belpaese (peso stimato in 55 punti percentuali, che lo rendono il settore principale del commercio elettronico italiano) e della parallela importanza che il web sta avendo per tale settore. Seguono libri, computer e periferiche per Pc, capi di abbigliamento, ricariche telefoniche e soggiorni (hotel, villaggi, pacchetti vacanze).
Ulteriori indagini hanno, nelle scorse settimane, cercato, in varia forma, di individuare il fenomeno e-commerce nel nostro contesto nazionale: eMarketer ha sottolineato come il trend positivo coinvolga tutta l’Europa, con il Regno Unito in testa per volume di vendite e utenti coinvolti e con un’Italia che, nonostante il lento inizio, sembra stia, negli ultimi anni, recuperando parzialmente il proprio ritardo, facendo sì che questa forma di commercio rappresenti ora una voce importante del proprio bilancio. eMarketer prevede in particolare un aumento dell’e-commerce del 25,5% per il 2012 (pari a 16,16 miliardi di dollari) e un fatturato complessivo di 31,25 miliardi di dollari per il 2016. Una crescita sostanziale ma probabilmente non sufficiente a colmare il divario con le realtà più sviluppate, poiché il tasso di incremento del fatturato generato dall’e-commerce sembra essere in costante rallentamento (linea rossa del grafico).
Alcuni dati sembrano ricondurre, almeno in parte, il ritardo italiano alla scarsa capacità delle piccole e medie imprese di innovarsi e proporre soluzioni di commercio elettronico, dunque, in sostanza, alla carente inclinazione all’innovazione: secondo la società di consulenza aziendale Between , solo il 5% delle aziende italiane utilizza una qualche forma di vendita online, contro una media europea del 15% (in Norvegia la percentuale raggiunge il 36%), ponendo in tal senso il nostro Paese al penultimo posto in Europa, seguito soltanto dalla Romania. La situazione peggiora ulteriormente se ci si focalizza sulle aziende di minori dimensioni: utilizza l’e-commerce solo l’11% delle medie imprese italiane (contro il 30% delle medie aziende tedesche) e il 5% di quelle piccole (contro il 19% di quelle tedesche).
Eppure quella portata dall’e-commerce può essere considerata una trasformazione vera e propria nel panorama economico, trasformazione che ogni anno si arricchisce, grazie all’innovazione tecnologica e al parallelo sviluppo di nuove tendenze di consumo e nuovi comportamenti d’acquisto da parte degli utenti. Cambiano innanzitutto le logiche distributive: le aziende di produzione possono, grazie alla rete, raggiungere direttamente il consumatore finale, eliminando la tradizionale intermediazione del distributore sul territorio. I veri concorrenti diventano, allora, i grandi distributori online internazionali, capaci di competere sul prezzo dei prodotti e dei servizi accessori (come le spese di spedizione).
Uno degli esiti più attuali del fenomeno e-commerce riguarda poi la sua commistione con strumenti e piattaforme sempre nuove, in un sistema che sempre più si fa multicanale e coinvolgente per l’utente: social media e applicazioni rappresentano ormai una componente essenziale delle strategie di marketing e comunicazione aziendale e iniziano, per questo, a essere sfruttati anche come vere e proprie piattaforme di vendita. I social network sono comunque utilizzati principalmente come mezzo per creare valore attorno al brand e ai prodotti/servizi offerti. Il passaparola generato dalla condivisione di contenuti e una efficace integrazione con il sito aziendale di e-commerce possono decretare in poco tempo un sostanziale incremento delle vendite.
Stando a quanto riportato nel report “E-commerce in Italia 2012, andamenti, trend di sviluppo e strategie di un mercato in crescita”, presentato ad aprile 2012 dalla Casaleggio Associati, in partnership con Adobe Systems, i social ritenuti più efficaci dalle aziende italiane, per la promozione del proprio brand o per sostenere le vendite, sono Facebook, YouTube, Twitter e Google+, con una netta preferenza per il primo, ritenuto “molto efficace” dal 23% delle aziende, e “abbastanza efficace” dal 42%. Youtube è considerato utile complessivamente dal 31% delle aziende, molte delle quali possiedono, infatti, un proprio canale per la pubblicazione di spot pubblicitari o video che supportano operazioni promozionali. Twitter e Google+ sono apprezzati dal 26% delle aziende, mentre importanza inferiore viene attribuita a LinkedIn (10%), Flickr e Foursquare (entrambe efficaci per il solo 4%).
