I soldi veri sono sul Web

Cresce l’Advertising online: il settore è aumentato di 23,2 punti percentuali rispetto al 2010, raggiungendo i 14,9 miliardi di dollari

Tempi d’oro per l’advertising online.

A rivelarlo è lo IAB Internet Advertising Revenue Report, realizzato da PricewaterhouseCoopers (PwC USA) per conto dell’Interactive Advertising Bureau (IAB): si tratta di uno studio sulla pubblicità online, riferito al contesto statunitense e realizzato due volte all’anno al fine di monitorare la situazione di metà e dell’intero anno (in questo caso ci si riferisce ovviamente alla prima metà del 2011); esso si basa su dati rilasciati trimestralmente dallo IAB, l’associazione internazionale dedicata allo sviluppo della comunicazione pubblicitaria digitale interattiva, la quale ha avviato il report nel 1996.
I risultati forniti sono considerati la misura più accurata dei ricavi pubblicitari online, poiché derivano da informazioni fornite direttamente dalle aziende che vendono tale pubblicità virtuale: ad essere inclusi nel rapporto sono, in particolare, i ricavi provenienti da siti web, servizi commerciali online, network pubblicitari e provider di posta elettronica.
Ad uno sguardo preliminare, si nota come – dopo un declino e un temporaneo plateau registrati nel 2009 – i ricavi trimestrali della pubblicità online abbiano conosciuto, a partire dall’ultimo trimestre del 2009, un forte rialzo e, anche se il 2011 sembrava iniziare con una lieve ricaduta, tali ricavi sono notevolmente aumentati nel secondo trimestre 2011.

Entrando un po’ più nel dettaglio, vediamo che, nell’intera prima metà del 2011 e rispetto allo stesso arco temporale riferito allo scorso anno, gli introiti sono aumentati di 2,8 milioni di dollari o, in termini percentuali, del 23,2%, arrivando a stabilire una sorta di record, pari a 14,9 miliardi di dollari. Il trend evidenziato segna, allora, una crescita percentuale più che raddoppiata rispetto al primo semestre del 2010, quando i ricavi pubblicitari si assestarono a 12,1 miliardi di dollari (con un incremento dell’11,3% rispetto al 2009).

Quei 14,9 miliardi rilevati possono essere scomposti, dal punto di vista temporale, in un primo trimestre totalizzante 7,26 miliardi di dollari e in un secondo trimestre che ha accumulato i restanti 7,68 miliardi, segnando un incremento di quasi 6 punti percentuali rispetto al primo trimentre 2011 e un incremento del 24,1% rispetto al secondo timestre 2010 (quando il ricavo era stimato in 6,19 miliardi di dollari).

“La forte crescita della pubblicità online – ha commentato David Silverman, partner, PwC – non si è arrestata nella prima metà del 2011. Ad alimentare questa crescita è la capacità degli inserzionisti di correlare prestazioni e risultati con i dollari che stanno investendo”.
I ricavi del secondo trimestre 2011 sono aumentati su una base percentuale e in dollari: esso rappresenta il trimestre con il più alzo rialzo mai registrato fino ad ora.

Applicando un filtro cronologico alla stima e utilizzando una prospettiva su base annuale, si scopre che la quota di ricavi in pubblicità digitale raggiunta nel primo semestre 2011 potrebbe portare il 2011 ad essere l’anno con la quota più elevata, superando i 26 miliardi raggiunti nel 2010 (il precedente record): “i fattori macroeconomici che hanno iniziato ad influenzare l’intero universo economico a metà anno, potrebbero avere un impatto anche sul secondo semestre”, sottolinea il report.

L’advertising online continua a rimanere appannaggio di quelle 10 principali aziende di vendita pubblicitaria presenti nel mercato, che assieme hanno raggiunto, nel secondo trimestre 2011, il 72% dei ricavi totali, superando quel 70% riferito allo stesso intervallo dello scorso anno.
Le aziende collocate, invece, tra l’undicesima e la venticinquesima posizione hanno contribuito per un 10% ai ricavi del secondo trimestre, in calo di due punti percentuali rispetto al 2010 (12%); quelle, infine, che si pongono tra la ventiseiesima e la cinquantesima posizione, hanno raccolto il 7%, contro l’8% dell’anno precedente.

“L’eccellente solidità di performance finora rilevata per l’advertising online – evidenzia Randall Rothenberg, presidente e CEO di IAB – dimostra che sempre più addetti al marketing stanno puntando su digitale per raccontare il proprio marchio. Questa gradita notizia, alla luce della debolezza che avvolge buona parte della restante economia statunitense, conferma l’enorme valore che l’innovazione nel marketing interattivo può trasmettere all’industria e al consumo”.

