Ecosistema media Italia: personalizzazione e integrazione

La televisione e la radio si confermano i media più diffusi, ma mutano le esperienze fruitive, che sempre più vedono protagonisti il Web e il mobile. Decolla la “app economy”, boom di rete e piattaforme social, segno meno per la carta stampata, positivo l’andamento degli e-book
Personalizzazione e integrazione. Sembrano essere queste le parole d’ordine nell’evoluzione del panorama mediatico italiano. L’individuo si pone sempre più al centro delle proprie prassi fruitive, rafforza la propria presenza in qualità di lettore, telespettatore e radioascoltatore e si fa contenuto egli stesso. Declinazione 2.0 del Web, crescita esponenziale del social networking, miniaturizzazione dei dispositivi hardware, proliferazione delle connessioni mobile e delle applicazioni: sono alcuni dei fattori che hanno imposto la centralità dell’io nell’attuale modo di intendere i media. Un io che si fa al tempo stesso soggetto e oggetto delle sempre più complesse logiche comunicative. A ciò si aggiunge una progressiva commistione tra le funzionalità di mezzi di divulgazione un tempo considerati unici e indivisibili.
L’istituto di ricerca Censis ha rilasciato pochi giorni fa il suo 46esimo “Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, relativo all’anno in corso. Nato come strumento di analisi e interpretazione di fenomeni, processi, tensioni e bisogni sociali emergenti, lo studio ha inteso approfondire, tra gli altri, proprio il settore media e comunicazione, tracciandone la fisionomia, le criticità e le prospettive, in un contesto teso tra crisi e spiragli di innovazione.
Gli utenti italiani dei media, ad uno sguardo generale, sembrano essere un po’ degli “Esploratori, per dirla con una delle tipizzazioni scelte da Jean Marie Floch per il suo noto studio sui percorsi effettuati dai viaggiatori della metropolitana. Il semiologia francese (tra i primi a sperimentare un approccio socio-semiotico allo studio dei comportamenti di consumo e dei processi comunicativo-pubblicitari) definisce gli Esploratori come coloro che valorizzano la discontinuità, che ricercano e apprezzano i “percorsi” discontinui, le variazioni, rimanendo comunque attaccati a dei valori di riferimento, preferendo cioè ritrovare quanto già conoscono piuttosto che scoprire qualcosa di completamente nuovo.
I dati Censis sui consumi mediatici degli italiani nel 2012 evidenziano, allora, come gli unici mezzi di comunicazione capaci di riscuotere un successo crescente e di incrementare la propria utenza di riferimento siano proprio quelli che sostanzialmente integrano le funzioni dei vecchi media in una rinnovata dimensione Web. Si pensi, ad esempio, agli smartphone, frutto di un connubio tra il classico telefono e le potenzialità aggiuntive del Web, o ai tablet, che uniscono, in un’unica esperienza percettiva, la tradizionale visione a schermo da TV, la lettura di libri e giornali, la visualizzazione da PC e la navigazione in rete.
Regina incontrastata tra i media continua a essere la televisione, con un pubblico di utenti che sostanzialmente coincide con la totalità della popolazione (il 98,3%, con un incremento dello 0,9% nell’utenza complessiva rispetto al 2011). Cambiano tuttavia le modalità scelte per guardare la TV, il telespettatore diventa sempre più protagonista dell’esperienza percettiva, creando spesso palinsesti totalmente personalizzati: si consolida il successo delle TV satellitari (+1,6% di utenza), si diffondono le mobile TV (+1,6%) e le Web TV (+1,2%).
La crescita di queste ultime, nonostante i forti ritardi infrastrutturali presenti nel territorio nazionale, è del resto confermata da numerose stime, come quelle costantemente prodotte e diffuse dall’Osservatorio Altratv.tv, che vedono il Belpaese al sesto posto, a livello europeo, per consumo di questo tipo di contenuti, con 642 Web TV attive. In una recente indagine, realizzata in collaborazione con la Fondazione Rosselli, l’osservatorio ha previsto che i servizi video in rete frutteranno, entro il 2012, ben l’8% del fatturato totale della televisione, percentuale che, entro il 2020, dovrebbe salire addirittura al 10%. Questo grazie soprattutto ai forti investimenti nel settore da parte dei grandi player mondiali.
