La politica dei tweet: timidi tentativi tricolori

Dall’iniziativa #MontiLive al flop di @sapevicheSilvio, passando per l’#opencamera di Sarubbi, la ricerca del consenso passa ormai, anche in Italia, per i cinquettii. I politici in larga parte subiscono il social, ma non mancano piccoli traguardi

Sempre più la rete diventa sede privilegiata per il dibattito politico. Cresce la community dei cosiddetti cives.net, di coloro, cioè, che navigano per informarsi sui vari quotidiani online o per discutere di politica su blog, forum e piattaforme social, sfruttando le moltissime opportunità del Web come luogo di coinvolgimento civico. A confermare, nei giorni scorsi, la tendenza è stato l’Osservatorio Demos-Coop, che ha inteso tracciare il profilo sociodemografico e l’orientamento politico di questi cittadini 2.0. Se nel 2010 essi rappresentavano il 24,8% dei cittadini, la loro portata quantitativa sembra essersi ulteriormente rafforzata negli ultimi due anni, consolidandosi al 28,9% nel 2012, contro una percentuale del 14,3% (piuttosto stabile) per gli infonauti (quanti cioè si limitano a informarsi attraverso i quotidiani online e non partecipano alle discussioni politiche in rete) e una percentuale del 15,1% (in leggera crescita) per gli internauti (coloro che navigano per varie ragioni, non per informarsi o discutere di politica).
I cives.net sono persone particolarmente interessate alla politica, molto attive anche nell’offline e con un orientamento principale a sinistra. È, tuttavia, un “non-partito”, il MoVimento 5 Stelle, a catalizzare il maggior numero di cives.net nella propria base elettorale (47,7%, ai quali si aggiunge una percentuale del 12,5% riferita agli infonauti che aderiscono al movimento), dimostrando, quindi, i limiti dell’etichetta “antipolitica” spesso affidata ai sostenitori di Grillo.
Sono lontani, dunque, i tempi in cui le varie personalità coinvolte nella scena politica mondiale potevano lanciare ammonimenti e puntare dita contro la rete o limitarsi a considerarla una scocciatura da tenere semplicemente sotto controllo. La potenza del leader si misura oggi anche attraverso la sua influenza virtuale, rendendo quanto meno auspicabile una presenza diretta – o almeno presunta tale – nel rinnovato villaggio globale. Nell’elaborata macchina che porta alla creazione del consenso collettivo, un ruolo sempre più cruciale è giocato dai social ed è sufficiente evocare la foto del famoso abbraccio tra Obama e Michelle (la più retweettata di sempre) per rendersene conto.
A dicembre 2012 ben il 75% dei capi di stato e dei primi ministri mondiali (164 i Paesi analizzati) usavano Twitter come strumento di comunicazione politica, secondo uno studio realizzato dall’istituto di ricerca politica Digital Policy Council. Appena nel 2011 la percentuale era del 42%. Al primo posto tra i più potenti del cinguettio vi sarebbe proprio il Presidente degli Stati Uniti d’America (oltre 25 milioni di follower, twitta dal 3 maggio 2007), seguito a distanza dal Presidente venezuelano Hugo Chávez (3,8 milioni di follower e una presenza su Twitter dall’aprile 2010), e dal Presidente turco Abdullah Gul (2,5 milioni, sulla piattaforma dal settembre 2009).
Grandi assenti, nella classifica, i leader italiani, banalmente anche a causa della loro età media, decisamente più alta rispetto a influencer come la regina di Giordania, Rania (al quarto posto, con 2,4 milioni di follower), la presidente argentina Cristina Kirchner (al settimo posto, con 1,4 milioni di follower), il presidente dell’Ecuador Rafael Correa (al quindicesimo posto), i primi ministri australiano e canadese Julia Gillard e Stephen Harper (rispettivamente al ventesimo e ventunesimo posto).