Interessi crescenti, seppur ancora in termini di sperimentazione, stanno coinvolgendo una piattaforma social relativamente recente come Pinterest (divenuta in poco tempo la terza più promossa nelle e-mail dei retailer a livello mondiale), sfruttata per la presentazione di immagini e fotografie commentate dei prodotti offerti. Moltissime sono le potenzialità offerte da questo strumento, come hanno ben immaginato alcuni grandi nomi del turismo (Visit Trentino), dell’abbigliamento (Sisley, Tezenis), dei serivizi (Poste italiane) e pure del settore Food & Beverage (Barilla e Caffè Carbonelli): l’impatto evocativo delle immagini suscita certamente uno slancio intenso ad abbracciare l’universo di valori veicolato dal brand e il grande successo che la piattaforma sta avendo permette il moltiplicarsi continuo di tale slancio, offrendo una reale garanzia di viralità al messaggio aziendale. Si può decidere, ad esempio, di inserire immagini di alta qualità e creatività relative ai prodotti venduti oppure immagini capaci di evocare filosofia e mission aziendale, dando il via ad una sorta di comunicazione visiva con i propri clienti effettivi e potenziali.
Un altro processo di cui le aziende devono tener conto è la capillare diffusione dei dispositivi mobile (in Italia vi sono più di 20 milioni di smartphone e oltre 1 milione di tablet), sempre più utilizzati dagli utenti per soddisfare le proprie esigenze informative in fatto di spesa quotidiana. Mobile-commerce e servizi di geolocalizzazione sono, dunque, due tendenze che devono essere necessariamente prese in considerazione: un recente studio commissionato da Deloitte, su un campione di 1.557 consumatori americani, dimostra come i dispositivi mobile condizionino attualmente il 5,1% delle vendite annuali al dettaglio, l’equivalente di 159 miliardi di dollari solo nel 2012, con la previsione di giungere ai 689 miliardi entro il 2016. L’influenza che i cellulari esercitano nel consumatore si esercita, più che nella vendita diretta, nell’avvio del processo di guida verso i punti di vendita, dove l’azione di ricerca delle informazioni viene convertita in acquisto.
Affianco al concetto di e-commerce si sviluppa allora quello di info-commerce: tutti i siti che le persone visitano per avere notizie circa prodotti e servizi, per confrontare i prezzi, per leggere o lasciare commenti e recensioni consentono un aumento indiretto degli acquisti off-line e aiutano a incrementare la familiarità e la fiducia con il mezzo informatico, con effetti presumibilmente positivi sulle vendite future. Le aziende del retail, nella loro presenza online, devono puntare sulla creazione di un rapporto con i clienti basato sul coinvolgimento e sulla fedeltà. L’indagine Global Trust in Advertising di Nielsen rivela come ben il 92% dei consumatori di tutto il mondo manifesti la propria fiducia nel cosiddetto “earned advertising” fondato sul passaparola e sulle raccomandazioni di altri utenti, considerando questa la forma più affidabile di promozione.
La diffusione dei tablet potrebbe condurre anche all’incremento di un altro fenomeno, definitivo “couch-commerce”: si tratta della tendenza a fare shopping on line, stando – come lo stesso nome suggerisce – comodamente sdraiati sul divano. Questo è tanto più vero se si considera che i tablet sembrano essere utilizzati principalmente nel tempo libero, da ricondurre alla fascia oraria di prime-time (tra le 19:00 e le 22:00).
Dinamicità e flessibilità sono, in conclusione, i requisiti resi obbligatori per le aziende, in seguito alla diffusione dell’e-commerce. I nuovi servizi offerti ai clienti implicano necessariamente un adattamento dell’attività, dal punto di vista logistico e di gestione del magazzino, con una conseguente integrazione multi-canale. Comprendere pienamente il target di riferimento e creare delle offerte personalizzate, capaci di sfruttare i molti meccanismi resi possibili dalla rete (vendite istantanee, aste online, microflash sales…) rappresenta, infine, la più attuale sfida per le aziende che vogliano intraprendere con successo la strada dell’e-commerce.
Pubblicato su: PMI-dome