Il percorso verso la personalizzazione del consumo diventa ancor più rapido se si considera il solo segmento più giovane della popolazione: ci dice il Censis che oggi un quarto degli italiani collegati alla rete (il 24,2%) ha l’abitudine di guardare i programmi dai siti Web delle emittenti televisive e il 42,4% cerca tali programmi su YouTube (o altri siti simili), per ritagliare un’esperienza totalmente su misura; tra gli internauti 14-29enni, tali percentuali salgono, allora, rispettivamente al 35,3% e al 56,6%.
Anche la radio rimane un mezzo a larghissima diffusione, raggiungendo l’83,9% della popolazione, con un tasso di crescita del 3,7% rispetto al 2011. Anche in questo caso a risultare vincente è la commistione tra esperienze percettive un tempo separate: a fronte di un calo di 2,7 punti percentuali nel consumo di radio tradizionale e di 1,7 punti percentuali nell’utilizzo di un mezzo digitale di prima generazione come il lettore portatile di file MP3, si rileva un incremento del 2,3% tra coloro che ascoltano la radio via Web tramite il PC (il 10,1% della popolazione) e dell’1,4% tra coloro che la ascoltano per mezzo dei cellulari (il 9,8% della popolazione).
Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai da 8 italiani su 10) aumentano ulteriormente la propria utenza complessiva (+2,3% sul 2011), venendo utilizzati ormai da 8 italiani su 10 (81,8%), anche grazie agli smartphone (+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata dal 15% del 2009 al 27,7% del 2012.
È ancora la fascia dei 14-29enni a innalzare la media di diffusione degli smartphone (54,8%) e pure quella dei tablet (13,1%, contro il 7,8% riferito alla media nazionale). È di certo un’utenza ancora di nicchia quella dei tablet, tuttavia si notano interessanti trend e margini di crescita.
Nel primo semestre 2012 il traffico dati registrato sulle carte SIM è cresciuto del 12,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente; si contano ben 21 milioni di schede che effettuano traffico dati e il volume medio prodotto da ciascuna di esse è del 21% in più rispetto al 2011.
Decolla di conseguenza la cosiddetta “App Economy”: nell’ultimo anno il 37,5% di chi usa smartphone o tablet ha scaricato applicazioni e il 16,4% ha dichiarato di averlo fatto spesso (il restante 21% qualche volta). Tra le molteplici funzionalità messe a disposizione da questo ecosistema digitale, le più apprezzate sembrano essere quelle riferite alla dimensione ludica: in cima alla classifica delle app più scaricate figurano i giochi (ricercati dal 63,8% di chi ha scaricato applicazioni). Seguono informazioni meteo (33,3%), informazioni stradali (32,5%) – con un utilizzo prevalente da parte del pubblico maschile (40,6%) rispetto a quello femminile (21,5%) – e mondo della condivisione e dei social network (27,4%). Il download di applicazioni per le news interessa il 25,8% della popolazione di riferimento, soprattutto uomini (29,5%), 45-64enni (30,7%) e più istruiti (31,3%). Il 23,8% ha scelto app multimediali, il 23,2% app per telefonare e inviare messaggi istantanei via Internet, infine il 16,2% ha preferito scaricare app relative al settore trasporti, turismo e viaggi.
Il mezzo che complessivamente registra nel 2012 il tasso di crescita maggiore sul 2011 è Internet (+9%), con una penetrazione che passa dal 53,1% al 62,1% (e che solo dieci anni fa, nel 2002, era pari al 27,8% della popolazione). Il dato sale notevolmente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%).
Continua parallelamente la crescita dei network sociali: il 66,6% delle persone che hanno accesso a Internet risulta iscritto a Facebook (lo scorso anno la stima era del 49%), pari al 41,3% dell’intera popolazione e al 79,7% dei giovani tra i 14 e i 29 anni. YouTube, che nel 2011 raggiungeva un tasso di diffusione pari al 54,5% delle persone con accesso alla rete, arriva ora al 61,7% (cioè al 38,3% della popolazione complessiva). Messenger raggiunge il 14% dell’utenza Web (9,2% del totale), Twitter l’8,8% (5,4% del totale).
Segno meno anche quest’anno per la carta stampata: i lettori di quotidiani registrano un -2,3% rispetto al 2011 e passano da un tasso di diffusione del 67% nel 2007 a una penetrazione che coinvolge il 45,5% degli italiani. Per contro, guadagnano quote i quotidiani online (+2,1% sul 2011), arrivando al 20,3%. Perdono lettori anche free press (-11,8%, con una penetrazione pari al 25,7% della popolazione), i settimanali (-1%, diffusione al 27,5%) e l’editoria libraria (-6,5%, utenza del 49,7%).