In realtà, negli ultimi giorni, Twitter pare entrare a gamba tesa nella campagna elettorale per le prossime elezioni politiche italiane, ma i toni finora rilevati nel Belpaese sono molto lontani da quelli tipicamente previsti dall’apparato comunicativo della piattaforma e poco funzionali alla logica collaborativa e sociale ad essa sottesa. I politici italiani sembrano più “subire” il famoso uccellino che non sfruttarlo per un proprio tornaconto in termini di immagine e, in definitiva, di voti.
I “volontari digitali” fedeli a Silvio Berlusconi hanno aperto il 6 dicembre un nuovo account @Berlusconi2013, sulla cui credibilità si sono concentrati non pochi sospetti, data la crescita esponenziale e improvvisa di followers, saliti a Capodanno, in sole 24 ore, da 7 mila a oltre 70 mila; essi sono aumentati ulteriormente nei giorni successivi, per poi ridimensionarsi ieri a poco più di 64 mila unità. “Semplice abbiamo eliminato quelli generati da bot rilassatevi please”, ha cinguettato infine lo staff del Cavaliere per giustificare la tendenza altalenante. Nella serata di domenica si erano moltiplicati poi i malumori per quel presunto tweet postato dal profilo contro Rai3 che “fa cagare… La Gabbanelli [Gabanelli, ndr] sembra la Bindi.. Servi della sx e delle banche… Le porcate della sinistra mai eh? #schifo #tipisinistri”. L’eliminazione del tweet e la smentita dei volontari digitali, subito pronti a gridare allo scandalo e al fotomontaggio, pare non sia stata sufficiente a frenare l’ondata di screenshot, rimbalzata con toni ironici e canzonatori da una vetrina digitale all’altra. Rimanendo sullo stesso schieramento politico, anche Paolo Bonaiuti e Gianni Letta hanno inaugurato lunedì la propria presenza su Twitter, salvo le successive prese di distanza da parte dei diretti interessati: “Non è mio quel profilo, non è mio quel cinguettio demenziale”, ha dichiarato un irritato Letta a TgCom, sottolineando come si tratti di “un falso ignobile e mortificante per chi lo ha fatto, per chi lo ha raccolto e per chi lo ha diffuso”. Parole d’accusa rilanciate in parte anche da Bonaiuti, mortificando, dunque, anche quanto di positivo poteva essere colto dalla creazione di un account certo fake, ma pur sempre a sostegno della propria causa.
Per non parlare poi dell’autogol realizzato dallo staff comunicativo del Cavaliere, attraverso l’account autocelebrativo @sapevicheSilvio, che nelle intenzioni doveva riportare le gloriose gesta del suo passato governo, ma che, nella pratica, è diventato oggetto di una esilarante raffica di tweet amaramente divertenti, riportanti l’hashtag #losapevichesilvio.
Berlusconi ha dovuto così presto dismettere i panni dell’entusiasta comunicatore digitale, indossati poco meno di un mese fa per inaugurare la campagna elettorale, e dichiarare le proprie perplessità verso Twitter: “Useremo le reti, le sto già usando, non so se su Twitter… Perché su Twitter noto anche molte cattiverie inutili e credo che un’affermazione su Twitter potrebbe scatenare un universo di risposte negative”, ha affermato lunedì, nel corso di un’intervista a TgCom.
Il premier tecnico uscente, Mario Monti, ha aperto il proprio account @SenatoreMonti solo il 23 dicembre scorso, dopo le dimissioni, in vista della propria “salita” in campo. Grande eco ha suscitato, in particolare, la sua scelta di confrontarsi in maniera diretta con i potenziali elettori, proprio attraverso il sito di microblogging: nel corso del #MontiLive di sabato scorso, Monti, grazie al suo staff, ha cercato di dare risposta, in 90 minuti, a 16 domande, selezionate tra le molte twittate dagli utenti. In tanti hanno apprezzato il tentativo di apertura, ma non sono mancate le critiche, legate innanzitutto alla scelta di privilegiare, quali soggetti cui rispondere, influencer (@tigella, @nomfup, @daw_blog), esperti (@pierani, @iabicus), giornalisti (@annamasera, retwittata), testate (@tg1online) e associazioni (@progettoRENA), escludendo i cittadini comuni e vanificando, dunque, gli sforzi per una reale partecipazione.
