Scenario e prospettive del mercato verde

Dalla richiesta di certezze normative, al necessario coordinamento con le politiche e gli incentivi del contesto europeo, ecco gli innumerevoli chiaroscuri italiani di un mercato stimabile in circa 21 miliardi di Euro

In un periodo così particolare per il settore, Solarexpo 2011 non rappresenta semplicemente una mostra-convegno internazionale sulle energie rinnovabili, ma, divenuto il terzo appuntamento mondiale per importanza (con ben 1.400 espositori provenienti da 40 Paesi di tutto il mondo e 11 padiglioni espositivi), si figura anche come fondamentale momento di riflessione circa lo scenario e le prospettive future dell’economia legata alla cosiddetta “energia verde”.

Stando a Marco Andreassi, vice presidente di A.T. Kearney Italia, «il valore del mercato delle rinnovabili in Italia nel 2010 è stimabile in circa 21 miliardi di euro, di cui 7,2 per elettricità e incentivi (certificati verdi e tariffa feed-in) e 13,7 miliardi di investimenti in nuovi impianti. La parte del leone la fa il fotovoltaico con circa 11,5 miliardi, grazie alla realizzazione di oltre 3.000 MW nel 2010. Seguono l’idroelettrico con 4,5 miliardi, l’eolico con 2,6 (in calo di circa il 15% rispetto al 2009), le biomasse con 1,8 e infine il geotermico con 500 milioni».

Senza dubbio, quindi, stiamo parlando di uno dei settori industriali dalla crescita più vivace, che – oltre a rispondere all’esigenza di contenere le emissioni di anidride carbonica e quindi di promuovere uno sviluppo economico sostenibile per l’ambiente – si dimostra in grado di soddisfare la domanda proveniente da Paesi come Cina, India e Brasile, i quali investono massicciamente nelle tecnologie delle fonti rinnovabili. «Il problema – ricorda Jacopo Giliberto dalle file de Il Sole 24 Ore (nell’inserto “Energie Rinnovabili” del 3 maggio 2011) – è il costo»: le fonti rinnovabili, per essere competitive, hanno oggi bisogno di un mercato protetto e di incentivi, «i cui effetti possono essere devastanti per le bollette elettriche», che, appunto, finanziano tali incentivi. Tuttavia, ricorda ancora Giliberto, «la tecnologia delle fonti rinnovabili è molto legata alle dimensioni di scala […] e in pochi anni dovrebbe essere raggiunta la cosiddetta grid parity, cioè il fatto che il costo di produzione del chilowattora “verde” sarà competitivo con le altre tecnologie», senza la necessità, quindi, di ulteriori incentivi pubblici.

È proprio su tali particolarità del settore, che si basa, ad esempio, l’attuale braccio di ferro sul quarto Conto energia: «il segmento fotovoltaico non è una tecnologia energetica», ma «una tecnologia elettronica. Si basa sul silicio, sui “wafer” e sui “chip”. E dell’elettronica il fotovoltaico segue gli andamenti: come nei pc i costi scendono e le prestazioni crescono (la “legge di Moore” dice che le prestazioni dei processori raddoppiano ogni 18 mesi), così i pannelli costano sempre meno e rendono sempre più». Ogni tre anni l’incentivo al fotovoltaico va ristrutturato, per essere adeguato al cambiamento della tecnologia e del mercato, e gli aiuti contenuti nel secondo Conto energia – che «spiccavano per generosità» – erano, ovviamente, tarati sui costi necessari tre anni fa all’istallazione di pannelli. Per questo – a causa soprattutto dell’allarme sui costi delle bollette prodotto dal decreto cosiddetto “Salva-Alcoa”, che «dava incentivi appetitosi alle grandi centrali costruite in tutta fretta» – nell’autunno scorso, prima che scadesse il secondo conto energia, il Governo mise a punto il terzo Conto energia, che sarebbe entrato in vigore il 1° gennaio, prevedendo un taglio degli incentivi con una rapida gradualità. Ora il Governo ha bloccato questo terzo Conto, predisponendone un quarto, sul quale il compromesso tra le parti in gioco sembra essere tutt’altro che vicino.