Meno della metà degli italiani, insomma, legge almeno un libro all’anno e diminuiscono i cosiddetti “lettori forti” (quelli che di libri ne leggono almeno dieci all’anno), che passano dal 25,6% (su un totale di lettori del 59,4%) di soli cinque anni fa all’attuale 13,5% (dei 49,7% lettori complessivi); crescono di conseguenza i lettori occasionali (che leggono uno o al massimo due libri all’anno), saliti dall’11,2% del 2007 al 41,1% del 2012.
Nella fascia dei più giovani si aggrava l’allontanamento dalla carta stampata, con i lettori di quotidiani fermi al 33,6% (contro il 35% del 2011) e lettori di libri bloccati al 57,9% (contro il 68% del 2011).
Positivo – prosegue il Censis – l’andamento degli e-book, con un +1% che, tuttavia, non si dimostra in grado di invertire lo scenario buio. I lettori abituali (almeno tre e-book letti all’anno) sono appena lo 0,7% della popolazione, ma aumenta il numero di titoli digitali immessi sul mercato dalle case editrici (37.662 a settembre 2012, contro i 19.884 di dicembre 2011) e il 37% delle novità editoriali viene oggi pubblicato anche in versione e-book.
Alcuni tenui segnali di ripresa sono stati, inoltre, di recente individuati da Nielsen, che ha stimato una perdita di 7,5 punti percentuali sui consumi di libri a fine ottobre (pari a 82milioni di euro di spesa in meno): si tratta di una perdita importante, che tuttavia lascia spazio all’ottimismo, se si considera che il mercato registrava un -11,7% a fine marzo e un -8,6% a inizio settembre.
Inizia poi a farsi strada una nuova tendenza, quella del self publishing, cioè l’auto-pubblicazione di libri: secondo l’Aie (Associazione Italiana Editori), nel 2011 sarebbero stati rilasciati 1.924 codici Isbn direttamente ad autori per auto-pubblicazioni e sarebbero circa 40.000 i titoli auto-pubblicati attualmente in catalogo, pari al 5% di tutti i titoli in commercio (dei quali 6.500 sono stimati essere in formato e-book).
A fare da contraltare alla riduzione dei consumi di quotidiani è il successo dei portali Web d’informazione generica (che non fanno cioè riferimento a testate giornalistiche), utilizzati ormai da un terzo degli italiani (il 33% nel 2012); non sarebbe, dunque, il bisogno di informazione a essere diminuito, bensì sarebbero mutate le vie scelte per soddisfare tale bisogno. Gli esperti del Censis parlano di “autoreferenzialità dell’accesso alle fonti di informazioni”, intendendo la deriva alla personalizzazione che ha subito, nel tempo, attraverso la rete, l’esperienza di lettura degli utenti della notizia. Il rischio è, allora, che il Web diventi uno strumento per cercare conferma alle opinioni, ai gusti e alle preferenze che già si possiedono, facendo cadere il mito romantico di un’informazione capace di sollevare la riflessione a prescindere da preconcette convinzioni.
L’intensa diffusione nell’utilizzo del Web e delle piattaforme social ha posto, infine, non poche problematiche in tema di privacy, vista l’immensa quantità di dati e informazioni personali messa – più o meno consapevolmente – a disposizione dagli stessi utenti ogni giorno. Lo studio Censis ha inteso, allora, indagare anche su questo rovescio di medaglia, rilevando come ben il 75,4% di chi accede a Internet ritenga vi sia un rischio concreto di violazione in tal senso. In particolare, il 23,5% teme la registrazione da parte dei motori di ricerca dei propri percorsi di navigazione, il 21,4% si preoccupa della possibile acquisizione e dell’utilizzo a scopi commerciali di proprie informazioni, da parte delle applicazioni utilizzate, il 14,7% teme la geolocalizzazione, la possibilità cioè che alcune applicazioni possano registrare la propria posizione.