A infastidire sono state pure le scelte stilistiche, in particolare l’uso esagerato di emoticons e di punti esclamativi, probabilmente allo scopo di creare un legame di empatia con i lettori. Esagerato più che altro perché incoerente rispetto alla figura piuttosto impostata di Monti, cui televisione e altri media ci hanno da sempre abituato.
Qualcuno ha criticato anche l’autocelebrazione (un solo retweet usato per un complimento e un “WOW!!” finale rivolto al numero crescente di followers) e l’ostentazione dell’iniziativa, vista l’eccessiva diffusione, da parte dello staff, di foto che ritraevano Monti davanti al computer, intento a twittare.
Dita puntate anche contro quel video storto di 90 gradi e di pessima qualità, presto rimosso. Infine il tempo trascorso tra una risposta e l’altra è stato giudicato eccessivo e il contenuto delle risposte non particolarmente originale.
Al di là degli errori e delle goffaggini, a una figura mediaticamente forte come Monti va certo il merito di aver posto l’accento su una modalità nuova di fare politica, possibile, con molta pratica, anche in Italia. Non messaggi a senso unico, ma partecipazione attiva. E il tentativo sembra anche aver dato alcuni frutti: il profilo ha collezionato ben 1.112 domande, 9.746 retweet, 7603 reply e 1861 tweet e, in sole due ore, è stato raggiunto da 5 mila nuovi followers (superando quota 100.000), ai quali il Professore potrà ora indirizzare i propri messaggi, in vista delle elezioni.
Presentandosi come “Papà di Sofia, Luigi, Luce e Giovanni. Marito di Giovanna. Amante dell’Italia. Ministro della Repubblica” da lunedì è su Twitter anche Corrado Passera, il quale sembra aver esordito rilanciando – in modo, direi, meno goffo – l’iniziativa di Monti, quasi trainato dalla sua scia. Ha ringraziato e interagito direttamente con i followers, sfruttando, in particolare, la risposta data a uno di loro (@LucaTaschin) per lanciare un messaggio – quasi una strizzatina d’occhio – a Oscar Giannino (@OGiannino), il quale ha, a sua volta, rivolto un sguardo virtuale complice al Ministro. Mi pare questa possa, almeno in parte, definirsi comunicazione politica 2.0, capace di fare notizia guardando in termini collaborativi e partecipativi ai cittadini.
Si pensi poi alla figura di Andrea Sarubbi, primo deputato (ora “scaduto” come si autodefinisce, in seguito alla scelta del Pd di non inserirlo nelle liste dei candidati al Parlamento per la prossima legislatura) a raccontare le sedute della Camera in diretta su Twitter, all’interno dell’hashtag #opencamera e occupato spesso a rispondere ai propri follower.
Si tratta – è vero – di una tendenza tutt’altro che consolidata: certo non mancano le presenze apparentemente attive di politici italiani su Twitter (Bersani, Alfano, Casini, Renzi, che ha fatto del Web quasi un mantra della propria campagna per le primarie), ma il livello di interazione con i followers è sempre piuttosto ridotto, il mezzo viene utilizzato come cassa di risonanza per il proprio messaggio propagandistico. Una ribalta alternativa, dunque, a quella televisiva o cartacea. Anche Grillo, che del Web ha fatto il proprio principale campo d’azione, si limita spesso a offrire su Twitter semplici rimandi al proprio blog, chiudendo, di conseguenza, la comunicazione, rifiutando lo scambio reale con sostenitori e oppositori.
Pubblicato su: PMI-dome
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