Ciò di cui industriali ed investitori finanziari sentono più la mancanza è, allora, la certezza normativa, la presenza di un binario unico al quale fare riferimento, che offra una certa garanzia e stabilità agli investimenti messi in cantiere. Sottolineano, sempre tra le pagine de Il Sole 24 Ore, Marco Andreassi e Giorgio Ortolani: «“Salva-Alcoa” causa dello stallo attuale, linee guida per le autorizzazioni valide ma ancora al palo quasi dappertutto, lobby sfrenate, fermate improvvise e misure retroattive o quasi. Il discusso varo del Conto Energia 4 non risolverà con la bacchetta magica i problemi. Risultato: si fermano gli investitori e le banche, che proficuamente avevano sostenuto lo sviluppo».

Certo non mancano neppure le solite autorevoli voci ottimiste, come quella di Ingmar Wilhelm, il neo presidente dell’Epia, l’associazione europea dell’industria fotovoltaica, secondo il quale il calo generalizzato degli incentivi rappresenterebbe «un trend naturale, che era programmato ed è pure giusto»; con riferimento al possibile scoraggiamento degli investitori internazionali a scommettere nel mercato italiano del fotovoltaico, egli sostiene, al contrario, che «i mercati europei continuano ad essere i più attraenti su scala globale e, dentro l’Europa, se c’è un paese con un buon livello di remunerazione è proprio l’Italia». La stessa opinione pubblica italiana considera le energie rinnovabili sempre più decisive per risolvere il nodo energetico e su di esse crescono le aspettative, così come emerge con chiarezza dai più recenti dati dell’Osservatorio scienza, tecnologia e società di Observa science in society.

Cerchiamo allora di capire a quanto ammontino gli incentivi offerti alle rinnovabili: «nel 2010, prima degli effetti del salva-Alcoa» essi «si sono attestati a quota 3,4 miliardi», sottolina Alessandro Marangoni della società di analisi e consulenza Althesys. «Di questi, 122 milioni per la tariffa omnicomprensiva (per gli impianti piccoli), 857 milioni per il Conto energia (per il solo fotovoltaico), 690 milioni per il Cip6 per le sole rinnovabili, non per le fonti assimilate, al netto (ad esempio per gli impianti più vecchi dell’idroelettrico e delle biomasse) e infine 1.793 milioni per i certificati verdi (eolico, grande idroelettrico, biomasse)». Secondo uno studio coordinato da Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, a pagare il peso degli incentivi alle fonti rinnovabili sono per il 31,8% le piccole e medie imprese, per il 26,2% le famiglie, per i1 28% le microimprese come negozi e uffici, per il 2,2% l’illuminazione stradale e per l’11,4% la grande industria.

Grazie ai fondi e al sistema creditizio, le imprese italiane hanno poi investito sulle rinnovabili (fotovoltaico, eolico e biomasse) per un valore pari a 17 miliardi di Euro, sempre secondo una stima di Althesys, «comprensiva delle fusioni e incorporazioni e di investimenti per impianti di potenza superiore a 0,9 MW». Il Sud guida la classifica dell’eolico italiano, con il 98% della potenza totale e il 90% degli impianti (dati GSE); tuttavia Nord e Centro Italia battono il Sud nel fotovoltaico, entrambi con 1.800 MW di potenza, rispetto ai 1.450 MW del Sud.

Rileva, infatti, l’Osservatorio A.T.Kearney-Il Sole 24 Ore-Solarexpo sui principali player del mercato fotovoltaico in Italia come il settore sia cresciuto e si sia rafforzato nel corso dello scorso anno, ma anche come da tale crescita sia stato escluso il Sud Italia. Il parco complessivo installato nel 2010 avrebbe superato i 3 mila MW, quattro volte il record del 2009. Il valore del mercato sarebbe stato di almeno 11,5 miliardi di Euro (anche questo dato risulta quattro volte superiore allo steso dato riferito al 2009) e i top ten degli operatori italiani del fotovoltaico avrebbero quasi triplicato il proprio fatturato. Valori in crescita anche per l’internazionalizzazione, che sembra aver raggiunto oltre il 10% del fatturato.