Esistono, poste queste premesse, delle soluzioni al problema della riservatezza in rete? Il 54,3% degli italiani ritiene che siano necessarie maggiori tutele, attraverso una normativa più severa che preveda sanzioni e rimozione dei contenuti sgraditi; il 29,3% pensa, al contrario, che sia impossibile garantire la privacy nella virtualità, dove non vi è distinzione tra pubblico e privato; l’8,9% ritiene di poter tranquillamente sacrificare la privacy sull’altare della condivisione e dei benefici che ne derivano; infine un residuale 7,6% crede non ci siano rischi e che le attuali regole a garanzia siano sufficienti.
Pubblicato su: PMI-dome

Web tv, crescono le opportunità di business per le PMI

Nati in forma quasi amatoriale dall’iniziativa di singole personalità, questi canali sembrano essere sempre più strutturati e maturi, offrendo grandi opportunità alle aziende, consentendo investimenti pubblicitari meno onerosi e rivolti ad un pubblico ben mirato

Le nuove tecnologie hanno investito il sistema dei media, rivoluzionandolo grazie alla loro portata innovatrice. La televisione, come tradizionalmente la intendiamo, sembra essere costretta a cedere, un po’ alla volta, quote consistenti del proprio ruolo di regina incontrastata tra i mezzi di comunicazione di massa.
Cambia l’approccio degli utenti al mondo dell’informazione e dell’intrattenimento, sempre più essi scelgono di non essere semplici telespettatori, ma di farsi autori e distributori stessi di contenuti audiovisivi. Muta, di conseguenza, la tradizionale filiera produttiva. L’era digitale ha imposto un’alterazione nelle logiche di partecipazione, si rileva un passaggio dal concetto di mass-media a quello di my-media (o di personal media), dove i “Netizen” (Internet Citizen), ovvero i cittadini digitalizzati, si fanno protagonisti di un nuovo modo di raccontare ciò che accade.
La rete e il mobile diventano vettori privilegiati di contenuti, l’interattività da essi promossa fa saltare i paradigmi tipicamente televisivi della fruizione audiovisiva. Viene abolita l’esclusività dello schermo televisivo, il cui consumo si ibrida con altri schermi frutto dell’innovazione tecnologica, dove si evolvono i linguaggi, dove è possibile un’interazione maggiore, dove vince la crossmedialità.
Gli utenti assumono ora il ruolo di “Prosumer”, vale a dire consumatori che allo stesso tempo producono comunicazione personalizzata. Il moltiplicarsi delle web tv permette lo sviluppo di un’informazione più pertinente e partecipata, percepita in primis come bene comune, come mezzo per lasciare un’impronta geolocalizzata della propria comunità di riferimento.
Per comprendere da vicino le caratteristiche e l’evoluzione recente delle web tv italiane, possiamo avvalerci del Rapporto Netizen 2012, realizzato annualmente (questa è la settima edizione) da Altra Tv, il primo osservatorio italiano interuniversitario sulle micro web tv e sui media locali posizionati in rete. Fondato a Bologna nel 2004 da Giampaolo Colletti su ispirazione di Carlo Freccero, esso oggi coinvolge ricercatori italiani ed esteri che analizzano le evoluzioni del micro citizen journalism e della cittadinanza attiva digitale e si propone come vero e proprio network delle web tv italiane, consentendo la navigazione sulle molte “antenne” attive, attraverso un semplice clic nell’area geografica di interesse. Il rapporto è stato realizzato da un team di giovani ricercatori presieduti da Veronica Fermani, sotto la direzione dello stesso Giampaolo Colletti.
Ciò che ne esce è certo un fenomeno che si fa sempre più articolato e “maturo”, capace di moltiplicare soprattutto le possibilità di business per le imprese, in particolare per quelle medie e piccole.
Andiamo però con ordine. A inizio 2012 l’esercito dei videomaker italiani creatori di web tv – ci dice il Rapporto – ingrossa dell’11% le proprie file, raggiungendo quota 590 unità, distribuite in modo piuttosto omogeneo su tutto il territorio nazionale. Le densità maggiori si evidenziano nel Lazio (102), in Lombardia (85), in Puglia (63) e in Emilia-Romagna (53). Una più recente mappatura da parte dell’osservatorio ha individuato, poi, a termine del primo trimestre 2012, ben 642 web tv attive.
A ben vedere, l’incremento delle micro web tv registrato nel 2012 è stato decisamente inferiore rispetto a quello rilevato nel 2011, pari a +52% sul 2010 (arrivando a contare 533 realtà), tuttavia è a partire da quest’anno che si denotano degli sviluppi di ordine qualitativo, che impongono la classificazione delle web tv italiane come organismi strutturati e dotati di chiari obiettivi.
