Privacy e Web: la percezione degli utenti

Un’indagine svolta da Human Highway per conto di Diennea MagNews ha indagato sull’effettiva conoscenza e considerazione dei navigatori italiani circa gli strumenti di tracciamento usati nella rete e i rischi in materia di riservatezza dei propri dati

Nel dibattito collettivo riferito alle tendenze sociali registrate nella modernità, ci si ritrova spesso a far riferimento alla figura, piuttosto inquietante, del Grande Fratello orwelliano, che dall’alto osserva, controlla e manipola le nostre stesse esistenze. Nessuno scomodi Alessia Marcuzzi per favore, l’intento della presente riflessione esula dai contenitori televisivi svuotati e coinvolge piuttosto la discussione che circonda il cosiddetto regime del controllo.

Nel dare corso alla nostra quotidianità, compiamo una serie di gesti che, più o meno volontariamente, lasciano delle tracce memorizzabili nei database di molte organizzazioni: parliamo al telefono, paghiamo con carta di credito, accumuliamo punti nella tessera del supermercato, salutiamo divertiti – quando la notiamo – la telecamera di videosorveglianza.
Per non parlare, poi, del web. Ogni attività da noi compiuta nel www rivela qualcosa di noi stessi, delle nostre inclinazioni, dei nostri interessi, delle nostre abitudini, delle nostre reti sociali, in una parola del nostro microuniverso esperienziale. Mentre tracciamo il nostro percorso lungo le infinite vie della rete (chattiamo, scambiamo foto, condividiamo dati personali e stati d’animo, realizziamo delle ricerche…), segniamo una serie di manifestazioni della nostra personalità che nel loro insieme vanno a costruire la nostra identità virtuale.

Questa cosa – tanto più vera nell’epoca dei molti network sociali e seppur apparentemente ovvia e banale – implica, in realtà, una serie di conseguenze che devono essere prese in seria considerazione e che hanno portano a non poche difficoltà nella ricerca di una regolamentazione giuridica equa della rete, capace, da un lato, di consentire l’acquisizione e il trattamento dei dati riferiti alle attività svolte in rete (spesso essenziali per la repressione e la prevenzione di comportamenti illeciti) e, dall’altro lato, di non comprimere il valore fondamentale della segretezza nelle comunicazioni (art. 15 della Costituzione italiana).

La particolare natura del dato informativo relativo al traffico generato dall’utente è in grado di documentare in modo oggettivo il fatto che determinati episodi sono avvenuti in un determinato arco temporale, a partire da determinati luoghi, manifestando determinati effetti.

Come reagiscono, allora, gli utenti ad una simile consapevolezza? E ancor prima: tale consapevolezza può dirsi realmente generalizzata? A quale livello si colloca la conoscenza degli strumenti di tracciamento e come ci si tutela da essi?
A queste e ad altre domande ha cercato di dare risposta il report 2011 “Privacy & Permission Marketing online”, con riferimento al contesto italiano: nel mese di settembre 2011 MagNews – “uno dei principali player dell’email marketing in Italia” e “core business di Diennea, azienda leader nella creazione di tecnologie per la comunicazione e il marketing” – ha commissionato a Human Highway un lavoro di ricerca con l’intento di “descrivere l’attuale percezione da parte dell’utenza internet italiana delle tematiche relative alla tutela della privacy nel Web e ai sistemi di profilazione e riconoscimento personale che sono comunemente utilizzati online”.

In seguito all’invio, tramite mail, dell’invito a partecipare, rivolto alle 2.765 persone appartenenti al panel OpLine di Human Highway, sono entrati a far parte del campione di riferimento 1.018 casi utili, rappresentativi della popolazione italiana con almeno 15 anni di età e con una frequenza di navigazione in rete non inferiore ad una volta la settimana (popolazione stimata in circa 26 milioni di individui).

