La crisi fa crescere l’e-commerce, ma persiste il ritardo sullo scenario internazionale

Crescono del 19% le vendite da siti con operatività in Italia, del 18% il valore degli acquisti online da parte degli utenti italiani, anch’essi aumentati del 33% rispetto al 2011. Tasso di contenzioso ancora troppo elevato, soprattutto per i siti di social shopping

La causa è stata innanzitutto attribuita alla crisi, che spesso obbliga a rivedere le proprie abitudini e ad abbattere i margini tradizionalmente imposti al proprio agire quotidiano. Cresce con un tasso del 19% l’e-commerce business to consumer in Italia, portando a 9,5 miliardi di euro le vendite da siti con operatività in Italia, pari a 1,5 miliardi di euro in più rispetto al 2011. Aumenta parallelamente il valore degli acquisti online da parte di utenti italiani, che raggiunge i 10.991 milioni di euro, ben 18 punti percentuali in più sul 2011 (contro il +11% della Gran Bretagna, il 12% di Francia e Germania e il 14% degli Stati Uniti). Andamento positivo anche per il numero di web shopper italiani, divenuti ora 12 milioni (pari al 40% dell’intera utenza internet italiana), con un incremento del 33% rispetto allo scorso anno, quando essi erano 9 milioni.
I dati provengono dall’undicesimo rapporto sul settore realizzato dall’Osservatorio eCommerce B2C Netcomm-Politecnico di Milano, presentato lo scorso 25 ottobre al campus Bovisa del Politecnico.
Affianco a queste tendenze positive, sono stati individuati alcuni fenomeni che, legandosi ad esse in un rapporto dialettico costante, sembrano incrementarne la portata e, in parte, decretarne la stessa esistenza.
Si tratta, ad esempio, della multicanalità, “intesa come l’utilizzo congiunto e integrato di canale fisico e canale online”, come sottolinea Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio. Sempre più numerosi sono, infatti, i merchant che cercano di sfruttare le potenzialità dell’e-commerce a supporto della relazione multicanale con i clienti, ottenendo non pochi benefici: maggiore efficacia comunicativa grazie all’info-commerce (erogare cioè online informazioni utili per l’acquisto offline) e all’info-store (offrire informazioni in negozio a supporto dell’acquisto online), migliore efficienza dei processi di punto vendita mediante il “Prenota online e ritira in negozio” e miglioramento del servizio al cliente con l’in-store support, l’acquisto cioè online con assistenza o consegna del reso sul punto vendita.
Altri fenomeni direttamente collegati alla crescita dell’e-commerce sono poi il mobile e il social networking, la cui intensa diffusione contribuisce ad aumentare la familiarità degli utenti con il mezzo virtuale, la fiducia e la sicurezza percepita verso la possibilità di effettuare acquisti online, infine la volontà di emulazione, il cosiddetto fenomeno “me too”, che conduce allo sviluppo di modelli di consumo di massa.
Con riferimento al primo, il report rivela come il valore complessivo delle vendite realizzate attraverso siti mobile o applicazioni per smartphone, da parte di merchant operativi in Italia, sia passato da 74 milioni di euro nel 2011 a 180 milioni nel 2012. II 53% di tali vendite è riconducibile a prodotti e il 47% a servizi, inoltre l’86% dell’intero valore delle transazioni riguarda club online, coupon, aste su eBay, prenotazione di biglietti per i trasporto. A fare la parte del leone nel mobile commerce italiano è iOS di Apple (oltre tre quarti del totale vendite passa attraverso questo sistema operativo), malgrado la posizione di leader del mercato spetti ad Android (61,1% di share), come di recente confermato dalla società di analisi Kantar.
Per quanto riguarda l’ambito social, emerge che ben il 90% dei merchant censiti è presente su almeno un network, l’80% su almeno due e il 60% almeno su tre. Facebook rimane lo strumento maggiormente adottato (84%), seguito da Twitter (70%), Youtube (58%), Google+ (34%) e Pinterest (27%). Le imprese sembrano dunque aver compreso – o almeno intuito – l’importanza del mezzo per accrescere l’engagement e la fiducia dei clienti e per migliorare il supporto pre/post vendita. Esse, tuttavia, non risultano ancora in grado di tradurre simili potenzialità in comportamenti diretti d’acquisto da parte degli utenti social.
A influire sullo sviluppo dell’e-commerce vi è pure l’evoluzione dell’offerta, con l’ingresso in questo mercato di alcuni produttori del made in Italy (dal settore moda/accessori al piccolo artigianato). Si è assistito, inoltre, al consolidamento di quel boom dei siti di social shopping (o couponing) e dei club online, già rilevato nel 2011, spesso considerati attraenti per le offerte esclusive che propongono.
È proprio dal social shopping che deriva il numero maggiore di segnalazioni per disservizi da parte dei clienti: da ottobre 2011 a settembre 2012, sono stati 1.666 i reclami pervenute ad Adiconsum  da ricondurre a siti di questo tipo, pari al 76% dei 2.197 reclami complessivi relativi all’e-commerce, contro i 531 (24%) relativi agli acquisti online.