Privacy e Web: la percezione degli utenti

Un’indagine svolta da Human Highway per conto di Diennea MagNews ha indagato sull’effettiva conoscenza e considerazione dei navigatori italiani circa gli strumenti di tracciamento usati nella rete e i rischi in materia di riservatezza dei propri dati

Nel dibattito collettivo riferito alle tendenze sociali registrate nella modernità, ci si ritrova spesso a far riferimento alla figura, piuttosto inquietante, del Grande Fratello orwelliano, che dall’alto osserva, controlla e manipola le nostre stesse esistenze. Nessuno scomodi Alessia Marcuzzi per favore, l’intento della presente riflessione esula dai contenitori televisivi svuotati e coinvolge piuttosto la discussione che circonda il cosiddetto regime del controllo.

Nel dare corso alla nostra quotidianità, compiamo una serie di gesti che, più o meno volontariamente, lasciano delle tracce memorizzabili nei database di molte organizzazioni: parliamo al telefono, paghiamo con carta di credito, accumuliamo punti nella tessera del supermercato, salutiamo divertiti – quando la notiamo – la telecamera di videosorveglianza.
Per non parlare, poi, del web. Ogni attività da noi compiuta nel www rivela qualcosa di noi stessi, delle nostre inclinazioni, dei nostri interessi, delle nostre abitudini, delle nostre reti sociali, in una parola del nostro microuniverso esperienziale. Mentre tracciamo il nostro percorso lungo le infinite vie della rete (chattiamo, scambiamo foto, condividiamo dati personali e stati d’animo, realizziamo delle ricerche…), segniamo una serie di manifestazioni della nostra personalità che nel loro insieme vanno a costruire la nostra identità virtuale.

Questa cosa – tanto più vera nell’epoca dei molti network sociali e seppur apparentemente ovvia e banale – implica, in realtà, una serie di conseguenze che devono essere prese in seria considerazione e che hanno portano a non poche difficoltà nella ricerca di una regolamentazione giuridica equa della rete, capace, da un lato, di consentire l’acquisizione e il trattamento dei dati riferiti alle attività svolte in rete (spesso essenziali per la repressione e la prevenzione di comportamenti illeciti) e, dall’altro lato, di non comprimere il valore fondamentale della segretezza nelle comunicazioni (art. 15 della Costituzione italiana).

La particolare natura del dato informativo relativo al traffico generato dall’utente è in grado di documentare in modo oggettivo il fatto che determinati episodi sono avvenuti in un determinato arco temporale, a partire da determinati luoghi, manifestando determinati effetti.

Come reagiscono, allora, gli utenti ad una simile consapevolezza? E ancor prima: tale consapevolezza può dirsi realmente generalizzata? A quale livello si colloca la conoscenza degli strumenti di tracciamento e come ci si tutela da essi?
A queste e ad altre domande ha cercato di dare risposta il report 2011 “Privacy & Permission Marketing online”, con riferimento al contesto italiano: nel mese di settembre 2011 MagNews – “uno dei principali player dell’email marketing in Italia” e “core business di Diennea, azienda leader nella creazione di tecnologie per la comunicazione e il marketing” – ha commissionato a Human Highway un lavoro di ricerca con l’intento di “descrivere l’attuale percezione da parte dell’utenza internet italiana delle tematiche relative alla tutela della privacy nel Web e ai sistemi di profilazione e riconoscimento personale che sono comunemente utilizzati online”.

In seguito all’invio, tramite mail, dell’invito a partecipare, rivolto alle 2.765 persone appartenenti al panel OpLine di Human Highway, sono entrati a far parte del campione di riferimento 1.018 casi utili, rappresentativi della popolazione italiana con almeno 15 anni di età e con una frequenza di navigazione in rete non inferiore ad una volta la settimana (popolazione stimata in circa 26 milioni di individui).