Sulla base delle informazioni rese disponibili dalla Ricerca di Base condotta a giugno 2011 da Human Highway su 2.000 casi CATI per descrivere l’universo Internet italiano, una prima preliminare analisi rivela un tasso generale di penetrazione della rete in Italia pari al 50% della popolazione, percentuale che si innalza al 91% se si considerano le sole persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, salvo ridimensionarsi al 68% per i 25-34enni e al 66% per i 35-44enni. In conformità con questa stessa Ricerca di Base il campione di partenza è stato suddiviso per sesso, età (cinque fasce) e area geografica di appartenenza.
Stando al Report, il grado di preoccupazione in merito al tracciamento dei propri comportamenti divide la popolazione italiana in tre gruppi principali, di dimensione simile ma con predisposizione diversa, confermando sostanzialmente i dati rilevati in una ricerca simile riferita al 2009: il 38% degli intervistati non sa se essere o meno preoccupato (37% nel 2009), il 31% si dichiara per nulla o poco preoccupato (29% nel 2009), mentre il 30% è abbastanza o molto preoccupato (34% nel 2009).

Cercando di cogliere la distribuzione della preoccupazione in relazione al mezzo utilizzato, il report rivela come Facebook rappresenti una sede privilegiata per i timori degli utenti, sia con riferimento ai contenuti propri diffusi, per il possibile uso improprio degli stessi da parte del sistema (39% si dichiara molto o abbastanza preoccupato), sia soprattutto con riferimento alla mancanza di controllo per i contenuti inseriti da altri (53% è molto o abbastanza preoccupato); ben il 44,1% degli intervistati ha, allora, dichiarato di essere influenzato molto o in diversi aspetti da simili timori, modificando di conseguenza il proprio agire all’interno della piattaforma sociale.
La forte diffusione dei Social Network e la discussione sulle problematiche di privacy che ne è derivata hanno fatto in modo che passasse in secondo piano la paura del tracciamento dei dati relativi alla propria carta di credito, paura che ha perso il primato detenuto nel 2009 ma che è comunque sentita da una quota consistente della popolazione (44%); il 36% del campione dichiara di lasciarsi influenzare da questa consapevolezza, tenendo sotto controllo l’utilizzo che si fa dello strumento carta di credito.
La geolocalizzazione turba il 34% della popolazione e influenza, di conseguenza, il comportamento del 30,5%, superando il timore – ben più sentito nel 2009 – di essere intercettati telefonicamente (che preoccupa il 29% e condiziona le azioni del 26,2%).
Più basso l’allarme per la chat e per la navigazione sul web, ciascuna delle quali preoccupa il 28% della popolazione (condizionando reciprocamente il 24,9% e il 24,4% degli utenti) e per l’intercettazione delle proprie mail (il 23% se ne dichiara preoccupato e il 20,8 modifica i propri comportamenti in relazione a tale preoccupazione). Seguono fare ricerche sul web, usare il telefono fisso e la possibilità di essere spiati per strada dai circuiti di sorveglianza, alternative che raggiungono ciascuna una quota di preoccupazione pari al 20% (e influenzano rispettivamente il 20,5%, il 19,3% e il 19,2% delle persone). Ad allarmare in misura inferiore sono, infine, l’uso di carte fedeltà per la raccolta punti (15% e un condizionamento valido per il 16,4% del campione) e utilizzo del fax (11% e influenza per il 10,5%).

Dai dati riportati emerge, allora, come sia presente una relazione diretta tra timore verso una particolare modalità di tracciamento e modificazione del comportamento in senso di difesa, dunque più è alto il primo, maggiore sarà l’entità dichiarata della seconda. È interessante, tuttavia, notare come questa correlazione venga in parte meno con riferimento alla navigazione via web: pur essendo consapevoli di lasciare tracce nel corso del proprio peregrinare lungo la rete, gli utenti intervistati si dimostrano meno propensi a variare il proprio atteggiamento in questo senso e, dunque, più propensi a rinunciare ad una piccola fetta della propria riservatezza, probabilmente a causa dei molti vantaggi veicolati dalla navigazione.
Particolarmente sentita e ricercata dagli intervistati è, poi, la tutela della privacy per i minori: ad essere predilette come soluzioni alla problematica sono la formazione rivolta ai bambini circa i rischi che in tal senso si possono incontrare in Internet e l’intervento a monte dei genitori, attraverso filtri o altri controlli speciali sugli account di posta e attraverso la limitazione dei siti sui quali i bambini possono navigare. Tali metodi sono ritenuti maggiormente efficaci rispetto ad interventi più coercitivi o di divieto, interventi, questi ultimi, comunque ritenuti utili, soprattutto considerando il dato in forma evolutiva: rispetto al 2009 l’atteggiamento di protezione sembra essersi intensificato, aumentando la quota di coloro che adotterebbero queste misure coercitive pur di tutelare la privacy minorile.

