Advertising online: il valore miliardario del free web

Una ricerca di McKinsey & Company, realizzata per conto di Iab Europa, rivela come l’insieme dei servizi gratuiti erogati nella rete e finanziati dall’online advertising generino un valore di 100 miliardi di euro

Stando ad uno studio realizzato da McKinsey & Company – l’autorevole società statunitense di consulenza manageriale e strategica – e commissionato da Iab Europe, il potenziale valore dei servizi fruiti nella rete a titolo non oneroso sarebbe monetizzabile in 100 miliardi di Euro, corrispondenti a circa 40 Euro per ogni singola utenza domestica.

In particolare, l’indagine è stata estesa ai mercati, piuttosto maturi, di Gran Bretagna, Francia, Spagna, Italia e USA e ha inteso esplorare quello che viene comunemente definito il “consumer surplus”: si tratta della dimensione economica generata da tutti i servizi web gratuiti, al netto dei costi legati a tali servizi, come ad esempio quelli di connessione e accesso alla rete, tenendo comunque sempre ben presente il fenomeno dell’“advertising disturbance”.

È, infatti, proprio grazie all’online advertising che viene garantita la mancanza di una esposizione economica diretta, da parte dell’utente, per l’utilizzo dei servizi web: ad ogni Euro speso dalle aziende in advertising, corrispondono dei servizi erogati valutabili in 3 Euro e, di conseguenza, il valore dei servizi gratuiti è stimato essere cinque volte superiore al costo dei servizi a pagamento. L’online advertising rappresenta poi il 17,65% del totale speso dalle aziende in media advertising e la cifra identificata come valore del web free si avvicina notevolmente al dato relativo alla spesa annuale sostenuta per la sottoscrizione di abbonamenti Internet (120 miliardi). Più di tre quarti degli utenti interpellati considerano il valore dei servizi gratuiti utilizzati due volte superiore al disturbo che deriva dalle pubblicità (e dalle problematiche sulla privacy ad esse legate), quantificando addirittura tale valore come cinque volte superiore alla cifra sborsabile per eliminare il disturbo causato dalla pubblicità. Lo studio ha inoltre confermato come solo il 20% degli utenti internet utilizzi dei servizi a pagamento.
Entrando più nel dettaglio, capiamo, allora, come la ricerca abbia voluto mettere a confronto il “consumer surplus” con il “producer surplus”, cioè il profitto reale realizzato dai fornitori (provider) dei servizi, stimabile in circa 20 miliardi di Euro. La conclusione, decisamente sorprendente, del ragionamento porta a inquadrare i consumatori della rete come i maggiori beneficiari (per circa l’85 %) del surplus complessivo generato dai servizi web. Non è finita qui: la prospettiva individuata è di una crescita annuale costante del 13% per il fenomeno del “consumer surplus”, che raggiungerebbe, così, i 190 miliardi di Euro nel 2015.

Lo studio prende in esame anche l’ipotesi di risolvere lo svantaggio dei fornitori attraverso una conversione di strumenti gratuiti in strumenti a pagamento: la conseguenza sembra essere una notevole riduzione nell’utilizzo della rete da parte di un buon 40% degli utenti, il che si tradurrebbe, per usare un tecnicismo, in un “negative consumer surplus”. Il rapporto tra servizi gratuiti e a pagamento si trova, infatti, attualmente, in una sorta di equilibrio e la crescita degli utenti disposti a pagare sarebbe possibile esclusivamente attraverso un considerevole abbassamento dei prezzi.

Arrivando ad auspicare un immediato confronto con la Commissione Europea in merito alle politiche da adottare per uno sfruttamento positivo dell’online advertising, Alain Heureux, Presidente e CEO di Iab Europe, ha sottolineato come tale forma di finanziamento “giochi un ruolo di fondamentale importanza nel permettere l’erogazione di servizi e nel favorire lo sviluppo e la distribuzione di contenuti, oltre ad avere primaria importanza nel sostenere l’industria creativa. Il report permette inoltre di osservare come i consumatori di oggi siano capaci di fare scelte ragionate in merito all’utilizzo dei servizi web gratuiti e quando sia invece opportuno pagare – a dimostrazione che regole troppo ferree in merito all’utilizzo della rete correrebbero il rischio di avere solamente effetti negativi sull’uso della rete in generale”.