Sulla base delle informazioni rese disponibili dalla Ricerca di Base condotta a giugno 2011 da Human Highway su 2.000 casi CATI per descrivere l’universo Internet italiano, una prima preliminare analisi rivela un tasso generale di penetrazione della rete in Italia pari al 50% della popolazione, percentuale che si innalza al 91% se si considerano le sole persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, salvo ridimensionarsi al 68% per i 25-34enni e al 66% per i 35-44enni. In conformità con questa stessa Ricerca di Base il campione di partenza è stato suddiviso per sesso, età (cinque fasce) e area geografica di appartenenza.
Stando al Report, il grado di preoccupazione in merito al tracciamento dei propri comportamenti divide la popolazione italiana in tre gruppi principali, di dimensione simile ma con predisposizione diversa, confermando sostanzialmente i dati rilevati in una ricerca simile riferita al 2009: il 38% degli intervistati non sa se essere o meno preoccupato (37% nel 2009), il 31% si dichiara per nulla o poco preoccupato (29% nel 2009), mentre il 30% è abbastanza o molto preoccupato (34% nel 2009).

Cercando di cogliere la distribuzione della preoccupazione in relazione al mezzo utilizzato, il report rivela come Facebook rappresenti una sede privilegiata per i timori degli utenti, sia con riferimento ai contenuti propri diffusi, per il possibile uso improprio degli stessi da parte del sistema (39% si dichiara molto o abbastanza preoccupato), sia soprattutto con riferimento alla mancanza di controllo per i contenuti inseriti da altri (53% è molto o abbastanza preoccupato); ben il 44,1% degli intervistati ha, allora, dichiarato di essere influenzato molto o in diversi aspetti da simili timori, modificando di conseguenza il proprio agire all’interno della piattaforma sociale.
La forte diffusione dei Social Network e la discussione sulle problematiche di privacy che ne è derivata hanno fatto in modo che passasse in secondo piano la paura del tracciamento dei dati relativi alla propria carta di credito, paura che ha perso il primato detenuto nel 2009 ma che è comunque sentita da una quota consistente della popolazione (44%); il 36% del campione dichiara di lasciarsi influenzare da questa consapevolezza, tenendo sotto controllo l’utilizzo che si fa dello strumento carta di credito.
La geolocalizzazione turba il 34% della popolazione e influenza, di conseguenza, il comportamento del 30,5%, superando il timore – ben più sentito nel 2009 – di essere intercettati telefonicamente (che preoccupa il 29% e condiziona le azioni del 26,2%).
Più basso l’allarme per la chat e per la navigazione sul web, ciascuna delle quali preoccupa il 28% della popolazione (condizionando reciprocamente il 24,9% e il 24,4% degli utenti) e per l’intercettazione delle proprie mail (il 23% se ne dichiara preoccupato e il 20,8 modifica i propri comportamenti in relazione a tale preoccupazione). Seguono fare ricerche sul web, usare il telefono fisso e la possibilità di essere spiati per strada dai circuiti di sorveglianza, alternative che raggiungono ciascuna una quota di preoccupazione pari al 20% (e influenzano rispettivamente il 20,5%, il 19,3% e il 19,2% delle persone). Ad allarmare in misura inferiore sono, infine, l’uso di carte fedeltà per la raccolta punti (15% e un condizionamento valido per il 16,4% del campione) e utilizzo del fax (11% e influenza per il 10,5%).