Il report passa poi ad analizzare il livello di conoscenza e l’atteggiamento generale verso gli strumenti di profilazione passiva presenti in rete (cookie, indirizzi IP o Google Dasahboard).
Gli utenti hanno dimostrato un livello di conoscenza discreto verso questi strumenti: il 63,3%, ad esempio, è consapevole del fatto che nel web è possibile rintracciate il link su cui si ha cliccato per arrivare ad un determinato sito, il 62% sa che è possibile conoscere il paese in cui ci si trova e 59,7% sa che può essere riconosciuto il modello di browser che si sta utilizzando. Tutte queste consapevolezze generano comunque la sensazione di sentirsi osservati e infastidiscono gli utenti.
Il 48%, poi, ha dichiarato di conoscere i cookie e di sapere a cosa servono o quale sia la loro funzione, il 25% di averne sentito parlare e di sapere vagamente di cosa si tratta. Il 71% ha rivelato di sapere cosa sono e a cosa servono o come funzionano gli indirizzi Ip e il 17% di averne una conoscenza vaga. Il 48% conosce i metodi di profilazione passiva dell’e-mail marketing (sa che, se si è iscritti alla newsletter di un sito, esso può sapere se apro le mail che mi invia o se clicco nei link in esse presenti). Minore, invece, la conoscenza di Google Dashboard, padronanza di un solo 16% degli intervistati, al quale si somma un 14% riferito a chi ne ha solo sentito parlare vagamente; tra le reazioni all’aver scoperto i contenuti presenti in Dashboard, la più comune è la sensazione di essere osservati (28,6%), seguita dal sentirsi incuriositi e interessati (26%), dall’indifferenza (19,7%) e dal fastidio (15,7%): delle reazioni, tutto sommato, di non eccessiva preoccupazione, dettate, forse, dall’utilità dello strumento, per chi se ne serve.
Sulla base delle risposte fornite circa la conoscenza dei meccanismi di profilazione passiva del web, la popolazione è stata suddivisa in tre categorie: gli utenti “evoluti” (22%), gli utenti con una conoscenza media della rete (42%) e quelli con una conoscenza scarsa (37%).
Si rileva una forte correlazione tra consapevolezza di questi strumenti e sesso e età del rispondente: gli utenti più evoluti sono uomini (28% degli utenti uomini è evoluto, contro il 15% delle donne) appartenenti alla fascia centrale d’età (dai 35 ai 44 anni) e dopo i 45 anni la percentuale di utenti evoluti diminuisce lasciando spazio agli utenti medi (che raggiungono il 49% nella fascia 45-54 anni e si ridimensionano ad un 42% nella fascia over 54) e agli utenti base (raggiungono il 46% tra gli over 54).

Con riferimento al titolo di studio conseguito e alla zona di residenza, pare che gli utenti più evoluti si concentrino prevalentemente tra i laureati, residenti nel Nord Ovest.