Il successo crescente deriva primariamente dal fatto che le aziende desiderano sempre più far uscire il proprio brand all’esterno dei confini tradizionalmente posti alla loro attività, vogliono farsi conoscere e, a questo scopo, utilizzano la rete quale veicolo privilegiato di comunicazione, poiché dotata di dimensione universale e capace di raccogliere un pubblico quanto più vasto possibile; si ampliano, di conseguenza, le campagne pubblicitarie poste in essere per raggiungere nuove aree di interesse, si moltiplicano le manifestazioni dell’universo valoriale veicolato dal marchio.

Quali sono, allora, le categorie su cui sembrano maggiormente concentrarsi i profitti finora evidenziati?

In testa, innanzitutto, si collocano le ricerche online correlate da contenuti sponsorizzati e provenienti da diversi circuiti advertising: esse, da sole, producono il 49% del totale ricavi riferito al primo semestre 2011 (in crescita rispetto al 47% stimato nel 2010), pari a circa 7,3 miliardi di dollari (+27% rispetto ai 5,7 milioni di dollari nel 2010), arrivando a riempire il fulcro dell’intero mercato.

Al secondo posto troviamo il cosiddetto “display advertising”, con una quota di mercato che dal 36% (primo semestre 2010) è giunta al 37% (2011), passata, in altri termini, da 4,4 a 5,5 miliardi di dollari (+27%, un tasso di crescita maggiore rispetto al 16% del 2010): tale forma pubblicitaria comprende banner pubblicitari (realizzano il 23% dei ricavi, pari a 3,4 miliardi di dollari), video digitali (6% o 891 milioni), contenuti interattivi (5% o 763 milioni) e sponsorizzazioni (3%, 467 milioni).

Gli annunci online, con 1,2 miliardi di dollari, raccolgono il solo 8% dei ricavi nel primo semestre 2011, percentuale in decrescita rispetto al 2010 (10% con 1,3 miliardi di dollari).

I ricavi della Lead Generation ammontano al 5% nel 2011, pari a 805 milioni di dollari, in aumento di quasi 25 punti percentuali rispetto al 2010, quando essi ammontavano a 642 milioni (5% del mercato).
La posta elettronica occupa, invece, l’ultima posizione della classifica, con solo l’1% dei ricavi totali, corrispondenti a 79 milioni di dollari, in ribasso del 34% rispetto ai 120 milioni riferiti al 2010 (1% del totale ricavi). Sempre meno frequenti, dunque, le campagne pubblicitarie basate sull’invio multiplo di mail, forse a causa della facilità con cui simili comunicazioni possono venire eliminate dal destinatario e dunque cadere inascoltate.

Allargando un po’ la prospettiva temporale, ci si accorge di come quello dell’online search rappresenti il format dominante fin dal 2006 e di come esso abbia conosciuto negli anni una crescita sequenziale; dopo aver perduto nel 2010 parte della propria quota di mercato a favore dei banner pubblicitari, esso ha riconquistato e superato, nel primo semestre 2011, tutte le posizioni perdute. Per un trend positivo, si è costretti, tuttavia, ad evidenziarne uno negativo: ecco, allora, che negli ultimi sei anni si è assistito ad una perdita, per gli annunci online, di oltre metà quota di mercato (da uno share del 18% nel 2006 all’attuale share dell’8%) e, dopo una parziale stabilizzazione nel 2010, si è ritornati al segno meno nel 2011.

Con riferimento ai settori industriali coinvolti, il report di IAB e PwC evidenzia come gli inserzionisti del retail continuino a rappresentare la categoria più ampia per spesa in advertising, avendo raggiunto una percentuale del 23% nella prima metà del 2011 (pari a 3,5 miliardi di dollari), in crescita rispetto al 20% (2,5 miliardi) rilevato nel 2010.
Le aziende di telecomunicazioni hanno invece rappresentato, nel primo semestre 2011, il 14% (2,1 miliardi di dollari) dei ricavi in pubblicità online, con un leggero aumento dal 2010, quando l’ammontare dei ricavi era di 1,7 miliardi di dollari (configurante, comunque, il 14% del totale).

