Web tv, crescono le opportunità di business per le PMI

Nati in forma quasi amatoriale dall’iniziativa di singole personalità, questi canali sembrano essere sempre più strutturati e maturi, offrendo grandi opportunità alle aziende, consentendo investimenti pubblicitari meno onerosi e rivolti ad un pubblico ben mirato

Le nuove tecnologie hanno investito il sistema dei media, rivoluzionandolo grazie alla loro portata innovatrice. La televisione, come tradizionalmente la intendiamo, sembra essere costretta a cedere, un po’ alla volta, quote consistenti del proprio ruolo di regina incontrastata tra i mezzi di comunicazione di massa.
Cambia l’approccio degli utenti al mondo dell’informazione e dell’intrattenimento, sempre più essi scelgono di non essere semplici telespettatori, ma di farsi autori e distributori stessi di contenuti audiovisivi. Muta, di conseguenza, la tradizionale filiera produttiva. L’era digitale ha imposto un’alterazione nelle logiche di partecipazione, si rileva un passaggio dal concetto di mass-media a quello di my-media (o di personal media), dove i “Netizen” (Internet Citizen), ovvero i cittadini digitalizzati, si fanno protagonisti di un nuovo modo di raccontare ciò che accade.
La rete e il mobile diventano vettori privilegiati di contenuti, l’interattività da essi promossa fa saltare i paradigmi tipicamente televisivi della fruizione audiovisiva. Viene abolita l’esclusività dello schermo televisivo, il cui consumo si ibrida con altri schermi frutto dell’innovazione tecnologica, dove si evolvono i linguaggi, dove è possibile un’interazione maggiore, dove vince la crossmedialità.
Gli utenti assumono ora il ruolo di “Prosumer”, vale a dire consumatori che allo stesso tempo producono comunicazione personalizzata. Il moltiplicarsi delle web tv permette lo sviluppo di un’informazione più pertinente e partecipata, percepita in primis come bene comune, come mezzo per lasciare un’impronta geolocalizzata della propria comunità di riferimento.
Per comprendere da vicino le caratteristiche e l’evoluzione recente delle web tv italiane, possiamo avvalerci del Rapporto Netizen 2012, realizzato annualmente (questa è la settima edizione) da Altra Tv, il primo osservatorio italiano interuniversitario sulle micro web tv e sui media locali posizionati in rete. Fondato a Bologna nel 2004 da Giampaolo Colletti su ispirazione di Carlo Freccero, esso oggi coinvolge ricercatori italiani ed esteri che analizzano le evoluzioni del micro citizen journalism e della cittadinanza attiva digitale e si propone come vero e proprio network delle web tv italiane, consentendo la navigazione sulle molte “antenne” attive, attraverso un semplice clic nell’area geografica di interesse. Il rapporto è stato realizzato da un team di giovani ricercatori presieduti da Veronica Fermani, sotto la direzione dello stesso Giampaolo Colletti.
Ciò che ne esce è certo un fenomeno che si fa sempre più articolato e “maturo”, capace di moltiplicare soprattutto le possibilità di business per le imprese, in particolare per quelle medie e piccole.
Andiamo però con ordine. A inizio 2012 l’esercito dei videomaker italiani creatori di web tv – ci dice il Rapporto – ingrossa dell’11% le proprie file, raggiungendo quota 590 unità, distribuite in modo piuttosto omogeneo su tutto il territorio nazionale. Le densità maggiori si evidenziano nel Lazio (102), in Lombardia (85), in Puglia (63) e in Emilia-Romagna (53). Una più recente mappatura da parte dell’osservatorio ha individuato, poi, a termine del primo trimestre 2012, ben 642 web tv attive.
A ben vedere, l’incremento delle micro web tv registrato nel 2012 è stato decisamente inferiore rispetto a quello rilevato nel 2011, pari a +52% sul 2010 (arrivando a contare 533 realtà), tuttavia è a partire da quest’anno che si denotano degli sviluppi di ordine qualitativo, che impongono la classificazione delle web tv italiane come organismi strutturati e dotati di chiari obiettivi.