Gli utenti più esperti sono anche i più consapevoli della tendenza, propria dei mezzi di informazione, ad enfatizzare il rischio per la privacy veicolato dal web; ciononostante sono ben consapevoli circa la presenza reale di tale rischio; gli utenti evoluti, anzi, risultano più preoccupati degli altri per la propria privacy su molti degli aspetti considerati a inizio analisi (uso del cellulare e del telefono fisso, geolocalizzazione, ricerca e navigazione sul web, videosorveglianza, scrittura mail, uso di fax e carte fedeltà) e sono gli utenti maggiormente influenzati nei loro comportamenti di utilizzo di questi mezzi, poiché cercano continuamente di tutelarsi tramite piccoli accorgimenti.
Essi, tuttavia, accettato il rischio per la privacy in rete – principalmente per la convinzione che, sia sul mondo virtuale sia su quello reale, non esistano ormai più posti “sicuri” – e dichiarano che, se anche ne sapessero di più su queste tematiche, non sarebbero disposti a cambiare il proprio atteggiamento di utilizzo del mezzo e a rinunciare ai privilegi forniti dal web.
Si osserva anche come, al crescere dell’età dei rispondenti, l’atteggiamento verso il tema della privacy sulla rete diventi sempre meno severo, meno allarmistico rispetto a quello dei più giovani, poiché cresce, appunto, la consapevolezza – o la disillusione, dicono i promotori del report – che non si possa riuscire a tutelare pienamente la propria riservatezza nemmeno nel mondo fisico; ci si dimostra, piuttosto, sempre più disponibili a rinunciare alla propria privacy in cambio di servizi specifici o dei semplici vantaggi che derivano dalla navigazione sul web.
Anche per quanto riguarda il marketing comportamentale, cambia l’atteggiamento dell’utenza in relazione ad età e al livello di conoscenza della rete: i più vecchi e i più esperti sono consapevoli del fatto che esso rappresenti la normale evoluzione della pubblicità in rete.
Con riferimento alla propria reputazione on-line, si osserva come tre rispondenti su quattro abbiano dichiarato di aver cercato almeno una volta il proprio nome su Google (18% lo ha fatto una sola volta, il 42% qualche volta e il 12% spesso), mentre il restante quarto non se ne sia curato in nessun modo; di fronte alla scoperta che sono stati pubblicati a propria insaputa da altri contenuti riferiti a sé, gli utenti si dichiarano infastiditi, ma allo stesso tempo anche meravigliati e sorpresi.
Le informazioni potenzialmente “intercettate” ritenute più personali di tutte sono la capacità del sito di localizzare qualcuno, di riconoscere il cookie e di sapere se si siano aperti o meno i messaggi ricevuti.
Altri due sono, per concludere, gli aspetti indagati dal report: i sistemi di profilazione attiva sul web e la conoscenza degli utenti circa l’informativa sulla privacy.
Con riferimento al primo, si evidenzia come, nel momento in cui all’utente venga richiesto di compilare dei form online, i campi che provocano più fastidio siano quelli relativi alla richiesta di informazioni sul reddito, sul patrimonio, sui conti correnti e sulla sfera economica in generale. Risulta diminuita notevolmente la quota di utenti che non terminano la compilazione di un form poiché vengono richieste informazioni sulla composizione del nucleo familiare, sul titolo di studio e sul sesso, mentre sono aumentati gli utenti che interrompono la profilazione quando vengono richieste informazioni come la tipologia di abitazione o altre domande sul tempo libero; in ogni caso – l’abbiamo detto – le la sfera economica continua a rappresentare la maggiore inibitrice.

Con riferimento all’informativa sulla privacy, risulta che la maggior parte (41,6%) degli intervistati non legge il testo della normativa, mentre l’atteggiamento più scrupoloso di tutti, cioè di chi legge sempre per intero il testo e ne conserva una copia sul pc, è passato da rappresentare il 10,6% degli intervistati nel 2009 al 4,4% nel 2011.
Nonostante, infine, gli intervistati conoscano abbastanza bene i propri diritti in materia di privacy e dichiarino di sapersi muovere in caso di violazione, solamente il 17% si sente tutelato dalla normativa attuale e, di questi, solo l’1% completamente, contro una percentuale del 41% riferita agli utenti che si sentono poco o per nulla tutelati (in conformità con la tendenza evidenziata nel 2009).

Pubblicato su: pmi-dome