Ribadisce poi Roberto Binaghi, Presidente di Iab Italia, che “l’advertising online è una grande risorsa per il web e per tutti gli utenti del mondo, che proprio grazie agli introiti che derivano dalla pubblicità possono usufruire di contenuti e servizi completamente gratuiti”; egli è convinto che “il ruolo centrale dell’advertising online, anche nel nostro Paese, dovrà essere qualcosa di cui tenere conto nelle sedi di dibattito istituzionale, quando dovranno essere prese delle decisioni in merito ai possibili sviluppi del settore, come avverrà nei prossimi mesi in ambito di recepimento del c.d. ‘Pacchetto Telecom’ che rischia di rallentare – senza apportare gli auspicati benefici alla privacy – lo sviluppo del mercato”.

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L’UE promuove l’e-commerce transnazionale

Alcuni dati del Parlamento Europeo rivelano che solo un utente della rete su tre si affida al commercio elettronico per portare a termine i propri acquisti

In un momento storico in cui, sempre più, si tende a trasferire ciascuna delle esperienze vissute nel reale in un contesto virtuale, che in qualche modo incrementi le potenzialità e gli intrecci tra tali esperienze; in quella che è stata definita l’era digitale, per la forza con la quale le tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno rivoluzionato il modo di pensare e agire comune; in questo contesto, un dato particolare sembra sorprendere e non poco. Stiamo parlando di commercio online, il sistema sicuramente più rapido e intuitivo per portare a termine delle compravendite: stando ad una relazione del Parlamento Europeo, sembra che solo un utente su tre prenda in considerazione tale opzione per l’acquisto di prodotti provenienti da un altro Paese.

Si tratta di una media decisamente bassa, sicuramente non rispettosa delle potenzialità offerte dal mezzo Web e in assoluta controtendenza rispetto alla propensione all’innovazione e alla semplificazione che caratterizza la nostra epoca. Per questo il Parlamento europeo ha approvato martedì una serie di risoluzioni volte a riorganizzare la normativa di riferimento della materia e ad eliminare gli ostacoli che impediscono un pieno sviluppo del servizio di commercio elettronico gestito dalla rete, così da poterlo incoraggiare e migliorare.

Prima del voto, il relatore Pablo Arias Echeverria ha sottolineato come il commercio elettronico sia “uno strumento con grandi potenzialità per migliorare la competitività dell’economia dell’Unione europea e del mercato interno europeo” e come possa “fornire un grande valore e opportunità per i cittadini e le imprese europee in questo momento di tensione finanziaria”. Egli considera “fondamentale che i leader europei attuino misure necessarie per superare le barriere che ancora rimangono nell’e-commerce per creare fiducia e trasparenza, in modo che i cittadini e le imprese possano sfruttarne pienamente i suoi benefici”.

Si è evidenziato come la principale barriera agli acquisti online internazionali sia, per gli utenti, il timore di diventare vittime di truffe, in siti apparentemente poco affidabili, magari anche solo per lo scarto linguistico, che rende più ardua la comprensione delle condizioni di vendita. Tuttavia alcune resistenze derivano anche dagli stessi commercianti, che – in contrasto con la normativa dei servizi che vieta la discriminazione dei consumatori – non accettano talvolta ordini provenienti da clienti stranieri.

L’idea alla base dell’intervento parlamentare europeo è quella di realizzare un sistema uniformato di preallarme, capace di superare l’eccessiva eterogeneità dei regolamenti nazionali e di liberare, quindi, le reali funzionalità del commercio elettronico. Si è pensato, così, all’istituzione di un “marchio di fiducia europeo” che garantisca agli utenti l’affidabilità e la qualità dei prodotti immessi sul mercato elettronico transfrontaliero e che aumenti, in questo modo, la fiducia e la protezione dei consumatori.

Massima trasparenza, quindi, nella catena di approvvigionamento, affinché il potenziale acquirente “possa riconoscere l’identità del fornitore, l’indirizzo geografico, i dati di contatto e il codice fiscale, e sappia se si tratta di un intermediario o di un fornitore finale, dato di particolare rilievo nelle aste online”.

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