Dai dati riportati emerge, allora, come sia presente una relazione diretta tra timore verso una particolare modalità di tracciamento e modificazione del comportamento in senso di difesa, dunque più è alto il primo, maggiore sarà l’entità dichiarata della seconda. È interessante, tuttavia, notare come questa correlazione venga in parte meno con riferimento alla navigazione via web: pur essendo consapevoli di lasciare tracce nel corso del proprio peregrinare lungo la rete, gli utenti intervistati si dimostrano meno propensi a variare il proprio atteggiamento in questo senso e, dunque, più propensi a rinunciare ad una piccola fetta della propria riservatezza, probabilmente a causa dei molti vantaggi veicolati dalla navigazione.
Particolarmente sentita e ricercata dagli intervistati è, poi, la tutela della privacy per i minori: ad essere predilette come soluzioni alla problematica sono la formazione rivolta ai bambini circa i rischi che in tal senso si possono incontrare in Internet e l’intervento a monte dei genitori, attraverso filtri o altri controlli speciali sugli account di posta e attraverso la limitazione dei siti sui quali i bambini possono navigare. Tali metodi sono ritenuti maggiormente efficaci rispetto ad interventi più coercitivi o di divieto, interventi, questi ultimi, comunque ritenuti utili, soprattutto considerando il dato in forma evolutiva: rispetto al 2009 l’atteggiamento di protezione sembra essersi intensificato, aumentando la quota di coloro che adotterebbero queste misure coercitive pur di tutelare la privacy minorile.

Il report passa poi ad analizzare il livello di conoscenza e l’atteggiamento generale verso gli strumenti di profilazione passiva presenti in rete (cookie, indirizzi IP o Google Dasahboard).
Gli utenti hanno dimostrato un livello di conoscenza discreto verso questi strumenti: il 63,3%, ad esempio, è consapevole del fatto che nel web è possibile rintracciate il link su cui si ha cliccato per arrivare ad un determinato sito, il 62% sa che è possibile conoscere il paese in cui ci si trova e 59,7% sa che può essere riconosciuto il modello di browser che si sta utilizzando. Tutte queste consapevolezze generano comunque la sensazione di sentirsi osservati e infastidiscono gli utenti.
Il 48%, poi, ha dichiarato di conoscere i cookie e di sapere a cosa servono o quale sia la loro funzione, il 25% di averne sentito parlare e di sapere vagamente di cosa si tratta. Il 71% ha rivelato di sapere cosa sono e a cosa servono o come funzionano gli indirizzi Ip e il 17% di averne una conoscenza vaga. Il 48% conosce i metodi di profilazione passiva dell’e-mail marketing (sa che, se si è iscritti alla newsletter di un sito, esso può sapere se apro le mail che mi invia o se clicco nei link in esse presenti). Minore, invece, la conoscenza di Google Dashboard, padronanza di un solo 16% degli intervistati, al quale si somma un 14% riferito a chi ne ha solo sentito parlare vagamente; tra le reazioni all’aver scoperto i contenuti presenti in Dashboard, la più comune è la sensazione di essere osservati (28,6%), seguita dal sentirsi incuriositi e interessati (26%), dall’indifferenza (19,7%) e dal fastidio (15,7%): delle reazioni, tutto sommato, di non eccessiva preoccupazione, dettate, forse, dall’utilità dello strumento, per chi se ne serve.
Sulla base delle risposte fornite circa la conoscenza dei meccanismi di profilazione passiva del web, la popolazione è stata suddivisa in tre categorie: gli utenti “evoluti” (22%), gli utenti con una conoscenza media della rete (42%) e quelli con una conoscenza scarsa (37%).
Si rileva una forte correlazione tra consapevolezza di questi strumenti e sesso e età del rispondente: gli utenti più evoluti sono uomini (28% degli utenti uomini è evoluto, contro il 15% delle donne) appartenenti alla fascia centrale d’età (dai 35 ai 44 anni) e dopo i 45 anni la percentuale di utenti evoluti diminuisce lasciando spazio agli utenti medi (che raggiungono il 49% nella fascia 45-54 anni e si ridimensionano ad un 42% nella fascia over 54) e agli utenti base (raggiungono il 46% tra gli over 54).

Con riferimento al titolo di studio conseguito e alla zona di residenza, pare che gli utenti più evoluti si concentrino prevalentemente tra i laureati, residenti nel Nord Ovest.