Esse, nascendo come espressione della cittadinanza attiva digitale “dal basso”, iniziano ora a creare business, diventando delle vere e proprie start up. Questi canali mettono in discussione la supremazia delle tv locali sull’informazione del luogo, divulgando in forma pressoché permanente notizie relative a cronaca e ad eventi del territorio (33%), valorizzando lo stesso (25%), realizzando inchieste che denunciano situazioni particolari (15%) e creando un filo diretto tra cittadini e istituzioni (il 7% ha rubriche specifiche).
Diminuiscono, rispetto al 2011, le realtà che attingono ai finanziamenti della Pubblica Amministrazione (si attestano ora sul 12%), tuttavia sembrano migliorare i rapporti con la stessa, dato che il 61% delle web tv sottolinea la propria riconoscenza e collaborazione in tal senso (contro il 34% dello scorso anno).
Il dato forse più interessante riguarda però il netto incremento nei rapporti commerciali con le piccole e medie imprese del territorio. L’80% delle web tv intrattiene, infatti, con esse rapporti di business, realizzando video su commessa (24%) o producendo pubblicità con pre-roll o banner (32%). Puntando su investimenti certamente meno onerosi rispetto a quelli richiesti dalle emittenti TV classiche, le piccole realtà imprenditoriali possono contare, infatti, su bacini di utenza spesso molto ampi, il più delle volte caratterizzati su base territoriale o tematica, dunque maggiormente il linea con la propria mission aziendale.
Diminuiscono parallelamente le web tv che vivono di donazioni o risorse degli stessi ideatori (56%, meno della metà rispetto all’ultimo monitoraggio). Più business, dunque, con squadre sempre più numerose (il 19% ha una un team compreso tra i 6 e i 10 collaboratori) e mature (il 53% di chi vi lavora ha un’età compresa tra i 31 e i 40 anni, solo il 5% sono net-nativi).
Abbiamo già visto come AssoComunicazione, nel suo annuale studio “Comunicare Domani”, condotto su 133 imprese di comunicazione operanti in territorio italiano, abbia rilevato l’importanza sempre maggiore del Video Advertising online, prevedendo un esponenziale aumento (pari al +93%) degli investimenti (stimati in 88 milioni di euro) ad esso destinati nel 2012. Nel corso dello Iab Seminar 2012tenutosi lo scorso 28 giugno a Milano, Fabiano Lazzarini (General Manager di IAB Italia) ha presentato le cifre del fenomeno, sempre riferite al contesto italiano: sarebbero 48 milioni gli euro investiti nel 2011 nel Video Adv, cifra che rappresenta il 10,5% della pubblicità display, pari a 455,6 milioni di euro, e nel 2012 si prevede un aumento degli investimenti pari all’85%, raggiungendo gli 89 milioni di euro (stime leggermente diverse rispetto a quelle di AssoComunicazione, ma le conclusioni cui conducono son le stesse). Il cambiamento dei modelli di consumo dei media ha imposto, quindi, una radicale modifica anche alla pianificazione pubblicitaria: il 2,5% degli investimenti pubblicitari – ha riferito ancora Lazzarini – pare si stia spostando dalla TV al Video Online. Quest’ultimo sembra, infatti, creare nuove opportunità per i diversi attori coinvolti nella filiera pubblicitaria: i creativi, ad esempio, possono realizzare campagne che viaggiano in rete al di là dei vincoli spazio-temporali e le aziende possono diventare fornitrici di contenuti liquidi che gli utenti si scambiano, manipolano e modificano per creare nuovi originali spunti.
All’interno del fenomeno del Video Adv, sembrano, allora, farsi sempre più spazio le piattaforme di micro web tv, le quali, nate spesso per caso o come frutto della passione di singole personalità, si stanno trasformando in vere e proprie realtà imprenditoriali, che utilizzano apparecchiature tecniche professionali (69%), che vengono aggiornate quotidianamente (53%, contro il 39% nel 2010) e che vedono aumentare continuamente gli accessi (il 30% delle web tv dichiara accessi compresi tra i 7.000 e i 10.000 contatti unici al mense, contro il 20% dell’anno precedente, il 28% arriva addirittura a superare i 10.000 accessi).
