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Aziende italiane e RSI: crescono gli addetti, ma si punta poco sul Web

Pubblicato da robertabarbiero in 20 novembre 2012
https://robertabarbiero.wordpress.com/2012/11/20/aziende-italiane-e-rsi-crescono-gli-addetti-ma-si-punta-poco-sul-web/
La responsabilità sociale dell’impresa nell’era del Web 2.0
La novità principale dell’iniziativa sta nella ricerca di un coinvolgimento diretto da parte degli utenti (“dai manager ai dipendenti delle imprese, dalle istituzioni, alle Università, dal non profit, ai giornalisti, agli studenti”), i quali sono invitati a contribuire alla crescita della struttura, arricchendola di nuove voci, proponendo spunti di riflessione e lasciando i propri commenti: un progetto culturale concreto, nato con l’intento di promuovere dal basso una profonda azione di sensibilizzazione verso tematiche che, proprio al basso, si rivolgono. Un circolo virtuoso, quindi, pensato in “un’ottica di condivisone e ascolto”, fondamentale “nell’era della comunicazione digitale e del web 2.0”, come ha sottolineato Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis e Presidente di Errepi Comunicazione, in occasione del sopracitato evento di presentazione. “Proprio la parola Ascolto” – ha proseguito Orsi – “è infatti una delle principali del dizionario perché la comunicazione con gli stakeholders diventa un importante momento di scambio e di coinvolgimento”.
Facciamo un piccolo passo indietro cercando di capire, allora, cosa si intenda per CSR, Corporate Social Responsibility (in italiano RSI, Responsabilità Sociale d’Impresa), e per farlo prendiamo a prestito, ovviamente, la definizione che della stessa viene data nell’enciclopedia virtuale, definizione che a sua volta si rifà a quella contenuta nel Libro Verde del 2001 della Commissione Europea: “Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono volontariamente di contribuire a una società migliore e ad un ambiente più pulito” e che quindi “la CSR è l’integrazione su base volontaria, da parte delle Imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo ‘di più’ nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le parti interessate”.
È la vendetta del povero Charlot di tempi moderni: il mito economico della creazione di un meccanismo, per così dire, perfetto, che conduca al massimo della produttività, passando per la spersonalizzazione e l’alienazione, viene superato, lasciando il posto ad un approccio ben più illuminato e lungimirante; tale approccio considera le persone e il contesto ambientale non come un mero strumento per l’attuazione delle esigenze commerciali d’impresa, da sfruttare, quindi, in modo massiccio, ma come un patrimonio, da coltivare e far fruttare in senso propositivo, grazie al contributo originale e talvolta inaspettato che qualunque personalità o risorsa può offrire se posta in condizioni ottimali.
Stando ai dati rilevati dal quarto e ultimo “Rapporto sull’Impegno Sociale delle Aziende in Italia”, condotto da Swg per conto dell’Osservatorio Socialis, si tratterebbe di un fenomeno in crescita, come a dire che le imprese hanno capito l’importanza dell’impegno umanitario, della salvaguardia dell’arte e dell’ambiente, del finanziamento alla ricerca scientifica, della tutela dei dipendenti, quali leve strategiche per uno sviluppo durevole, al di là dell’innovazione tecnologica: “meno forma e più sostanza”, riassume Orsi in una nota introduttiva al rapporto.
Nel promuovere una simile tendenza, sempre più importante risulta la capacità di sfruttare le strutture imprenditoriali di rete per lo scambio dei progetti, dei saperi e delle opportunità e sempre più apprezzabili appaiono i riconoscimenti e le risorse messe a disposizione a livello istituzionale, al fine di premiare i comportamenti virtuosi, svincolandoli un po’ dalla forma della volontarietà; “e sarebbe” – sottolinea sempre Orsi nel corso della serata di presentazione – “anche interessante promuovere l’istituzione di una sorta di 5 x mille per le aziende, per dare loro l’opportunità di testimoniare ancora più concretamente l’impegno a favore di iniziative meritevoli”.