Gli utenti più esperti sono anche i più consapevoli della tendenza, propria dei mezzi di informazione, ad enfatizzare il rischio per la privacy veicolato dal web; ciononostante sono ben consapevoli circa la presenza reale di tale rischio; gli utenti evoluti, anzi, risultano più preoccupati degli altri per la propria privacy su molti degli aspetti considerati a inizio analisi (uso del cellulare e del telefono fisso, geolocalizzazione, ricerca e navigazione sul web, videosorveglianza, scrittura mail, uso di fax e carte fedeltà) e sono gli utenti maggiormente influenzati nei loro comportamenti di utilizzo di questi mezzi, poiché cercano continuamente di tutelarsi tramite piccoli accorgimenti.
Essi, tuttavia, accettato il rischio per la privacy in rete – principalmente per la convinzione che, sia sul mondo virtuale sia su quello reale, non esistano ormai più posti “sicuri” – e dichiarano che, se anche ne sapessero di più su queste tematiche, non sarebbero disposti a cambiare il proprio atteggiamento di utilizzo del mezzo e a rinunciare ai privilegi forniti dal web.
Si osserva anche come, al crescere dell’età dei rispondenti, l’atteggiamento verso il tema della privacy sulla rete diventi sempre meno severo, meno allarmistico rispetto a quello dei più giovani, poiché cresce, appunto, la consapevolezza – o la disillusione, dicono i promotori del report – che non si possa riuscire a tutelare pienamente la propria riservatezza nemmeno nel mondo fisico; ci si dimostra, piuttosto, sempre più disponibili a rinunciare alla propria privacy in cambio di servizi specifici o dei semplici vantaggi che derivano dalla navigazione sul web.
Anche per quanto riguarda il marketing comportamentale, cambia l’atteggiamento dell’utenza in relazione ad età e al livello di conoscenza della rete: i più vecchi e i più esperti sono consapevoli del fatto che esso rappresenti la normale evoluzione della pubblicità in rete.
Con riferimento alla propria reputazione on-line, si osserva come tre rispondenti su quattro abbiano dichiarato di aver cercato almeno una volta il proprio nome su Google (18% lo ha fatto una sola volta, il 42% qualche volta e il 12% spesso), mentre il restante quarto non se ne sia curato in nessun modo; di fronte alla scoperta che sono stati pubblicati a propria insaputa da altri contenuti riferiti a sé, gli utenti si dichiarano infastiditi, ma allo stesso tempo anche meravigliati e sorpresi.
Le informazioni potenzialmente “intercettate” ritenute più personali di tutte sono la capacità del sito di localizzare qualcuno, di riconoscere il cookie e di sapere se si siano aperti o meno i messaggi ricevuti.
Altri due sono, per concludere, gli aspetti indagati dal report: i sistemi di profilazione attiva sul web e la conoscenza degli utenti circa l’informativa sulla privacy.
Con riferimento al primo, si evidenzia come, nel momento in cui all’utente venga richiesto di compilare dei form online, i campi che provocano più fastidio siano quelli relativi alla richiesta di informazioni sul reddito, sul patrimonio, sui conti correnti e sulla sfera economica in generale. Risulta diminuita notevolmente la quota di utenti che non terminano la compilazione di un form poiché vengono richieste informazioni sulla composizione del nucleo familiare, sul titolo di studio e sul sesso, mentre sono aumentati gli utenti che interrompono la profilazione quando vengono richieste informazioni come la tipologia di abitazione o altre domande sul tempo libero; in ogni caso – l’abbiamo detto – le la sfera economica continua a rappresentare la maggiore inibitrice.

Con riferimento all’informativa sulla privacy, risulta che la maggior parte (41,6%) degli intervistati non legge il testo della normativa, mentre l’atteggiamento più scrupoloso di tutti, cioè di chi legge sempre per intero il testo e ne conserva una copia sul pc, è passato da rappresentare il 10,6% degli intervistati nel 2009 al 4,4% nel 2011.
Nonostante, infine, gli intervistati conoscano abbastanza bene i propri diritti in materia di privacy e dichiarino di sapersi muovere in caso di violazione, solamente il 17% si sente tutelato dalla normativa attuale e, di questi, solo l’1% completamente, contro una percentuale del 41% riferita agli utenti che si sentono poco o per nulla tutelati (in conformità con la tendenza evidenziata nel 2009).

Pubblicato su: pmi-dome