Occupazione sempre più a rischio nelle Pmi

La Cgia di Mestre stima in 202 mila i posti di lavoro a rischio nel secondo semestre 2012, 172.000 dei quali coinvolgerebbero le pmi. Confesercenti rileva come la contrazione occupazionale riguardi soprattutto il lavoro autonomo, che rischia si perdere la tradizionale funzione di “schock absorber” della disoccupazione

Nuove prospettive buie per l’occupazione italiana giungono da alcuni accreditati centri di ricerca. L’incertezza per il perdurare di molte criticità nel nostro sistema e la sfiducia per le scelte di governo in materia di politica economica e sociale sembrano non placarsi nel comune sentire dell’imprenditoria nazionale, con conseguenze potenzialmente distruttive per la dinamica del mercato del lavoro. A pagarne le spese maggiori pare saranno soprattutto le aziende di piccole e medie dimensioni e il lavoro autonomo, che potrebbero perdere il proprio ruolo tradizionale di ammortizzatore sociale, di “schock absorber” cioè della disoccupazione. Parallelamente a simili considerazioni, alcuni recenti dati sembrano suggerire delle strade formative da percorrere in via preferenziale per avere migliori possibilità d’assunzione. Andiamo però con ordine.
La Cgia (Associazione artigiani e piccole imprese) di Mestre ha stimato in 202.000 unità i posti di lavoro a rischio in Italia nel secondo semestre dell’anno in corso. Di questi, circa 30.000 sono da ricondurre a lavoratori occupati in grandi aziende che hanno aperto un tavolo di crisi presso il ministero dello Sviluppo Economico, gli altri 172.000 riguardando invece persone alle dipendenze di piccole e medie imprese. La stima, frutto dell’elaborazione di dati Istat e di previsioni firmate Prometeia, va dunque ad aggiungersi al quadro già piuttosto nero delineato un paio di settimane fa dall’Istituto nazionale di statistica, che ha visto, nel secondo trimestre 2012, un aumento del 38,9% nel numero di disoccupati, rispetto allo stesso periodo del 2011 (soprattutto a Sud, dove sono stati individuati 339.000 disoccupati in più) e un incremento di 2,7 punti percentuali nel tasso di disoccupazione (dato dal rapporto tra le persone in cerca di un lavoro e la corrispondente popolazione di riferimento, esclusi gli inattivi), che si assesta ora al 10,5%. Il parallelo calo dell’occupazione (-0,2%, pari a 48.000 occupati in meno) è stato ricondotto principalmente a un calo dell’occupazione maschile (-1,5%, cioè -199.000 unità), compensato solo in parte dal protrarsi di un andamento positivo per l’occupazione femminile (+1,6%, pari a 151.000 unità). È scattato l’ennesimo allarme occupazionale tra i giovani (con un tasso di occupazione che scende dal 45% del secondo trimestre 2011 al 43,9% del secondo trimestre 2012, per i 15-34enni, e dal 19% al 18,9% per i 15-24enni), al quale si è contrapposto un aumento dell’occupazione per gli over 50, soprattutto per quelli a tempo indeterminato.
La previsione della Cgia non fa, allora, che aumentare il pessimismo per un mercato di lavoro ben poco vivace, la cui dinamica appare fortemente influenzata dal perdurare di alcune criticità e debolezze, lanciando nuovi segnali di incertezza a neodiplomati e neolaureati, alla ricerca di una crescita professionale. “Premesso che negli ultimi quattro anni la variazione dei posti di lavoro riferiti alla seconda parte dell’anno è sempre stata negativa” – ha dichiarato Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia – “la stima riferita al 2012 è comunque migliore solo al dato di consuntivo riferito al 2009”. Se, infatti, nel 2009 la forza lavoro diminuiva la propria consistenza di ben 290.166 unità nella seconda metà dell’anno, nel 2010 i posti di lavoro persi furono 74.870 e, nel 2011, 139.365, improntando un andamento in salita che, appunto, raggiungerà nel corso del 2012 un punto piuttosto elevato. La variazione occupazione dell’anno in corso ha conosciuto, in particolare, un incremento di 1,1 punti percentuali (pari a 243.734 posti) nel secondo trimestre, rispetto al primo e vedrà, al contrario, un decremento di 0,8 punti percentuali (-178.000 unità) nel terzo trimestre sul secondo e di 0,1 punti (-24.000) nel quarto trimestre sul terzo.
L’aspetto probabilmente più drammatico della stima targata Cgia riguarda la prospettiva occupazionale delle piccole e medie imprese: “Purtroppo” – ha proseguito Bortolussi – “in queste ore non si sta consumando solo la drammatica situazione dei lavoratori dell’Alcoa o dei minatori del Carbosulcis, ma anche quella di decine e decine di migliaia di addetti delle Pmi che rischiano di rimanere senza lavoro”. “Le ristrutturazioni industriali avvenute negli anni ’70, ’80 e nei primi anni ’90 presentavano un denominatore comune”, ha rilevato ancora. Il fatto, cioè, che “chi veniva espulso dalle grandi imprese spesso rientrava nel mercato del lavoro perché assunto in una pmi. Oggi anche queste ultime sono in difficoltà e non ce la fanno più a creare nuovi posti di lavoro”.