Aumenta anche l’indipendenza dal piccolo schermo: se all’inizio i format confezionati erano per lo più mutuati da quelli tipicamente televisivi, oggi i servizi giornalistici e i tg rappresentano soltanto il 10% della proposta audiovisiva, lasciando il posto a interviste (25%) e rubriche di vario genere (16%). Gli argomenti di cui ci si occupa sono cultura (per il 57%), sport (36%), turismo (34%), politica (31%) e cronaca (26%).
Molte sono poi le novità del momento: innanzitutto la trasmissione in live streaming (19%), usata primariamente per specifici eventi territoriali, e le web series, sperimentate dall’8% delle piattaforme. Crescono, poi, i canali verticali (il 36%, contro il 26% dello scorso monitoraggio). Sempre più si creano forme di integrazione con le piattaforme di videosharing, soprattutto YouTube (adottata come business partner per il 72%, contro il 60% dell’anno prima) e Vimeo (11%). Sempre più, inoltre, si adottano i social network (8 canali su 10): l’82% delle antenne è su Facebook (il 70% di esse sfiora i 5.000 fan con la propria pagina), il 46% su Twitter e il 37% ha attivato un account su Foursquare e lo utilizza per fare marketing territoriale (contro il 12% dello scorso monitoraggio). Per contro si utilizzano poco delle tecniche precise per misurare l’efficacia di questa presenza sui social: solo il 16% adotta monitoraggi qualitativi della conversazione in rete, il 62% effettua esclusivamente valutazioni quantitative e il 22% non realizza alcun monitoraggio.
Emerge, infine, una crescita esponenziale nella distribuzione multipiattaforma, rivolta in particolare ai devices mobili (preferiti dal 45%, seguiti dal digitale terrestre, con il 39%): le applicazioni per smartphone e tablet sono adottate dal 40% dei canali ed esse verranno presto implementare dal 56% degli stessi. Nel 14% dei casi i download superano le 1.000 unità, tuttavia, anche in questo caso, scarseggia il monitoraggio, considerando che il 63% non effettua tracciabilità dei download e soltanto il 3% applica “offerte pay” o “freemium”.
Insomma la tv del futuro sarà online, sviluppata da micro-editori digitali. Oggi, complici l’abbattimento dei costi del digitale e la maggiore alfabetizzazione verso le nuove tecnologie, si moltiplicano le esperienze di questo tipo, con un fatturato complessivo stimato in 10 milioni di euro, per 10 mila circa addetti, tra operatori diretti e indiretti (in realtà pare che ciò sia dovuto in parte anche alla riconversione professionale dei lavoratori di alcune emittenti locali, costrette alla chiusura in seguito all’introduzione del digitale)..
Da un po’ di tempo gli stessi analisti di Google scommettono sul fatto che, entro il prossimo decennio, il 75% di tutti i canali tv sarà creato sul web. YouTube stesso (giusto per citare l’esempio più noto) pare aver ormai mutato la propria natura, distanziandosi dall’essere sinonimo di “video virali” user generated, dalla qualità piuttosto bassa e da condividere sulla rete, facendosi piuttosto nuovo centro di produzione e distribuzione per veri e propri programmi tv e, di conseguenza, per la raccolta pubblicitaria. L’intenso consumo di video online ha di recente spinto Robert Kyncl (lo stratega di Youtube, responsabile globale per i contenuti) ad annunciare un investimento di ben 200 milioni di dollari nella promozione di 100 nuovi canali professionali, prodotti tramite partnership con media company e gruppi creativi (http://www.webnews.it/2012/05/04/youtube-200-milioni-per-i-canali-premium/). In questo modo YouTube evidenzia il proprio impegno nella realizzazione di contenuti originali (entro fine luglio si prevede, in particolare, di offrire 25 ore di nuovo materiale al giorno), nella trasformazione in qualcosa di più commerciale. L’attenzione particolare riservata al marketing mira, inoltre, a rendere la propria offerta di spazi pubblicitari ancor più attraente verso gli investitori esterni, dunque in sempre più diretta concorrenza con gli spazi offerti dalla televisione.
