Attività di coaching in crescita nel contesto italiano

Una ricerca ICF-Pwc dimostra come tale professione sia cambiata nella forma, orientandosi più al business, e presenti un potenziale di espansione del 28%

Vengono salutati con particolare favore i risultati di una ricerca indetta dall’International Coach Federation (ICF) e diffusi proprio nel corso della Coaching Week (dal 7 al 13 febbraio), la settimana dedicata a far conoscere le potenzialità offerte in tutto il mondo da questa professione. Il programma in Italia comprende 80 eventi – tra seminari, workshop, conferenze, sessioni – realizzati in nove regioni tra cui Lazio, Puglia, Abruzzo, Sicilia, Sardegna, Lombardia e Campania, grazie anche alla collaborazione di 60 coach e di 35 partner (istituzioni, enti, associazioni, università).

ICF – che rappresenta “la più grande associazione professionale al mondo di coach, con 18.000 membri 104 nazioni” – opera con l’obiettivo primario di “sviluppare, sostenere e preservare l’integrità della professione nel mondo e di accrescere la fiducia del pubblico in questa professione”. Tale associazione, in collaborazione con Pricewaterhousecoopers – network internazionale operante in 151 Paesi con oltre 163.000 professionisti e “leader nel settore dei servizi professionali alle imprese con particolare riferimento alla revisione ed organizzazione contabile, ai servizi di consulenza direzionale e di supporto alle operazioni di finanza straordinaria, alla consulenza fiscale e legale – ha coinvolto 15 mila persone di 20 Paesi (tra Africa, Asia, Europa, Nord America e Sud America) in un’indagine approfondita sull’evoluzione mondiale del coaching.

Facciamo un piccolo passo indietro e cerchiamo di dare un confine semantico a tale attività professionale, grazie alla definizione che di essa è data da ICF: “un rapporto di partnership che si stabilisce tra coach e cliente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, i clienti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie di azione che permetteranno loro di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita”. Stando ai risultati della ricerca, pare che oltre la metà dei partecipanti abbia conoscenza e sappia definire correttamente tale attività e in particolare l’Italia (dove l’indagine ha coinvolto 750 persone) sarebbe “uno dei paesi dove sono state registrate percentuali significative e dove viene attribuito un ruolo molto importante alle certificazioni e alle credenziali dei coach professionisti”, come spiega Giovanna D’Alessio, immediate past president dell’ICF. Il 34% degli italiani intervistati ha dichiarato di avere una conoscenza buona (8%) o discreta (26%) del business coaching. Il giro d’affari, che, a livello globale, “negli ultimi due anni aveva rallentato la sua crescita”, sembra quest’anno in aumento del 20% e nel contesto italiano pare attestarsi stabilmente intorno ai 15 milioni di Euro. Aumentano poi, sempre in Italia, i professionisti iscritti a ICF, i quali passano dai 250 del 2008 ai 400 di oggi, anche se a fare concretamente questo lavoro sarebbero almeno 800, con un livello di crescita costante: il 28% degli intervistati italiani ha dichiarato di voler fare coaching, seppur, a livello globale, la percentuale salga fino al 33%.

Esistono numerose scuole abilitate a fornire la formazione adatta a svolgere la professione; l’elenco completo delle stesse è disponibile sul sito di ICF (alla quale viene attribuito un ruolo fondamentale nel controllare l’accesso alla professione), tuttavia non bisogna dimenticare che a fare coaching godendo di reale credibilità sono prevalentemente top manager con alle spalle un’esperienza lunga e ad altissimo livello.

L’attività di ICF viene considerata fondamentale nello stabilire e mantenere standard professionali elevati (20%), nel fornire credenziali ai coasch professionisti (20%) e nello sviluppo di modelli guida per il coaching professionale. Ricorda Daniele Bevilacqua, Presidente di ICF Italia, come in Italia sia stato fatto “un percorso molto importante con l’elaborazione e il rispetto di un codice etico che garantisce gli alti standard dei professionisti e con una serie di credenziali di ICF che oggi sono diventate motivo di credibilità. Esite un training costruito ad hoc e fatto attraverso corsi in scuole che collaborano con diverse università, come per esempio quella di Castellanza o la Luiss, così come è necessario di aver fatto un numero di ore di coaching a clienti paganti prima di poter crescere nelle certificazioni.

L’83% dei coachee (colui che in un processo di coaching viene “allenato” al fine di migliorare le proprie performance) si dice contento del lavoro svolto, il 36% ne è rimasto molto soddisfatto e la percentuale sale velocissima al 92% quando il coach è certificato.

Sempre più usato e diffuso, quindi, il coaching pare aver cambiato pure la propria forma, orientandosi maggiormente verso il business: la ricerca di un miglioramento nelle strategie di business management rappresenterebbe, infatti, l’obiettivo considerato primario, nella cornice italiana (35%), per improntare un’attività di coaching. Allo stesso modo essa sarebbe importante per aumentare l’autostima e la fiducia in sé stessi (35%), per espandere le opportunità di carriera (34%) per gestire in modo equilibrato lavoro e vita privata (22%) e per ottimizzare le prestazioni individuali e di gruppo (17%).

Pubblicato su: PMI-dome

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