Da qui deriva l’accorato appello della Cgia al Governo, affinché intervenga per eliminare gli ostacoli alla crescita delle piccole realtà imprenditoriali, le quali “continuano ad essere l’asse portante della nostra economia”: fondamentale – sostiene Bortolussi – è innanzitutto “recepire in tempi brevissimi la Direttiva europea contro il ritardo dei pagamenti, per garantire una certezza economica a chi, attualmente, viene pagato mediamente dopo 120/180 giorni dall’emissione della fattura”. Per ridare slancio alle attività aziendali, di primaria importanza sarebbe poi agevolare l’accesso al credito, poiché “l’assenza di liquidità rischia di buttarle fuori mercato”. Ultimo ingrediente della ricetta anticrisi proposta dall’associazione è l’alleggerimento del carico fiscale “premiando anche i lavoratori dipendenti, altrimenti sarà estremamente difficile far ripartire i consumi interni”.
Non meno ottimistiche sembrano poi le prospettive occupazionali per il prossimo anno. Stando al rapporto Confesercenti-RefIl quadro macroeconomico per l’economia italiana” – presentato lo scorso mercoledì 12 settembre, presso la sede nazionale di Confesercenti, dal Presidente Marco Venturiil 2013 vedrà un probabile rallentamento della crisi, tuttavia una serie di stime in negativo lasciano poco spazio a eccessive speranze: Pil in discesa di 0,4 punti percentuali, consumi nazionali al -0,9%, investimenti al -1,6% e, soprattutto, un tasso di disoccupazione che raggiungerà quota 11,1%.
Secondo Confesercenti, inoltre, la contrazione occupazionale sembra essere molto più forte nel lavoro autonomo che in quello dipendente; la diminuzione dei consumi ha, infatti, colpito duramente una quota importante del lavoro indipendente tradizionale, rappresentato da commercianti al dettaglio, artigiani e microimprenditori. Il periodo di intensa recessione conosciuto dal settore edilizio (costituito in gran parte da lavoratori indipendenti e microimprese) ha, in particolare, accresciuto il fenomeno. Il risultato sono, allora, oltre 100.000 lavoratori costretti a interrompere la propria attività, “non potendo in molti casi – sostiene Confesercenti – “contare su alcuna forma di protezione sociale e di sussidio contro il rischio della disoccupazione”. Si tratta di una svolta considerata quasi epocale, in base alla quale il lavoro autonomo perde la sua tradizionale funzione nel nostro paese, quella cioè di ammortizzatore sociale, in grado di assorbire una quota elevata della disoccupazione, attraverso forme di autoimpiego. Anche il lavoro autonomo subisce, dunque, in definitiva, la debolezza dell’attuale congiuntura economica.
L’allarme per le ditte individuali è stato lanciato, poi, anche domenica scorsa al convegno di Confesercenti a Perugia, dove si è rilevato come in cinque anni, dal 2006 al 2011, il tasso di sopravvivenza di tali imprese dopo i primi cinque anni di attività sia diminuito del 6,8%, passando dal 63,8% al 57%. Nello stesso periodo, il tasso di sopravvivenza a 5 anni per le società di persone è diminuito invece del 4% (passando dal 63% al 59%), mentre per le società di capitali, il tasso risulta positivo del 4,6%. Complessivamente il tasso di sopravvivenza risulta negativo per 3,3 punti percentuali. “Senza una serie di interventi mirati”, ha evidenziato l’associazione,  “ rischiamo un’accelerazione del declino dell’imprenditorialità italiana, con alti costi sociali”, visto appunto il ruolo di “schock absorber” della disoccupazione. Con l’attuale crisi del lavoro – ha proseguito – “saranno sempre di più i disoccupati che tenteranno di inventarsi imprenditori per tornare nel mondo produttivo ” . Se è giusto, da una parte, favorire la creazione di nuove imprese, è “altrettanto giusto preoccuparsi di stabilizzare il radicamento di quelle esistenti, favorendo in questo modo il mantenimento dell’occupazione che c’è”: “Con il decreto-crescita, il Governo ha agito per favorire l’avvio di nuove imprese, garantendo ai giovani sotto i 35 anni la possibilità di aprire una Srl con un solo euro di capitale e senza sostenere spese notarili. Al provvedimento, però, non si è accompagnato un contestuale intervento teso a stabilizzare le imprese già attive”, ostacolate sempre più “dall’aumento dei costi e della pressione fiscale, dal crollo dei consumi e dalla stretta del credito”.
Da un sondaggio realizzato da Swg (società che si occupa di ricerche di mercato, di opinione, istituzionali, studi di settore e osservatori) per Confesercenti emerge, inoltre, che nei prossimi cinque anni saranno circa un quarto (23%) le Pmi costrette a chiudere la propria attività, contro un 43% che manterrà inalterata la propria situazione economica e un misero 17% che potrà godere di una certa espansione.
Pubblicato su: PMI-dome
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