Stando al rapporto – realizzata su un campione di 800 aziende con oltre 100 dipendenti – il 69,2% delle imprese (circa 7 su 10), ha investito in iniziative di responsabilità sociale (contro il 65,3% del 2007), confermando in realtà il trend positivo degli ultimi anni (il flusso globale dei finanziamenti, rispetto al 2001, si e? piu? che raddoppiato). Se si limitasse l’analisi alle sole aziende di grandi dimensioni (grandi sia in termini di fatturato, sia di dipendenti), tale percentuale salirebbe fino all’88%. L’asse principale degli investimenti si sposta dal nord al centro sud.
I risultati positivi evidenziati sono riusciti a scongiurare la temuta crisi generalizzata, ma certo pare che la percezione degli intervistati veda come solo marginale l’influenza della crisi nell’incremento della responsabilità sociale d’impresa (solo 4 aziende su 10 crede in questa correlazione): stiamo parlando, quindi, di una tendenza positiva che prescinde dalle mere imminenze del mercato, per rifarsi ad un ideale di socialità sempre più sentito.
Con riferimento alle tipologie di attività poste in essere, pare che le aziende si siano orientate soprattutto verso la “dimensione esterna” della CSR, quella proiettata, cioè, sulla propria comunità di riferimento: al primo posto troviamo le iniziative di solidarietà sociale e le azioni umanitarie, probabilmente in tempestiva risposta ai tragici accadimenti avvenuti nel corso del 2009. Un terzo delle aziende (soprattutto al nord e al centro) è parso, invece, orientato alla dimensione interna della responsabilità sociale, con una serie di servizi tesi, quindi, a migliorare le condizioni dei dipendenti. Le aziende più grandi puntano poi su un approccio multistakeholder, che guarda, cioè, ad entrambe le dimensioni.
La maggior parte degli interventi risultano di natura “passiva” (un terzo del campione si limita a delle erogazioni economiche e/o materiali), ma si fa strada l’idea di mettere a disposizione le proprie risorse o di attivare dei gruppi di lavoro interni, diffondendo questo tipo di cultura anche tra i dipendenti (più del 30% delle imprese risulta averli coinvolti in maniera diretta e/o indiretta, contro il 18% nel 2007).
Questa possibilità di coinvolgimento del personale (staff involvement) prevale anche tra i criteri per la scelta delle iniziative su cui puntare (il 28,5%, quindi quasi tre aziende su 10), accanto alle credenziali dell’ente proponente o beneficiario (27%); quella in corso sembra essere una vera rivoluzione sociale, che considera il buon business come necessariamente legato – non solo idealmente, ma soprattutto con azioni concrete – ad una dimensione sociale, seppur persista una parte di imprese (una su quattro) che punta su simili iniziative solo per averne un feedback in termini di immagini (25,1%).
Tra i requisiti di un buon progetto, al primo posto si piazza la rilevanza sociale e la ricaduta sul territorio (68,9%% del campione).
La mancanza di ritorni immediati è indicata come principale freno allo sviluppo di una responsabilità sociale d’impresa, a conferma della necessità di promuovere iniziative a livello istituzionale, che incentivino questa tendenza. Nella prospettiva, poi, di rafforzare il rapporto con le risorse interne, i due terzi del campione sono d’accordo con l’ipotesi di introdurre la CSR nel Dna di tutte le aziende.
Da quanto detto finora emerge l’importanza non solo dei network aziendali, ma anche delle relazioni, per così dire, interne all’azienda, quelle che si vengono a creare con i collaboratori, i fornitori, i partner e le istituzioni locali, che rappresentano il fulcro attorno al quale ruotano le diverse iniziative a carattere sociale dell’azienda. Conciliare sviluppo economico con sostenibilità ambientale (offrendo al termine “ambiente” un ampio significato, che arrivi a coinvolgere anche le risorse umane che in esso si muovono) risulta essere, in definitiva, una scelta tanto auspicabile, quanto fattibile per le aziende, che sembrano aver intrapreso la strada della consapevolezza relativamente all’importanza di una simile prospettiva. Il passo successivo sarà, ne siamo certi, una reale integrazione con le molteplici possibilità offerte dal web 2.0, che vadano al di là della semplice (ma comunque lodevole) possibilità di commentare le voci di un’enciclopedia virtuale.
Pubblicato da robertabarbiero in 2 agosto 2011
https://robertabarbiero.wordpress.com/2011/08/02/la-responsabilita-sociale-dellimpresa-nellera-del-web-2-0/
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