L’e-commerce italiano mostra, dunque, una presenza di contenzioso ancora troppo alta,  mettendo a rischio la fiducia del consumatore verso il comparto. Nel social shopping, la principale problematica lamentata riguarda la vendita di beni (60% di segnalazioni, soprattutto per la mancata ricezione del bene e per problemi con la spedizione), seguita dalla vendita di servizi (compresi quelli turistici) tramite coupon, con il 37% delle segnalazioni, dovute principalmente al fatto di non aver usufruito del servizio. Le piattaforme sembrano declinare qualsiasi responsabilità ai venditori del bene, senza fornire assistenza al consumatore. Anche con riferimento agli acquisti online, la maggior parte dei reclami riguarda la vendita di beni (69%, soprattutto la mancata consegna del bene), seguito dalla richiesta di servizi e abbonamenti (22%, soprattutto fenomeni di truffa); la presenza di pochi reclami riferiti ai servizi turistici (4%) è conseguenza delle tutele al consumatore garantite dal codice del turismo.
Da qui l’invito, diffuso da Adiconsum e rivolto a Netcomm (consorzio del commercio elettronico italiano), a regolamentare il settore e-commerce, in particolare il social shopping, inibendo l’attività di tutti quei siti che nascono allo scopo di ingannare i consumatori, offrendo adeguata informativa e assistenza ai consumatori e individuando best practice delle imprese capaci di assicurare maggiore tutela dei consumatori.
Cerchiamo ora di dettagliare le principali tendenze dell’e-commerce rilevate dall’Osservatorio.
I servizi continuano a rappresentare la fetta più grande del mercato e-commerce B2c in Italia, in termini di valore realizzato, con una percentuale del 63%, che diminuisce, tuttavia, rispetto al 2011 (quando era del 66%), a favore della quota dei prodotti (37%). Le vendite di prodotti da siti con operatività in Italia crescono, allora, in misura maggiore (+29%, +800 milioni di euro) rispetto a quelle di servizi (14%, +750 milioni di euro).
Più in particolare è il settore turismo a mantenere la porzione più rilevante sul mercato (46%, in leggera flessione sul 2011), seguito da abbigliamento (11%), informatica ed elettronica di consumo e assicurazioni (10%), editoria, musica ed audiovisivi (3%) e settore alimentare (1%). Nel restante 19% rientrano il couponing di prodotti e servizi (4%), le ricariche telefoniche (3%), c2c di eBay, infine, il Ticketing per eventi (1,5% dell’eCommerce B2c).
Crescono tutti i principali comparti. Tra i prodotti, gli incrementi più elevati sono stati registrati nel settore abbigliamento (+33%, grazie anche all’ingresso di nuovi player come Benetton, Intimissimi e Stefanel) e nel comparto informatica ed elettronica di consumo (+27%, trainato da Amazon e da eBay.it). Più statica, ma comunque in aumento, la situazione di Editoria, musica e audiovisivi (+11%, grazie soprattutto ad Amazon e IBS.it). Buone le performance del settore alimentare (+17%), tuttavia risulta limitato il numero degli operatori di riferimento. Tra i servizi, si registrano crescite al di sotto della media di mercato, con un +14% per il settore Turismo e Assicurazioni e un +10% per le ricariche telefoniche, mentre stabile rimane il ticketing.
Il saldo tra export (valore dell’acquistato dagli stranieri su siti italiani) e import (valore dell’acquistato dagli italiani su siti stranieri) resta negativo e peggiora nel 2012, passando da 1.270 a 1.370 milioni di euro. In termini percentuali, l’export cresce a ritmo più sostenuto (+29%) rispetto all’Import (+19%), mentre in termini assoluti avviene il contrario: l’export aumenta di 380 milioni di euro (da 1.305 a 1.680 milioni di euro) e l’import di 480 milioni (da 2.571 a 3.050 milioni).
L’export dell’e-commerce b2c è generato prevalentemente da turismo (58%) e abbigliamento (30%), con un tasso di concentrazione molto elevato (le prime 5 imprese esportatrici pesano per i due terzi delle vendite all’estero). Le migliori prestazioni riguardano gli operatori del trasporto (ad esempio Alitalia e Trenitalia), i portali di hotel (Venere.com) e alcuni top player nell’abbigliamento (YOOX Group, le grandi case moda e qualche operatore commerciale come LuisaViaRoma e Giglio).
Gli acquisti dei clienti italiani su siti stranieri coinvolgono principalmente biglietteria aerea (Easyjet, Ryanair…), prodotti di informatica ed elettronica di consumo (eBay.com, Pixmania.com), infine capi di abbigliamento e calzature (Asos, Zalando e Spartoo).
L’acquistato online dei clienti italiani, sia su siti italiani che stranieri, rimane comunque fortemente sbilanciato sui servizi (68%), diversamente da quanto avviene nei principali mercati occidentali, dove i prodotti rappresentano il 60% dell’acquistato online. Nonostante il tasso di crescita dell’e-commerce in Italia sia maggiore rispetto ad altri Paesi, lo scarto rimane, in valore assoluto, ancora troppo ampio: quei quasi 11 miliardi di euro guadagnati dal mercato del Belpaese rappresentano un sesto del mercato inglese (60 miliardi di euro), un quarto di quello tedesco (39 miliardi) e quasi la metà di quello francese (2 miliardi).
Parallelamente tasso di penetrazione dell’e-commerce in Italia sul totale retail è passato dal 2,2% del 2011 al 2,6% del 2012 (grazie anche alla crisi dei canali tradizionali), restando tuttavia indietro rispetto a UK (14%), Germania (9%) e Francia (6%).
Quei 12 milioni di web shopper italiani acquistano per il 38% a valore da siti di e-commerce italiani, per il 19% da siti di filiali italiane di multinazionali (che registrano il tasso di crescita maggiore, stimato in 46 punti percentuali), per il 15% da multinazionali senza base societaria in Italia e per il 28% da siti di imprese straniere globali. Vincenti risultano le strategie di internazionalizzazione, spingendo i promotori del rapporto a definire l’e-commerce come un fenomeno “glocale”.

Pubblicato su: PMI-dome

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