La tv tradizionale sta cercando di recuperare le posizioni perse e di rincorrere questa tendenza, moltiplicando la propria offerta in streaming, visibile da pc, tablet o smartphone. Tuttavia c’è da scommettere che la logica alla base del suo tipico funzionamento non potrà che essere, nel prossimo futuro, superata, facendola annoverare tra i “dinosauri” dei media.
Pubblicato su: PMI-dome
Pubblicità

Investimenti pubblicitari: boom per il digitale

Secondo lo studio “Comunicare Domani” curato da AssoComunicazione, il settore starebbe subendo un momento di crisi generale, con la previsione di un 2012 in chiusura al -7% nella raccolta. Crescono per contro le formule più innovative, in testa il Video Adv
La convergenza al digitale ha imposto agli utenti, sempre più evoluti, una necessaria riformulazione nei modelli fruitivi di contenuti e informazioni. La rete diventa sempre più un canale preferenziale per il consumo di quanto veicolato un tempo da altri media più tradizionali. Mutano le pratiche di lettura, mutano le esperienze e le percezioni. Mutano, di conseguenza, anche i comportamenti di quanti, tra tutti i media resi disponibili dallo sviluppo tecnologico, devono scegliere quali e in quale formula veicolare il proprio messaggio promozionale, il proprio credo aziendale.
AssoComunicazione (l’associazione che riunisce le imprese operanti nel campo della consulenza di comunicazione), ha presentato lo scorso venerdì a Milano i risultati del suo annuale studio “Comunicare Domani”: condotto su 133 attività di comunicazione operanti in territorio italiano, esso ha inteso delineare un quadro generale relativo agli investimenti in ambito pubblicitario, alle evoluzioni e ai nuovi scenari che si stanno affacciando in questo ambito.
Il dato generale è di un settore in crisi, che prevede di chiudere il 2012 con una contrazione di circa 7 punti percentuali nella raccolta pubblicitaria (per un valore di 8.650 milioni di euro, la cifra più bassa dell’ultimo decennio).
All’interno di tale trend negativo pare, tuttavia, sia possibile rilevare un andamento dal segno opposto, con riferimento al digitale: gli investitori sembrano, infatti, essere sempre meno interessati ai media tradizionali, a favore delle nuove opportunità digitali (TV Sat e Digitale terrestre, Internet, Video Outdoor). Per queste ultime le previsioni parlano di un 2012 in chiusura positiva addirittura in doppia cifra (+12,7%), con il 15,1% degli investimenti totali ad esse destinate (pari a ben 1.309 milioni di euro): i settori trainanti si confermano Automotive e Finanza-Assicurazioni, ma si registra un forte incremento anche per il comparto Alimentare.
Crescono con la stessa intensità Web/Display Advertising (spazi pubblicitari a pagamento) e Email, da una parte, Search advertising Classified/Directories (pubblicità per categorie) dall’altra, facendo segnare entrambe le formule un +13%: sulla prima le aziende investiranno, nel 2012, 545 milioni di euro, sulla secondo 681 milioni.
Un fenomeno destinato a diventare protagonista nel prossimo futuro è poi il Video Advertising, che registrerà nel 2012 un’esponenziale aumento degli investimenti, pari al +93%, pur restando in termini assoluti ancora su cifre limitate (le stime parlano di 88 milioni di euro di investimenti).