Gli effetti benefici del comparto solare si estendono, poi, anche al livello occupazionale: l’impatto diretto misurato dall’Osservatorio A.T.Kearney-Il Sole 24 Ore-Solarexpo risulta compreso tra i 18 e 23 mila posti di lavoro, mentre, considerando anche l’indotto (nelle installazioni e nella manutenzione soprattutto), l’impatto è stimabile attorno ai 50 mila occupati (stando al Solar Energy report del Politecnico di Milano). A questo dato bisognerebbe poi aggiungere altri 25 mila lavoratori impiegati all’estero per soddisfare le esigenze di importazione verso l’Italia e un numero imprecisato (non misurato ufficialmente, ma tuttavia rilevante) di posti di lavoro salvati dalla crisi in seguito alla riconversione, parziale o totale, di molte aziende verso l’economia verde.

Malgrado tutti questi dati positivi, gli attori principali del fotovoltaico non possono certo rimanere indifferenti di fronte alle grande incognite che oggi dominano la situazione italiana, ma devono, sottolineano, lungimiranti, Andreassi e Ortolani, muoversi in direzione di un «rafforzamento della struttura patrimoniale» e di una «riduzione del leverage»; sulle orme dei player internazionali, essi possono «realizzare fusioni domestiche e poi acquisizioni». Il radicamento sul territorio, spesso chiave del successo negli scorsi anni, non sembra essere più sufficiente: sarà necessario puntare sull’esportazione di modelli di business (su questo sono avvantaggiati i player più specializzati), sull’innovazione e sugli investimenti, per guadagnare scala.

Nell’attuale produzione energetica italiana, le fonti rinnovabili pesano per un 26%, stando a quanto rileva la società di consulenza strategica McKinsey&Company analizzando dati europei: il solo idroelettrico vale il 18%, mentre le altre fonti rinnovabili l’8%. Sulla scia del caso Fukushima, la società ha elaborato uno scenario che preveda – nel breve, medio e lungo periodo – il mix produttivo più economico nel caso in cui l’Europa decidesse di rinunciare a investire ulteriormente nel nucleare, continuando a perseguire l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2. Nei prossimi dieci anni raddoppierebbe il peso della capacità rinnovabile (già previsto dal piano europeo “20-20-20” in fase di implementazione da tempo) e aumenterebbe l’apporto delle centrali a gas. Nel 2030, poi, l’energia da fonti rinnovabili, escluso l’idroelettrico, peserebbe per la metà del totale europeo, pari a circa 2.000 TWh: di questi, 950 deriverebbero da capacità eolica, 160 da fotovoltaico, 260 da Desertec, e il restante da biomassa, geotermico e solare Csp. Nel 2050, infine, la percentuale relativa alle rinnovabili salirebbe fino al 72%, con i combustibili fossili fermi all’8%.

Nello scenario italiano la percentuale riferita al gas sarebbe, nel medio-lungo periodo, superiore a quella europea di 25 punti percentuali, perciò l’Italia diventerebbe esportatrice netta di energia nei confronti dei Paesi europei confinanti, ma importatrice di energia solare dal Nordafrica.

Affinché la prospettiva di McKinsey si realizzi, sarà necessario puntare all’investimento nella capacità di trasmissione transnazionale – così da garantire la stabilità nell’intero approvvigionamento energetico europeo (in inverno la capacità eolica del Nord potrebbe rifornire il Sud Europa, mentre in estate la capacità fotovoltaica delle regioni mediterranee potrebbe alimentare il Nord) – e al forte coordinamento delle politiche e degli incentivi tra Paesi europei.

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