Gli inserzionisti del settore finanziario hanno contribuito, poi, per il 13% nel 2011 (pari a 1,9 miliardi di dollari), quelli del comparto automobilistico per l’11% (1,7 miliardi): entrambi hanno guadagnato posizioni rispetto al 2010, quando il primo coinvolgeva 1,5 miliardi di dollari (12%) e il secondo 1,3 miliardi (comunque 11%).
Il settore dei prodotti informatici costituisce il 10% dei ricavi in advertising nel 2011, cioè 1,5 miliardi, in aumento rispetto al 2010, quando la stima era di 1,2 miliardi di dollari (anche in questo caso il 10% del totale).
Il comparto dei viaggi per svago (biglietti aerei, hotels e resorts) ha coperto l’8% dei ricavi nel 2011 (1,2 miliardi), contro il 7% (841 milioni di dollari) del 2010.

I beni di consumo, ancora, rappresentano il 6% del mercato pubblicitario online, pari a 866 milioni di dollari, in diminuzione rispetto al 2010, quando rappresentavano l’8% (980 milioni). L’entertainment occupa il 4%, con 556 milioni, in leggero aumento rispetto ai 508 milioni del 2010 (quando costituiva sempre il 4%).
Settore media e settore farmaceutico-sanitario raggiungono, infine, nel 2011, entrambi una quota di mercato del 4%, il primo con 660 milioni e il secondo con 608 milioni di dollari e con un leggero incremento rispetto al 2011, quando si erano attestati rispettivamente a 498 milioni (sempre 4%) e 576 milioni (5%).

 

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Attività di coaching in crescita nel contesto italiano

Una ricerca ICF-Pwc dimostra come tale professione sia cambiata nella forma, orientandosi più al business, e presenti un potenziale di espansione del 28%

Vengono salutati con particolare favore i risultati di una ricerca indetta dall’International Coach Federation (ICF) e diffusi proprio nel corso della Coaching Week (dal 7 al 13 febbraio), la settimana dedicata a far conoscere le potenzialità offerte in tutto il mondo da questa professione. Il programma in Italia comprende 80 eventi – tra seminari, workshop, conferenze, sessioni – realizzati in nove regioni tra cui Lazio, Puglia, Abruzzo, Sicilia, Sardegna, Lombardia e Campania, grazie anche alla collaborazione di 60 coach e di 35 partner (istituzioni, enti, associazioni, università).

ICF – che rappresenta “la più grande associazione professionale al mondo di coach, con 18.000 membri 104 nazioni” – opera con l’obiettivo primario di “sviluppare, sostenere e preservare l’integrità della professione nel mondo e di accrescere la fiducia del pubblico in questa professione”. Tale associazione, in collaborazione con Pricewaterhousecoopers – network internazionale operante in 151 Paesi con oltre 163.000 professionisti e “leader nel settore dei servizi professionali alle imprese con particolare riferimento alla revisione ed organizzazione contabile, ai servizi di consulenza direzionale e di supporto alle operazioni di finanza straordinaria, alla consulenza fiscale e legale – ha coinvolto 15 mila persone di 20 Paesi (tra Africa, Asia, Europa, Nord America e Sud America) in un’indagine approfondita sull’evoluzione mondiale del coaching.

Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di dare un confine semantico a tale attività professionale, grazie alla definizione che di essa è data da ICF: “un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita”. Stando ai risultati della ricerca, pare che oltre la metà dei partecipanti abbia conoscenza e sappia definire correttamente tale attività e in particolare l’Italia (dove l’indagine ha coinvolto 750 persone) sarebbe “uno dei paesi dove sono state registrate percentuali significative e dove viene attribuito un ruolo molto importante alle certificazioni e alle credenziali dei coach professionisti”, come spiega Giovanna D’Alessio, immediate past president dell’ICF. Il 34% degli italiani intervistati ha dichiarato di avere una conoscenza buona (8%) o discreta (26%) del business coaching. Il giro d’affari, che, a livello globale, “negli ultimi due anni aveva rallentato la sua crescita”, sembra quest’anno in aumento del 20% e nel contesto italiano pare attestarsi stabilmente intorno ai 15 milioni di Euro. Aumentano poi, sempre in Italia, i professionisti iscritti a ICF, i quali passano dai 250 del 2008 ai 400 di oggi, anche se a fare concretamente questo lavoro sarebbero almeno 800, con un livello di crescita costante: il 28% degli intervistati italiani ha dichiarato di voler fare coaching, seppur, a livello globale, la percentuale salga fino al 33%.

Esistono numerose scuole abilitate a fornire la formazione adatta a svolgere la professione; l’elenco completo delle stesse è disponibile sul sito di ICF (alla quale viene attribuito un ruolo fondamentale nel controllare l’accesso alla professione), tuttavia non bisogna dimenticare che a fare coaching godendo di reale credibilità sono prevalentemente top manager con alle spalle un’esperienza lunga e ad altissimo livello.