La potenza di questo nuovo mezzo è stata del resto rilevata a gran voce nel corso dello Iab Seminar 2012, l’evento tenutosi il 28 giugno scorso a Milano, che ha focalizzato quest’anno la propria attenzione proprio sul tema del Video Advertising. Nella sua presentazione, Fabiano Lazzarini, General Manager di IAB Italia, ha evidenziato come, a fronte di un cambiamento dei modelli di consumo dei media, anche la pianificazione pubblicitaria stia modificando i propri confini. Ad oggi, ha riportato, il 2,5% degli investimenti pubblicitari si sta spostando dalla TV al Video Online, mezzo che permette di pianificare seguendo logiche simili a quello che è da sempre il media preferito dagli italiani. A ciò si aggiunge il fatto che esso offre numerose opportunità ai diversi attori coinvolti nella filiera pubblicitaria: i creativi, ad esempio, possono realizzare campagne che viaggiano in rete al di là dei vincoli spazio-temporali e le aziende possono diventare fornitrici di contenuti e raccontare storie che gli utenti si scambiano, manipolano e modificano per creare nuovi originali spunti. Il Video Adv rappresenta, allora, oggi – secondo Lazzarini – il 10,5% della pubblicità display, pari a 455,6 milioni di euro, e nel 2012 egli prevede un aumento degli investimenti pari all’85%, raggiungendo gli 89 milioni di euro (si tratta di stime leggermente diverse rispetto a quelle riportate da AssoComunicazione, ma la sostanza rimane invariata).
In aumento, malgrado rimanga ancora poco utilizzato, è anche il Mobile Adv (8%), con 38 milioni di euro che dovrebbero essere elargiti dagli investitori nel 2012. Segno più anche per la formula Performance (pagamento in base alle visualizzazioni), con 46 milioni di euro previsti per l’anno in corso, pari a 8,5 punti percentuali di aumento sul 2011.
Con riferimento alla composizione assoluta degli investimenti pubblicitari nel mezzo digitale, l’indagine Assocomunicazione ci dice che la quota maggioritaria (52%) è occupata da Search advertising e Classified/Directories, seguita da Web/Display Adv e Email (41,6%). La market share per Performance è poi del 3,5%, quella per il Mobile Adv del 2,9%.
E sui canali televisivi?
Il mercato degli investimenti pubblicitari starebbe, dunque, vivendo una profonda trasformazione, fondata sul ridimensionamento della propria portata, a causa della persistente congiuntura economica negativa, e, allo stesso tempo, sulla ridistribuzione delle risorse alla propria base.
Se è vero, infatti, che la televisione continua ad essere, anche nel 2012, il mezzo prediletto dagli investitori italiani, la market share occupata da questo canale sembra essere in calo, passando dal 52% del 2011 al 51% dell’anno in corso. La flessione è conseguenza diretta della contrazione prevista nella raccolta di investimenti, pari a -8,6% (cioè a 4.411 milioni di euro destinati al media).
I due big players del mercato, Rai e Mediaset, vedono una decisa riduzione degli investimenti nei loro canali “tradizionali”, rispettivamente del 12,2% e del 11.2%. Nonostante la buona crescita dei rispettivi canali digitali, sia Rai che Mediaset chiudono, inoltre, in negativo il 2012, con un -10,9% previsto per la RAI (pari a 967 milioni di euro di investimenti) e un -9,6% per Mediaset (pari a 2628 milioni). Continueranno comunque a rappresentare il 38% del totale investimenti pubblicitari.
Secondo le previsioni, La7 e La7D incrementeranno anche nel 2012 la loro raccolta pubblicitaria (+7,9%, pari a 202 milioni di euro), seppur in misura più contenuta rispetto al 2011.
Soffrono, oltre alle TV generaliste, anche quelle locali, segnando un calo di raccolta pari al 51,9%. Per contro, TV Satellitare e Digitale faranno registrare degli andamenti positivi, con quote a loro destinate rispettivamente al +6,4% e al +6,6%. A influire sul dato sono, da una parte, l’abbiamo visto, il processo di convergenza al digitale, che spinge a una crescita dell’audience, dall’altra l’ampliamento dei canali, dunque dell’offerta proposta.
La stampa ancora resiste
Al secondo posto per quota di mercato si posiziona poi ancora la stampa, tuttavia essa continua a subire perdite piuttosto rilevanti di tale quota (canalizza nel 2012 il 22,1% della raccolta, in calo di 11,9 punti percentuali sul 2011). Più in particolare, nel comparto Quotidiani, gli investimenti, pari a 1.153 milioni di euro, sono in continua e forte flessione (-11,5%). Sia il settore FMCG (beni di largo consumo) che gli altri comparti continuano a ridurre, infatti, l’utilizzo di questo mezzo.