Esse, nascendo come espressione della cittadinanza attiva digitale “dal basso”, iniziano ora a creare business, diventando delle vere e proprie start up. Questi canali mettono in discussione la supremazia delle tv locali sull’informazione del luogo, divulgando in forma pressoché permanente notizie relative a cronaca e ad eventi del territorio (33%), valorizzando lo stesso (25%), realizzando inchieste che denunciano situazioni particolari (15%) e creando un filo diretto tra cittadini e istituzioni (il 7% ha rubriche specifiche).
Diminuiscono, rispetto al 2011, le realtà che attingono ai finanziamenti della Pubblica Amministrazione (si attestano ora sul 12%), tuttavia sembrano migliorare i rapporti con la stessa, dato che il 61% delle web tv sottolinea la propria riconoscenza e collaborazione in tal senso (contro il 34% dello scorso anno).
Il dato forse più interessante riguarda però il netto incremento nei rapporti commerciali con le piccole e medie imprese del territorio. L’80% delle web tv intrattiene, infatti, con esse rapporti di business, realizzando video su commessa (24%) o producendo pubblicità con pre-roll o banner (32%). Puntando su investimenti certamente meno onerosi rispetto a quelli richiesti dalle emittenti TV classiche, le piccole realtà imprenditoriali possono contare, infatti, su bacini di utenza spesso molto ampi, il più delle volte caratterizzati su base territoriale o tematica, dunque maggiormente il linea con la propria mission aziendale.
Diminuiscono parallelamente le web tv che vivono di donazioni o risorse degli stessi ideatori (56%, meno della metà rispetto all’ultimo monitoraggio). Più business, dunque, con squadre sempre più numerose (il 19% ha una un team compreso tra i 6 e i 10 collaboratori) e mature (il 53% di chi vi lavora ha un’età compresa tra i 31 e i 40 anni, solo il 5% sono net-nativi).
Abbiamo già visto come AssoComunicazione, nel suo annuale studio “Comunicare Domani”, condotto su 133 imprese di comunicazione operanti in territorio italiano, abbia rilevato l’importanza sempre maggiore del Video Advertising online, prevedendo un esponenziale aumento (pari al +93%) degli investimenti (stimati in 88 milioni di euro) ad esso destinati nel 2012. Nel corso dello Iab Seminar 2012tenutosi lo scorso 28 giugno a Milano, Fabiano Lazzarini (General Manager di IAB Italia) ha presentato le cifre del fenomeno, sempre riferite al contesto italiano: sarebbero 48 milioni gli euro investiti nel 2011 nel Video Adv, cifra che rappresenta il 10,5% della pubblicità display, pari a 455,6 milioni di euro, e nel 2012 si prevede un aumento degli investimenti pari all’85%, raggiungendo gli 89 milioni di euro (stime leggermente diverse rispetto a quelle di AssoComunicazione, ma le conclusioni cui conducono son le stesse). Il cambiamento dei modelli di consumo dei media ha imposto, quindi, una radicale modifica anche alla pianificazione pubblicitaria: il 2,5% degli investimenti pubblicitari – ha riferito ancora Lazzarini – pare si stia spostando dalla TV al Video Online. Quest’ultimo sembra, infatti, creare nuove opportunità per i diversi attori coinvolti nella filiera pubblicitaria: i creativi, ad esempio, possono realizzare campagne che viaggiano in rete al di là dei vincoli spazio-temporali e le aziende possono diventare fornitrici di contenuti liquidi che gli utenti si scambiano, manipolano e modificano per creare nuovi originali spunti.
All’interno del fenomeno del Video Adv, sembrano, allora, farsi sempre più spazio le piattaforme di micro web tv, le quali, nate spesso per caso o come frutto della passione di singole personalità, si stanno trasformando in vere e proprie realtà imprenditoriali, che utilizzano apparecchiature tecniche professionali (69%), che vengono aggiornate quotidianamente (53%, contro il 39% nel 2010) e che vedono aumentare continuamente gli accessi (il 30% delle web tv dichiara accessi compresi tra i 7.000 e i 10.000 contatti unici al mense, contro il 20% dell’anno precedente, il 28% arriva addirittura a superare i 10.000 accessi).