L’attività di ICF viene considerata fondamentale nello stabilire e mantenere standard professionali elevati (20%), nel fornire credenziali ai coasch professionisti (20%) e nello sviluppo di modelli guida per il coaching professionale. Ricorda Daniele Bevilacqua, Presidente di ICF Italia, come in Italia sia stato fatto “un percorso molto importante con l’elaborazione e il rispetto di un codice etico che garantisce gli alti standard dei professionisti e con una serie di credenziali di ICF che oggi sono diventate motivo di credibilità. Esite un training costruito ad hoc e fatto attraverso corsi in scuole che collaborano con diverse università, come per esempio quella di Castellanza o la Luiss, così come è necessario di aver fatto un numero di ore di coaching a clienti paganti prima di poter crescere nelle certificazioni.

L’83% dei coachee (colui che in un processo di coaching viene “allenato” al fine di migliorare le proprie performance) si dice contento del lavoro svolto, il 36% ne è rimasto molto soddisfatto e la percentuale sale velocissima al 92% quando il coach è certificato.

Sempre più usato e diffuso, quindi, il coaching pare aver cambiato pure la propria forma, orientandosi maggiormente verso il business: la ricerca di un miglioramento nelle strategie di business management rappresenterebbe, infatti, l’obiettivo considerato primario, nella cornice italiana (35%), per improntare un’attività di coaching. Allo stesso modo essa sarebbe importante per aumentare l’autostima e la fiducia in sé stessi (35%), per espandere le opportunità di carriera (34%) per gestire in modo equilibrato lavoro e vita privata (22%) e per ottimizzare le prestazioni individuali e di gruppo (17%).

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Nel 2014 il mercato italiano dell’Entertainment e Media varrà 49,5 miliardi di euro

Il rapporto annuale di PwC stima, dal 2010 al 2014, un tasso di crescita medio pari al 6,6,% per un mercato che sembra sarà trainato da gaming, videogame ed internet
È stato presentato giovedì 25 novembre a Milano il secondo rapporto annuale di PwC (PricewaterhouseCoopers), “Entertainment and Media Outlook in Italy”, che, presentando i dati storici riferiti al periodo 2005-2009, propone le previsioni di evoluzione del mercato italiano dell’Entertainment e Media per il periodo 2010-2014, nei 12 principali segmenti che lo compongono (film, tv, musica, radio, pubblicità out-of-home, internet, quotidiani, periodici, riviste tecniche, editoria specializzata, videogame, gaming).

Un mercato che vale oggi, nel nostro Paese, circa 38 miliardi di Euro e che raggiungerà, nel 2014, i 49,5 miliardi di Euro, con un tasso di crescita medio pari al 6,6%. Un mercato che obbligherà gli italiani ad una spesa complessiva di 40 miliardi e ad investimenti pubblicitari stimati in 9,5 miliardi di Euro. Un mercato, infine, che pare verrà trainato dal gaming, dai videogames e da internet.

Il primo di questi settori, nonostante la recessione economica avuta negli ultimi due anni, ha registrato ricavi in aumento del 39% e raggiungerà i 13,2 miliardi nel 2014 (con una crescita annua media del 14,4%).

In particolare, la componente fisica del mercato in questione contribuisce per il 92%, circa 7,3 miliardi, sugli 8 miliardi di Euro di tasse incassati all’anno, e – di questi 7,3 miliardi – 3,6 provengono dalle macchinette da gioco, 2,1 da lotterie e gratta e vinci, 1,1 miliardi dalle agenzie di scommesse sportive e 330 milioni dalle macchinette VLT. Tutti questi settori conosceranno, nel periodo che va da oggi al 2014, un aumento significativo nel giro d’affari generato, passando, rispettivamente dai 30 ai 41,5 miliardi di Euro l’anno, dai 19 a 23 miliardi, dai 5 ai 6,5 miliardi e dai 2,5 ai 19 miliardi.

La componente telematica dell’industria italiana del gaming (quella che si muove sulla rete internet e su piattaforme mobile e tv e che contribuisce per l’8% sulle entrate) avrà un tasso di crescita del 25% annuo, arrivando a 1,8 miliardi di Euro nel 2014, capeggiata dai giochi d’abilità (con un giro d’affari che passerà da 4 a 10 miliardi di Euro), seguiti dalle applicazioni per scommettere via smartphone e dai servizi di televisione interattiva.