Soffre in maniera ancor più netta il settore della free press, facendo segnare perdite a doppia cifra (-43% sulla free press nazionale). A tagliare decisamente gli investimenti, sono anche e soprattutto i settori Finanza/Assicurazioni e GDO, dunque i tradizionali main spender di questo media.
Infine il reparto Periodici, dove la raccolta pubblicitaria si attesta per il 2012 sui 758 milioni, facendo registrare una contrazione sul 2011 di 12,6 punti percentuali, nonostante le molte iniziative editoriali multipiattaforma che coinvolgono i nuovi tablet e devices. Anche il settore Abbigliamento, investitore di primo rilievo per questo mezzo, inizia a disinvestire, facendo segnare un -10% nel primo trimestre 2012.
Si difendono tutti gli altri canali
Al terzo posto per quota di mercato si posiziona poi il digitale (15,1%), al quarto la radio (5,9%). Per quest’ultimo mezzo è prevista una chiusura al -6% nel 2012 (pari a 507 milioni di euro), dato tuttavia positivo, se paragonato al -12% registrato nel 2011. Le posizioni riguadagnate dipendono in larga parte dalle buone performance delle radio commerciali, che passano dal -9% nelle raccolte pubblicitarie del 2011 al -3% del 2012 (pari a 303 milioni di euro), grazie soprattutto a un ampliamento della loro offerta, caratterizzata ora da una più ampia personalizzazione dei progetti e da una comunicazione multipiattaforma. Migliora la situazione anche per le radio locali, che da -19% si collocano nel 2012 a -8,5% (pari a 135 milioni di euro). Peggiorano invece le prestazioni di Radio Rai, che da -9% arriva addirittura -14% (raccolta pari a 70 milioni di euro).
Al quinto posto per market share abbiamo poi il comparto “Esterna” (5,5%), dove continua la flessione degli investimenti pubblicitari, con la previsione di un -14% per il 2012 (pari a 475 milioni di euro). Tutti i comparti “classici” sembrano essere in crisi: -21,7% per i poster (pari a 100 milioni di euro), -12,2% per la dinamica (pari a 87 milioni di euro), -16,2% per le maxiaffissioni (48 milioni) e -14,1% per i circuiti tematici (15 milioni). Segno meno anche per l’arredo urbano (-13,3%, pari a 91 milioni investiti) e gli aeroporti (-9,6%, cioè 76 milioni di euro), mentre registrano performance positive i formati più innovativi come i Video OOH (+8,6%, pari a 22 milioni di euro).
Sesta e ultima posizione per quota di mercato occupata dal cinema (0,4%), dove si assiste ormai da tempo ad una vera e propria emorragia di investimenti, nonostante il rinnovamento del mezzo legato a digitalizzazione, 3D e al recente rilascio al mercato dei software di pianificazione. Si prevede in particolare per il 2012 una chiusura negativa a -25%.
Cambiano dunque, nell’era della multimedialità, le formule adottate dagli investitori per le proprie scelte di advertising, in riflesso al rinnovarsi delle politiche fruitive dell’utente e al mutare dell’approccio che lega questo stesso utente al mezzo. Come dimostra, ad esempio, la ricerca “Interactive Europe”, diffusa l’11 giugno 2012 da Cbs Outdoor Italia, azienda specializzata nel settore dell’advertising out of home, sembra essersi totalmente modificato il modo che il consumatore ha di interagire con la pubblicità. Riferendosi alle campagne pubblicitarie in esterna, i promotori del report rilevano come l’81% degli italiani reagisca ad esse in diversi modi, andando online per cercare ulteriori informazioni sui contenuti pubblicizzati (38%), cliccando “Mi piace” sulla pagina Facebook del marchio (17%) e comprando il prodotto (34%). L’interazione aumenta fino all’85% nel caso degli utilizzatori di smartphone o tablet, confermando il ruolo crescente del mobile, nel dare visibilità ai brand e nel coinvolgimento delle audience, sempre più in movimento.
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