Aumenta anche l’indipendenza dal piccolo schermo: se all’inizio i format confezionati erano per lo più mutuati da quelli tipicamente televisivi, oggi i servizi giornalistici e i tg rappresentano soltanto il 10% della proposta audiovisiva, lasciando il posto a interviste (25%) e rubriche di vario genere (16%). Gli argomenti di cui ci si occupa sono cultura (per il 57%), sport (36%), turismo (34%), politica (31%) e cronaca (26%).
Molte sono poi le novità del momento: innanzitutto la trasmissione in live streaming (19%), usata primariamente per specifici eventi territoriali, e le web series, sperimentate dall’8% delle piattaforme. Crescono, poi, i canali verticali (il 36%, contro il 26% dello scorso monitoraggio). Sempre più si creano forme di integrazione con le piattaforme di videosharing, soprattutto YouTube (adottata come business partner per il 72%, contro il 60% dell’anno prima) e Vimeo (11%). Sempre più, inoltre, si adottano i social network (8 canali su 10): l’82% delle antenne è su Facebook (il 70% di esse sfiora i 5.000 fan con la propria pagina), il 46% su Twitter e il 37% ha attivato un account su Foursquare e lo utilizza per fare marketing territoriale (contro il 12% dello scorso monitoraggio). Per contro si utilizzano poco delle tecniche precise per misurare l’efficacia di questa presenza sui social: solo il 16% adotta monitoraggi qualitativi della conversazione in rete, il 62% effettua esclusivamente valutazioni quantitative e il 22% non realizza alcun monitoraggio.
Emerge, infine, una crescita esponenziale nella distribuzione multipiattaforma, rivolta in particolare ai devices mobili (preferiti dal 45%, seguiti dal digitale terrestre, con il 39%): le applicazioni per smartphone e tablet sono adottate dal 40% dei canali ed esse verranno presto implementare dal 56% degli stessi. Nel 14% dei casi i download superano le 1.000 unità, tuttavia, anche in questo caso, scarseggia il monitoraggio, considerando che il 63% non effettua tracciabilità dei download e soltanto il 3% applica “offerte pay” o “freemium”.
Insomma la tv del futuro sarà online, sviluppata da micro-editori digitali. Oggi, complici l’abbattimento dei costi del digitale e la maggiore alfabetizzazione verso le nuove tecnologie, si moltiplicano le esperienze di questo tipo, con un fatturato complessivo stimato in 10 milioni di euro, per 10 mila circa addetti, tra operatori diretti e indiretti (in realtà pare che ciò sia dovuto in parte anche alla riconversione professionale dei lavoratori di alcune emittenti locali, costrette alla chiusura in seguito all’introduzione del digitale)..
Da un po’ di tempo gli stessi analisti di Google scommettono sul fatto che, entro il prossimo decennio, il 75% di tutti i canali tv sarà creato sul web. YouTube stesso (giusto per citare l’esempio più noto) pare aver ormai mutato la propria natura, distanziandosi dall’essere sinonimo di “video virali” user generated, dalla qualità piuttosto bassa e da condividere sulla rete, facendosi piuttosto nuovo centro di produzione e distribuzione per veri e propri programmi tv e, di conseguenza, per la raccolta pubblicitaria. L’intenso consumo di video online ha di recente spinto Robert Kyncl (lo stratega di Youtube, responsabile globale per i contenuti) ad annunciare un investimento di ben 200 milioni di dollari nella promozione di 100 nuovi canali professionali, prodotti tramite partnership con media company e gruppi creativi (http://www.webnews.it/2012/05/04/youtube-200-milioni-per-i-canali-premium/). In questo modo YouTube evidenzia il proprio impegno nella realizzazione di contenuti originali (entro fine luglio si prevede, in particolare, di offrire 25 ore di nuovo materiale al giorno), nella trasformazione in qualcosa di più commerciale. L’attenzione particolare riservata al marketing mira, inoltre, a rendere la propria offerta di spazi pubblicitari ancor più attraente verso gli investitori esterni, dunque in sempre più diretta concorrenza con gli spazi offerti dalla televisione.
La tv tradizionale sta cercando di recuperare le posizioni perse e di rincorrere questa tendenza, moltiplicando la propria offerta in streaming, visibile da pc, tablet o smartphone. Tuttavia c’è da scommettere che la logica alla base del suo tipico funzionamento non potrà che essere, nel prossimo futuro, superata, facendola annoverare tra i “dinosauri” dei media.
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