Il secondo mercato in forte crescita è rappresentato dai videogames (attualmente al quinto posto nella classifica europea, dopo Inghilterra, Francia, Germania e Spagna) che passerà da 1 a 1,5 miliardi di Euro, con una crescita annua media pari al 10,4%, grazie soprattutto allo sviluppo di console e giochi online. È, in particolare, in quest’ultimo settore che è prevista una vera e propria esplosione, con un tasso annuale medio di incremento del 14,8%, derivante dallo sviluppo della banda larga, capace di far salire a 4,5 milioni gli utenti online nel 2014, rispetto ai 2 milioni di oggi. Si evidenzia, inoltre, un aumento parallelo dell’advertising su questo canale, che passerà da 20 a 32 milioni di Euro nel periodo in esame.

Il terzo settore a stimolare particolarmente la crescita del mercato italiano dell’E&M è rappresentato da internet, grazie, ancora una volta, allo sviluppo della banda larga e alla forte crescita degli accessi sulle piattaforme mobile. La diffusione in Italia di reti di questo tipo sarà, nei prossimi anni, tra le più alte d’Europa: nel 2014 l’88,6% di abbonati le userà ed esse saranno il principale driver di diffusione della pubblicità via internet, soprattutto per quanto riguarda le piattaforme mobile, dove gli investimenti in advertising saliranno da 24 a 63 milioni di Euro, poiché chi utilizza una connessione di questo tipo passa più tempo online, visita più siti web e compra più prodotti rispetto agli utenti dotati di connessioni tradizionali. Gli investitori possono, tramite la rete, raggiungere gli utenti che fanno acquisti online (10 miliardi di Euro nel 2009), confrontarsi con un pubblico giovane e indirizzare le proprie proposte ad un target maggiormente definito, grazie al sistema di indicizzazione dei motori di ricerca.

Internet è stato uno dei pochi segmenti a crescere negli ultimi anni, raggiungendo nel 2010 un mercato di circa 7 miliardi di Euro, di cui 6 miliardi spesi dagli italiani per l’accesso alla rete (suddivisi in 4,8 miliardi via cavo e 1,2 via mobile) e 1 miliardo investito in pubblicità. Le previsioni per il 2014 parlano poi di 9,9 miliardi di Euro, di cui 8,2 miliardi riferiti alla spesa per l’accesso alla rete (2 miliardi attribuibili direttamente allo sviluppo delle piattaforme mobile) e 1,6 miliardi legati alla pubblicità.

Lo studio di PwC evidenzia anche i segmenti in calo dal 2010 al 2014: la musica, i periodici e il business to business, inteso come informazione legata a prodotti e servizi delle aziende.

A prescindere da qualsiasi ragionamento sui dati evidenziati e da qualsiasi possibile intervento classificatore, ad emergere con forza dallo studio è l’invadenza del fenomeno di “Digital migration”, capace di dare una rinnovata spinta alla pubblicità in rete e mobile e al settore editoriale. «Stiamo assistendo all’avanzare dell’epoca digitale che muta in maniera sempre più veloce i consumi degli italiani anche nei confronti dei media e dell’entertainment in generale», ha commentato Andrea Samaja, Partner E&M Market Leader di PwC. «Anche l’editoria deve adeguarsi al cambiamento. Oggi 8 italiani su 10 leggono via internet i quotidiani, i cui portali attirano circa 4 milioni di persone ogni giorno e gli investimenti in advertising andranno di pari passo».

Il mercato dell’editoria è stato stimato in 2 miliardi di Euro nel 2009 e ha conosciuto una delle maggiori contrazioni in termini di investimenti pubblicitari (scesi del 16,4%) e di diffusione (calata del 4,8%). La competizione con la rete rimane sempre molto forte per la carta stampata, sulla quale gli investimenti saranno, nel 2014, inferiori di circa 17 punti percentuali rispetto al 2007 (anche a causa dei minori costi della pubblicità digitale) e la cui diffusione sarà pari a 4,3 milioni di lettori rispetto ai 4,6 attuali. Ad influire sulla riduzione dei ricavi sarà anche la forte diffusione della free press, a causa della quale la spesa annua per i giornali passerà da 172 Euro circa del 2009 ai 182 Euro nel 2014.

Certo il 56% degli italiani legge ancora i giornali almeno una volta a settimana e sono 3 milioni gli italiani che d’abitudine acquistano giornalmente il proprio giornale preferito, ma per entrambi i fronti, lettori ed editori, sempre più forte è l’attrazione suscitata dalle edizioni digitali.

Sarà necessario, quindi, per il settore editoriale, modificare gli attuali modelli di business per renderli capaci di sfruttare pienamente lo sviluppo della banda larga e l’arrivo di iPad o dispositivi simili, i quali permettono un aumento dei ricavi tramite abbonamenti e vendita di spazi pubblicitari a colori e di qualità agli inserzionisti.

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